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Autore: Deruchette    22/07/2021    2 recensioni
[La storia segue lo svolgersi degli eventi dall'epilogo di "Hunger Games" all'epilogo di "Mockingjay"]
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Katniss e Peeta, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12, i vincitori della 74esima edizione degli Hunger Games.
La loro storia è sotto gli occhi di tutti ma solo in pochi sanno che, in realtà, si tratta solo di finzione. La mossa strategica che li ha portati via dall'arena è costretta a continuare anche adesso che il sipario inizia a calare sull'ultima edizione dei giochi.
E se ad un certo punto la finzione si trasformasse in realtà?
Cosa succederebbe se gli Innamorati Sventurati fossero realmente innamorati?
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Dal capitolo 6:
"È evidente, chiaro come il sole, che è tutto cambiato. Che il ragazzo che all’inizio di quest'avventura consideravo un semplice amico, un alleato, adesso è diventato qualcos’altro. Per settimane mi sono chiesta se non fosse sbagliato nei suoi confronti recitare la parte della brava fidanzatina conoscendo la reale portata dei suoi sentimenti, sapendo che io non provavo la stessa cosa. Non sarebbe tutto più semplice se ti amassi?, la domanda che ronzava costantemente nella mia testa.
Ora lo so. Non solo è più semplice, più normale. È diventato anche necessario. Necessario come l’aria che respiro."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In The Still Of The Night - 38

In the still of the night

 

38.

 

Boggs è morto.
È morto davanti ai miei occhi, in un lago di sangue. Homes ha provato a fissare dei lacci emostatici, ma il flusso di sangue che usciva dai moncherini delle sue gambe non si è arrestato, rendendo vani tutti i suoi tentativi. Boggs ha avuto giusto il tempo di trafficare con l’Olo e di trasferire il nulla osta di massima sicurezza prima di consegnarlo nelle mie mani, col viso che diventava sempre più cinereo e che faceva presagire il sopraggiungere della morte. Ha mormorato qualcosa con una voce così fievole che se non mi fossi trovata così vicina a lui, a pochi centimetri di distanza dal suo viso, non sarei mai stata in grado di sentirlo.
- Non fidarti di loro. Non tornare indietro. Fa quello che sei venuta a fare.
Sono state le sue ultime parole. I suoi occhi hanno continuato a fissarmi, immobili, anche se la luce che li illuminava si è spenta, e non potevano più vedere nulla di concreto. I suoi occhi hanno continuato a fissare me, la ragazza a cui ha affidato l’Olo. Lo stesso Olo che bramavo da giorni, e che cercavo di capire come sottrarre al suo controllo.
Boggs mi ha, letteralmente, lasciato campo libero per agire come voglio agire. Abbandonare il gruppo, raggiungere la villa presidenziale… uccidere Snow.
- Katniss? Katniss! Dobbiamo andarcene da qui!
Distolgo a forza gli occhi dal volto senza vita di Boggs e seguo la voce che mi sta urlando di fuggire, di allontanarmi dal corpo esanime del mio comandante. È Finnick, che continua ad implorarmi di muovermi mentre mi afferra per un braccio. Ha ragione: presto, questo posto pullulerà di Pacificatori. Mi rimetto in piedi, stringendo l’Olo e l’arco contro il corpo, mentre mi rendo finalmente conto di ciò che sta accadendo attorno a noi.
Proprio come le simulazioni all’interno dell’Isolato nel Distretto 13, il quartiere residenziale sta per inglobarci nelle sue trappole nascoste. L’esplosione che ha ucciso Boggs ha colpito anche Leeg 2, che è stesa a terra e stringe i denti per il dolore che le provoca la gamba ferita. La sua gemella, Leeg 1, le si avvicina di corsa ma una delle piastrelle scompare sotto il suo piede, azionando un altro baccello. Delle alte mura si vanno ad ergere intorno a noi, circondando il quartiere residenziale e chiudendoci ogni possibile via di fuga. Le pareti si sono appena sigillate con uno schianto quando un’onda nera, alta una decina di metri, comincia ad invadere le strade e avanza, incontrollabile, col solo scopo di travolgere e seppellire tutto ciò che incontra sul suo cammino. Compresi noi.
- Correte! – è l’urlo che la Jackson ci rivolge.
Io e Finnick seguiamo la sua voce, cercando di toglierci dalla strada alla ricerca di un riparo. Mitchell è proprio davanti a noi quando inciampa e cade al suolo, facendo scattare un altro baccello che lo solleva in aria nel giro di un istante, ghermito da lunghi cavi. Il sangue gronda dal suo corpo e non capisco come sia possibile, finché non vedo dei lunghi uncini che si sono conficcati nella sua carne. Mi blocco, con gli occhi per aria fissi sugli uncini, incapace di proseguire.
- Katniss!
È la voce di Peeta, così come quella di Finnick poco fa, a farmi distogliere lo sguardo da questo scempio per focalizzarmi su altro. Lui sta avanzando a fatica mentre, aiutato da Leeg 1, sorregge Leeg 2. Dietro di loro, l’onda nera che avanza.
- Correte! – strillo, ed invece di proseguire torno sui miei passi, cercando di raggiungerli per aiutarli.
- Vai avanti! Vai avanti! – mi urla lui, infuriato.

