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Autore: Tobias Kelley    22/07/2021    0 recensioni
[Bad Ending Route]
Il mio occhio sinistro si aprì dopo molto tempo. Uno scenario tetro si mescolava in mille sfumature di grigio e nero tra le quali, di tanto in tanto, brillava una luce cupa, ma che pareva naturale. Non ebbi bisogno di abituarmi ad essa, tanto fioca quale era, ma mi volle un po' per capire che mi trovavo disteso sulla schiena a fissare un cumulo di pericolanti macerie che mi pendevano sulla testa.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Connor/RK800, Hank Anderson, Kara/AX400, Markus/RK200
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5 - Luke 
 

Hank ascoltava musica veramente bella. Mentre Luke guidava l’automobile che avevamo rubato dalla via su cui si affacciava Villa Manfred, avevo deciso di concedermi qualche momento per me e, cuffie nelle orecchie, me ne stavo ad occhi chiusi con la testa adagiata contro il finestrino. I suoni prepotenti dell’heavy metal si alternavano alla musicalità del jazz, costringendomi a sbirciare continuamente il titolo delle varie canzoni sul lettore musicale, intento a ricordarli per quando avrei incontrato Hank.
Sentii l’auto rallentare fino a fermarsi e alzai gli occhi: nevicava più intensamente, quella notte, e, davanti a noi, un caos inverosimile di automobili si stava ammassando attorno alla dogana canadese, qualche centinaio di metri più avanti.
«Forse è meglio se ci fermiamo qui…»
«Vuoi andare a piedi?»
Scrollai le spalle. «Se ci fermano, siamo morti. Tu non hai documenti, né una patente. Potrei guidare io, ma, se scoprono chi sono, finiranno per spararmi in testa. L’unica soluzione è procedere a piedi e sperare che nessuno faccia caso a noi.»
Luke effettuò una breve retromarcia e andò a posteggiare l’auto tra alcuni alberi, in una via secondaria.
I dintorni della dogana erano ancora più affollati di come mi sarei aspettato: pareva davvero che tutta Detroit si trovasse lì, in quel momento, sperando di raggiungere una vita migliore dall’altra parte del confine. Non potevo biasimarli. Dopo quanto era accaduto, quella città sarebbe stata invivibile per almeno altri dieci anni. Non avevo, nei confronti degli umani, la stessa sfiducia degli altri androidi ed ero convinto che, pur di riprendersela, avrebbero trovato il modo di schermarsi dalle radiazioni e assaltare Detroit molto prima. Non che mi importasse qualcosa: se tutto fosse andato come dovuto, non avrei più rivisto quelle strade per il resto della mia esistenza.
Mi strinsi il cappotto attorno al corpo e cominciai a camminare lentamente per raggiungere l’edificio che costituiva la dogana. Decidemmo di non avvicinarci alle macchine per quanto fosse possibile e ci mescolammo tra gli umani in coda. La folla era talmente fitta che mi sentivo soffocare nonostante non avessi nemmeno bisogno di respirare. Il freddo era terribilmente pungente, ma, stando a quanto lentamente scorreva la fila, non avremmo superato le porte della dogana per almeno un’ora.
Mi alzai sulla punta dei piedi per sbirciare all’interno, ma intravidi solo una distesa di teste che ondeggiavano come un mare in tempesta. Il cicaleccio, poi, era impossibile. Di Hank, comunque, non c’era traccia. Avevo sperato che ci fossero talmente tante persone in coda da impedirgli di seminarci, nonostante il giorno intero di vantaggio che aveva su di noi, ma, anche se avessi avuto ragione, l’incredibile ammasso di esseri umani mi impediva di vederci chiaramente e individuarne la presenza.
«Per favore, lasciateci passare!» gridò una donna alle mie spalle. «Ho una bambina. Ha freddo!» Sentii qualcosa urtarmi una spalla e la mia mano corse istintivamente alla pistola nella tasca destra del cappotto. «Mi scusi, signore.» Sapevo che la donna mi aveva spintonato apposta per superarci e spingere la marmocchia in mezzo alla gente, guadagnandosi una via per raggiungere l’interno della dogana prima di noi, ma evitai di lanciarle lo sguardo di disprezzo che stavo covando, limitandomi ad arricciare il naso infastidito.
«Non ce la faremo mai…» mi sussurrò Luke, chinandosi appena per essere all’altezza del mio orecchio. «Come faremo a trovare Hank? Come faremo a…?»
«Stai calmo! Non possiamo permetterci di dare nell’occhio. Se si accorgono di noi è la fine.»
 
