Serie TV > Suburra
Ricorda la storia  |      
Autore: DanzaNelFuoco    22/07/2021    1 recensioni
Aureliano/Spadino
canon divergence post stagione 1
COW-T #11: Ricetta
--- Ma se hai paura di bruciarti la lingua e tiri indietro, finisce che la vita non sa di niente.
Ha detto la vita? Intendeva dire la pasta. La pasta - che questa non è mica una commedia rosa con le citazioni pseudo-colte da Baci perugina e il peperoncino non è una metafora di niente.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
COW-T #11 (Sagra): Ricetta
 
- Ajo, ojo e peperoncino - 


Aureliano fissa il piatto di pasta con astio, nemmeno fosse colpa sua il fatto che faccia cagare. 

Non sa di niente, c’è troppo aglio e non pizzica, e la pasta… beh, no la pasta non è scotta, ma potrebbe pure esserlo per la voglia di mangiarla che ha Aureliano. 

Il problema non è tanto nella pasta, quanto nel fatto che la pasta non l’abbia cucinata Spadino. 

Per cui eccolo lì, il fulcro della questione, il nodo da cui si dipanano tutti i suoi problemi: Spadino. 

Perché il problema della pasta è che Aureliano prima di quella serata passata a caricare del freddo sulla tromba delle scale di un campanile, in attesa che il prete si decidesse a scendere o che arrivasse la Monaschi, gli spaghetti aglio, olio e peperoncino li aveva sempre mangiati senza problemi. Ma poi aveva assaggiato quelli di Spadino e adesso a lui venivano sempre o troppo secchi o con poco aglio o con il peperoncino sbagliato. 

E fossero solo gli spaghetti il problema. 

Aureliano si decide a gettare il piatto di pasta nel bidone della spazzatura dopo nemmeno due bocconi. 

Maledizione a lui, Spadino l’ha mandato a ‘fanculo, anche abbastanza letteralmente, quando ha tento di baciarlo e adesso… adesso cosa? Gli manca? Aureliano non può essere così patetico. 

Non aveva capito quanto contasse sulla sua presenza, quanto lo considerasse davvero un amico e non un semplice socio in affari a cui voltare le spalle al minimo segno di un’offerta più vantaggiosa finché non aveva preso in mano il cellulare per mandargli un messaggio e si era reso conto che no, non poteva più farlo. 

Poi c’era stata la morte di Isabel, la fuga di Livia da Roma… Aureliano non sapeva più nemmeno dove sbattere la testa. 

Gli manca Spadino, sì, è davvero così patetico. Ma non abbastanza da raccattare il telefono e chiamarlo. 

 

* * * 

 

Spadino gli porta Livia e una tacita offerta che non può rifiutare. 

Famo che ’n’è successo niente. 

Daje. 

Perché la verità è che, fosse stato chiunque altro, Aureliano gli avrebbe sparato già in fronte da mo’. Invece è Spadino, per cui tre mesi di silenzio stampa vengono cancellati con un colpo di spugna e non se ne parli mai più. Sono di nuovo in affari. (Ma chi vorrebbero prendere in giro. Sono di nuovo amici.) 

Non ci pensa più a quel bacio che non è accaduto, alla sensazione delle labbra di Alberto contro la sua guancia, del velo di barba ispida mal rasata che gli sfrega contro la mascella. Non ci aveva pensato allora, in quei tre mesi di separazione, e non vede perché dovrebbe pensarci adesso che si è tutto risolto. 

Invece decide che, siccome sono tre mesi che non si avvicina ad un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino (perché ogni volta la prospettiva di mangiare del cartone gli sembra migliore), almeno può chiedere a Spadino di cucinare, adesso che è di nuovo nella sua vita - cazzo, potrebbe essere un po’ più melodrammatico? 

“Boh, pensavo che almeno a farte un piatto de pasta ce la potessi fa’.” 

“’N’è la pasta, Spadì, è che ’n me viene proprio. Sarò sfigato io.” 

“Insomma, non è che ci sia ‘na formula chimica per gli spaghetti ajo, ojo e peperoncino, no? Un po’ d’ojo, un po’ d’ajo, peperoncino qu bi.”

“Qu bi non vuol dire un cazzo, Spadì. Così come non vuol dire un cazzo ‘un po’.”

Aureliano sa che è stupido cercare un dosaggio con quantità precise in un quella che si potrebbe banalmente definire una ricetta da ‘vai a occhio, quando ti sembra abbastanza sei a posto’. Però è anche vero che improvvisamente si ritrova con due mani sinistre ai fornelli anche per i piatti più semplici. 

“Non vuol dire un cazzo perché non capisci un cazzo di cucina.” 
“E te insegnami.” 