Infuriati pure, penso. Non presto ascolto al suo consiglio e li raggiungo, liberandoli dal peso delle armi per agevolare la loro fuga. Correndo, superiamo il corpo di Boggs, quello di Mitchell che pende sopra le nostre teste, seguiamo il resto della squadra che si sta facendo strada all’interno di un edificio e poi ancora percorriamo una rampa di scale, due rampe di scale, fino ad un appartamento sgombro in cui restiamo, in attesa che l’ondata si abbatta sulla struttura.
La sostanza melmosa, simile a petrolio, di cui è costituita si abbatte contro i vetri delle finestre e riesce a penetrare dentro l’edificio; deve aver sommerso completamente le scale, perché alcuni rivoli si fanno strada nello spiraglio inferiore della porta. La osservo, orripilata, ma non riesce a raggiungerci, anzi, sembra aver finalmente rallentato la sua furia distruttrice. Solo una trentina di centimetri del candido pavimento vengono sporcati da quella robaccia nera.
- Si sta ritirando – mormora Cressida. Osserva la situazione al di fuori della finestra attraverso uno spiraglio della tendina arancione.
- Non possiamo restare qui – annuncia Finnick. – Abbiamo appena innescato un’intera via piena di baccelli. Ci hanno beccato di sicuro con i nastri di sorveglianza.
- Ci puoi contare – dice Castor. – Ogni strada è tappezzata di telecamere di sicurezza…
Poso a terra i fucili ed il resto delle mie armi, ma tengo stretto contro il petto l’Olo come se volessi difenderlo. Da cosa, non lo so neanche io stessa. So solo che Boggs mi ha ritenuta abbastanza affidabile da lasciarlo nelle mie mani. Lo osservo e penso, adesso, di avere ciò che mi serve per procedere al mio piano solitario… non proprio solitario, perché Gale mi ha fatto capire che mi seguirà ovunque io vada, e le mie proteste di tagliarlo fuori non serviranno a nulla. Non posso, però, fare a meno di chiedermi se anche Boggs avesse intuito le mie intenzioni: le sue ultime parole sono molto criptiche, e non le capisco appieno.

