Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: SkysCadet    24/07/2021    0 recensioni
La cittadina di Filadelfia sembra un borgo tranquillo, in cui la gente comune passa la giornata senza occuparsi degli strani avvenimenti che accadono da diverso tempo. Tuttavia, Simon si ritrova - suo malgrado - a combattere per la salvezza delle anime sfuggite al potere dei Lucifer. Tra questi c'è Joshua, un ragazzo con un dono particolare. Il giorno in cui Ariel - una matricola impulsiva dell'università di Filadelfia - lo incontra per la prima volta, capisce che in lui c'è qualcosa di diverso dagli altri ragazzi. Solo un nome sembra in grado di cambiare il corso degli avvenimenti, un nome che i Lucifer non possono nominare...
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

«Ariel, stai attenta alle mie parole: per nessun motivo devi seguire Joshua. Non cercare di salvare il tiepido; salva colui che è freddo. Ricorda: meglio il freddo o il fervente. Ma allontanati da colui che non è né freddo, né fervente. So che mi capirai perché Dio sta guardando al tuo cuore.»

Nonostante Simon si trovasse nel suo letto di ospedale, aveva avuto un presentimento così tremendo da portarlo a chiamare con urgenza la ragazza, rimasta immobile a osservare la schiena di Joshua che si apprestava a percorrere Via del Corso.

Né freddo, né fervente...

Si era messa a camminare lentamente in quella Via dopo aver visto il ragazzo sparire dietro un angolo. La luna le mostrava un cammino più luminoso dei lampioni in quei marciapiedi dai primi del novecento.

Con le mani dentro le tasche della sua giacca di pelle nera proseguiva guardinga cercando di non incrociare lo sguardo di nessuno. Si diceva che, di notte, le vie appartenessero ai Lucifer, ma non era una vera e propria legge, più che altro un avvertimento che strisciava nei vicoli della Città dopo i misteriosi avvenimenti che avevano colpito quel luogo.

Ripensò a Joshua e al modo in cui gli aveva sputato in faccia la confessione di essere stato attratto da lei e, in quel momento, se l'avesse avuto davanti, l'avrebbe preso a pugni, nonostante la sua piccola statura. Un'altra persona rispetto a quel giovane che nella sua cucina si era messo a scherzare della sua altezza.

Quel sassolino in gola stava diventando una pietra difficile da mandare giù mentre le luci giallastre dei lampioni la illuminavano passo passo. Ariel alzò il mento dalla sua sciarpa di cachemire quando il suono martellante di una musica che proveniva da un Pub si era insinuata nel petto per battere al posto del cuore.

La luce rossastra e lampeggiante dell'insegna recava il nome Lithium. Sotto alla scritta purpurea, lo slogan: Where your demons hide

Per un attimo avvertì un presentimento che iniziò a farle palpitare il cuore. Più che un presentimento si sentì in balìa di una certezza terrificante: quel locale, covo dei membri del gruppo studentesco dei Lucifer conteneva sicuramente la presenza di Acab e di Judas, proprietari del Pub.

Le mani le iniziarono a sudare e le tempie pulsavano, mentre cominciava a considerare seriamente la possibilità di girare i tacchi e tornare alla macchina di Simon. Prima di decidere, l'apertura della porta attirò la sua attenzione: Acab uscì dal locale insieme al padre, e, mentre il secondo le mostrava le spalle, lui, invece, la fissò, disegnando un mezzo sorriso nascosto dal colletto della sua giacca nera.

Ad Ariel mancò poco per sentire il vuoto sotto i piedi e avvertendo la paura serpeggiare nelle vene sotto forma di brividi. Se si fosse avvicinato, sicuramente sarebbe diventata facile preda di quegli occhi. Invece, inaspettatamente, Acab seguì Judas, incrociando le braccia al petto, così, come se nulla fosse successo.

Allora Ariel sbarrò gli occhi esterrefatta, mentre, guardandosi intorno, realizzava che, effettivamente, era solo lei che Acab avrebbe potuto fissare; e mentre l'adrenalina andava scemando, si voltò verso l'ampia vetrata che dava sull'interno del locale costituito da arredamento moderno e lineare con luci a led che andavano dal blu al rosa pallido e finivano in un rosso intenso e quasi ipnotico.