Livello di stress 57%
 
Trovare Hank doveva essere la mia priorità. Continuai a guardarmi attorno. Molte persone stavano facendo lo stesso, forse in cerca di familiari o amici che non erano ancora arrivati o che avevano smarrito in mezzo alla confusione. Poco lontano da me, un ragazzo coi capelli rossi schiacciati sotto un berretto di lana verde attirò la mia attenzione. Lo scansionai:
 
Modello EM400
 
Un androide! Ho indovinato.
«Luke, stammi vicino», ordinai. Sentii la sua mano avvinghiarsi al mio polso e lo trascinai in direzione dell’EM400 appena individuato. Il giovane se ne stava in piedi immobile, scrutando la folla davanti a sé. Si spaventò parecchio quando mi vide avanzare verso di lui con sguardo determinato. Mi indicai la tempia con una mano, mantenendo il contatto visivo e sperando che capisse. Le mie labbra sillabarono un vago "sono come te". Al che il ragazzo parve tranquillizzarsi.
«Non intendevo spaventarti», mormorai. «Mi chiamo Connor. Sono un modello RK800, sicuramente avrai sentito parlare di me. Tu sei un Jerry, non è vero?»
Lui annuì piano e il mio cuore blu parve sciogliersi.
«La tua memoria è collegata a quella di altri Jerry, non è così? Tu riesci a vedere anche coi loro occhi!»
«Shht!» m’intimò Luke, cercando di coprire la mia esaltazione.
Mi spinsi più vicino a Jerry e sollevai la mano sinistra. L’ologramma di una fotografia fece la sua comparsa sul palmo della mia mano, che nascosi tra i nostri corpi. «Uno di voi ha visto quest’uomo?» Attesi che il ragazzo osservasse con attenzione il volto di Hank, poi lasciai scomparire l’immagine. «È della polizia di Detroit, è mio amico! Se n’è andato di casa con un cane, un San Bernardo. Sono sicuro che si sia diretto qua, non può essere altrimenti!»
«Attendi un secondo.» Jerry chiuse gli occhi. Si portò una mano alla tempia destra, nonostante il suo led fosse scomparso, poi lo vidi sillabare alcune parole che non compresi. Infine, riaprì gli occhi. E sorrise. «Il tenente Hank Anderson ha da poco superato la dogana. Uno di noi lo ha appena intercettato.»
Il petto mi si strinse di gioia.
 
Livello di stress 45%
 
Jerry chiuse di nuovo gli occhi, aggrottando la fronte. «Ha detto che vi aspetta oltre il confine e che…» Spalancò improvvisamente gli occhi, inondati di terrore. «Non possiamo passare! Stanno controllando tutti… Controllano la temperatura! Se scoprono che siamo androidi ci spareranno!» Come a conferma di quanto era appena stato detto, un colpo di fucile fece zittire per qualche istante le persone in coda, prima che il brusio riprendesse ancora più forte.
«Come facciamo? Come ha fatto il tuo sosia a passare?»
«Dice… Dice che prima le cose andavano diversamente. Poi è esplosa una bomba e ora i controlli si sono fatti più serrati. Non ce la faremo mai!»
 
