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Autore: Altair13Sirio    24/07/2021    8 recensioni
[Friday Night Funkin']
Ruvyzvat è un ragazzo che vive nella macchia, alla ricerca di un modo per cambiare un mondo che ritiene ingiusto.
Sarvente è una bambina senza genitori, cresciuta in mezzo alle rassicuranti mura di un convento di suore cattoliche.
Il loro incontro li porterà a scoprire una nuova parte di sé stessi e a una promessa che si trasformerà in un contratto, un patto indissolubile che vedrà la nascita di un legame eterno.
Genere: Azione, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Kidfic, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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L'uomo con la divisa rossa gettò il corpo del ragazzino fuori dalla porta del magazzino e si affacciò dall'uscio guardandolo con i suoi grandi occhi neri e impietosi; la faccia arrossata, un po' per la rabbia di aver trovato un clandestino nella dispensa delle guardie e un po' per l'ubriachezza già presente a quell'ora della mattina.

<< Se ti becco di nuovo a dormire lì dentro, ti scuoio come quella cosa che hai sulla testa e poi ti lascio appeso in piazza! >> Urlò assicurandosi che tutti i passanti lo sentissero, piazzando immediatamente un metaforico cartello di segnalazione sulla testa di quel piccolo ladruncolo.

La porta si richiuse violentemente e Ruvyzvat rimase qualche secondo in silenzio prima di rialzarsi dolorante, le gambe ancora intorpidite dal sonno e gli occhi che gli bruciavano per l'improvviso passaggio dal buio del magazzino alla luce della strada. Si imbronciò dopo essersi scrollato come un cane che si asciugava e provò a mandare delle occhiatacce alla gente che si era fermata a fissarlo, ma alla fine decise semplicemente di abbassarsi il suo ushanka sugli occhi e si levò di tornò con rapidità.

Quelle guardie rosse erano veramente una manica di bastardi! Non aveva dove andare e tutto quello che aveva intenzione di fare era trovare un posto asciutto per passare la notte, non si sarebbe mai sognato di fregare loro quella merda che chiamavano le loro razioni; sapeva che lo avrebbe fatto star male.

Irritato di prima mattina, aveva ancora gli occhi appesantiti dalla nottata quasi insonne. Attraversando il viale fangoso, avvistò la fontana della piccola piazza dove solitamente veniva allestito il mercato rionale e decise di fare una sosta lì per darsi una sciacquata, dove a quell'ora del mattino erano già riunite alcune lavandaie, con i loro fazzoletti a coprir loro la testa e le lunghe gonne variopinte.

Le donne lo guardarono sdegnose sibilando parole al veleno mentre si issava sul bordo della fontana e iniziava a raccogliere acqua unendo le mani a coppa per gettarsela sul volto. Aveva lasciato il suo cappello sul bordo della fontana e aveva cominciato a pulirsi; l'acqua fredda gli diede come uno schiaffo in piena fronte, solo molto più piacevole. Di colpo, la ferita che aveva sopra a un sopracciglio riprese a bruciare; quella merda avrebbe dovuto essersi già richiusa, e invece ecco che faceva male, di nuovo, come se gli fosse stata appena inflitta.

Il sangue rappreso che aveva sporcato le sue sopracciglia se ne andò finalmente; la prossima volta che finiva per prendersela con qualcuno più grosso di lui si sarebbe ricordato di pulire le ferite sin da subito.

Passarono alcuni minuti e quelle signore che erano rimaste a guardarlo in modo tanto denigratorio, alla fine lasciarono perdere e ripresero le proprie mansioni. Quegli sguardi così incattiviti non erano niente di nuovo per Ruvyzvat, che fin da che aveva memoria era sempre stato additato come un mostro: aveva solo sette anni, eppure chiunque lo vedesse preferiva girare alla larga, quando non decideva di provare a spaccargli la faccia. Lui però non se ne curava, rispondeva agli attacchi e spaccava più ossa di quanto potessero fare con lui. Non gli interessava se gli altri lo guardavano storto, ma se avevano un problema con lui allora li avrebbe tolti di mezzo…

Si asciugò il volto con una manica della casacca più grande di due taglie che si portava in giro e abbassò le mani; abbassandolo, il braccio urtò l'ushanka posato alla sua sinistra, che andò a finire in acqua. Ruvyzvat provò a recuperarlo, ma gli sfuggì e se ne andò dall'altro lato della fontana grazie a una leggera corrente.

Sbuffando, Ruvyzvat scese dal bordo e girò attorno alla fontana alzando gli occhi al cielo; ci si doveva mettere anche il cappello a rovinargli l’umore. Quando fu di nuovo a portata del suo copricapo, ormai inzuppato come una nutria di fiume, allungò una mano per raccoglierlo ma qualcun altro riuscì nell’impresa prima di lui.