Ariel seguì quelle luci che contornavano ogni arredo: dagli scaffali in cui si intravedevano bottiglie di alcolici di ogni tipo, allo specchio che rifletteva le immagini dei presenti accomodati sugli sgabelli del bar.

Un ragazzo, tra quelli appoggiati con i gomiti al bancone, attirò la sua attenzione, come la prima volta: attendeva il suo turno tamburellando le dita alla superficie limpida del banco, con degli occhi color smeraldo e il sorriso che l'aveva colpita da quel primo incontro all'Università. Un ragazzo che aveva il volto di Joshua.

No...

Il respiro le si bloccò e per un attimo non riuscì a rimanere lucida. Sarebbe entrata e, strattonandolo, gli avrebbe chiesto con rabbia cosa ci facesse in quel luogo, ma la voce di Simon le impedì ogni movimento.

Lo osservò avvicinandosi il più possibile alla vetrata, nascondendosi dietro il pilastro esterno. Lo vide bere un liquido dorato, quando al posto di un uomo che si era alzato prima che avesse finito di bere, si avvicinò una ragazza dalla bellezza disarmante. L'abbigliamento succinto, costituito da un tubino nero lucido, che arrivava a metà coscia e le fasciava il busto, stonava con un viso dai lineamenti dolci e due occhi da cerbiatto chiarissimi.

La ragazza parve chiedere a Joshua se il posto alla sua sinistra fosse libero e, quando il ragazzo annuì, lei si sedette, mostrando ad Ariel le spalle scoperte e la nuca dai cortissimi capelli neri.

Per Ariel era giunto davvero il momento di andare lontano da Joshua, una volta per tutte.

Voltò le spalle e dopo un paio di passi, rivolse un ultimo sguardo appannato all'interno del locale. I suoi occhi furono presi come al laccio di quelli della giovane che sedeva di lato a Joshua. Ispirò, gonfiando la cassa toracica e buttò aria dalle narici.

Quindi velocizzò il passo per andare alla ricerca di Acab, quasi a voler avere delle risposte, dimenticando tutti i pericoli annessi alla sua decisione.

Non si era nemmeno accorta che il tempo le era sfuggito di mano.

Era ormai ampiamente trascorso il pomeriggio da quando avevano accompagnato Padre Simon alla Cattedrale e la tonda faccia della luna era chiaramente al culmine della sua ascesa e illuminava i timidi flutti del mare che, ondeggiavano e schiumava sulla rena grigia del litorale che si trovava ad un centinaio di metri dalla Via del Corso.

Ariel correva senza meta alla ricerca di colui che Simon aveva definito freddo.

Mai termine fu più azzeccato per un essere come Acab... rifletté. Quel tizio è in possesso di un tocco così gelido da rasentare il soprannaturale.

Ansimante e piegata sulle ginocchia, Ariel si bloccò, con una forte fitta al fianco; quindi, dirigendo gli occhi in ogni direzione, alla fine li puntò verso la luna, coperta per metà da una nube livida, che rilasciava un raggio candido verso una discesa rispetto al punto in cui si trovava. Era una via che portava al lungomare cosparso di alberi esotici e secolari in cui, aguzzando la vista, scorse le figure di due uomini avvolti dall'oscurità della notte.

Intanto Lucia, che per tutto questo tempo aveva deciso di rimanere in preghiera di fronte alla grande croce di legno che si ergeva dietro il pulpito della Chiesa di Filadelfia, si era ritrovata al centro della sala di culto, con il volto incollato al pavimento, bagnata di sudore.

Un tuono la fece sobbalzare, ma gli arti non rispondevano agli imput del cervello, facendola rimanere immobile e supina.

Un lampo le annebbiò la vista, illuminando tutta la sala, provocandole degli spasmi incontrollati e, mentre il cuore accellerava i battiti, si ritrovò a strisciare verso gli scalini che portavano alla croce.

«Padre... No...»

Implorò il Creatore, rivolgendo gli occhi al cielo e il mento tremante.

«Ti prego... Non lo abbandonare...»

Dei flash intermittenti le accecavano la vista mostrandole delle mani insanguinate e incatenate.