Non fidarti di loro. Non tornare indietro. Fa quello che sei venuta a fare.
Fa quello che sei venuta a fare: ovviamente, questa è l’unica frase a cui sono capace di fornire una risposta. Sono venuta a Capitol City per tentare di uccidere Snow. Ma il resto? Di chi non posso fidarmi? Della Jackson? Del resto dei soldati? Della mia stessa troupe?
Di Gale e Peeta?
Ho la testa così piena di dubbi che a stento faccio caso alle voci degli altri che cercano di trovare una scappatoia. Le strade presto saranno invase dai Pacificatori e loro sanno dov’è che ci siamo nascosti grazie ai video di sorveglianza. Questi, però, ora potrebbero essere stati danneggiati dall’ondata nera, quindi se scappiamo adesso potremmo avere una possibilità di confonderli e distanziarli. Potremmo crearci una via di fuga e tornare indietro. Ma anche i nostri trasmettitori sembrano essere fuori uso: la Jackson non riesce a contattare il campo base.
- Dammi l’Olo, soldato Everdeen. Posso ricondurvi tutti al sicuro se ci diamo una mossa – esclama lei, tendendo un braccio.
Di riflesso, stringo ulteriormente le braccia contro l’oggetto ed osservo la donna, che adesso è il mio comandante, con sospetto. Ed ecco che le parole di Boggs iniziano ad avere un significato: non mi fido della Jackson. Ma mi sono mai fidata davvero di lei?
- Boggs l’ha affidato a me – dico.
- Non essere ridicola – sbotta.
- Ma è vero – dice Homes. – Boggs ha trasferito a lei il nulla osta di massima sicurezza mentre moriva. L’ho visto.
- E perché mai l’avrebbe fatto?
Già: perché? Boggs non mi ha detto nient’altro! Non ho nessuna carta da giocare per spiegare il perché, adesso, l’Olo risponda ai miei comandi… e la cosa più buffa di tutta questa situazione è che io l’Olo non so neanche come si usa. Ero prontissima a rubarlo, nella peggiore delle ipotesi, ma non avrei mai potuto usarlo perché nessuno si è mai preso la briga di spiegarmelo. Con sconforto, e anche irritazione, mi rendo conto che se voglio andare avanti devo farlo con la squadra completa al seguito. Per usare l’Olo, e per percorrere le strade della città fino al suo centro. È da stupidi ignorare il campo minato che ci aspetta fuori da questo edificio, è impossibile. Ed io da sola non sarei mai in grado di farcela, neanche Gale potrebbe darmi una mano. Ho bisogno di tutti loro, non posso abbandonarli.

Maledizione.
Per questo devo metterli al corrente del mio piano, ma devo farlo passare per un ordine, e non per una mia iniziativa strampalata.
- Devo assassinare il presidente Snow. È un ordine che ho ricevuto direttamente dalla presidente Coin.

 

