Crossover
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Autore: Registe    23/07/2021    4 recensioni
Quarta storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
La guerra tra l'Impero Galattico e la famiglia demoniaca si è conclusa, ma non senza un costo. Vi è una cicatrice profonda che attraversa mondi e persone, le cambia, rimane indelebile a marchiare i frammenti di tutti coloro che hanno la fortuna di essere ancora vivi. Qualcuno decide che è il momento giusto per partire, cercare di recuperare qualcuno che si è perso. Qualcuno decide di dimenticare tutto e lasciarsi il passato alle spalle.
Qualcun altro decide invece di raccogliere i frammenti di una vita intera e metterli di nuovo insieme, forse nella speranza che lo specchio rifletta qualcosa di diverso.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Film, Libri, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 15 - Ghiaccio sottile







Valygar Corthala








“Ti ho detto di non avvicinarti a mio zio, alchimista.”
Vexen allargò le braccia in segno di resa e sbuffò con ostentazione. Voltò le spalle al letto di Freki, su cui Lavok giaceva privo di sensi con una pila di cuscini sotto la testa, e si lasciò cadere seduto sulla brandina adiacente. Iniziava a sentirsi in trappola tra quelle mura strette e asfittiche. Freki doveva essere davvero una cliente affezionata della Discarica, perché la zia Layla aveva tenuto libera per loro la solita camera e non aveva fatto alcuna domanda quando li aveva visti rientrare trafelati nel cuore della notte, in quattro anziché in due e con un ferito ballonzolante sulle spalle.
La stanza era troppo piccola per ospitare quattro persone. Soprattutto quattro persone che da qualche minuto non facevano che guardarsi in cagnesco. L’aria, già pesante e odorosa di chiuso, sembrava sfrigolare di elettricità statica.
Lo scienziato poggiò i gomiti sulle cosce e congiunse le mani, tormentandosi le dita con evidente nervosismo. In ginocchio accanto capezzale dello zio, Valygar scoccava sguardi affilati come pugnali nella sua direzione.
“Forse non sai di cosa è capace questo tizio, Freki.” La pantorana, appoggiata alla parete con le braccia conserte, non reagì in alcun modo alle parole del ranger. “Non so che balle ti abbia raccontato, ma è una specie di medico del demonio. Ti mette le mani addosso con un bisturi e come niente ti trasformi nel suo schiavetto personale.”
Vexen non riuscì a trattenere una risatina sprezzante. “Sono lusingato che tu mi ritenga un genio. Ma nemmeno io sarei in grado di manipolare una persona operandole la gamba.” Si alzò in piedi e scoccò al ranger un sorriso a mezza bocca colmo di derisione. “Ma d’altronde, chi sono io per dirti che più tempo passa e più la tibia di tuo zio rischia di risaldarsi completamente storta? Comprendo in effetti che accudire un parente invalido a vita possa rappresentare una via sicura verso l’eredità… “
“Adesso basta!”
Valygar era scattato in piedi come una molla e gli sarebbe saltato al collo se Freki non si fosse interposta tra loro, appoggiando una mano sul petto di ciascuno.
“Smettetela, tutti e due. La situazione è già abbastanza tragica senza che iniziamo ad azzannarci alla gola a vicenda. Il signor Even qui presente al momento è mio socio.”
La donna puntò l’indice contro il petto di Valygar e si protese nella sua direzione fino a mettere il viso a poche spanne dal suo. Lo inchiodò con uno sguardo di sfida, la voce gelida come un inverno nucleare. “Qui nei bassifondi rimarreste secchi in due secondi senza di me. Vi ho già salvato la vita una volta. Perciò mettiamo subito in chiaro una cosa: il comando dell’operazione lo assumo io. Mantengo sempre gli accordi presi e sono ancora a disposta ad aiutarvi nella vostra missione, ma” premette il dito sul petto di Valygar e il ranger, suo malgrado, si ritrovò ad indietreggiare di un paio di passi. “Alle mie condizioni. Se non vi sta bene potete tornare sulla Terra II con la coda tra le gambe in questo stesso istante.”
