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Autore: Cercasi_Idee    24/07/2021    1 recensioni
Marcel Brayles è nato nel giorno sbagliato del mese sbagliato. Tutti glielo ricordano, persino il caso, quando durante il suo primo viaggio perde la via e si risveglia appeso a testa in giù in un fienile. Eppure, non tutto il male viene per nuocere. Perché Marcel è appassionato di storia antica, delle leggende degli Araldi e dei loro Custodi, e potrebbe appena aver trovato qualcuno che può saziare la sua curiosità.
Genere: Avventura, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Memorie di una Custode


PRIMA PARTE

Capitolo I

Un aspirante scrittore incontra
una misteriosa donna

 

 Marcel non era mai stato un ragazzo particolarmente fortunato. Alcuni dicevano perché era nato il giorno sbagliato del mese sbagliato; altri, più realisti, affermavano che si trattasse semplicemente della sua natura ingenua data dalla giovane età, che lo rendeva il bersaglio facile di qualunque scherzo o raggiro. Ad ogni modo, tutti avevano la fastidiosa tendenza a ricordarglielo, ma era sua nonna a rovinargli la giornata facendoglielo presente. Ogni volta che lo incontrava, Madama Rosmary lo fissava avvilita, sospirava e gli passava sulla fronte il pollice bagnato di miele e chiodi di garofano macinati – segno di buon auspicio a Northall – mormorando preghiere al divino Vathos affinché, un giorno, potesse trovare una moglie che potesse compensare la sua sfortuna con un'abbondante dose di buona sorte. Umiliante e deprimente, tanto che Marcel cercava spesso scuse per non incontrare la nonna paterna.

 A volte qualcuno a Northall avrebbe ridato vita alla voce secondo cui Marcel era la sfortuna stessa della famiglia Brayles: a differenza dei suoi fratelli Rowland, che aveva deciso di seguire le orme paterne e studiare Legge, e Wolstan, che aveva invece intrapreso una carriera militare, Marcel era sempre stato un sognatore affascinato dai diari dei viaggiatori e degli esploratori, facendogli nascere il desiderio di andare alla scoperta del Continente di Gavell e scrivere delle sue avventure.

 In particolare, negli ultimi anni aveva attentamente studiato e fatto ricerche sugli antichi miti che circolavano a Gavell, e aveva deciso di partire alla volta della Catena d'Ossidiana, l'immensa catena montuosa che divideva il Continente dalle Terre Grige, un tempo dimora del Re degli Spettri e del suo terrificante esercito. In quel luogo, secondo le leggende, gli Araldi degli Dei e i loro Custodi avevano sconfitto l'ambizioso conquistatore e, da quello scontro, erano nati gli attuali confini dei regni che costituivano il Gavell.

 E poi, era affascinato dalle figure dei Custodi.

 Una cosa che aveva trovato strana durante i suoi studi era la totale assenza di informazioni sui Custodi. La vita degli Araldi era stata ben documentata, ma non quella delle loro guardie. Come gli Araldi erano scelti dagli dei, ed erano legati al beneamino della divinità attraverso un giuramento secondo cui ne avrebbero garantito in tutti i modi l'incolumità. I loro nomi erano stati dimenticati, forse cancellati, ma i loro titoli erano ben noti a tutti: il Selvaggio, l'Ombra e la Fiera, ognuno con un'arma designata dal dio, ognuno con abilità così sovrannaturali da essere considerati quasi dei mostri.

 Alla notizia, il padre era stato tutt'altro che entusiasta, tanto che cominciò a fumare i sigari con una frequenza preoccupante e gli rivolse appena la parola. Sua madre aveva avuto un mancamento, e per giorni Marcel l'aveva sentita pregare Vathos affinché, parole sue, “ficcasse un po' di buonsenso nella capoccia del suo bambino”. Rowland e Wolstan non avevano perso l'occasione di denigrarlo e ricordargli di essere, essenzialmente, uno sfortunato idiota con la testa fra le nuvole.