Livello di stress 56%
 
«Deve esserci un altro modo…» piagnucolò Luke.
«Aspettate.» Jerry strinse ancora gli occhi. «Ora sto parlando con il tenente Anderson. Dice che potreste attraversare il fiume. C’è un punto favorevole, non lontano da qui.»
«Fatti dire dove!» ansimai in tono concitato. Lui mi prese la mano e lasciò scorrere nella mia memoria un’immagine e delle coordinate.
«Qui, se abbiamo capito bene.»
Lanciai un’occhiata di incoraggiamento a Luke. «Grazie, Jerry.»
«Portatemi con voi. Non posso passare la dogana in queste condizioni. Mi uccideranno!»
Scivolai in mezzo alla folla, facendogli cenno di stare in silenzio e di seguirci senza attirare l’attenzione. Nonostante gli improperi della gente, a nessuno dispiaceva guadagnare terreno a causa di tre persone che se ne andavano e riuscimmo a tirarci fuori da quella marmaglia in pochi minuti.
Quando fummo abbastanza isolati, mi tolsi il berretto per scrollarlo dalla neve. Con l’aiuto del buio, riuscimmo a nasconderci tra gli alberi e le macchine. Di tanto in tanto, una squadra di pattuglia ci obbligava ad appiattirci tra l’erba o sotto un’automobile per evitare che la luce delle torce ci cogliesse nella nostra fuga, ma riuscimmo a raggiungere la riva del fiume in meno tempo del previsto.
«Più avanti dovrebbe esserci un ponte», spiegò Jerry. Continuava a chiudere gli occhi, di tanto in tanto, per contattare il suo sosia dall’altra parte. «Potremmo sfruttarne l’ombra per passare inosservati.»
Alzai lo sguardo dai miei passi che macchiavano di nero la neve fresca per osservare la struttura indicata da Jerry. «Non possiamo attraversare il fiume a nuoto», feci notare. Mi chinai per sfiorare l’acqua con un dito e mi sentii congelare. «Nessuno di noi è in grado di sopravvivere a una temperatura del genere!»
 
Livello di stress 66%
 
La luce di una torcia invase la mia visuale e mi costrinse a trascinarmi dietro a un blocco di cemento. Mi appiattii con la schiena contro di esso, sperando che passasse oltre, ma la guardia parve indugiare sul punto dove ci trovavamo noi.
«Le impronte…» mormorò Luke, indicando gli evidenti segni del nostro passaggio.
«Maledizione…» Mi guardai attorno, innervosito. «Distraetelo!»
«Ci ucciderà!»
«Ai suoi occhi sembrate umani, non può spararvi a vista! Non ho intenzione di arrendermi qui.»
Avrei potuto bucargli il cranio con quell’unica pallottola rimasta nella pistola di Hank, ma il rumore dello sparo avrebbe potuto attirare altre guardie. Era una pessima idea. Feci cenno ai due androidi con me di darmi ascolto e li incoraggiai a uscire allo scoperto.
«Chi va là?» gridò l’uomo puntandogli contro il fucile.
Sgattaiolai dietro il blocco di cemento abbastanza silenziosamente da avvertire la scusa biascicata da Jerry, poi strinsi le mani attorno al collo dell’umano, sotto l’attaccatura del casco. Nonostante il pesante equipaggiamento, non fu difficile per me ruotargli il collo verso destra, in una posizione innaturale, prima di sentire lo schiocco secco delle ossa che si rompevano. Poi il suo corpo mi si accasciò tra le braccia. Lo lasciai andare.
«Gettatelo nel fiume. È bardato così pesantemente che andrà a fondo.»
Jerry si mise subito in moto per eseguire il mio ordine, ma Luke mi guardava esterrefatto, qualcosa di simile al terrore gli luccicava negli occhi.
«Tu lo hai…? Hai ucciso un umano!»
«Sì e non è il primo.» Forse diedi troppo poco peso a quelle parole.
«Ma…» balbettò lui.
«O l’umano o noi, Luke. Lo capisci? Non è il momento per avere dei ripensamenti. Ti prego…» Gli posai una mano sulla spalla, provando a trasmettergli i sentimenti confusi che mi infestavano il cervello. «Non farmi sentire più in colpa di quanto non lo stia già facendo io stesso. Voglio solo… Voglio solo rivedere chi amo. Non ho tempo per il suo disprezzo», aggiunsi indicando il cadavere.
Luke non pareva del tutto convinto, ma aiutò comunque Jerry a spingerlo nel fiume, mentre io raccoglievo il suo fucile.
«Guardate!» esclamai all’improvviso mentre facevo scorrere la torcia del fucile sulla superficie del lago. Mi fermai per far sì che l’ombra nera di un’imbarcazione bloccasse la traiettoria del fascio di luce. «Una barca! Possiamo attraversare il fiume!»
«È parecchio lontana… Saranno almeno duecento metri! Non riusciremo mai a raggiungerla a nuoto.»
Jerry non aveva nemmeno concluso la frase che sentii il giubbotto di Luke cadere ai miei piedi. Non ebbi i riflessi pronti per fermarlo: lo vidi tuffarsi tra le acque gelide e cominciare a nuotare in direzione della piccola barca abbandonata al centro del fiume.
«Che cosa stai facendo?!» gridò Jerry.
«Luke! Morirai!»
Nessuna risposta. L’androide aveva già percorso buona parte della distanza che lo separava dall’imbarcazione.
Col cuore in gola, lo guardammo spingere coraggiosamente la barca fino a noi. Jerry mi aiutò a tirarla a riva per evitare che la corrente la trascinasse via: eravamo già stati abbastanza fortunati che il fiume ce l’avesse portata così vicino. Mi chiesi a chi fosse appartenuta. Probabilmente, se c’erano stati androidi su quell’imbarcazione, ora erano sul fondo limaccioso del fiume.
«Connor, aiutami!» Jerry tirò Luke per il braccio. Quando lo sollevai per adagiarlo al suolo sentii il suo corpo bagnato impregnarmi i vestiti. Era gelido.
Provai a scansionarlo:
 