Spadino lo guarda con tanto d’occhi, nemmeno gli fosse spuntata una seconda testa, ma non si tira indietro. 

“Vabbè, te insegno.” 

 

* * * 

 

La cucina di Aureliano, essendo la cucina di un hotel, è la cosa più grande in cui Spadino si sia mai trovato a dover spignattare. 

Non che lui si faccia prendere da un improvviso senso di reverenza, quando per lui non c’è niente di sacro. E poi a lui sono sempre piaciute le cose grandi. 

“Lele non viene?” 

“Lele ha dato buca,” Aureliano si stringe nelle spalle come se questa non fosse la prima volta che sono da soli da soli da quell’incontro nel parcheggio in cui si sono quasi uccisi. Spadino tenta di dirsi che se Aureliano riesce a fare finta di niente così bene, probabilmente dovrebbe cercare di esserne all’altezza, poco importa se la scena in cui si trova sembra uscita da una di quelle commedie romantiche che guardano le sue cugine.

Lezioni di cucina, si potrebbe essere più banali?

Beh, certo, se questo fosse un appuntamento. 

Ma non lo è, Spadino dovrebbe cercare di ricordarselo un po’ meglio.

“Come si accende sto cazzo di bollitore?” 

“Iniziamo bene,” Aureliano si china verso di lui per armeggiare con le manopole e Spadino fa un passo di lato, per evitare che i loro fianchi si sfiorino. Non è mica stupido Spadino. 

L’altro si limita ad alzare la testa per osservare il movimento, le sopracciglia inarcate in un’espressione non particolarmente impressionata. 

“Guarda che ’n te mangio mica.” 

“Aurelià…” 

Spadino non sa esattamente se sia un ammonimento o una preghiera. 

Una stupida scintilla di speranza si accende nel suo petto - non è che Aureliano…? Sì, vabbé, che cosa? Ha cambiato idea e ha organizzato una cenetta romantica? Ma per favore! - ed è una speranza che non può permettersi. Cerca di non sentirsi troppo deluso quando Aureliano di fatti solleva le braccia in un gesto di resa e fa un passo indietro. 

“Vabbè, come vuoi.” 

Spadino potrebbe polemizzare che non è esattamente ‘come vuole’ - che se fosse ‘come vuole’ adesso avrebbe la lingua di Aureliano in gola, - ma è meglio lasciar perdere e concentrarsi sul piatto di pasta che deve preparare. Sopravvivere alla serata sarà un’impresa. 

“Dammi una padella,” dice ed è il suo turno di alzare gli occhi al cielo davanti al saltapasta. Una cucina così attrezzata e Aureliano non è nemmeno in grado di farsi un piatto che sta sul gradino appena sopra la pasta in bianco. 

Non è che Spadino sia questo gran cuoco, ben inteso, non quando cucinare è roba da donne, ma la base per non morire di fame se fosse da solo almeno quella ce l’ha. 

Così Spadino si mette a sbucciare l’aglio, poi lo butta nel saltapasta e lo ricopre d’olio. 

“Ma quanto je ne stai a mette’!” Aureliano cerca di fermarlo, ma Spadino gli allontana la mano con un gesto. 

“Te fatti i cazzi tuoi, serve. Fidati che serve.” 

L’olio sfrigola e l’aglio si imbrunisce intanto che Spadino taglia i peperoncini e Aureliano non si perde un gesto. 

“Col peperoncino bisogna pestarci sopra, se no ’n sa de ‘n cazzo, Aurelià,” gli dice, prima che possa protestare pure sulla quantità di peperoncini, ma questa volta Aureliano ha imparato la lezione e tace. 

L’acqua ci mette una vita a bollire e ancora di più a cuocere gli spaghetti, e forse sono ancora un po’ troppo al dente quando Spadino li scola, ma poco importa. Il ragazzo butta la pasta direttamente nella padella e comincia a mescolare. 

Non c’è niente di diverso da quello che aveva fatto Aureliano, assolutamente nessun trucco - sempre mettere prima l’aglio e l’olio, aggiungere i peperoncini quando ormai si è pronti per buttare la pasta - e certo, Spadino sicuramente non ha risparmiato sugli ingredienti, ma Aureliano non è convinto che con tutto quel peperoncino poi non gli vada a fuoco la bocca. 

Spadino versa la pasta in una ciotola e gliela porge con un “ta tan!” 

Aureliano la prende con aria incerta, poi recupera la forchetta da sul bancone - quella che aveva messo lì apposta perché Spadino potesse assaggiare in corso di cottura, ma lui non ne aveva avuto bisogno per sapere che la pasta era pronta - e dà una sforchettata direttamente dalla ciotola, strafogandosi con il primo boccone. 