 Tuttavia, era riuscito a preparare quel viaggio con trepidazione, e non si era voltato indietro quando, appena prima dell'alba, lasciò la casa in cui viveva da sempre, conscio che quello non sarebbe stato un addio, ma un arrivederci. Marcel aveva ricevuto solo risatine e auguri poco sinceri – e un portafortuna da parte di Madama Rosmary assieme ad una boccetta di miele e chiodi di garofano macinati, naturalmente. Perché non si sarebbe mai persa un'opportunità del genere. Il giovane uomo aveva aspettato di lasciare Northall prima di sbarazzarsi di quella roba.

 A ben pensarci, forse Marcel non avrebbe dovuto buttare i regali di Madama Rosmary. Forse era semplice scaramanzia o semplicemente Vathos si stava divertendo molto a rendergli la vita impossibile, ma non pensava fosse davvero un caso che si ritrovasse appeso a testa in giù in un fienile, incapace di ricordare cosa fosse successo per ritrovarsi lì. Del suo zaino e del suo cavallo nessuna traccia, e chiunque l'avesse rapito – perché quello era a tutti gli effetti un rapimento, con tanto di tortura a suo dire – l'aveva lasciato in camicia e braghe, e la corda legata attorno alle caviglie sfregava contro la pelle ad ogni movimento.

 Marcel si fece prendere dal panico e istintivamente iniziò a dimenarsi, provando inutilmente a piegarsi per raggiungere le caviglie e tentare di liberarsi. Ma non era Wolstan, che con uno spintone lo buttava spesso giù, e l'essere a testa in giù non lo aiutava a pensare lucidamente.

 Con un'imprecazione pregna di disperazione, Marcel smise di muoversi e dondolò nel vuoto. La testa si fece più pesante e un senso di nausea gli chiuse lo stomaco, ma cercò di non farci caso. Più facile a dirsi che a farsi, ma sapeva che sarebbe stato inutile lasciare che fosse il panico a guidarlo. Marcel prese un respiro profondo per calmare il cuore impazzito.

 << Oh. Sei sveglio. >>

 Marcel si dimenò e si guardò attorno per vedere chi avesse appena parlato. Ma il mondo girava attorno a lui e quel poco di calma che l'aveva pervaso fu spinta da parte dal terrore. Oh dei, oh divino Vathos! Chi c'era che non vedeva? Era la persona che l'aveva rapito? Oppure il committente? C'era in corso un ricatto? Qualcuno aveva saputo che voleva raggiungere la Catena d'Ossidiana per esplorare il terreno dell'antica battaglia? Non era proibito andarci, quindi perché...

 Una mano l'afferrò per il fianco e Marcel sentì il sangue gelarsi nelle vene. Gli occhi si inumidirono di lacrime di terrore mentre quella stessa mano lo girava verso...

 Una donna.

 Una donna alta, dall'aria incredibilmente seccata, con indosso una casacca che lasciava scoperte braccia tatuate e dure di muscoli e pantaloni di pelle che risaltavano le gambe toniche. Non aveva armi in vista, ma Marcel era certo che un suo pugno sarebbe stato più doloroso di uno ricevuto da Wolstan.

 << Che ci fa un mingherlino come te ai confini del mondo? >> domandò la sconosciuta, nella voce un accento che Marcel non aveva mai sentito.

 Il giovane aveva la bocca secca e si ritrovò incapace di rispondere. Aprì e chiuse le labbra come un pesce, ma non ne uscì un solo suono, e questo parve irritare maggiormente la donna. Marcel era certo che l'avrebbe schiaffeggiato per farlo parlare. Invece socchiuse gli occhi, pensosa, prima di scrollare le spalle e mormorare fra sé qualcosa in un dialetto sconosciuto.

 Poi la corda si sciolse e Marcel cascò per terra con uno strillo poco dignitoso.