Pompa a thirium danneggiata
Sistemi compromessi
Regolatore della temperatura danneggiato
Sistemi operativi al 12%
Riavvio fallito
Arresto forzato in 00:00:54

 
«No!» Lo afferrai per il maglione, stringendo i pugni sul suo petto. «Perché lo hai fatto, idiota?» Mi morsi le labbra. Jerry si chinò accanto a me, lo sguardo triste.
Luke volse la testa di lato e sputò acqua mista a thirium. «Volevo solo che tu…»
Sentii una sensazione nuova, qualcosa di umido che mi copriva le guance. Stavo… piangendo?
 
Livello di stress 89%
 
«Volevo che ritrovassi tuo padre, Connor. Guardami. Ce n’erano altre migliaia come me, in quel magazzino da cui mi hai salvato. La mia vita non ha valore.»
«Ti odio.»
«Piangi troppo forte perché sia vero», ridacchiò Luke. «Non mi dispiace spegnermi adesso. Mi hai fatto vedere qualcosa che non avrei mai visto. Mi hai fatto vivere un giorno in più. Ed è stato bellissimo.»
A denti stretti, aspettai che aggiungesse qualcos’altro, ma i suoi occhi si spensero, divenendo freddi e vuoti. Poi non si mosse più.
«Mi dispiace, Connor…»
Scossi la testa. Me la sentivo pesante. Qualcosa di invisibile mi premeva sulle spalle e sulle tempie, cercando di schiacciarmi. «Aiutami… Aiutami a staccare un ramo abbastanza grande da quell’albero. Ci servirà un remo, la barca è fuori uso.»
«Vuoi lasciarlo qui?»
«Non possiamo portarlo con noi. Mi dispiace così tanto…»
Adagiai il corpo senza vita di Luke contro il blocco di cemento dietro al quale ci eravamo nascosti poco prima, attendendo che Jerry mi procurasse un ramo con cui sospingere la barca lungo il fiume. Poi fummo pronti a partire.
 
