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Autore: Adeia Di Elferas    24/07/2021    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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“Oggi andrai da quel tuo amico, a Firenze...” disse Caterina, guardando dalla finestra Troilo De Rossi e l'altro francese che sistemavano i cavalli per partire: “Voglio che gli parli bene della questione del Gonzaga. E poi voglio che mi organizzi una visita a mio figlio Giovannino.”

Fortunati, che era colui a cui erano rivolti quegli ordini, sollevò un sopracciglio e, accavallando le gambe, provò a opporre le stesse obiezioni che aveva già elencato il giorno prima: “Preferirei restare ancora un po' qui, dobbiamo ancora controllare bene lo stato della villa e...”

“Sono passati due giorni dal terremoto.” si impuntò la Tigre, voltando le spalle alla finestra e mettendo a fissare il piovano: “Non ci sono state altre scosse e questa casa non ha avuto nessun danno. Non è crollato nemmeno il nuovo tetto della stalla. Quindi non abbiamo bisogno che tu stia qui.”

Francesco inghiottì il boccone con una smorfia, e, allargando un pochino le braccia, soffiò: “Farò come credi, allora...”

“E sappi che voglio anche poter andare nei boschi.” precisò lei.

“Per quello potrebbero esserci più problemi.” mise le mani avanti Fortunati: “E anche per la questione di Baccino...”

La Leonessa si morse il labbro. Francesco gli aveva già detto che le trattative per far liberare Baccino erano a rilento, ma che potevano dare buoni frutti. Raffaele Sansoni Riario si era impegnato anche a trovargli un lavoro presso un prelato di Roma, non appena fosse uscito di cella, tuttavia era fondamentale non far capire al papa quanto lei tenesse al cremonese, per evitare che, per pura ripicca, finisse per tenerlo in gabbia o, peggio, ucciderlo. Così si doveva procedere a passi lenti e ben distesi.

“Fai quello che puoi.” tagliò corto la donna.

“Senti, io credo davvero che sarebbe meglio se restassi ancora qualche giorno per...” riprese il piovano, ostinato come di rado sapeva essere.

“Ti ho detto di no!” sbottò a quel punto la Sforza, perdendo la pazienza: “Devi partire oggi, domani al massimo! Ho delle cose da fare e non ti voglio tra i piedi!”

Colpito da quell'affermazione, che per lui era allo stesso tempo offensiva e preoccupante, l'uomo si alzò dalla poltrona e disse, rigido: “Dovresti scendere anche tu a salutare i due che se ne stanno andando. Hai bisogno come non mai che mettano una buona parola per te.”

Caterina, resasi conto di essere stata troppo brusca, sospirò e sollevò una mano, ma il fiorentino non le diede il tempo di scusarsi a voce alta.

“Faresti meglio a fare come ti consiglio, una volta tanto.” concluse e, senza aspettarla, lasciò la stanza.

La Leonessa, malgrado tutto, sapeva che il piovano aveva ragione, tuttavia davvero lo voleva lontano, per qualche giorno. La cosa che le premeva di più, oltre a saperlo intento a tessere le fila per portare avanti il maneggio con il Gonzaga, era parlare faccia a faccia con Bianca, e sapeva che con lui in giro per la villa sarebbe stato più difficile, per lei. Di certo, riteneva, si sarebbe alterata, quale che fosse stato l'esito del dialogo con la figlia, e lui se ne sarebbe accorto, finendo per porle delle domande a cui lei non aveva la minima intenzione di rispondere.

Rimuginando su come e quando avvicinare Bianca, la donna scese comunque al piano di sotto e uscì all'aperto, per salutare in modo ufficiale Troilo De Rossi e l'altro che l'accompagnava.

Aspettò con pazienza, sotto al cielo grigio di quel sabato, che i due uomini fossero pronti e poi, quando tutti i presenti si aspettavano da lei un gesto simbolico di commiato, la donna fece un mezzo inchino al francese, per poi avvicinarsi all'emiliano, che ancora non era montato in sella.