 Marcel si alzò velocemente in piedi, ma scoordinato com'era e con la testa confusa incepiscò sui suoi passi e rischiò di cadere nuovamente. Fu la donna a tenerlo in piedi, afferrandolo con una sola mano per il colletto della camicia con poca gentilezza, uno sguardo esasperato sul viso.

 << Dannazione, ma sei fatto di pastafrolla o cosa? >> sbottò, << Datti un contegno, ragazzino. >>

 Forse fu istinto di sopravvivenza, oppure il terrore più puro, ma Marcel si ritrovò improvvisamente lucido, rigido sulle gambe e con la consapevolezza improvvisa che avrebbe dovuto stare molto attento a quello che avrebbe detto a quella donna.

 Forse fu causato dalla sua voce, e, sante divinità, che voce impressionante che possedeva: era profonda e decisa, come se fosse abituata ad impartire ordini e ad urlare minacce. Marcel per qualche ragione era certo che neppure il più autorevole dei generali del Continente di Gavell avrebbe potuto eguagliare un timbro del genere.

 Poi la guardò meglio, e involontariamente la paragonò ad un rapace: perché lei era affascinante nella stessa maniera di un falco dal piumaggio splendente e curato, ma comunque provvisti di artigli ricurvi e becchi duri che avrebbero facilmente ferito anche il proprio falconiere, se l'istinto avesse preso il sopravvento. Il viso era triangolare e dai lineamenti affilati, con zigomi alti, un naso dritto e labbra sottili. Gli occhi avevano un taglio quasi obliquo, blu come le profondità marine impossibili da esplorare, risaltando sull'incarnato olivastro, e si trovavano sotto un paio di sopracciglia lunghe e arcuate – e proprio in mezzo c'era una ruga, come se fosse abituata ad aggrottarle spesso. I capelli erano lunghi ben oltre le spalle, una cascata corvina di riccioli che sembrava ingigantirne la figura come se fosse una criniera. Era più alta di lui di una spanna, ma per qualche ragione sembrava ancora più imponente.

 Tuttavia, non era solo la presenza della donna ad affascinare e intimorire nello stesso momento Marcel. C'era in lei qualcosa di familiare, qualcosa che conosceva, ma non sapeva dove puntare il dito. Forse, pensò stringendosi nelle spalle, era semplicemente la sua mente stordita ad associarla a qualche suo conoscente. Doveva essere così, ma non riuscì a mettere da parte quella vocina insistente che gli sussurrava nell'orecchio diversamente.

 La sconosciuta sembrò soddisfatta, gli lasciò il colletto e gli fece cenno verso un angolo. << Lì ci sono i tuoi stivali. E tieni la bocca chiusa. Rischi che le mosche ci entrino dentro per deporci le uova. >>

 Marcel arrossì fino alla punta delle orecchie e chiuse la bocca, mentre nella mente risuonavano le prese in giro dei suoi fratelli, che gli ricordavano quanto fosse incapace a parlare correttamente col gentil sesso. La donna in sé non pareva esattamente gentile, e di sicuro non rispecchiava nessun tipo di bellezza degli ultimi anni, ma rimaneva comunque una donna incredibilmente affascinante, e di certo non stava dando il meglio di sé fissandola come un pesce lesso.

 Il ragazzo si affrettò ad infilare gli stivali, la testa incassata fra le spalle per l'imbarazzo, e poi la seguì, guardandosi nervosamente attorno. Non che un fienile potesse offrire alcunché: era una normale costruzione di pietra e legno, piuttosto piccola in realtà, con un paio di finestre che lasciavano entrare la luce morente del sole. La donna uscì e Marcel fece altrettanto, ritrovandosi a respirare l'aria fresca della sera. Non c'era alcun suono se non quello del vento e dei ciottoli sotto i piedi del sentiero che la donna percorse con passo sicuro verso quella che un tempo doveva essere stata una torre di vedetta. La struttura aveva un che di decadente, con il muschio che cresceva sui mattoni, l'edera che aveva nascosto un'intera parete fino al tetto di legno e le macchie scure che testimoniavano un vecchio incendio. C'erano finestre su ogni lato, ma solo una era spalancata, e da questa proveniva un delizioso profumo che fece brontolare lo stomaco di Marcel – il ragazzo si strinse nelle spalle, sentendo su di sé lo sguardo divertito della donna.