Lo stridio dei denti digrignati di Valygar dovette sentirsi fin sui livelli superiori del pianeta. Il ranger tuttavia non spiccicò parola. Si limitò ad emettere un secco sbuffo di assenso e tornò ad inginocchiarsi accanto allo zio ferito.
Poi Freki si voltò verso di lui.
“Medico del demonio, eh?” La sfumatura tagliente era completamente scomparsa dalla sua voce. Al contrario, sembrava sul punto di scoppiare a ridere. “L’avevo detto che eri un tipo pieno di risorse.”
Il palmo di lei indugiò sul suo petto ancora per un istante. Gli regalò un altro dei suoi sorrisetti enigmatici, poi tornò a rivolgersi all’intero gruppo in tono pratico: “Non possiamo lasciare Lavok così. Valygar, posso capire le tue riserve. Ma se tu ed io gli restiamo con gli occhi incollati addosso per tutta la durata dell’operazione non dovrebbero esserci problemi, giusto?”
Sotto la fronte corrugata di Valygar, imperlata da un velo di sudore, doveva essere in corso una battaglia silenziosa ma agguerrita. I suoi occhi si muovevano da una parte all’altra come animaletti braccati, alla ricerca di una via d’uscita che non esisteva.
“Fallo, membro dell’Organizzazione. Per favore. Inutile perdere tempo a discutere.”
Non era stato il ranger a parlare. La voce, debole e roca, proveniva dal letto pieno di cuscini. Lavok aveva ripreso i sensi.
“Zio! Cerca di non sforzarti troppo!”
“Valygar… mi è davvero di conforto constatare che ti trasformi in un nipote affettuoso soltanto quando mi trovo sull’orlo della fossa… “
“Ma quale orlo della fossa, zio!” Difficile a dirsi con l’illuminazione fioca prodotta dalle due lampade a forma di testa di droide, ma il ranger sembrava arrossito tutto d’un tratto. “Sempre il solito melodrammatico. La tua gamba non ha nulla che non si possa sistemare.”
“Hai ragione, nipote di poca fede” il mago cercò di puntellarsi su un gomito per sollevare la testa e incontrare lo sguardo di Vexen dalla parte opposta della stanza. “E qui abbiamo qualcuno che può farlo immediatamente. Da uno studioso ad un altro, signor Vexen… o Even, come preferisce farsi chiamare… le sarei davvero grato se facesse in modo che la mia tibia tornasse a posto.”
Vexen annuì senza parlare. Finalmente un ribelle che non aveva voglia di piantargli un proiettile in testa alla prima occasione buona.
Tutta la sua attrezzatura medica si trovava nello zaino, perciò fu costretto a rivelare il nascondiglio alchemico che aveva escogitato. Tuttavia, doveva ammettere tra sé e sé, il sussulto di stupore di Valygar quando un pezzo di parete si sciolse rivelando il vano segreto fu una gran bella soddisfazione.
Aprì lo zaino con cautela, stando ben attento a non far trapelare nemmeno uno scintillio degli Oggetti Millenari che aveva trafugato all’Alleanza Ribelle. Facendo un rapido calcolo, i due Corthala non dovevano aver lasciato la Terra II troppo dopo di lui: la probabilità che non sapessero nulla del furto era alta. Vexen era determinato ad assicurarsi che la situazione non cambiasse.
Lavorò in silenzio e con rapidità, com’era sua abitudine. Lavok era collaborativo e seguiva le sue istruzioni senza fiatare, ma il Corthala più giovane si era alzato in piedi e aveva incrociato le braccia, fissandolo dall’alto come un avvoltoio del malaugurio. Freki invece si era seduta a terra, in un angolo, impegnata in un controllo di armi ed equipaggiamento.
“Immagino che non si aspettasse di abbandonare la Terra II per ritrovarsi in mezzo ai ribelli nei Bassifondi di Coruscant” chiese all’improvviso il mago. La sua domanda però non aveva il sapore di una provocazione. Sembrava genuinamente curioso. Forse voleva solo distogliere l’attenzione dal fastidio della gamba tirata e costretta tra due stecche rigide e pesanti.
Vexen tuttavia si chiedeva quale fosse il suo gioco: lo trattava con i guanti di velluto, gli dava addirittura del lei. Voleva semplicemente ingraziarsi la persona in grado di offrirgli delle cure? O lui e il nipote pensavano di giocare al poliziotto buono e quello cattivo?