Era più alto di lei, dal fisico abbastanza imponente. Come le era già capitato di fare, notò in lui i bei lineamenti e lo trovò un uomo di bell'aspetto. Tutte queste considerazioni andavano solo a rendere più concreti i suoi dubbi riguardo ciò che probabilmente era successo tra lui e Bianca. Dopo tutto, quando ancora vivevano a Forlì aveva avuto modo di trovare la figlia in compagnia di qualche giovane soldato, anche se l'aveva vista sempre in atteggiamenti inequivocabili, ma non irreparabili, a dimostrazione, comunque, di come la ragazza sapesse cedere davanti a un bel viso e a una buona quantità di muscoli.

“Siete un cacciatore?” chiese al De Rossi, a freddo, cogliendolo di sorpresa.

Troilo si schiarì la voce, credendo di aver capito male, ma quando la Tigre ripeté la domanda, si trovò costretto a rispondere, anche se in modo abbastanza impersonale: “So cacciare, mia signora.”

“E allora – gli disse lei, afferrandolo con uno scatto felino per il braccio, facendolo quasi sobbalzare – saprete bene quanto si soffre, nello stare lontano dai boschi...”

L'uomo la fissava, senza capire dove volesse andare a parare. Tutt'intorno nessuno parlava. Ciò che Caterina aveva detto era stato appena sussurrato, quindi, a parte l'emiliano, nessuno aveva idea di quale fosse l'argomento del discorso.

“Vivo in una villa circondata dai boschi.” fece lei, lasciando la presa, ma continuando a puntargli occhi verdi nei suoi color miele: “E mi costringono a stare tra quattro mura.”

“Metterò una buona parola, affinché vi permettano di andare a caccia.” fece allora lui: “O almeno, di andare nei boschi.”

“Grazie.” deglutì lei, tornando a farsi incerta, mentre si accorgeva che lo sguardo di Troilo correva veloce oltre le sue spalla, laddove, più o meno, doveva esserci Bianca.

“Farò quello che posso, ve lo giuro.” soggiunse lui: “Servo vostro.” concluse e, dopo un profondo inchino, si decise a salire in groppa al cavallo.

Dopo quel siparietto, Caterina fu certa di averci visto molto più chiaro di quanto credesse, e, voltando le spalle all'uomo, tornando verso la villa, non poté far a meno di vedere come Bianca stesse fissando in modo strano il De Rossi.

Messasi tra il figlio Galeazzo e Fortunati, che faceva ancora il sostenuto, ma che era felice di vedere come la donna, alla fine, avesse seguito il suo consiglio, la Tigre attese che Troilo e il suo compare si congedassero con un ampio gesto della mano e si allontanassero.

Con un sospiro, la Leonessa ricordò, borbottando, al piovano che le aveva promesso di partire quanto prima per incontrare il Salviati, e poi, mentre ancora la Riario era intenta a guardare verso il punto in cui l'emiliano era sparito, le passò accanto e le sussurrò: “Uno di questi giorni devo parlarti di una cosa importante. Fammi sapere tu quando.”

Dopo un solo attimo di esitazione, durante il quale era stata tentata di rispondere con un 'anche adesso va bene', Bianca deglutì, iniziando a immaginare quale potesse essere l'argomento importante di cui sua madre voleva parlare. Rigidamente, annuì e poi si scusò e si avvicinò a Bernardino, facendo finta di volerlo riprendere per qualche futile motivo.

 

“Sì – disse Jacopo, prendendo un pezzo di pane dal centro del tavolo – probabilmente si andrà verso quella direzione...”

“Interessante, interessante...” disse piano Fortunati, non provando, in realtà, alcun trasporto per l'argomento che lui stesso aveva sollevato, ossia la ricerca di una riforma per il conio di nuove monete in Firenze.