La Jackson non ci ha creduto nemmeno per un secondo. Ovviamente. Una miriade di domande è scaturita fuori dalle sue labbra dopo la mia affermazione: Perché non ne siamo stati messi al corrente? e Boggs lo sapeva? sono state le più gettonate, alle quali ho risposto con uno spirito di immaginazione che non credevo di avere. Alla fine, la donna ha concluso il tutto con un “Non ti credo” secco, ripetendo l’ordine di trasferire a lei il nulla osta di massima sicurezza.
Come se sapessi farlo!, avrei voluto urlarle in faccia, ma non l’ho fatto e mi sono rifiutata di ubbidire al suo ordine. Questo ha provocato una sorta di mio ammutinamento nei suoi confronti, tanto da ritenere necessario puntarmi contro una pistola. Gale, Finnick e Peeta hanno puntato le loro armi contro la Jackson per difendermi. La situazione stava degenerando a rotta di collo… ma poi, un attimo prima della catastrofe, è intervenuta Cressida.
- È vero. Noi siamo qui per questo – ha indicato sé stessa e la sua troupe. – Plutarch vuole che venga trasmesso in tv. Pensa che se riusciamo a filmare la Ghiandaia Imitatrice che assassina Snow, la guerra finirà.
Cressida non ha ricevuto nessun ordine del genere da Plutarch: era chiaro come il sole. Ha mentito al solo scopo di proteggermi. Ma in qualche modo le sue bugie hanno calmato la Jackson. Ha abbassato la pistola e anche quelle degli altri, lentamente, hanno seguito lo stesso percorso. Ho tirato un piccolo, flebile sospiro di sollievo a causa di tutta la tensione che si era andata a creare, ma che non se ne era andata del tutto. Sepolta in questo modo, sarebbe bastata anche la caduta di uno spillo per riportarla in superficie.
- Conosco la residenza del presidente – ha detto Peeta, spiazzandomi. L’ho guardato, ma lui aveva tutta l’attenzione rivolta sulla Jackson e solo su di lei, ignorando il resto di noi. – Posso farvi da guida in un posto che voi non conoscete.
- Peeta ha ragione – ha aggiunto Cressida.
Mentono, stanno mentendo tutti quanti. Mentono spudoratamente e a nessuno, a parte me e Gale, che era a conoscenza dei miei piani di fuga, sembra importare qualcosa. Mentono sapendo che è l’unica cosa che tiene la Jackson a bada dal piantarmi una pallottola in testa. E mi fa infuriare, il fatto che mentano. Soprattutto Peeta, che stanotte sembrava non volere più avere nulla a che fare con me, e adesso sta di nuovo tentando di proteggermi. Ancora una volta.
- Basta chiacchiere. Ce ne dobbiamo andare – Finnick ha chiuso la questione. Per il momento.
Abbiamo dovuto lasciare indietro Leeg 2 perché la ferita che aveva alla gamba era troppo grave e non riusciva a camminare; salire le due rampe di scale, per lei, era stato un vero e proprio miracolo. Sua sorella ha voluto restarle accanto in attesa dei soccorsi che sarebbero sopraggiunti non appena avremmo potuto riprendere le comunicazioni col campo base. Lo strato di petrolio asciutto che ci ha atteso fuori dalla porta dell’appartamento, con sollievo, ha celato le nostre impronte. Una volta fuggiti e lontani dai Pacificatori, questi non sarebbero stati in grado di capire la direzione che abbiamo preso.
Dato l’evolversi degli eventi, sono diventata in qualche modo il capo squadra e tutti hanno atteso che dalla mia bocca uscissero delle direttive. Controvoglia, ho dovuto chiedere aiuto alla Jackson per attivare l’Olo; lei ha risposto con ancora meno voglia, ma ha premuto diversi pulsanti per consentirmi di vedere la mappa olografica della città contrassegnata dai baccelli. Tantissimi… e sono solo quelli di cui siamo a conoscenza. Come abbiamo scoperto a nostre spese, molti altri se ne celano ai nostri occhi.
Una volta in strada, percorriamo i cortili e i viottoli devastati dall’ondata nera ed io cerco con tutta me stessa di non incrociare il corpo di Mitchell ancora sospeso per i cavi. Osservo l’Olo e cerco di capire quale strada sia la più sicura da seguire, ma scopro che lo sono un po' tutte: l’onda ha attivato altri baccelli, rendendoli così del tutto innocui. A terra, in un mucchietto dorato a pochi metri di distanza, ci sono degli aghi inseguitori. Ne calpesto un paio mentre cammino ed i loro corpi scricchiolano sotto la suola dello scarpone. Dall’altezza del petrolio che macchia gli edifici si riesce a capire l’intensità e la forza dell’onda che perdeva potenza; a mano a mano che avanziamo, questo lascia il posto alle strade pulite e alle case immacolate degli isolati successivi. Questo vuol dire una cosa sola: che il rischio di venire scoperti è di nuovo alto. Le telecamere di sorveglianza da questo punto in poi potrebbero essere perfettamente funzionanti. Proseguire oltre sarebbe rischioso e noi abbiamo urgente bisogno di un riparo, non riusciremo a raggiungere il nostro campo prima che si faccia buio.
- Torniamo indietro – dico.
- Indietro? Sei impazzita? – chiede la Jackson, interdetta.
Ma io ho già percorso a ritroso metà dell’isolato ancora sporco di petrolio ed evito di risponderle; osservo le abitazioni vuote, soppesandole, cercando di capire quale delle tante possa fare al caso nostro, ma non ho molto tempo a disposizione per decidere. Mi avvicino ad una porta che sembra più robusta delle altre e cerco di aprirla, ma sembra essere chiusa a chiave. Cerco di aprirla con una spallata, ma fallisco. È decisamente robusta.
- Faccio io – Homes si avvicina e mi scansa gentilmente, iniziando a trafficare con alcuni bastoncini di metallo per forzare la serratura. – Entrate! – dice non appena la porta si spalanca.
Resto per alcuni secondi sulla soglia, osservando la strada da entrambe le direzioni, mentre il resto del gruppo entra in casa. Lancio uno sguardo al cielo, aspettandomi quasi di vederlo pieno di hovercraft venuti a portarci via, e poi entro, chiudendomi la porta dietro le spalle.
Non ho ancora raggiunto gli altri quando il pavimento trema sotto i miei piedi ed il boato di una forte esplosione risuona nelle mie orecchie. Al buio, osservo la porta chiusa, ma è ancora lì, in piedi ed intatta. Alcuni passi risuonano dietro di me, mi raggiungono.
- Non proveniva da qui fuori – mormora Homes. – Forse a qualche isolato di distanza.
- È dove abbiamo lasciato le ragazze? – chiede Peeta.