Il ragazzo era già pronto a fare a botte con chiunque avesse intenzione di prenderlo in giro, ma quando vide in volto la persona che lo aveva battuto sul tempo si fermò; era una bambina dall'aspetto candido, gli occhi grandi e luminosi, con in testa un grande fiocco e dei vestiti scuri che somigliavano tanto a un'uniforme.

<< Tieni! >> Gli disse sorridendo, porgendogli l'ushanka completamente bagnato.

Ruvyzvat fissò un attimo il cappello, poi lo strappò dalle mani della bambina e iniziò a strizzarlo per farlo asciugare un po'.

<< Come ti chiami? >> Chiese quella mettendo le mani dietro la schiena, senza curarsi del gesto sgarbato di lui.

Quello la guardò con poco interesse, poi girò lo sguardo dall'altro lato e rispose:<< Ruvyzvat. >>

<< Piacere, Ruvyzvat. Io sono Sarvente. >>

Lei allungò una mano e rimase in quella posa come se si aspettasse qualcosa da lui; il ragazzo la fissò con diffidenza senza muoversi. Alla fine Sarvente sembrò rinunciare a stringergliela e, anzi, fu distratta dalla ferita al sopracciglio di lui.

<< Che cosa ti sei fatto lì? >> Istintivamente, la ragazzina fece per spostargli i capelli e guardare meglio, ma Ruvyzvat si scansò talmente in fretta che Sarvente si ritrovò ad accarezzare l'aria, e rimase a fissarlo perplessa.

Di certo quella ragazzina non aveva chiaro il senso di spazio personale, pensò lui. << Mi hanno picchiato. >> Rispose secco quando si ritrovò gli occhi di lei fissi su di sé, quasi come se le dovesse qualche spiegazione.

Non aveva intenzione di perdere tempo con quella bambina, aveva già troppe cose a cui pensare e se restava troppo a lungo in un unico posto avrebbe sicuramente attirato guai. Ma lei non sembrò intenzionata a lasciarlo andare.

<< Come, ti hanno picchiato? Chi è stato? Quanti erano? >> Iniziò a guardarsi intorno alla ricerca dei colpevoli, ovviamente ben lontani da lì, come se fosse pronta a prendere le difese di Ruvyzvat.

Sorpreso dalla reazione così vivace della bambina, il ragazzo spiegò a bassa voce:<< Non c'è da preoccuparsi, gli ho fatto più male io. >> Pensava che quella piccoletta dall'aria tanto innocente si sarebbe spaventata a quella risposta, ma invece Sarvente si girò di nuovo verso di lui e sorrise sollevata.

<< Allora meglio così! >> Rispose ammiccando, prima di fare un passo indietro e lasciare un po' di spazio a Ruvyzvat. Il ragazzo la fissò confuso mentre questa andava a raccogliere un grosso secchio di legno che poggiò sul bordo della fontana prima di gettare nell’acqua.

Sarvente lottò qualche secondo con il secchio nel tentativo di riportarlo a sé senza sporgersi troppo per non bagnarsi la gonna, ma alla fine si girò a guardare Ruvyzvat, frustrata.

<< Bé, non mi aiuti? >> Domandò come qualcuno che evidentemente si aspettava qualcosa.

<< Perché dovrei? >>

<< Ehm… Perché sono una ragazza e tu un ragazzo? >>

<< Non vedo il nesso. >>

<< Andiamo, sono una signorina in difficoltà! Non vuoi proprio darmi una mano? >>

Per tutta risposta, Ruvyzvat si voltò disinteressato e fece per andarsene portandosi dietro il suo ushanka fradicio. Sarvente però lo chiamò di nuovo.

<< Se mi aiuti con l'acqua, posso darti qualcosa da mangiare e un posto dove riposare! >> Questa volta la voce della bambina si fece più squillante, conscia di essere arrivata all'ultima spiaggia; se Ruvyzvat non avesse trovato allettante quell'offerta, nient'altro l'avrebbe smosso. Fortunatamente per lei, il ragazzo sembrò incuriosito dall'idea e tornò sui suoi passi.

<< Posso anche medicare quella ferita. >> Aggiunse Sarvente con l’aria di grande affarista, una volta scesa dal bordo della vasca e in attesa di una sua risposta.

Ruvyzvat rimase a fissarla con sguardo spento, una mano nascosta nella tasca del cappotto e l’altra a reggere l’ushanka al freddo; poi le passò il cappello dicendole di tenerglielo e si sporse sul bordo della fontana per recuperare il secchio.

<< Andiamo. >> Disse dopo averlo recuperato senza difficoltà, indicando a Sarvente di fare strada.