La tavola era preparata in modo semplice, perché i Salviati non si erano aspettati di avere un ospite a pranzo, tuttavia, quando il piovano si era presentato quel lunedì, intorno al mezzogiorno, alla loro porta, Lucrezia gli aveva subito chiesto di restare con loro e così lui aveva fatto, convinto che davanti a un buon piatto di minestra sarebbe stato più facile introdurre le richieste di Caterina.

E invece, dopo qualche frase di prammatica sul terremoto occorso qualche giorno addietro, si era infilato in quello spinoso discorso che riguardava l'interesse dei Priori di obbligare tutti, Cambi e Monti compresi, a usare solo ed esclusivamente fiorini larghi d'oro, di buona qualità e dello stesso peso usato dalla Zecca del Comune di Firenze, o, al massimo, le lire a quattrini, bianchi o neri, fiorentine.

“Ovviamente in molti sono contrari...” fece notare il padrone di casa, dopo aver deglutito, completamente preso da quella discussione a lui molto familiare: “Ormai chiunque batte monete, e di qualità sempre diversa e al ribasso... Se non poniamo un freno a...”

“Jacopo, non credo che questi dettagli interessino troppo al nostro ospite...” lo interruppe Lucrezia, il calice di vino in mano e gli occhi svegli che scrutavano il bel volto di Francesco: “Sono convinta che il nostro caro piovano sia qui per un motivo ben preciso, ma che sia solo troppo timido, o troppo gentile, per parlarcene subito...”

Fortunati si schiarì la voce, sistemandosi meglio sulla sedia e poi, con un sorriso un po' imbarazzato, ammise: “Sì... Sì, sono qui per parlarvi di una cosa, ma... Insomma... Si tratta di una cosa... Particolare.”

La Medici apparve intrigata da un simile incipit, ma non disse nulla. Conosceva il piovano da anni, ma non poteva dire di conoscerlo bene. Jacopo, sia per le amicizie comuni che per le più frequenti occasioni di incontro, era più in confidenza con il religioso. E così la moglie lanciò uno sguardo al marito, come a chiedergli silenziosamente se Fortunati fosse qualcuno da cui potesse arrivare una richiesta d'aiuto pericolosa.

In realtà nemmeno il Salviati sapeva come prendere quella dichiarazione da parte del piovano, tanto che, un po' a disagio, cominciò a dire: “Spero non si tratti di una questione grave... Noi non...”

Mentre diceva così, dalla stanza accanto arrivò un certo trambusto e poi, al seguito di una delle bambinaie, arrivarono nella sala da pranzo un corrucciato Giovanni e un riottoso Lorenzo.

“Si può sapere che succede ancora?” chiese Lucrezia, puntando gli occhi prima sul figlio di undici anni e poi su quello di nove.”

“Giovanni non vuole che stia con lui!” si lamentò il più piccolo, lanciando un'occhiataccia al maggiore che, in tutta risposta, sollevò il mento e gli fece una smorfia.

“Perdonatemi, Madonna Lucrezia – fece la bambinaia, furente – non volevo disturbare, ma non so come fare per...”

“Io non ti voglio sempre addosso!” mise in chiaro Giovanni, dedicando un'altra boccaccia a Lorenzo.

Questi, sull'orlo delle lacrime per il nervosismo, si appellò alla Medici: “Madre..!”

“Devi lasciare a tuo fratello i suoi spazi – intervenne allora lei, senza alzarsi da tavola – e tu, Giovanni, cerca di moderarti. Tuo fratello ti sta sempre appresso perché per lui sei un esempio.”

Entrambi tacquero, abbassando lo sguardo. Come sempre, era bastata qualche frase di Lucrezia per placare, almeno in parte, la rissa.

La bambinaia si scusò di nuovo e poi tutti e tre uscirono, lasciando soli i Salviati e Fortunati.

“Negli ultimi tempi i nostri figli tendono a litigare più del solito...” soffiò Jacopo, un po' abbattuto.

“Sono momenti che capitano.” tagliò corto la moglie: “Torniamo a quello che stavamo dicendo prima.”