«Ti prego!» urlò in preda alla disperazione, arrivata a fatica all'ultimo scalino marmoreo per allungare la mano al legno scuro del pulpito. Ma, mentre si sforzava di rialzarsi per raggiungere la croce, altre visioni le colpivano la mente come dei lampi bianchi, mostrandole luoghi oscuri, sotterranei, pareti di pietra ruvida rigati di sangue.

L'urlo di dolore di Lucia si propagò per tutta la chiesa di Filadelfia, arrivando alle orecchie di Heliu che, dal terrore, scattò seduto sul letto della sua stanza, situata al terzo piano del dormitorio.

Un urlo più straziante del precedente lo portò a poggiare i piedi nudi sul pavimento e ad aprire la porta, facendola sbattere contro il muro e a lasciarla aperta, fuggendo frettolosamente.

La voce di Lucia gli fece provare un fremito per tutto il corpo, mentre i piedi nudi correvano lungo il corridoio del piano e si apprestava a percorrere le scale biancastre, lasciando scivolare il palmo della mano sinistra lungo il corrimano di ferro scuro.

Corse così velocemente e con la pelle pallida, che incespicò sui gradini un paio di volte rischiando di cadere, mentre la sua mente era rivolta solo a quella ragazza che le faceva palpitare il cuore che galoppava dal terrore.

Arrivò al piano terra affannato e notò, oltre i vetri della porta d'ingresso l'assenza della macchina di Simon: una berlina grigiastra riposta solitamente all'interno del cortile che separava la struttura del Centro e della Chiesa.

La presenza di quell'auto aveva sempre rappresentato la sicurezza di tutta la struttura del Centro, ma, adesso, le urla di Lucia e l'assenza di Simon rischiavano di frantumare tutte le barriere di fede e sicurezza che Heliu si era costruito durante la sua permanenza in quel luogo.

Avendo ripreso fiato, si drizzò, prima di buttarsi contro la porta antincendio e aprirla con una spallata; bastarono una ventina di passi per accedere all'ala in cui sorgeva la piccola chiesa di Filadelfia: una struttura minuta ma dai contorni semplici e lineari che seguiva la scia della tradizione francescana di una chiesa povera ma piena d'amore.

La porta di legno scuro era liscia e umidiccia al tocco di Heliu che avvertì di colpo il freddo e l'umidità intorpidire le mani nude e i piedi lividi; ma in quel momento niente aveva importanza se non Lucia.

Aprì la porta con il cigolio che riecheggiò all'interno dell'abside dove svettava la grande croce scura alle spalle del pulpito vestito solo di un candido tessuto di lino. Quel luogo bisunto di spiritualità, tanto era il silenzio e l'oscurità che la ornavano, non gli permise di scorgere subito la figura di Lucia.

Si fermò al centro della piccola ed unica navata, mentre le poche fonti luminose erano solo quei sette candelabri posti a tre a tre lungo le pareti laterali, e l'ultimo era situato alla destra della croce.

Dove sei? si chiese voltandosi in ogni angolo, ma solo aguzzando lo sguardo verso il pavimento dell'abside riuscì a vederla priva di sensi e accasciata al suolo, tra il pulpito e la grande croce.

Così corse, incespicando nell'ultimo gradino prima di tirarla a sé, senza pensare a quale movimento dovesse compiere, trovandosi di fronte una giovane in preda alle convulsioni.

«Lucia...» la chiamò, premendo le labbra alla sua fronte gelida e imperlata di sudore; la stringeva a sé quasi a volerle trasmettere un calore che lei aveva perso, per chissà quale oscura ragione.

La cullò, pregando e ascoltando la voce di Lucia che pronunciava parole di una lingua che lui avrebbe potuto definire mediorientale e che saltuariamente pronunciava il nome del suo amico che lo aveva salvato molti anni prima: Joshua.

Lo stesso Joshua che in quel momento sorrideva ad una donna sconosciuta, dagli occhi cerulei come il cielo e le labbra rosse come due fiamme pronte a ghermire qualsiasi parte del suo corpo avessero toccato o solo sfiorato. Lo stesso Joshua che chiedeva a quella donna di ballare, avvicinandosi all'orecchio, solleticando la pelle con il suo calore.