Passò un ultimo giro di bendaggi e rispose con uno sbuffo: “Tutta questa formalità mi sembra fuori luogo.”
La risposta del mago fu decisamente inaspettata.
“Camus è sempre molto formale con lei. Quel ragazzo la ammira enormemente, lo sa?”
“Camus è condizionato, zio” giunse inevitabile il brontolio dell’avvoltoio.
Vexen ignorò la provocazione. Per la prima volta si era reso conto di non aver mai saputo se il suo stupido apprendista avesse subito qualche conseguenza per aver agevolato la sua fuga. In tutte le sue vagonate di messaggi il sacerdote non aveva mai accennato alla questione. Un classico di Camus: evitare di fare in modo che gli altri si preoccupassero per lui.
Forse il mago chiacchierone poteva offrirgli il modo di scoprire qualcosa.
Atteggiò le labbra in quella che sperava passasse per una smorfia di derisione: “E così avete fatto la conoscenza del giovane sacerdote idealista. Immagino che ora si trovi in un mare di guai.”
“Bastardo” sibilò il ranger. “Sappiamo benissimo che è soltanto una vittima. Nessuno all’Alleanza si sognerebbe di incolparlo per le tue bassezze.”
Vexen si lasciò andare a una risatina sommessa. Aveva la sua risposta.
“Camus è un ragazzo sveglio” proseguì Lavok, incurante dell’interruzione del nipote. Lo scintillio divertito nei suoi occhi scuri fece sospettare a Vexen che dietro le sue parole si nascondesse altro, ma forse era soltanto la sua immaginazione. O la stanchezza dopo l’ennesima giornata di fughe rocambolesche. “E un buon ricercatore. Mi ha dato un paio di ottime dritte riguardo le fonti energetiche per la mia Sfera Planare.”
Vexen sorrise e si rialzò in piedi, iniziando a riporre bende e antidolorifici nello zaino: “Nel qual caso, suppongo che dovresti ringraziare il sottoscritto. Qui abbiamo finito.”
“Bene” fece il ranger in tono sbrigativo. Guardò in direzione di Freki, ostentando di ignorare completamente l’esistenza di Vexen. “Adesso suppongo che dovremmo discutere le prossime mosse. Purtroppo io e mio zio facevamo parte della missione solo in qualità di scorta, perciò non siamo a conoscenza di tutte le specifiche. Dobbiamo metterci in contatto con la Terra II e ridefinire…  “
“Ogni cosa a suo tempo” Freki si alzò lentamente in piedi, stiracchiandosi come un gatto assonnato. “Prima dobbiamo mettere qualcosa nello stomaco. Qualcosa di più decente di qualche barretta protetica.” I suoi piedi scalzi sfregarono la vecchia moquette mentre sul suo viso si dipingeva un sorriso di evidente soddisfazione.
“Non so voi, ma io non mangio da quasi dieci ore.”
 
 

Vexen ne aveva abbastanza di essere trascinato in posti chiusi, puzzolenti e invasi di folle rumorose e musica di dubbio gusto, perciò rimase piacevolmente sorpreso quando varcò la soglia del Castello Elettrico al seguito di una Freki molto entusiasta.
Il piccolo locale era stipato tra due palazzoni abbandonati su una piattaforma del decimo livello. A contorno della facciata svettavano due torrette che potevano ricordare i castelli della Terra II, ma interamente costruite di metallo e percorse da file di led luminosi. All’interno li accolse una luce calda e soffusa, mentre una musica bassa faceva da sottofondo al chiacchiericcio dei pochi avventori sparsi tra la ventina di tavoli di forme e materiali diversi.
Freki lo guidò verso un tavolo rotondo in un angolo. Ad un suo cenno il droide cameriere accorse a prendere il loro ordine, fluttuando su un paio di propulsori che emettevano qualche scintilla di troppo.
La pantorana non aprì nemmeno il menu di carta plastificata ripiegato sopra i coperti.
“Prendiamo due Giardini delle Emozioni. E quando abbiamo finito preparacene altri due da portare via. Belli caldi.”