“È un autentico piacere vedere come sapete gestire una famiglia, Madonna.” si infilò Francesco, pensando che un minimo di captatio benevolentiae fosse necessario: “Ed è anche per questo che io so che saprete gestire anche quello che sto per chiedervi.”

“Si tratta di qualcosa che riguarda voi direttamente o..?” sondò il terreno la Medici.

Il piovano, anche se controvoglia, si rese conto di non poter tenere nascosto il vero mandante di quella ambasceria e così, un po' a mezza bocca, ammise: “Mi manda Madonna Sforza.”

“Spostiamoci nel salottino.” propose all'istante Lucrezia, alzandosi subito, incurante del fatto che nessuno, nemmeno lei, avesse finito di pranzare.

Fortunati non se lo fece ripetere e si accodò ai due padroni di casa. Lungo il breve tragitto, la Medici ebbe anche modo di dire a uno dei servi che nessuno li disturbasse fino a nuovo ordine.

Come ad andare a comporre un quadro accuratamente studiato, Lucrezia si sistemò sulla poltrona più vicina al camino e Jacopo, con calma, prese posto in quella immediatamente accanto, prendendo poi nella sua mano quella della moglie, distesa sul bracciolo imbottito.

Francesco, un po' più rigido di loro, si sedette sul divanetto dirimpettaio e, ben lungi dal sentirsi rilassato, cercò di assumere la sua consueta posizione di comodo, con le gambe snelle accavallate e la testa leggermente inclinata di lato.

Incitato dalla Medici, alla fine il piovano si convinse a parlare. Spiegò loro, con le dovute attenzioni, quello che Caterina Sforza sperava di poter fare, sfruttando l'influenza che Jacopo, oggettivamente, aveva presso la Signoria. Parlò loro di come spingere per la nomina di Francesco Gonzaga come nuovo Capitano Generale dell'esercito fiorentino fosse una cosa ottima non solo per il particulare della Tigre, ma anche per il bene della Repubblica. Fece notare, inoltre, come staccarsi in modo il più possibile indolore dalla supremazia francese, scegliendo un uomo come il Marchese di Mantova, abbastanza caro anche all'Impero, sarebbe stato per i Salviati, un giorno, motivo di vanto, se non addirittura un qualcosa da usare per non essere accusati di tradimento, dato che giorno dopo giorno i francesi piacevano sempre meno ai fiorentini e già si vociferava di muovere determinate accuse contro Lorenzo il Popolano, che era da sempre un grande sostenitore di re Luigi XII.

Quando si rese conto di non aver altro da dire, Fortunati tacque e si mise a guardare alternativamente i due Salviati.

Jacopo aggrottò la fronte e poi lanciò un rapido sguardo alla moglie, che, in tutta risposta, gli strinse appena più forte la mano. Anche se non si erano parlati, era evidente che nel lampo intercorso tra loro, dovevano essersi comunicati ugualmente tante cose.

“Vedremo quello che possiamo fare.” concesse alla fine il Salviati, senza particolari intonazioni.

“Ditele che, comunque, noi la consideriamo una Medici.” si sentì in dovere di aggiungere Lucrezia.

Francesco si permise di tornare a respirare: “Vi ringrazio.”

“Però voglio incontrarla.” fece presente la donna: “Ditemi quando posso raggiungerla a villa di Castello.”

“Non è così semplice...” il piovano si schiarì la voce e poi, sperando di non urtare nessuno, specie la padrona di casa, spiegò: “Madonna Sforza è sorvegliata in modo stretto, anche quando non sembra. Se non ci sono i francesi, ci sono i servi, che sono creature di vostro cugino Lorenzo...”

Non ci fu bisogno di dire altro: “Madonna Sforza è stata alla Murate, di recente...” soppesò la Medici, dimostrando come un'informazione che doveva restare riservata fosse comunque arrivata alle sue orecchie: “Immagino che avrà di nuovo bisogno di pregare...”