<< Sei forte. >> Commentò lei meravigliata. Il secchio era più grosso della sua testa e una volta riempito sarebbe stato difficilissimo da trasportare fino a casa, ma lui sembrava non curarsene minimamente.

Ruvyzvat ripeté la sua incitazione, leggermente spazientito, e Sarvente non si fece più pregare e gli disse di seguirlo. I due ragazzini lasciarono la piazza e le lavandaie che avevano assistito all'intera scena poterono riprendere a spettegolare e ridere, includendo i due ragazzini nei loro discorsi. Normalmente il ragazzo gli avrebbe lanciato un’occhiata truce per intimargli di restarne fuori, ma in quel momento voleva solo sbrigarsi ad andare via da lì.

<< Dove vivi? >> Chiese quando si furono allontanati dalla piazza, vedendo che Sarvente continuava ad andare dritto.

<< A una decina di minuti da qui. >> Rispose la ragazzina. << Nel convento cattolico in fondo alla strada. >>

Ruvyzvat si fermò e la guardò con un sopracciglio inarcato. Quando se ne accorse, la bambina si girò e gli chiese che cosa avesse.

<< Sei una suora? >> Domandò dopo averla squadrata dalla testa ai piedi. Sarvente spalancò la bocca sorpresa, le sue guance tonde si fecero un po' più rosse del solito e sembrò controllarsi l'uniforme; quella che indossava somigliava in tutto e per tutto a una sottana da suora, così come il fiocco che aveva sulla testa ricordava molto il velo nero che portavano sulla testa quelle strane donne. Ruvyzvat non era cattolico, non credeva nell'esistenza di nessun dio a dire il vero, quindi non capiva il senso della vita condotta da quelle persone che decidevano di chiudersi per sempre in mezzo a quattro mura; tuttavia doveva ammettere che fosse sicuramente una vita più sicura e tranquilla della sua.

<< Oh santo cielo! >> Esclamò Sarvente portandosi le mani alla bocca. << No che non sono una suora! Non ancora, almeno… >>

<< Quindi perché sei vestita da suora? >>

<< Oh, non sono vestita da suora! >> Sbottò alla fine la ragazzina impuntandosi su quel particolare. << Questo non è un velo! E poi mi piace vestire di nero, c'è qualche problema? >>

<< D'accordo, non sei una suora. >> Tagliò corto Ruvyzvat volendo chiudere quella discussione. << Ma allora perché sei vestita così? E perché vivi in un convento? >>

Per un momento la faccia tosta di Sarvente fu sostituita da un lieve imbarazzo; la ragazzina sembrò prepararsi a raccontare una storia lunga e Ruvyzvat si pentì improvvisamente di quella domanda.

<< E' un po' complicato… Sai, come tanti altri bambini che non hanno un posto dove andare, io sono stata cresciuta dalle suore del convento, e questa è una specie di uniforme per le ragazze che vivono lì. >> La ragazzina unì le mani dietro la schiena e cominciò a strofinare la punta delle sue scarpette sulla strada battuta, creando un piccolo solco.

Ruvyzvat non disse niente. Lui non conosceva i suoi genitori, o per lo meno non li ricordava; per quanto non sembrasse una vita degna di essere vissuta, non poteva certo biasimare Sarvente per averla scelta, sempre che fosse stata sua quella scelta.

Il ragazzo finì a guardare il secchio che stava trasportando. << E così ti mandano a sgobbare perché sei piccola? >>

Sarvente lo guardò oltraggiata e scosse la testa. << Come puoi pensare una cosa del genere? Al convento ognuno fa le proprie faccende e tutti danno una mano, anche le bambine più piccole! E poi non sono tanto piccola… >>

Ruvyzvat notò una punta di acredine nel tono della bambina e la imitò mentre lei si imbronciava. << E quanti anni avresti? >> Le domandò, pronto a canzonarla mentre la sua espressione si faceva più cupa del solito.

Sarvente tornò a guardarlo negli occhi ed esitò un momento. << Ehm… Sei. >>

<< Ah. >> Se avesse potuto, avrebbe riso. Sarvente sembrò comunque infastidita dalla sua reazione così poco enfatica e gli puntò contro un dito gonfiando le guance.

<< Smettila! Lo so che è sarcasmo, il tuo! >>

<< Non è sarcasmo. >> Ruvyzvat sapeva a malapena il significato di quella parola.

<< Sì invece, stai anche sorridendo! >> Protestò la ragazzina avvicinandosi ancora di più.

