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Autore: DanzaNelFuoco    24/07/2021    1 recensioni
COW-T #11
Aizawa Shouta/Yamada Hizashi
(past Aizawa Shouta/Yamada Hizashi/Oboro Shirakumo)
Angst
- - - Quindi è questo il gioco. Aizawa mette in tavola il senso di colpa, i ‘se’ e i ‘ma’, i ‘forse' e i ‘se avessimo’ e a Yamada spetta il ruolo di avvocato del diavolo, quello che alla fine non conta niente, perché, anche se le cose sono andate nell’unico modo in cui potevano andare - o non ci sarebbero andate affatto -, la teoria degli universi alternativi dove l’impossibile è stato fatto con il migliore dei risultati è sempre più affascinante.
“Avremmo dovuto…”
“No,” Hizashi lo interrompe. Hanno già messo in piedi questa recita innumerevoli volte - in innumerevoli circostante diverse, molto più spesso a ruoli invertiti, perché Aizawa è sempre stato quello pragmatico - ma Hizashi è troppo stanco per farlo di nuovo. “Non stasera.”
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Present Mic, Shōta Aizawa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
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COW-T 11 (week2, missione 2)
Spoiler capitoli 254-255 (e non ho letto Vigilantes) 


 

- Clouding the sky - 

 

Hizashi lo accompagna a casa, lo fa sedere sul divano e poi mette persino a bollire l’acqua per il tè. 

Shouta dovrebbe dire qualcosa - qualsiasi cosa - ma le parole faticano ad emergere nella nebbia che è diventato il suo cervello.

“Vuoi che mi fermi stanotte?” 

Aizawa smette di guardare il vuoto davanti a sé per osservare l’amico. 

È calmo, -  come fa ad essere così dannatamente calmo, quando la loro intera vita è stata capovolta? 

Oboro Shirakumo è vivo. 

Forse. 

Hanno detto loro che non è altro che un involucro vuoto all’interno del quale All for One ha riversato quirk fino a far scomparire per sempre il loro amico. 

Ma forse Oboro è ancora lì, le sue memorie sepolte, ma ancora presenti, nonostante tutti i medici che hanno scossato il capo, incassando la testa tra spalle in un gesto sconfitto, perché Oboro - Kurogiri, dannazione, Kurogiri ha parlato, ha detto loro dell’ospedale. 

Shouta sente gli occhi bruciargli, e, dannazione, lui dovrebbe essere abituato con il quirk che si ritrova, ma non riesce comunque a trattenere le lacrime. 

“D’accordo,” Hizashi annuisce, come se Shouta gli avesse risposto, porgendogli la tazza calda. Shouta non sapeva nemmeno che gli fosse rimasto del tè dall’ultima volta. 

“Ti chiederei se ne vuoi parlare, ma non saprei nemmeno io cosa dire,” Hizashi siede accanto a lui con un’altra tazza davanti. 

Rimangono in silenzio, ad osservare il sottile filo di fumo che si solleva dalle tazze e si aggroviglia su sé stesso. 

“Non lo abbiamo neanche cercato.” 

“Pensavamo fosse morto.” 

Quindi è questo il gioco. Aizawa mette in tavola il senso di colpa, i ‘se’ e i ‘ma’, i ‘forse' e i ‘se avessimo’ e a Yamada spetta il ruolo di avvocato del diavolo, quello che alla fine non conta niente, perché, anche se le cose sono andate nell’unico modo in cui potevano andare - o non ci sarebbero andate affatto -, la teoria degli universi alternativi dove l’impossibile è stato fatto con il migliore dei risultati è sempre più affascinante. 

“Avremmo dovuto…” salvarlo, arrivare prima, quando ancora era più Oboro che Kurogiri, quando ancora potevamo fare qualcosa…

“No,” Hizashi lo interrompe. Hanno già messo in piedi questa recita innumerevoli volte - in innumerevoli circostante diverse, molto più spesso a ruoli invertiti, perché Aizawa è sempre stato quello pragmatico - ma Hizashi è troppo stanco per farlo di nuovo. “Non stasera.” 