In effetti la Tigre aveva già chiesto a Fortunati di organizzarle una nuova visita al monastero, in modo, poi, da poter andare da Giovannino al convento d'Annalena.

“Sì.” soffiò quindi, cominciando a sudare freddo, all'idea della delicatezza dell'operazione che Lucrezia voleva mettere in piedi: “Ma sarebbe prudente che nessuno potesse collegarvi... Stiamo giocando con il fuoco e nessuno di noi ha ben capito quanto i Borja e quanto Lorenzo possano spingersi oltre per...”

“Voi pensate solo a dirmi quando sarà alle Murate. Del resto mi occupo io.” decretò la Medici, senza dargli la possibilità di recriminare oltre: “Piuttosto, ditemi... Com'è questa Caterina Sforza di cui tutti parlano? È davvero tanto bella come dicono? Fa davvero così paura quando si arrabbia? La donna che ha stregato mio cugino Giovanni non può essere certo una donna qualsiasi...”

Jacopo si sistemò meglio sulla poltrona, in attesa anch'egli della risposta di Francesco. Il Salviati, in realtà, aveva avuto di vederla, una volta, anche se da lontano e per pochissimo tempo. Eppure ricordava molto bene il suo profilo statuario e la forza che aveva emanato, nel momento in cui si era presentata, sola e ardita, alla Signoria, andando a picchiare il pugno sul tavolo del Gonfaloniere.

Sua moglie, ai tempi, gli aveva chiesto di lei e lui aveva dovuto ammettere che effettivamente si trattava di una donna molto bella e senza dubbio molto diversa dalla maggior parte delle nobildonne che si potevano trovare in Italia. Lucrezia, però, non si era dimostrata per nulla infastidita dai complimenti che il marito aveva rivolto a un'altra, ma, anzi, sembrava esserne rimasta affascinata a sua volta, pur senza averla mai vista.

Solo abbastanza di recente, gli aveva confidato la moglie, aveva avuto modo di vedere dal vivo la Leonessa. Anche se non era certissima si trattasse di lei, ne era abbastanza convinta. L'aveva trovata sulla tomba di Giovanni Medici e unendo quel fatto alla descrizione che Jacopo stesse le aveva fatto tempo addietro, non le era stato difficile individuarla.

Eppure, a Fortunati aveva posto le sue domande come se non l'avesse mai vista. Il Salviati non capiva se vi fosse sotto della strategia, oppure se Lucrezia volesse solamente sentire se il parere di qualcuno che conosceva bene la Sforza coincideva almeno in parte con le sensazioni che aveva provato lei a pelle.

Francesco, intanto, stava ancora cercando le parole giuste per descrivere la Tigre. Aveva già deglutito un paio di volte, eppure sentiva la bocca secchissima. Si trovava in difficoltà nel dover parlare di lei, specie perché non poteva ignorare di aver passato le ultime tre notti quasi insonne pensando a lei, e facendolo, il più delle volte, in modo tutt'altro che casto, andando a indugiare su fantasie che aveva sempre represso e castigato in nome dei sacri voti che aveva preso da ragazzo.

“Se perfino un sant'uomo come voi arrossisce nel pensare a come descriverla – sorrise Lucrezia, ancor più intrigata di prima – significa che quella donna è ancora più sorprendente e affascinante di quello che credevo...”

Francesco, masticando a vuoto un paio di volte, cercò di ridimensionare la questione, facendo presente: “Si tratta di una donna non comune, questo è fuori discussione. È molto intelligente e acculturata e anche molto...”

“Molto affascinante e bella, l'abbiamo capito.” sorrise Lucrezia, vedendo le gote del piovano farsi, se possibile, ancora più rosse.

“Sì, la è.” confermò Fortunati, capendo che non era il caso di girarci intorno: “Ora, però, è molto cambiata...”

Siccome l'espressione dell'uomo si era fatta più buia, anche la Medici accantonò il sorriso di poco prima e si fece più seria: “Immagino che la prigionia a Roma l'abbia provata... Dicono che fosse a Castel Sant'Angelo senza alcuna comodità o occhio di riguardo...”