Le ragazze, le gemelle Leeg. Se hanno ragione, quell’esplosione può significare solamente una cosa. Mi rifiuto di pensarci e, scansando di malo modo gli uomini riuniti in corridoio, mi allontano.
La casa è quasi totalmente al buio, illuminata solo dalla poca luce che penetra dalle persiane e dai punti delle finestre non macchiate di petrolio. Seguo il vocio delle persone che si sono riunite al piano superiore, in quello che sembra un open space pieno di divani, poltrone e sedie imbottite. Al centro della stanza, c’è un grande schermo televisivo debolmente illuminato. Questa sorta di salotto sembra un luogo di incontro per i grandi appassionati dei programmi di Capitol. Odio questo posto.
Non l’ho detto ad alta voce, l’ho soltanto pensato, ma è come se il televisore avesse percepito il mio pensiero. So che non è possibile, eppure lo sospetto lo stesso, mentre questo emette alcuni “bip” sommessi e si illumina di colpo.
- È una trasmissione straordinaria! – esclama Cressida, rialzandosi dalla poltrona su cui si era poggiata.
La trasmissione straordinaria, scopriamo, è una ripresa di noi che attraversiamo il colorato quartiere residenziale: inizia dalla fine della registrazione del Pass-Pro e prosegue, mostrando l’esplosione che ha ucciso Boggs e ferito Leeg 2, mostrando l’innesco dell’ondata nera, la morte di Mitchell e noi che cerchiamo di metterci al riparo all’interno del condominio. Ogni tanto focalizzano l’attenzione sui nostri volti, in particolare sui vincitori degli Hunger Games che sono passati dalla parte del nemico. Un brusco taglio di montaggio divide il servizio, trasmettendo la piazza devastata dal petrolio e brulicante di Pacificatori che circondano l’edificio in cui, in teoria, pensano che siamo ancora nascosti. Alcune granate vengono lanciate contro le finestre e, quando esplodono, le possiamo ricollegare al boato che abbiamo sentito poco fa. Il condominio è in fiamme, e adesso posso vedere ciò a cui non ho voluto pensare prima.
Le sorelle Leeg sono morte.
Ma quando la linea viene restituita allo studio televisivo, dove appare il faccione familiare e serio di Caesar Flickerman, non è l’annuncio della morte delle due gemelle a risuonare dagli altoparlanti. È la morte di tutta la squadra: dei soldati, di Cressida e del suo team, di Gale, di Finnick, di Peeta…
Ed anche la mia.

 