Valygar aveva rifiutato l’invito di Freki a cenare con loro, preferendo rimanere al fianco dello zio che si era riaddormentato. Vexen non poteva certo dirsi dispiaciuto della cosa.
“Subito, signora. Gradite qualcosa da bere?”
Freki si mordicchiò un labbro, pensierosa. “Direi una Regina Acida per entrambi.”
“In arrivo, signori.”
“Cosa ne pensi?” la donna indicò l’ambiente con un gesto ampio mentre il ronzio dei propulsori del droide si allontanava in direzione delle cucine. “Ho indovinato i tuoi gusti? Tutto l’interno è in stile Terra I: persino la musica viene da una vera radio d’epoca. Qui su Coruscant fa molto vintage.”
Vexen inarcò un sopracciglio. Ci voleva ben altro per impressionarlo.
“Suppongo tu non mi abbia portato qui soltanto per godere dell’atmosfera.”
“Non ti si può proprio nascondere nulla” lo prese in giro lei con una scrollata di spalle. Il droide intanto era tornato con i loro drink, che risultarono avere l’aspetto di un fluido multicolore vagamente fluorescente. Vexen tirò su un primo, cauto sorso dalla cannuccia: la Regina Acida gli pizzicò piacevolmente sulla lingua, invadendo le narici dei profumi di frutti esotici a cui non avrebbe saputo dare un nome. Non era affatto male. Ma non si trattava certo di una bevanda leggera: si chiese se Freki stesse cercando di sciogliergli la lingua con l’alcol per qualche suo oscuro fine oppure se avesse semplicemente voglia di una bevuta in compagnia dopo una missione difficile.
In ogni caso decise di bere con moderazione.
“In effetti ti ho portato qui per rinegoziare il nostro accordo” proseguì Freki, che invece aveva già quasi svuotato il calice per metà. Gli fece l’occhiolino.  “Così magari non ti farai più venire ripensamenti un nanosecondo prima di passare all’azione.”
“Ci terrei a precisare che…”
Lei lo interruppe con un gesto: “Ma prima di tutto vorrei offrirti qualche rassicurazione.” Si chinò in avanti e ridusse il tono di voce a un sussurro appena distinguibile sopra il brusio della sala. “Non so che trascorsi tu abbia con l’Alleanza e non mi interessa. Sono stata pagata per aiutare i ribelli in questa missione, ma non sono una di loro. Perciò non ho assolutamente nessun interesse a consegnarti nelle loro mani. Non fa parte dei nostri patti.”
Vexen poggiò i gomiti sul tavolo e si protese a sua volta verso di lei. Continuava a stropicciare tra le dita la cannuccia del suo Regina Acida. “Sono solo parole. Un po’ poco come rassicurazione. Soprattutto da parte di una Jedi.”
Gli occhi di Freki si ridussero a due fessure: “Meglio non nominare quella parola a sproposito. Né qui né in territorio imperiale.”
La stessa reazione che aveva mostrato dopo la fuga dall’arena, quando l’aveva affrontata a bruciapelo di fronte a Valygar e Lavok. Vexen ebbe la conferma di aver toccato un nervo scoperto e si annotò mentalmente l’informazione per poterla sfruttare in futuro. Prese un altro sorso del drink e attese che lei continuasse.
“Non commettere l’errore di pensare che tutti i Jedi siano automaticamente ribelli. L’Alleanza avrà anche rifondato l’Ordine in tempi recenti, ma il Tempio originario si trovava qui su Coruscant, una ventina di anni fa. Prima che l’Impero lo spazzasse via. Ma non tutti gli apprendisti sono stati uccisi o si sono arresi. Alcuni hanno semplicemente… cambiato lavoro.”
Freki dovette interrompersi quando il droide tornò portando un vassoio ballonzolante e stracolmo di quelli che sembravano due giganteschi hamburger troneggianti al centro di una corolla di verdure di tutti i colori dell’arcobaleno. Il profumo paradisiaco scavò un abisso nello stomaco di Vexen. Si avventò sul piatto senza tanti complimenti.
“Una lavoratrice indipendente, dunque” fece, tra un boccone e l’altro.
“Come te, suppongo.”
Freki sollevò il bicchiere ormai mezzo vuoto e lo tese nella sua direzione, invitandolo ad un brindisi.