 Una recinsione di legno, probabilmente dove un tempo c'erano delle piccole mure difensive, ne circondava il perimetro, e al suo interno era stato creato un orto con verdure che Marcel non riconobbe ed erbe che rilasciavano nell'aria un profumo che gli ricordava le medicine prese da sua madre. Poco più in là c'era un'altra costruzione, forse la stalla, e Marcel si chiese – ma non osò parlare ad alta voce – se il suo cavallo, Kellan, si trovasse lì dentro.

 La torre sovrastava una vallata inabitata, la terra rocciosa e macchiata di tanto in tanto di verde, e non c'era segno di civiltà per miglia e miglia. Lo scroscio continuo dell'acqua rivelava la presenza di un torrente, ma Marcel non lo individuò né riuscì a capire da dove provenisse il suono con esattezza.

 Come ci era arrivato lissù? Oppure, perché la donna l'aveva trascinato in mezzo al nulla?

 << Entri o no? >>

 Marcel si riscosse. La donna lo aspettava sulla soglia della torre. Il sole tramontava dietro le montagne ne illuminò il profilo di rosso, rendendo la sua figura quasi imponente, e il giovane sentì un brivido di terrore percorrergli la schiena. Chi era quella donna? E perché sembrava così... ultraterrena?

 Marcel si costrinse ad entrare nella torre, e venne accolto in un'ampia stanza convertita... beh, in realtà c'era un po' di tutto: accanto alla rastrelliera per le armi che occupava metà di una parete – Marcel scrutò con timore il profilo delle armi nascoste sotto un telo, certo di riconoscere uno spadone e un'ascia – c'erano scaffali su cui erano stipati barattoli di terracotta, libri consumati, pentolame, stoviglie ed erbe essiccate. Sull'altro lato c'era un banco da lavoro con un grosso mortaio di marmo, mestoli e, appesi sopra, grossi coltelli che Marcel aveva visto usare solo da un macellaio. In un angolo era stato costruito un forno di pietra con sopra una pentola, il cui contenuto borbottava piano sotto un coperchio. Non c'era un tavolo su cui consumare un pasto, piuttosto la padrona di casa aveva circondato un bracere spento di bronzo di morbidi cuscini dalle decorazioni e dai colori più vari.

 << Ora risponderai alle mie domande, ragazzino? >> domandò la donna, sollevando il coperchio dalla pentola e mescolando la zuppa.

 L'aria si riempì di un profumo incredibilmente invitante che distrasse per un attimo Marcel. Ma bastò un'occhiata da sopra la spalla della donna per fargli raccogliere un po' di coraggio e chiedere: << P-perché mi hai liberato? >>

 << Perché sei pericoloso quanto un verme. E se provi a fare qualcosa posso sempre ucciderti. >> fu la secca replica, ignorando come fosse sbiancato di paura il ragazzo, << Ce l'hai un nome? >>

 << M-Marcel Brayles... >>

Annuì distrattamente. << Che ci fai qui? >>

 << Io... >>

 Marcel non aveva idea di come comportarsi. Un momento era appeso come un salame in un fienile, nell'altro una sconosciuta lo invitava nella sua dimora e iniziava ad interrogarlo come se fosse suo diritto farlo. Non aveva idea di dove fosse esattamente “qui” e non ricordava cosa fosse successo prima di svegliarsi come prigioniero. Sapeva che la prossima destinazione del suo viaggio era Tradeglen, la città più vicina alla Catena, per trovare qualcuno che potesse guidarlo attraverso le sue valli e picchi. Ma... ad un certo punto tutto diventava confuso nella sua mente, un intruglio di immagini che lo lasciavano stranamente sfinito.

 Come ci era finito lì? Che era successo?

 Perché non ricordava?