Sono morta. O almeno così pensano tutti. Lo pensano qui, a Capitol City, lo pensano in tutti i distretti e, sicuramente, lo pensano anche al Distretto 13. Mia madre e mia sorella sanno che sono morta e non c’è nulla che io possa fare per smentire la notizia. Non abbiamo i mezzi per comunicare con il resto dell’esercito e con gli ufficiali… siamo totalmente tagliati fuori dal mondo. Qualcuno ha commentato la cosa come un buon colpo di fortuna ed in parte è vero: è meglio, molto meglio che qui a Capitol pensano che siamo morti, almeno non li avremo costantemente intorno come se volessero braccarci. Ma per il resto non va bene. Per niente. Non va, perché non posso fare altro che pensare al dolore che l’annuncio della mia presunta morte ha scatenato all’interno della mia famiglia. Sarà mille volte più forte di quando furono costrette a mandarmi due volte nell’arena.
Resto seduta sul divano, con i gomiti premuti sulle ginocchia e le mani a coprire il collo, mentre cerco di scrollarmi di dosso questa brutta sensazione. Vorrei essere più brava di così ed essere in grado di celare agli altri il modo in cui tutto questo mi ha scossa, ma non sono brava, per l’appunto. Sono così piena di sconforto per tutto ciò che è accaduto nell’ultima ora che non seguo i movimenti degli altri, e faccio poca attenzione a ciò che si dicono.
Passo una mano sul viso, sospirando, e fisso lo schermo che si è spento dopo l’annuncio di Caesar. Tra non molto si illuminerà di nuovo per l’intervento del presidente Snow. Sì, farà un intervento per commentare la mia morte: la morte di Katniss Everdeen, la Ghiandaia Imitatrice, il simbolo della ribellione. Se possibile, questo intervento non ancora avvenuto mi getta ancora più nello sconforto e non farà altro che acuire il dolore dei miei cari, e di tutti coloro che sono morti con me, in teoria. Al 13, un gruppo di persone ci sta piangendo: mia madre, Prim, Annie, Effie, Hazelle ed i fratellini di Gale… chissà se anche Haymitch e Johanna sono dispiaciuti per la nostra morte.
Una mano si posa sulla mia spalla ed io sobbalzo sul posto senza un motivo preciso, ma è solo Finnick che sta cercando di prendere posto accanto a me. Ha le braccia occupate da una marea di scatolette e pacchi di biscotti.
- Dove hai trovato tutta questa roba? – domando, sorpresa.
- Era nascosta nelle intercapedini e negli armadi – mi spiega, posando il tutto su un tavolinetto. – A Capitol City si fa scorta di cibo in caso di tempi bui.
- Tempi bui… - mormoro tra me e me. Afferro una lattina e la soppeso tra le mani. L’etichetta mi informa che contiene una zuppa di pesce. – Tempi bui come questi?
- O qualsiasi cosa possano interpretarli come tali – dice Finnick. Si sporge anche lui per afferrarne una. – Questa è per te. Peeta dice che adori questa roba.
La “roba” in questione è una scatoletta di stufato di agnello: il piatto che, durante i miei primi Hunger Games, rivelai essere il mio cibo preferito e che gli sponsor inviarono a me e a Peeta. Alzo lo sguardo e lo cerco, trovandolo seduto a diversi metri di distanza da me, insieme a Gale e al gruppo di Cressida, mentre soppesano anche loro una parte del cibo che hanno trovato in casa. Sta pensando anche lui ai giorni nella grotta? Quei giorni che non sembrano aver fatto parte di un programma televisivo, ma di un mondo lontano? Ancora non conoscevo Peeta come lo conosco ora, ma per lui era già diverso; per Peeta è sempre stato diverso. Mi amava già allora…
- Cosa è successo tra di voi? – sussurra Finnick al mio orecchio.
Mordo le labbra, smettendo di osservare l’oggetto delle mie attenzioni e dei miei pensieri. – Abbiamo… discusso. – gli dico.
Discussione, poi… è stata più una confessione da parte mia che non è stata presa bene dall’altro interlocutore.
- Voi discutete? Davvero? Katniss e Peeta che litigano?
- Ti sembra così strano?
Ride. – No, è rassicurante – inarco le sopracciglia. – Almeno so che non siete degli anormali che vanno sempre d’amore e d’accordo.
- Non siamo degli anormali – lo rassicuro.
- Immagino che tu non voglia raccontarmi il perché non state insieme da stanotte… sì, vi ho visti – sorride sghembo, ma il suo sorriso dura solo un istante.
Finnick ed io siamo stati l’uno il confidente dell’altro durante l’incerto periodo che abbiamo trascorso al Distretto 13. A dire il vero, era Finnick quello che parlava più dei due quando non veniva colpito dai suoi momenti di confusione. Ci siamo dati forza a vicenda quando nessuno di noi, e nessun altro, sapeva cosa stava accadendo alle persone che amavamo. Stare vicini, anche se in silenzio e in confusione, era un modo per andare avanti. Abbiamo imparato a conoscerci meglio, anche se la parte che abbiamo manifestato di più era la peggiore di noi stessi: la più debole, la più indifesa. Entrambi, siamo stati le facce opache e opposte delle brillanti medaglie che abbiamo mostrato nelle arene dei nostri Hunger Games. Parlo delle prime arene, e non della seconda in cui siamo stati catapultati insieme: quella aveva mostrato già parte dei nostri punti deboli.
- Peeta vorrebbe avere altri figli – bisbiglio. In una sola, breve frase, ho riassunto tutto ciò di cui Finnick deve essere messo a conoscenza.
- E tu non ne vorresti? – chiede, con una nota incerta nella voce.
- Non posso averne più. Non dopo… - mi blocco, schiarendomi la voce. – Non voglio passarci di nuovo – ammetto.
Finnick resta in silenzio per un po', forse sta metabolizzando il senso delle mie parole. Per non sentire il peso di tutto questo silenzio tra noi due, apro la scatoletta dello stufato e comincio a mangiucchiarlo usando il coperchio di latta come cucchiaio improvvisato. Scuoto la testa quando mi accorgo che, oltre alla carne, ci sono anche le prugne secche ed il riso. È proprio come ricordavo. A Capitol City non si precludono nulla, neanche dallo scatolame.
- Probabilmente sono l’ultima persona che potrebbe consigliarti qualcosa, Katniss, perché sono un uomo e perché non ho mai perso un figlio… ma secondo me sbagli, a precluderti qualcosa già da adesso. Non puoi pensare, e sapere, che possa accadere di nuovo – dice Finnick.
- È proprio perché non ci sei passato che non puoi dirmi così, Finnick – ribatto senza distogliere gli occhi dall’agnello.
- Ma potrei passarci. Magari ci sto passando proprio ora e nessuno può venire a dirmelo…
Mi fermo con la mano a mezz’aria e la latta piena di cibo davanti alla bocca. Lo guardo, stralunata. – Finnick, ma cosa-
- Annie è incinta – mormora, poco più di un mimare di labbra. - È dal suo arrivo al 13 che stiamo provando ad avere un bambino. Lo abbiamo saputo la mattina della nostra partenza.
- Finnick – sono senza parole, e si vede. Non riesco a dire nulla al di fuori del suo nome.
- Guarda che conosco già il mio nome, Katniss! – esclama, sfottendomi.
- Non sapevo neanche che…
- Che volevamo un figlio? Abbiamo voluto tenerlo per noi. Lo sanno in pochissimi.