“Sì. Potremmo dire di sì” rispose Vexen dopo un attimo. Sollevò a sua volta il drink.
I due calici si incontrarono a mezz’aria, tintinnando delicatamente.
“Ecco perché mi farebbe comodo il tuo aiuto. Onoro sempre i contratti e lo farò anche stavolta, ma… diciamo che gli accordi iniziali prevedevano di lavorare con un commando di sette persone. E ho l’impressione che i due Corthala non fossero i membri più preparati del gruppo.” Il bicchiere di Freki era tornato sul tavolo, ormai completamente vuoto. Probabilmente nel vetro era nascosto un qualche tipo di microsensore, perché il droide cameriere ricomparve dal nulla un attimo dopo per portarlo via. Vexen notò che indossava un cravattino attorno all'asta metallica che fungeva da raccordo tra la testa oblunga e il corpo principale.
“Ma tu mi accennavi a una persona da cercare. Ti ascolto.”
Vexen dedicò qualche attimo a radunare con la forchetta le foglie di verdura rossa lungo un lato del piatto. Avevano un sapore aspro, gli lasciavano un retrogusto spiacevole nella bocca. Si schiarì un paio di volte la gola.
“È un ragazzo umano. Circa vent’anni. Si chiama Zexion, anche se all’Impero è noto con l’alias di Ienzo Whiteflame. Sulla carta è un impiegato del Clan Bancario, anche se… temo faccia parte dei Servizi Segreti.”
Nella sua smania di non lasciare le mani inoperose sfiorò la superficie del suo bicchiere ancora mezzo pieno, e i cubetti di ghiaccio in procinto di sciogliersi ritornarono solidi in un istante.
“Servizi Segreti… un bel rancor da pelare.”
La musica adesso quasi copriva le parole di Freki. Non era un sottofondo sgradevole. Suoni di natura sintetica si mescolavano a strumenti più tradizionali in un’armonia onirica che avvolgeva lui e Freki come una coperta morbida, piena di colori. Vexen sentiva la stanchezza farsi strada fin nel midollo delle ossa. Da quanti giorni non riusciva a ritagliarsi una notte di sonno decente?
“Deve essere piuttosto importante se sei disposto a sfidare gente di quel calibro.”
“Mi basterebbe trovare il modo per comunicare con lui. So che non si trova su Coruscant al momento, ma se avessi anche solo il contatto del suo olopad… “
“Un giovane amante? O un figlio?” Freki aveva di nuovo quello sguardo insopportabile di chi ti soppesa grammo per grammo, la testa reclinata su un lato e i capelli viola che le celavano parte del volto come una cortina.
“Se ho capito qualcosa di te, propenderei per la seconda.”
“Informazione irrilevante ai fini della ricerca, direi.”
“Forse” ridacchiò lei, ma ebbe la decenza di non pressare oltre. Si lasciò andare contro lo schienale, incrociando le braccia e allungando le gambe sotto al tavolo. “Non dico che non si possa fare”, riprese, di nuovo seria. “Ma potrebbe volerci un po’. Non è tanto l’accedere ai database dei Servizi Segreti, quanto il farlo senza essere rintracciati.”
Vexen spinse di lato il piatto ormai semivuoto. “In soldoni: lo farai o no?”
“Te l’ho detto” Freki si concesse un sorrisetto compiaciuto. “Onoro sempre i miei contratti.”







Cercò di torcere il polso, poi anche la spalla. Fece forza sul proprio corpo, puntando i piedi contro la superficie a cui era stata bloccata, ma l’unico risultato fu un dolore atroce alla base della schiena.
Chiunque l’avesse inchiodata in quel modo sapeva che i clawditi avevano bisogno di libertà di movimento per trasformarsi.
L’aria era densa di tibanna.
“Mi aspettavo qualcosa di meglio da una cambiapelle”.
Il gas non raffinato la attaccò agli occhi non appena cercò di riaprirli. Prese a lacrimare, e solo dopo una manciata di secondi riuscì a sollevare le palpebre abbastanza da identificare la macchia scura davanti a lei. La voce era maschile ma alta, ben diversa dal tono caldo e gentile di Jango.
I denti le scattarono non appena riuscì a mettere a fuoco la figura.