Marcel rabbrividì, guardando con occhi sperduti la donna, che intento si era raddrizzata. Lei aggrottò le sopracciglia, ora attenta.

Deglutì, incerto, poi rispose: << Io... non lo so. Non... io dovevo andare a... >>

L'imprecazione della donna lo interruppe. << Capisco. Uh. Brayles... sei di Northall. Spiegherebbe perché tu stia reagendo così. >>

 << C-che vuoi dire? >>

 La donna alzò gli occhi al cielo, rimettendo il coperchio sulla pentola. << Northall è un centro giovane. E la magia – per fortuna, dico io – sta scomparendo da questo straccio di terra, per cui le nuove generazioni possono reagire in modo più drastico alla sua presenza. Un po' come se ne fossero allergiche. >>

 Magia? La magia era svanita da tempo. Tutti lo sapevano. Eppure questa tizia affermava che ce ne fosse ancora in giro, quando non era nato nemmeno un mago negli ultimi cinquecento anni. Nessuno aveva davvero capito perché la magia stesse svanendo da Gavell, e questo era solo uno dei tanti misteri del Continente.

 Marcel scosse la testa e si lasciò cadere su uno dei cuscini attorno al bracere. << Non... capisco. >>

Era uscita più come una domanda che un'affermazione, ma pensare stava diventando difficile. Le tempie facevano male di minuto in minuto, e le strane sentenze della donna non facevano che acuire l'imminente mal di testa che gli sarebbe esploso dietro gli occhi.

 << Non hai bisogno di farlo. >> replicò lei

Il giovane alzò la testa, mentre un altro pensiero pieno di risentimento – finalmente un'emozione che non fosse paura e confusione! – gli dava abbastanza coraggio per sbottare: << Perché ero appeso? >>

 << Così. Mi andava. >> scrollò le spalle lei, lasciandolo scioccato. Ricambiò il suo sguardo con uno placido. << Che c'è? >>

Marcel agitò le mani, incapace di proferire parola. Era pazza. Quella donna era pazza! Come poteva appendere qualcuno solo perché “le andava”? Che razza di ragionamento era? Aveva per caso sbattuto la testa da piccola e aveva perso ogni traccia di buon senso?

 << T-tu...! >>

 << Qui sono io a lamentarmi, non tu. >> lo bloccò lei, avvicinandosi con passi silenziosi e lasciandosi cadere su uno dei cuscini con molta grazia. Incrociò le gambe, e sopra le ginocchia poggiò i gomiti, la schiena arcuata e un ricciolo che scivolava sulla spalla. << Dimmi un po', Marcel Brayles: che ci fai così lontano da Northall? >>

 Ancora scioccato dall'indifferenza della donna – e anche un po' indispettito – Marcel riuscì a sbuffare: << Cosa può importare a te? Non so neppure il tuo nome! >>

 Appena le parole gli uscirono di bocca, il ragazzo sentì il sangue freddarsi nelle vene. Oh, santo Vathos! Ma che gli passava per la testa! Non poteva comportarsi così con una donna che aveva appena ammesso di averlo appeso a testa in giù senza una vera ragione! Di questo passo l'avrebbe trascinato fuori dalla torre e l'avrebbe gettato senza troppi rimorsi giù da un dirupo, probabilmente ridacchiando della sua morte.

 Marcel era pronto a fuggire a gambe levate, ma il ghigno divertito che piegò le labbra della sconosciuta lo lasciò ancora più confuso.

 << Ah! Quando vuoi hai la lingua tagliente. >> commentò compiaciuta, << Sì, hai ragione. Non mi sono presentata. Sono Cora. E non dovrebbe importarmi un fico secco di te, ma ti ho trovato in preda alle allucinazioni giù al Passo, e nessuno attraversa quel Passo senza una buona ragione. >>

Marcel aggrottò la fronte. << Ma... che Passo? >>

Per arrivare a Tradeglen non c'era nessun Passo.