Il sapore gli esplode in bocca, ricco ed equilibrato e semplicemente perfetto in ogni sua minima sfumatura, tanto che gli esce un mugolio leggermente imbarazzante in qualsiasi contesto che non sia una camera da letto, ma Aureliano non mangiava un piatto di pasta così buono da mesi. 

E finalmente lo capisce cos’era che continuava a sbagliare. 

La differenza sta nella quantità assurda di peperoncino che Spadino ci ha messo - assurda solo all’apparenza perché poi nella sua bocca è la quantità perfetta. Solo che Aureliano con il peperoncino andava cauto, ne metteva troppo poco perché non voleva rischiare. 

Ma se hai paura di bruciarti la lingua e tiri indietro, finisce che la vita non sa di niente. 

Ha detto la vita? Intendeva dire la pasta. La pasta - che questa non è mica una commedia rosa con le citazioni pseudo-colte da Baci perugina e il peperoncino non è una metafora di niente. 

“Beh, adesso hai la tua cena…” Spadino tenta di congedarsi, cercando le chiavi dell’auto nelle tasche dei pantaloni, le dita che si chiudono attorno all’anella del portachiavi quasi come ad un salvagente. 

“Spadì, ma ’ndo vai?” 

“A casa. Perché, vuoi che mi fermi?” 

“Hai cucinato la pasta, tanto vale che te ne mangi un po’ pure tu,” e come se niente fosse Aureliano gli ficca in mano la sua forchetta e va a cercarne un altra. 

Spadino sbatte le palpebre, osserva la posata come se dovesse mordergli le dita. La posata che è stata nella bocca di Aureliano e adesso Aureliano si aspetta che la usi lui, come se non ci fosse nulla di strano. 

‘Aurelià, che stamo a fa’?’ vorrebbe chiedergli, perché non è che lo può rifiutare, minacciare di ammazzarlo e poi… poi fare finta che non sia davvero successo niente e dargli la sua forchetta. Pretendere che tutto questo non abbia connotazioni… diverse

Beh, ma c’era stata la debacle del laghetto e tutta la storia del ‘ti metto il fango sulla schiena’, così densa di sottintesi e tensione che poi si erano rivelati essere tutti nella testa di Alberto. Magari pure questo è nella testa di Alberto. 

Così, quando Aureliano ritorna con una nuova forchetta, Spadino fa per ridargli la sua. Non deve essere per forza strano o significare qualcosa di più, si dice, semplicemente è poco igienico, è tutto Aureliano sposta lo sguardo dalla sua mano tesa al suo viso, i grandi occhi azzurri spiritati come non li vedeva da un po’, quasi che non riuscisse davvero fino in fondo a comprendere cosa voglia. 

Spadino fa per aprire la bocca, la giustificazione del “l’hai usata tu, non è molto igienico” sulla punta della lingua, quando Aureliano gli prende la forchetta di mano e la getta via insieme alla propria. Le posate colpiscono il bancone con un clangore metallico e poi rotolano sul pavimento, lanciate con troppa foga. 

“Ma che cazzo -?” Spadino sussulta, ma Aureliano non gli dà tempo di finire la frase. Gli si avvicina, talmente in fretta che Spadino non riesce nemmeno a fare un passo indietro, e gli posa una mano sulla guancia, i polpastrelli che fanno presa sulla sua nuca. 

Poi si china verso di lui e lo bacia. 

Spadino rimane paralizzato. Le labbra di Aureliano sulle sue sono una scossa elettrica, sono quello che ha sempre voluto, fin dall’inizio, prima ancora che si rendesse conto di volerlo. Prima che diventasse tutto molto più confuso. 

Adesso lo spinge via, “Oh, ma che cazzo stai a fa’!” 

Sono le stesse parole che gli ha detto Aureliano, senza nemmeno farlo apposta hanno invertito i ruoli e Aureliano vorrebbe ridere, come un folle e dirgli ‘ci metto il peperoncino, finalmente’ ma non avrebbe senso per Spadino, non quando a malapena ne ha per Aureliano stesso. 

“Pure tu m’hai cambiato la vita, Albè. Neanche la cazzo di pasta ha lo stesso sapore.” 

Spadino sente la scintilla di speranza riaccendersi di nuovo, ma non ha tempo di dire nient’altro perché Aureliano gli infila le mani tra i capelli e lo tira a sé, baciandolo di nuovo. 

Questa volta Spadino gli getta le braccia al collo e lo ricambia, socchiude le labbra e Aureliano non si tira indietro. La sua lingua è calda e sa di peperoncino e aglio e non è esattamente come nei film, ma si può accontentare, che questa è la vita vera. 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Suburra / Vai alla pagina dell'autore: DanzaNelFuoco