Lo Jedi che l’aveva catturata era in piedi a poche braccia da lei, con i capelli in disordine e la tunica che fluttuava lentamente davanti alle volute di gas; aveva le braccia incrociate davanti al petto, e i suoi occhi trovarono subito l’immancabile spada laser che pendeva al suo fianco. Sentire lo sguardo del nemico su di sé le diede abbastanza energia e rabbia da schiarirsi del tutto nonostante il torpore. “Felice di deluderti, Jedi”.
Sotto di lei vide sprizzare delle scintille. “Cosa vuoi da me?”
Aveva visto degli impianti per il trasporto spaziale del tibanna solo una volta, sul pianeta Taloraan. Non l’avevano impressionata più di tanto, ma quando si accorse della sua scomoda posizione e del supporto a cui era stata bloccata i ricordi tornarono immediatamente a galla.
Sotto di lei una pozza circolare del diametro di almeno cinque braccia sembrava aspettarla: il gas che ne fuoriusciva sembrava di colore più rosso andando in profondità, e pur con lo sguardo offuscato la clawdita si accorse del sinistro scintillio argentato del lago di carbonite sottostante. Il fluido denso si nascondeva alla sua vista, ma Zam sapeva quanto quei pozzi di conservazione del tibanna potessero essere profondi e per quali usi meno “legali” la carbonite fosse conosciuta.
La piattaforma su cui era bloccata mani e piedi volteggiava al di sopra del lago di tibanna e carbonite grazie ad un supporto magnetico, e solo gli strettissimi bracciali di acciaio rinforzato impedivano al suo corpo di precipitare.
Ma non era l’idea di un bagno nella carbonite a farle tremare la voce.
Lo Jedi la osservava, ma qualcosa nei suoi occhi sembrava assente, come se qualche strano pensiero gli stesse attraversando la testa. “Non farmelo ripetere un’altra volta, schifoso umano … COSA VUOI DA ME?”
Non appena alzò la voce l’altro sembrò riprendersi. Fece qualche passo verso il bordo della vasca, chiaramente incurante dei danni che il gas energetico avrebbe potuto apportare ai suoi striminziti polmoni umani. “Nulla”.
Zam si accorse di star trattenendo il fiato.
“Sì, in realtà non c’è nulla che io voglia da te. Non che tu abbia qualcosa da darmi, dopotutto” fece, allontanando un ciuffo di capelli dalla faccia. A quella distanza la cacciatrice di taglie si accorse della leggera cicatrice che gli tagliava il sopracciglio destro dall’alto verso il basso, una sottile linea scura che non aveva notato nel loro scontro tra i grattacieli di Coruscant. Maledisse la secchezza causata dal tibanna che le impediva di sputargli in un occhio.
“Sono venuto soltanto per comunicarti che il vostro tentativo di assassinare la senatrice Amidala si è concluso con la vostra sconfitta. Ho guidato personalmente l’esercito della Repubblica sul pianeta di Geonosis, ed abbiamo schiacciato la vostra feccia separatista”
“Che carino, adesso vuoi pure l’applauso? Credo però di avere qualche problema con le mani, sai com’è …”
Le parole le uscirono di bocca a stento, con molta meno energia di quanto avrebbe sperato. La testa le sembrava frammentata in mille pezzi, e ad ogni battito del proprio cuore anche la mente riusciva a riprendere a volare col proprio ritmo.
Sì, in fondo aveva sempre saputo che i misteriosi committenti di Jango fossero i Separatisti, e l’ultima missione che avevano affidato loro era stata una prova schiacciante. Ripensò alla senatrice ancora nella propria stanza, ed al goffo tentativo che aveva eseguito per privarle la vita al posto del suo compagno. Ovunque Jango e Boba fossero, non erano lì.
La sola idea le creò una scarica di adrenalina per tutto il corpo.
Tentò ancora di liberare il polso sinistro, carica di tutta la rabbia che aveva in corpo, ma l’altro alzò il palmo e di colpo si ritrovò la propria mano ancora adesa alla piattaforma come se un peso invisibile la stesse schiacciando contro il marmo. Lo Jedi sembrava impassibile, eppure a Zam sembrò di scorgere uno strano sorriso predatore lungo quelle labbra sottili e scure. Da quel poco che conosceva sul loro Ordine, gli Jedi venivano addestrati a sopprimere o mitigare i loro sentimenti per non usare i loro poteri in maniera sconsiderata, ma il giovane davanti a lei non smetteva di trasmetterle sensazioni contrastanti, come un rancor a cui avessero di colpo insegnato a non ringhiare.