 << Il Passo di Mendlin. >>

Il Passo di Mendlin? Il Passo proibito di Mendlin? Come aveva fatto a sbagliare strada? Marcel era bravo a leggere le mappe, quindi com'era possibile?

 << Dovevi andare a Tradeglen, vero? Altrimenti non mi spiego la tua presenza da queste parti. >> al silenzio del ragazzo, Cora cominciò a sghignazzare, passandosi una mano sul viso e scuotendo la testa, << Ah! Era da un po' che non incontravo qualcuno con un senso dell'orientamente peggiore di Regfall! >>

 Marcel voleva sprofondare sotto terra per l'umiliazione, le guance viola dall'imbarazzo, dandosi dello stupido e cercando di non pensare che forse quelle voci a Northall, di essere lui la sfortuna dei Brayles, fossero vere. Ma la sua attenzione venne attirata da quel nome.

 Regfall.

 Dov'è che l'aveva già sentito?

Cora balzò in piedi con un movimento quasi felino, ghignando ancora, e da una credenza afferrò due ciotole di terracotta. << A differenza di ciò che potrebbero pensare alcune vecchie conoscenze, posso essere una buona padrona di casa. Quindi ti offrirò la cena, un riparo per la notte e poi, domani, ti accompagnerò a Tradeglen. >>

 << Ma... dovremo riattraversare il Passo? >>

Cora scosse la testa. << No. Non voglio che inizi a blaterare di nuovo su tua nonna e sulla tua sfortuna cronica. >>

 Marcel fece per ribattere, perché ricordava la mappa che aveva studiato e sapeva per certo che non c'erano vie oltre il Passo di Mendlin che portassero in qualche modo in città, ma l'affermazione di Cora fece sorgere un'altra domanda. In realtà, una lunga serie di domande.

 Marcel per qualche ragione aveva sbagliato strada. Poteva capitare, in realtà, era comunque un giovane viaggiatore. Eppure, aveva finito per attraversare un Passo che i tre regni che costituivano Gavell avevano bollato come proibito, e quanto affermava Cora, l'aveva trovato in uno stato confusionario. Un'altra questione che gli faceva sorgere diversi dubbi era la magia: tutti erano convinti che la magia fosse sparita del tutto dal Continente. Non erano più nati maghi, nessuno era più capace di sentire i sussurri della natura. Cora invece diceva che esisteva ancora, anche se in misura ridotta. Marcel aveva studiato che era possibile che in alcuni luoghi in cui, oltre con le comuni armi, si erano combattuti scontri a colpi di evocazioni e incantesimi, era possibile che potesse rimanere una traccia, un residuo che col tempo sarebbe scomparso. Il ragazzo era sicuro che questo fosse possibile sulla Catena d'Ossidiana, perché lì Araldi e Custodi avevano difeso Gavell dal Re degli Spettri. Eppure, era ancora molto distante dalle pendici di quelle montagne, ed era certo che nel Passo di Mendlin non vi fossero stati scontri che lasciassero un residuo di magia ancora potente.

 E queste considerazioni portarono altre domande: chi era Cora? Perché viveva lì? Su cosa poteva basare le sue affermazioni riguardo la magia? Esperienza? Studi? E poi perché aveva un che di familiare, ma al contempo pareva così aliena? E perché aveva l'impressione di aver già sentito il nome Regfall, quando era certo di non conoscere nessuno con un nome del genere?

 << Ecco. >>

 Marcel sussultò quando davanti al viso si ritrovò una ciotola piena di zuppa, con un cucchiaio di legno immerso dentro. Nella zuppa galleggiavano pezzi di pane, verdure e della salsiccia tagliata, e doveva essere stata condita con spezie di cui non conosceva la provenienza, che davano un colore e un odore molto invitante.

 Lo stomaco del ragazzo brontolò, e lui imbarazzato accettò la ciotola senza incrociare lo sguardo di Cora, certo fosse palesemente divertito. Mescolò la zuppa con curiosità, lasciandola raffreddare un po', quindi portò alle labbra il cucchiaio e assaggiò la cena. Sulla lingua esplosero gusti che mai aveva assaggiato, e masticò con gusto la carne e il pane.