La traversata fu rapida. Buona parte delle guardie messe di vedetta erano state spostate alla dogana, come se nessuno avesse più intenzione di attraversare il fiume. Forse, per loro, sorvegliare tutta la costa doveva essere un dispendio di energie superfluo, quando in così tanti stavano cercando di superare la dogana legalmente ˗ o quasi. Il ponte ci copriva le spalle, gettando un’ombra buia sulla debole scia lasciata dalla nostra barca che si muoveva lenta, spinta soltanto dalla forza delle mie braccia.
Dall’altra parte, il paesaggio non era così dissimile da quello che ci eravamo lasciati alle spalle. Fui sollevato nel trovarmi davanti una sorta di parco: gli alberi erano i nostri migliori amici, in quel momento, capaci di nasconderci alla vista degli umani fino al momento in cui avremmo potuto ricongiungerci con Hank e l’altro Jerry.
Arrivati a destinazione, aiutai il mio compagno ad issarsi sulla terraferma e lasciai che la barca andasse alla deriva, scomparendo nel buio. Ce l’avevamo fatta. Eravamo in Canada. Avrei rivisto Hank nel giro di pochissimo tempo. Eppure gli occhi vitrei di Luke che mi guardavano per l’ultima volta erano un’immagine che non riuscivo a togliermi dalla mente.
Il colpo di grazia, infine, mi fu dato da un fagotto di vestiti che trovai sulla riva, poco lontano da me. Strinsi gli occhi per vedere meglio quella che mi pareva una figura umana, seppur molto piccola, ma fui costretto ad avvicinarmi, incapace di distinguere di cosa si trattasse veramente.
«Che succede, Connor?»
«C’è qualcuno, qui.»
 
Livello di stress 69%
 
Avevo dimenticato il fucile accanto al cadavere di Luke, perciò fui costretto ad estrarre la pistola, che tenni puntata contro l’involucro immobile.
«Per l’amor del cielo!» esclamò Jerry portandosi entrambe le mani alla bocca. Quando fui più vicino, capii perché era così sconvolto: il fagotto non era altri che una bambina sui dieci anni, abbandonata nel fango.
«È un androide», mormorai. «Modello YK500. Non ha il led…»
«Sono sicuro di averne già vista una…» Jerry socchiuse gli occhi, cercando di accedere alla memoria collettiva che condivideva con gli altri suoi sosia. Lo vidi inorridire.
«Noi la abbiamo aiutata! Al Pirates’ Cove. Sono sicuro che sia lei! Era con altri due androidi: un uomo di colore, forse un TR400, e una donna. Lei era un AX400, ne sono sicuro.»
Ed ecco che un’altra pugnalata di dolore mi colpì al cuore. Erano loro, i due androidi che avevo inseguito in autostrada qualche giorno prima, le due persone con cui avrei dovuto scusarmi. Ero arrivato troppo tardi per quella bambina: si era disattivata da almeno un giorno.
«Allontanati subito da lei», sillabò una presenza alle mie spalle. Mi girai di scatto, puntando la pistola contro una donna dai capelli corti e biondi sporchi di terra. Nonostante il suo viso fosse macchiato di thirium, non potei non riconoscere l’AX400 a cui avevo dato la caccia assieme a Hank. Brandiva un tubo di metallo, nonostante sembrasse fare fatica a trascinarselo appresso.
«Kara!» esclamò Jerry correndole incontro. Non lo avesse mai fatto: con un movimento rapido, l’androide sollevò la spranga per menargli un pesante fendente al fianco sinistro. Il ragazzo cadde a terra, ammaccato, e indietreggiò spaventato verso di me.
«Abbassa quell’affare», le intimai, la pistola puntata.
«Se no cosa mi fai?» La sua voce era strana, metallica, chiaro indizio che aveva riportato gravi danni ai sistemi.
«Ho una pistola in mano, sono più veloce di te.»
«Non mi pare che tu ci abbia catturate, sull’autostrada.»
«Non era mia intenzione che nessuna di voi due andasse distrutta. La bambina, poi, non ne aveva colpa. Era solo una tua vittima.»
«Stai zitto!» I suoi occhi luccicavano di follia. La perdita della bambina doveva averla ferita a tal punto da farle perdere la ragione. Persino l’altro androide di cui aveva parlato Jerry era sparito. Che lo avesse ucciso lei? Mi scrollai di dosso quel pensiero: probabilmente era morto durante la traversata. Se la ragazzina era stata danneggiata fino all’arresto totale, quasi per certo dovevano essere stati intercettati e attaccati dagli umani.
Kara continuava ad avanzare verso di me. Cercai di spostarmi circolarmente per frappormi tra lei e Jerry. Se quella donna avesse deciso di attaccarlo di nuovo, in quelle condizioni, il ragazzo sarebbe finito distrutto.
«Mi dispiace per quello che è successo! Sia per l’autostrada… che per la bambina. Anche io ho perso qualcuno, sull’altra sponda del fiume.»
Kara rise. Una risata isterica, dettata dalla follia. «Questo cos’è? Uno tuo strano programma per empatizzare con le persone? Sei ridicolo!» Si scagliò verso di me e, mentre cercavo di parare il suo colpo, finii disarmato. La pistola cadde a qualche passo dai miei piedi e la donna riuscì a colpirmi un braccio. Urlai per la sorpresa, più che per il dolore, e me la scrollai di dosso. Kara rotolò a terra e si rialzò rapidamente per essermi di nuovo addosso: indossava abiti leggeri ed era molto più agevolata di me nei movimenti. Sentii la barra di metallo colpirmi la fronte e un fiotto di thirium la sporcò di blu.
 