“È un vero peccato che il Consiglio Jedi sia così a favore della vita, cambiapelle. Fosse dipeso da me la feccia della tua risma si troverebbe la testa staccata dal busto”.
“Da oggi il Consiglio Jedi mi sarà più simpatico…”
Sbuffò, sentendo la presa telepatica dell’altro allentarsi “… un pochino”
“Questo non vuol dire che verrai rilasciata. Hai ancora molte domande a cui rispondere”
“A giudicare dalla mia attuale posizione non lo avrei mai detto, Jedi” fece, sforzandosi di non rivolgere sguardi preoccupati al flusso di carbonite sottostante. L’odore denso del tibanna le bruciava leggermente nelle narici, ed avrebbe giurato di sentirselo fin nel cervello. “Anche se avrei preferito risvegliarmi a bordo di una nave con un biglietto di sola andata verso qualsiasi pianeta della Galassia lontano da te”.
“Il biglietto dovrà aspettare un po’. Anche se non sono sicuro della rotta che vorrai prendere”.
Si avvicinò ancora di più, quasi sul bordo della vasca, e la sensazione di freddo e disagio che l’umano emanava divennero ancora più pungenti, quasi come spilli affondati con forza. “Quell’altro cacciatore, il Mandaloriano …”
Non finì la frase.
Zam attese, sentendo il sangue alle braccia venirle meno di colpo.
L’aria della decompressione scivolò tra di loro, riempiendo il silenzio con un sibilo. “Cosa c’entra lui?”
Le rispose una veloce scrollata di spalle. “Immagino che tu conosca il congelamento da carbonite. Più sicuro che tenere una come te in una cella, poco ma sicuro. Tra qualche giorno verranno altri Jedi ad interrogarti su questo caso, spero che per allora sarai più collaborativa” disse, avvicinandosi ad una pulsantiera sopraelevata e digitando dei comandi con una lentezza così deliberata da farle accelerare il cuore. “Dovresti essere grata del trattamento che ti stiamo riservando. Al tuo compagno non è andata altrettanto bene”
“COSA GLI HAI FATTO?”
Al tocco dello Jedi un unico sibilo attraversò la piattaforma e le cinghie che la sorreggevano si strinsero ancora di più, ma Zam cercò di contorcersi, di gridare, di strapparsi di dosso tutto ciò che la inchiodava.
L’immagine di Jango il giorno in cui aveva rimosso l’elmo sotto il temporale di Kamino prese a sfrigolarle davanti agli occhi.
La piattaforma mandò un rumore metallico, una cacofonia di pompe e connettori arrugginiti che prendevano vita solo per avvicinarla al lago di carbonite, e la figura dello Jedi prese ad allontanarsi.
“Attentare alla vita della donna più pura della Galassia è un crimine indicibile. Ho avuto cura di eseguire la mia sentenza personale”.
In mezzo al tibanna, tra le volute di un’arancione più denso di qualsiasi sole, Jango cercò di convincerla a non avere paura, a gustarsi quella cena con quel piatto strano della Terra I dalle posate insopportabili.
“Far rotolare la sua testa sulla sabbia di Geonosis ha migliorato di molto il mio umore. Di quello gliene rendo atto”.
Al contatto della carbonite il suo corpo fu scosso da un brivido indescrivibile, un dolore di ghiaccio che le partì dalla punta dei piedi e le strinse tutti i muscoli come in una morsa; si propagò lungo la sua schiena, aderente come un vestito troppo stretto, scivolandole attraverso ogni nervo del suo corpo per schiacciarglieli nel successivo torpore. Il congelamento istantaneo le prese la bocca, la gola ed i polmoni, ma anche quando le sommerse la punta dei capelli Zam nemmeno se ne accorse.
La sua testa andò alla collana sacra di beskal, e alle mani dell’uomo che aveva amato che gliela chiudevano gentilmente lungo la pelle.
  
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