“Io l'ho vista, la sua cella.” rivelò il piovano, tuffandosi nei ricordi e avvertendo subito la sensazione di star annegando, tanta era l'ansia che quelle immagini gli trasmettevano, anche a distanza di mesi: “Ancora oggi mi chiedo come abbia fatto a sopravvivere tanto a lungo...”

“Probabilmente perché voleva tornare dai suoi figli.” ipotizzò Lucrezia.

Jacopo, che non si era più intromesso nel discorso, fece un breve cenno con il capo. Anche lui, in condizioni disperate, probabilmente avrebbe fatto del suo meglio per sopravvivere solo per poter rivedere sua moglie e i suoi figli. Dal suo punto di vista, il ragionamento filava.

Francesco, invece, stava scuotendo il capo: “In parte sì...” concesse: “Specie il più piccolo, ma in buona parte penso che la sua resistenza sia dovuta alla sua innata volontà di non lasciarsi vincere. Io credo che ciò che le è pesato di più, alla caduta di Forlì, non sia stato tanto il perdere la guerra, perché, essendo molto esperta, sapeva di avere pochissime possibilità, ma il perderla per resa. Di certo, se avesse potuto scegliere, avrebbe preferito morire, piuttosto che vedere Giovanni da Casale sbandierare uno straccio bianco per dichiarare la resa.”

“Di certo, tra il morire così e avere la possibilità di riabbracciare i suoi figli...” cominciò a dire, con una sorta di sorda ostinazione, la Medici, ma Fortunati sollevò una mano, frenandola con decisione.

“Se avesse potuto scegliere – spiegò, convinto di non sbagliare, dato che, ormai, conosceva la Leonessa abbastanza bene – credo che avrebbe preferito morire in battaglia. Quale che fosse la possibile contropartita.”

Lucrezia, un po' perplessa, comprese che il piovano parlava con cognizione di causa, perciò non insistette oltre.

“Fatemi sapere quando sarà alle Murate.” ribadì: “Quando l'avrò davanti a me, potrò chiederle anche questo...”

“State attenta, potrebbe irritarsi, nel sentirsi porre quesiti troppo diretti e personali.” la mise in guardia Francesco.

“Farò quello che ritengo utile.” ribatté lei, sibillina: “Comunque, per ora, fatele sapere che cercheremo di smuovere le acque in favore del Marchese di Mantova. Non si aspetti miracoli, ma quello che si può...”

“Grazie.” sussurrò allora il piovano, abbassando un po' il capo: “Siete amici preziosi, per Madonna Sforza.”

“Madonna Sforza Medici.” lo corresse Lucrezia: “Non lo dimentichi nemmeno lei...”

“Ora – sospirò Jacopo, alzandosi dalla poltrona e battendo le mani come a voler smuovere un po' gli animi – che ne dite di andare a terminare il nostro pranzo? Più tardi devo andare alla Signoria e preferirei andarci sazio.”

Il modo in cui la moglie del Salviati annuì, fece capire a Francesco che ormai ciò che andava detto era stato detto e che gli accordi, almeno per il momento, erano quelli.

Quando, finito di mangiare, il piovano si congedò, ringraziandoli una volta di più, e se ne andò, la Medici prese da parte il marito e gli chiese: “Tu cosa ne pensi?”

Il Salviati, mordendosi il labbro, le rispose: “Trovare degli altri Medici che stiano dalla nostra parte, non sarebbe male...”

L'allusione alla deludente epopea di Piero, fratello di Lucrezia, e della mai sopita ostilità di Lorenzo il Popolano portarono la donna a dargli ragione.

“E poi sono troppo curiosa di parlare con questa Caterina Sforza...” confessò, quasi con tono frivolo: “Voglio proprio vedere cosa dice e come, questa tremenda Tigre, che a suo tempo ha spaventato la Romagna tutta...”

   
 
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