Ma Heliu ancora non aveva nemmeno idea che il suo amato Simon stesse passando una notte insonne in quella brandina di bianche lenzuola stirate e adagiate ad un corpo rigido, di chi fissa una porta da cui attende l'arrivo del figlio, mentre lacrime scorrono verso il mento barbuto.

«Ancora ricordo quella notte in cui, svegliato dalle stesse urla, di una Lucia appena diciassettenne, aprivo lievemente la porta e ti vedevo sbiancato, correre verso la sua stanza poco distante dalla mia. Ti avevo seguito e mi ero avvicinato.

Ti ponevi su un ginocchio, e le prendevi la mano, poggiandola sulle labbra, mentre lei sobbalzava sul letto, vittima delle convulsioni notturne che si erano manifestate per la prima volta.»

«Mi aveva chiamato Gilbert...»

«Sì, lo ricordo ancora dritto ai piedi del letto, mentre il suo animo lo portava a mordersi le labbra convulsamente, e a stringersi le braccia al petto, prima di uscire fuori dalla stanza e scivolare lungo la parete per sedersi sul pavimento e le mani sul viso.»

«In quel momento un padre non sa cosa fare. Anche un medico, a volte, crolla. Soprattutto di fronte alla potenza di Dio.»

Lucia era adagiata sulle candide lenzuola di un lettino del pronto soccorso del Grande Ospedale di Filadelfia, in cui era stato medicato Simon, che se l'era cavata con una fasciatura nel busto che gli imponeva di rimanere dritto per non lacerare ulteriormente la parte lesa.

Conoscevano tutti Padre Simon in quel reparto, l'avevano sentito pregare tutta la notte, e alla fine, l'avevano visto alzarsi da solo, e andare verso l'uscita, correndo incontro alla barella in cui Lucia giaceva inerme, accompagnata dal padre Gilbert e dal giovane Heliu, ancora sotto shock.

L'aveva abbracciato, e lui, lui era crollato bagnandogli la camicia di lacrime, e stringendolo aveva singhiozzato facendo vibrare le spalle vistosamente.

Era stato forte Heliu, nonostante avesse dovuto rivivere la perdita di qualcuno di importante; si era affidato alla preghiera e quando aveva visto le iridi verdi della giovane stretta tra le sue braccia, le aveva sorriso; poi, nel vedere la curvatura delle sue labbra livide e il colore delle sue gote diventare rosee le aveva riservato un dolcissimo e lievissimo bacio in quella fronte rigata da sudore freddo.

Subito dopo, però, Lucia lasciò andare il capo all'indietro, priva di sensi. Heliu si era messo a urlare così ferocemente che, in pochi minuti, Gilbert aveva fatto il suo ingresso nella chiesa, illuminando l'ambiente delle prime luci dell'alba.

«Joshua non è rientrato stanotte...» disse poi, scrutando il volto roseo e l'espressione distesa di Lucia che, in quel momento, muoveva lo sterno in movimenti regolari, all'interno di quel maglioncino di filo beige, grazie alle continue preghiere di Simon e al palmo posto sulla bionda chioma di lei.

«L'avevi mandato da qualche parte?» aggiunse Heliu, provocando un tremito in Simon che fissava un punto imprecisato nel vuoto oltre l'ampia finestra di quella stanza d'ospedale, dalle pareti grigie e dal mobilio essenziale, mentre Gilbert dormiva profondamente, seduto su una sedia con il capo sulle braccia, ai piedi del letto.

Solo dopo qualche minuto di silenzio, Heliu vide Simon girargli le spalle per dirigersi verso la porta.

«Io non l'ho mandato da nessuna parte.» C'era così tanto astio in quelle poche parole, che Simon non riuscì ad aggiungere altro, mentre un senso di vuoto riempiva lo stomaco.

«Dove vai?» domandò Heliu, sbarrando gli occhi, vedendolo uscire dalla stanza.

«Firmo le dimissioni.» rispose l'altro, aprendo la porta e uscendo subito dopo, lasciando Heliu sempre più perplesso: avrebbe voluto fargli tante domande su quella notte dai così tanti risvolti negativi, ma sapeva che, prima o poi, la verità l'avrebbe scoperta, nonostante l'assenza di Joshua gli provocasse fitte alle tempie di chi non aveva avuto la sua presenza di un amico in un momento tanto delicato.