Livello di stress 76%
 
«Muori, muori, muori, muori, muori, muori, devi morire!» Ora faceva male. Jerry arrancò verso di me, sperando di potermi fornire aiuto, ma il colpo ricevuto poco prima lo aveva pesantemente danneggiato.
Ed ecco la fine. Sarei morto lì, appena attraversato il confine, come quella bambina. E, per di più, per mano di una psicopatica, un androide impazzito di dolore e che, il dolore, era l’unica cosa che pareva voler dare agli altri.
E alla fine, il miracolo.
Sentii un brontolio sommesso, poi la donna mi fu strappata via di dosso: un grosso cane bianco e marrone le aveva azzannato una gamba e la stava trascinando lontano da me.
«Connor!» Riconoscevo quella voce e, nonostante i colpi subiti, riuscii a tirarmi a sedere per sentire un abbraccio caldo circondarmi le spalle.
«Hank!» Scoppiai in lacrime. Di nuovo.
 
Livello di stress 55%
 
Gli occhi azzurri del tenente mi guardavano preoccupati. «Connor, stai bene?» Mi tamponò la ferita sulla fronte con un fazzoletto.
«S…sì…» Mi girai di scatto, cercando Kara. Sumo le aveva lasciato andare la gamba e le ringhiava contro, minaccioso. La donna, però, non si muoveva. Avevo temuto per l’incolumità del cane, ma lei aveva lasciato andare la spranga di metallo e ci stava fissando. In lacrime. Guardava Jerry, che era appena stato raggiunto dal suo sosia e, con il suo aiuto, era riuscito a rimettersi in piedi. Guardava Hank, che mi stava avvolgendo le spalle con un braccio, mentre l’altro si adoperava a ripulirmi il sangue blu dalla faccia. Guardava me, mentre ricambiavo con spavento quello sguardo pieno di odio e disperazione, ma, soprattutto, di tristezza.
«Non è giusto…» piagnucolò. Scattò in avanti. Sumo fu troppo lento per acciuffarla di nuovo. Riuscì a recuperare la rivoltella di Hank che mi era caduta poco prima. La guardai terrorizzato mentre mirava alla testa del tenente, tremando.
 
Livello di stress 98%
 
Poi rivolse la canna verso la propria gola e sparò. 







 
Angolino dell'autore:
Ancora una volta ho lasciato passare più tempo del dovuto, prima di caricare questo capitoli. Ma, finalmente, la storia sta arrivando alla sua conclusione. Anzi, possiamo dire che la storia, in realtà, è già finita. Tra qualche mese giorno caricherò l'epilogo, ambientato alcuni mesi dopo le vicende di Detroit. Mi è piaciuto riperecorrere il finale della bomba sporca, un finale di cui sento parlare di rado, e non riesco a credere di avere questo racconto pronto da due anni.
Grazie per aver letto fino alla fine, vuol dire molto per me. Detroit è stato uno dei miei giochi preferiti e spero di avergli reso onore e omaggio con questa breve storia.
Tobias
   
 
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