 << Non mi hai ancora detto perché sei in viaggio. >> fece Cora, mangiando più lentamente il pasto.

 Marcel deglutì, sentendosi già meglio con lo stomaco pieno. Si chiese se fosse il caso di rivelare la sua meta. Ogni volta che l'aveva fatto aveva ricevuto occhiate venate di pietà e di divertimento, come se fosse affetto da qualche malattia della mente. Poi decise che non avrebbe mai più rivisto Cora, e che forse sarebbe stato dimenticato in fretta dalla suddetta. << Voglio raggiungere la Catena d'Ossidiana. >> rispose, tornando a guardare la zuppa.

Non si accorse che Cora aveva fermato i suoi movimenti.

 << Perché? >>

 << Voglio vedere il luogo in cui gli Araldi e i loro Custodi hanno sconfitto il Re degli Spettri. >> Marcel sollevò lo sguardo, aggiungendo: << E magari scoprire di più sui Custodi. Chissà, magari lì ci sono più testimonianze. Forse... >>

 << No. >> ringhiò a denti stretti Cora, sorprendendo Marcel, << Non andrai lì. Lascia sotterrata lì una verità scomoda. >>

Marcel abbassò la ciotola. << Non capisco... >>

 << E non capire. >>

 La voce di Cora si era abbassata in un sussurro gelido, gli occhi pezzi di ghiaccio tagliente. Stringeva così forte il cucchiaio da poterlo spezzare, e la ciotola con la zuppa era stata dimenticata al suo fianco. Marcel sbiancò quando la vide tendere le labbra, quasi scoprendo i denti in un ringhio. E per qualche ragione, nonostante il calore emanato dal forno, l'aria si era fatta più fredda.

 Ci fu un rumore metallico, e poi Cora si mosse così velocemente che Marcel ci impiegò un momento a capire di essere schiacciato contro il pavimento, il dolore facilmente dimenticato da ciò che stava accadendo, intrappolato sotto il corpo della donna e minacciato da questa con una sciabola dalla lama tagliente, finemente decorata. Il filo gli sfiorava appena il pomo d'Adamo, ma la pelle era fredda, come se il metallo fosse un pezzo di ghiaccio.

 << C-Cora...? >> balbettò terrorizzato, incapace di reagire.

 Pensare lucidamente era impossibile: se prima Cora gli era parsa imponente, adesso pareva occupare l'intero spazio. Il viso sembrava più affilato, come la lama della sciabola, i riccioli corvini una criniera leonina, e persino la sua voce sembrava quasi metallica, quando, in un sibilo, disse: << Questa è la volontà della Fiera: quella storia non verrà riesumata. >>

 


Salve a tutti voi lettori che siete arrivati fin qui.
Ammetto che sono anni che non mi collego a questo sito, e non pubblico niente da... credo dalle medie? Possibile. Oppure dalle superiori? Beh, non importa. Ho cancellato il vecchio account e sto usando questo, che è vecchiotto, lo ammetto, mai usato. In teoria avrebbe dovuto essere un profilo condiviso. In pratica... è finito nel dimenticatoio. Ci saranno un po' di modifiche, a partire dal nome. Sperando che lo cambino in tempi brevi.
Questo è un esperimento. Non so se porterò a termine la storia, non so ogni quanto posterò un capitolo. Dipende da quanto sia ispirata, immagino, e anche dalle recensioni - perché ammettiamolo, contano eccome. Io le accetto, anche quelle estremamente critiche e negative, purché siano scritte in modo educato e costruttive. Non me ne faccio niente degli insulti.
Quindi... se siete interessati, cari lettori, se la storia vi intriga, se vi ha fatto storcere il naso, lasciate un commento. Leggerli sarà un piacere e mi darà la carica per andare avanti.
Grazie per essere arrivati fin qui.
Aly

  
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