Aizawa si volta a guardarlo, la sua espressione è sorpresa, tradita in parte. Perché Hizashi è sempre stato lì per lui e lui è sempre stato lì per Hizashi quando le cose diventano un po’ troppo. E adesso Hizashi si rifiuta.

Il problema è che l’unica risposta che Hizashi vuole dare - può dare - in questo momento è “sì, avremmo dovuto” e quel genere di gioco non è sostenibile. 

“Come fai ad essere così calmo?” 

“Non sono calmo.” 

Shouta inarca le sopracciglia, quasi sfidandolo. 

“Pensavo fosse una ferita chiusa. Sono passati quindici anni, Shouta, non… non posso pensarci. Non stasera.” Hizashi china il capo, i suoi lunghi capelli biondi che scendono a formare una cortina tra lui e il mondo. 

Shouta posa la sua mano sulla sua, stringe lievemente. “Neanche io voglio pensarci.” 

Hizashi solleva lo sguardo, è una frazione di secondo, ci sono gli occhi rossi di Shouta, e la loro muta preghiera, non farmi pensare, e il cuore di Hizashi che batte con una minuscola crepa al centro e nessuno dei due saprebbe dire chi si sia mosso prima, solo che le loro labbra si uniscono e si ritrovano ognuno con le mani tra i capelli dell’altro a strattonare via giacche e vestiti con foga, come se prendersi un istante per respirare potesse farli precipitare nella nebbia dell’ 'avremmo dovuto’ - e forse è proprio così.

Sono passati quindici anni dall’ultima volta e ad Hizashi sembra di essere tornato indietro nel tempo, tanto che può quasi credere che, allungando la mano dietro a Shouta, le sue dita si possano stringere attorno al braccio di Oboro. 

Avevano riso tutti e tre quell’ultima volta, chiusi in camera di Shouta mentre i suoi genitori erano al lavoro, riso fino alle lacrime con occhi luccicanti e sorrisi stampati sul volto perché ogni volta sembrava la prima, perché quasi non ci si credeva di poter essere tanto felici, che una cosa del genere, così teoricamente precaria, potesse funzionare davvero.  

E poi, due giorni dopo, Oboro era andato a farsi ammazzare.

Hizashi davvero non vuole pensarci, eppure non è in grado di fare altro. 

Shouta ansima contro la sua bocca e lui sente le sue costole premere sotto le dita e oh, Dio, gli è mancato. 

Sono passati quindici anni dall’ultima volta - Hizashi non ha fatto altro che pensarci in tutte quelle notti insonni sul divano, spalla contro spalla, illuminati dallo schermo azzurrognolo del televisore, a quanto sarebbe stato facile colmare quella distanza tra di loro, quel vuoto che Oboro si era lasciato dietro. 

Facile un cazzo, Hizashi pensa, perché nella vita gli hanno detto come funziona il mondo abbastanza volte perché lui si sia reso conto che il mondo non funziona affatto. 

La teoria è carta straccia. 

E sì, forse si sarebbero davvero spezzati il cuore vicendevolmente con gelosie e fraintendimenti e ripicche, forse col tempo il fragile equilibrio che avevano trovato si sarebbe sbilanciato e qualcuno, cadendo, si sarebbe fatto male, ma nessuno di loro tre avrebbe permesso che fosse una profezia autoavverante, solo perché teoricamente è così che sarebbe dovuta andare. 

E così quello spazio tanto facile da colmare era rimasto vuoto, dilatandosi tra loro come una galassia, e loro per quindici anni sono rimasti fedeli ad un fantasma, ad un’ombra. 

“Se ti dicessi che non ho smesso di pensare a lui nemmeno per un istante…” Shouta si gira verso di lui, il lenzuolo che gli scivola giù dalle spalle per il movimento. 

Hizashi volta la testa quel tanto che basta per guardarlo negli occhi. “Te ne vorrei fare una colpa, ma sarebbe ipocrita da parte mia.” 

“Anche a te sembra di averlo tradito?” 

“No,” Hizashi chiude gli occhi e aspetta una stilettata di dolore che non arriva, “No, a me sembra di averlo seppellito.”

E non c’è davvero nient’altro da dire, se non restare ad ascoltare il calmo battere dei loro cuori nel il silenzio della stanza.

  
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