Delicato, come le lacrime che scorrevano dagli occhi serrati di una Ariel ormai abbandonata ad un sonno disturbato da strani sogni che si confondevano con la realtà vissuta poco prima di ritrovarsi nel suo letto, trasportata lì dalla forza dello spirito e del tempo.

Lei che quella notte si era proposta di estorcere qualche risposta dai due membri del gruppo Lucifer, li aveva pedinati fino alla spiaggia, oltre il Lungomare cittadino, mentre una candida luna illuminava il mare nero come pece.

Si era avvicinata abbastanza da ascoltare la loro conversazione, nascosta dietro una delle palme che ornavano quel lido.

«Tu hai mai visto un leone che segue un lupo?» sentì domandare Judas ad Acab.

«No, padre.» aveva risposto lui.

«Bene, perché ne hai uno proprio alla tue spalle.»

Quell'affermazione l'aveva colpita dritta allo stomaco come un pugno ben assestato.

Mi hanno scoperta!

Si strinse così tanto alla palma dietro cui era nascosta che sentì un angolo della corteccia conficcarsi nella nuca.

«Ma non sembra pericoloso...» commentò Acab, facendo scricchiolare il brecciolino con le suole, mentre seguiva il padre verso il bagnasciuga e fissando la minuta figura di Ariel cercare di nascondersi.

«Ancora non lo sappiamo con precisione. Il suo cuore lo conosce solo Colui che non possiamo nominare.»

Acab la osservò sottecchi sporgersi oltre il tronco per poi tornare a nascondersi.

Che stupida... rise a quella curiosità che si faceva spazio nella sua mente e nelle sue viscere: perché mai un anima che l'aveva rifiutato di fronte ad altre persone, annientando il suo orgoglio di alto membro del gruppo Lucifer, lo stava seguendo nonostante tutto? Cosa frullava in quella mente così ingenua?

Mentre nel suo animo, solitamente pregno di indifferenza, si agitavano questi interrogativi, la voce di Ariel lo spiazzò come una fiamma all'altezza dello stomaco.

«Allora,» li incalzò, sbucando da dietro la pianta, «volete smetterla di parlare di me come se non sapeste che vi sto ascoltando?» con un coraggio scaturito forse dalla stanchezza o più verosimilmente dall'incoscienza.

Acab la fissò con occhi sbarrati e un sorriso misto tra il compiaciuto e il piacevolmente sorpreso. «Sei tu, quella che ci ha seguito.»

I due membri del gruppo Lucifer avevano ormai raggiunto la rena grigia che si estendeva lungo tutto il litorale cittadino e si erano fermati poco prima che i flutti bagnassero le loro lucide scarpe nere.

Judas la scrutò e fece qualche passo verso di lei, strofinando i palmi con fare indagatore.

D'un tratto, lei non si sentì poi tanto sicura di voler parlare con colui che le aveva fatto del male, e fissandolo negli occhi cerulei, contornati dai capelli neri e il volto pallido, impiegò qualche secondo per rispondere, realizzando di aver di fronte qualcuno che non si faceva scrupoli ad uccidere una persona a mani nude.

«S...Sì,» balbettò. «Perché voglio sapere, una volta e per tutte, cosa significano questi nomignoli, queste allegorie e...»

Ariel si bloccò a osservare un raggio di luna che oltrepassava una nube grigia per solleticare l'acqua del mare, che, ai piedi ormai nudi di Judas, stava formando un vortice schiumante e zampillante.

«Continua cara, sto solo aprendo un varco spirituale per entrare nel nostro mondo». Judas era di spalle, con il braccio teso verso le acque. Pronunciava parole incomprensibili, dal suono cupo e terribile. Ariel sentì che l'oscurità che avvolgeva i cieli stava materializzandosi proprio in quel luogo; non era una tenebra naturale, come la placida notte contornata di stelle, ma un buio freddo, glaciale, che la svuotò.