Finnick padre. Non ho mai pensato a lui in questa veste, ma a parte Peeta non mi è mai capitato prima d’ora di pensare con precisione a qualcuno che potesse andare a ricoprire questo ruolo. Men che meno, non ho mai pensato che il desiderio di paternità fosse così forte e presente anche dentro di lui.
- Non sei felice per me? – domanda.
- Felice? Finnick, è ovvio che sono felice! È… è una bella notizia – balbetto. – Sono davvero contenta per te ed Annie.
- La tua faccia dice il contrario – inarca le sopracciglia.
- Non è vero-
- Sì che è vero! Ma non te ne faccio una colpa. So che per te non è facile ed ero insicuro sul parlarti o meno del bambino… ma penso che te lo avrei confessato lo stesso. Anche se pensi che io ed Annie siamo due sciocchi, a volere un figlio nel bel mezzo della guerra.
Stringo le labbra ed abbasso gli occhi, causando in lui una risata a bocca chiusa, perché da una parte è esattamente ciò che penso. È un pensiero abbastanza simile a quello che mi ha accompagnata per anni, dal momento in cui capii che una famiglia e dei figli, in un mondo in cui esistevano gli Hunger Games, non sarebbe mai stata una mia priorità. Ed è il pensiero che mi porta, adesso, a negare una nuova gravidanza, una nuova vita. Restare incinta solo per rischiare di perdere di nuovo il mio bambino…
- Fino a due mesi fa avrei continuato a pensarla come te, ma ci sono stati dei cambiamenti significativi da allora, Katniss. Ci sono dei segni che dimostrano che tra un mese, o un anno, sarà tutto diverso. Quello che stiamo facendo, la guerra e la rivolta, lo facciamo per il futuro di tutti noi. Lo facciamo per il futuro dei nostri figli. Lo facciamo per garantire loro la speranza di un mondo migliore, un mondo senza sofferenze e senza Hunger Games. È un mondo che nessuno di noi ha ancora conosciuto… - ride. - Ci pensi? L’anno prossimo, quando vedrò nascere il mio bambino, sarò sicuro di aver fatto tutto ciò che era in mio potere per rendere questo mondo un posto migliore per lui. Per lui e per tutti gli altri bambini che nasceranno. Anche per il tuo bambino, se lo vorrai.

 

 

 

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Che gran bel personaggio che è Finnick! Ho sempre gli occhi a cuoricino quando c’è lui in scena *-*
E sta per diventare papà!
Ho pensato di aggiungere questa parte con un super anticipo rispetto a ciò che ci viene fatto sapere nei libri: non so voi, ma a me ha sempre messo tristezza l’annuncio della paternità di Finnick alla fine della guerra, soprattutto dopo aver saputo della sua morte. È stata una mossa crudele!
Ma forse sarebbe ancora più crudele sapere del baby Finnick prima della sua morte…
*urlo interiore*
Per il prossimo aggiornamento non dovrete attendere troppo perché è già a un buon punto ;) forse prima di Ferragosto ce la faccio XD
Un bacione a tutti voi!

D.

   
 
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