«Vedi, Leone di Dio...» Judas aveva rivolto lo sguardo verso di lei e aveva iniziato a raggiungerla a passo lento, sfregandosi le mani come a levare qualcosa da esse. «Noi non facciamo parte di quel Regno della luce e della verità, quindi come potremmo farti conoscere qualcosa che noi custodiamo gelosamente da millenni?»

Quando Judas lanciò uno sguardo al figlio, si accorse che la stava osservando con la curva di un sorriso che, a parer suo, non si addiceva per nulla a uno del suo calibro.

Poi rifletté grattandosi il mento, e come se gli fosse balenata una rivelazione proseguì rivolgendole lo stesso sorriso: «A meno che...»

Ariel guardava incessantemente quel vortice alle spalle dei due e si sentì come risucchiata da quel mondo oscuro. Avrebbe voluto avere con sé Joshua; avrebbe voluto vicino Lucia; avrebbe voluto avere accanto un mandato.

Poi, come arresa alla possibilità di essere ormai in catene, sostenne lo sguardo di Judas con occhi accigliati. «Continua» gli intimò.

«A meno che tu non voglia farne parte.»

Acab continuò il pensiero del padre, guadagnandosi la sua occhiata fulminea quando anche il vento aveva cessato di ululare.

«Sai, per un periodo sono stato un fedele seguace del Pastore Peter,» confidò Judas. «Un uomo distinto, autorevole, dai bianchi capelli e candida barba, che ricorda tanto quegli affreschi raffiguranti il Dio che gli uomini pensano di conoscere.»

«E' molto strano che escano dalla tua bocca queste parole» lo interruppe Ariel.

«Come osi parlare così al Capo dei Lucifer, ragazzina?» La domanda di Acab era stato uno schiaffo in pieno viso; il tono aspro la fece sentire piccola e impotente. «Pensa a guardarti la pelle, Ariel.» Poi, il suo nome, ben scandito, seguito all'irrigidimento di muscoli dell'interlocutore fu la goccia che fece traboccare il vaso pieno di incertezza che si era portata sulle spalle fino a quel momento.

«Signor Judas, perché mi sta dicendo questo?»

Quella domanda pronunciata da un tono umile e sommesso mosse qualcosa perfino in Acab che ispirando, chiuse gli occhi, in ascolto della risposta di Judas.

«Signorina Ariel, quello che non sa il mandato della chiesa di Filadelfia è che, prima di frequentare la sua mogliettina, ho frequentato gli studi biblici del pastore Peter come un normale confratello. Quel che mi ha affascinato di più delle sue lezioni è stato l'argomento riguardante il Leone della tribù di Giuda.»

Ariel ascoltò con sopracciglia aggrottate.

«Secondo lui,» continuò, le braccia dietro la schiena. «Colui che non deve essere nominato è figurativamente e spiritualmente un Leone contro i demoni e così lo sono tutti quelli che credono in Lui. Tuttavia, nel nostro mondo, noi crediamo e veneriamo un solo Signore di lupi che gira in cerca di di pecore smarrite» concluse, dirigendosi verso il vortice d'acqua, e, inaspettatamente, immergendosi come se stesse scendendo dei gradini.

«A te, diamo la possibilità di scegliere se essere un leone di Dio o un lupo rapace.» aggiunse Acab, prima di girare le spalle.

«Se Colui che non può essere nominato è Gesù Cristo di cui non hai potuto sentire il suono del suo nome, come potrei scegliere di essere un lupo pavido come te, Acab

La ragazza volle guardarlo negli occhi un'ultima volta, prima di prendere la strada che la sua anima aveva già deciso di percorrere. E il ragazzo lo fece, si girò verso di lei, e, guardando oltre la testa della giovane, si fece illuminare lo sguardo da un candore che ormai stava avvolgendo tutto il lido in cui si erano incontrati.

Ariel vedendo quella strana luce sul viso di Acab, pensò che fosse sopraggiunta l'alba.

«Dimmi solo cosa sei e di me non ne sentirai più parlare.» proferì lei.

«Dovrei essere colui che ti porta alla perdizione, ma...» fece per continuare, ma il corpo ebbe un fremito, e deglutì vistosamente prima di continuare: «Con quelli lì, adesso, non ci penso proprio!»

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: SkysCadet