<< Non sto sorridendo. >> Rispose lui girando la testa. << Non posso neanche farlo. >>

<< Io…! >> Sarvente si fermò e guardò attentamente il volto di Ruvyzvat. La sua arrabbiatura svanì in un lampo quando si rese conto che l’espressione del ragazzino era congelata in un perenne broncio annoiato.

<< Perché è così? >> Domandò senza il minimo tatto.

<< E’ la mia faccia. >> Rispose quasi offeso per quella domanda.

<< No, intendevo perché sei così triste? >>

<< Non sono triste. >>

<< Ma lo sembri! Che cosa ti è successo? Perché non sorridi? >> Chiese con insistenza la bambina, iniziando a fare le ipotesi più bizzarre pur di indovinare. Ruvyzvat guardò la strada e capì che mancava ancora molto per arrivare al convento, quindi sospirò e decise di ingoiare il rospo, per il momento.

<< E’ un problema del mio viso. Non so perché sia così, so solo che non riesco a sorridere senza avere delle fitte lancinanti, quindi smettila di chiedermelo! >> La risposta al limite dell’irritazione di Ruvyzvat non scoraggiò minimamente Sarvente, che rimase a fissarlo come se stesse cercando la soluzione a quel problema; il suo sguardo concentrato si tramutò in un sorrisetto furbesco quando la bambina cercò di sporgersi di nuovo verso di lui, questa volta alzando entrambe le mani verso gli angoli della sua bocca.

Ruvyzvat la schivò di nuovo e si allontanò di tre passi. << Che stai facendo? >> Le chiese rimanendo impassibile.

<< Sto cercando di farti sorridere! >> Protestò lei, che si ritrovò per terra dopo aver perso l’equilibrio per l’improvviso mancato appoggio.

Ruvyzvat vide le dita della ragazzina e rimase in silenzio un altro po’, chiedendosi se avesse veramente pensato di tirargli le guance per costringerlo a sorridere, poi si girò di nuovo e riprese a camminare nella speranza che Sarvente la smettesse di fargli perdere tempo.

La ragazzina si rialzò di corsa ripulendosi la gonna con un paio di colpi delle mani e riprese a fargli domande, un sacco di domande; troppe perché il taciturno Ruvyzvat potesse rispondere senza perdere la pazienza.

<< Senti, ho acconsentito ad accompagnarti per avere un posto dove andare stanotte, non voglio fare conversazione! >> Disse schietto alla fine, dopo aver liberato un lungo sospiro. Sarvente sembrò veramente ferita questa volta; Ruvyzvat non era molto delicato con le parole, né tantomeno con i fatti, ma era meglio per entrambi che la ragazzina non si affezionasse a lui.

Alla fine Sarvente ammutolì e mantenne lo sguardo basso per il resto della loro camminata, lasciando finalmente un po’ di pace al ragazzo che era con lei; tuttavia quel silenzio fu interrotto quando i due giunsero a un crocevia.

Una voce acuta e gracchiante attirò l’attenzione dei due. << Ecco di nuovo la monachella imbranata! >>

La prima reazione di Sarvente fu quella di nascondersi dietro le spalle dell’ignaro Ruvyzvat, ma un attimo dopo sembrò cambiare completamente atteggiamento e rimbalzò davanti a lui con audacia come a difenderlo.

<< Vattene via, Didim! >> Sbottò quella alzando un pugno in aria come per maledire il ragazzino che l’aveva appena apostrofata. << Mi hai già infastidito abbastanza oggi! >>

Didim, un ragazzetto biondo con dei vestiti laceri e qualche livido sulle ginocchia, saltò giù dal muretto su cui era appollaiato e un paio di ragazzini con la sua stessa aria boriosa lo seguirono. Si avvicinò tenendo le mani nelle tasche, intirizzito per il freddo di quella mattina.

<< Ah, scusa! Non sapevo che ci fosse un limite al tempo passato a giocare con te. >> Disse sarcastico. << Ma il fatto è che prenderti in giro è così divertente, e poi non posso farci niente se passi sempre nel nostro territorio; chi entra di qua deve pagare, lo sai! >>

Quel tono così arrogante diede il voltastomaco a Ruvyzvat, che si era fermato senza degnare di uno sguardo il piccolo teppista. Sarvente sembrava in difficoltà, ma non indietreggiò di un millimetro mentre quello si avvicinava a lei con aria minacciosa.

<< Ovunque è il vostro territorio! >> Reagì seccata lei. << Ogni volta che cerco di prendere una strada diversa, spuntate voi tre idioti a rompere i… >> Si trattenne dal concludere quella frase e Ruvyzvat vide le sue guance gonfiarsi come se fossero sul punto di esplodere.

<< Oh, la santarellina ha perso le staffe! Fai attenzione, se dici parolacce rischierai di non andare più in paradiso… >> La canzonò l’altro, ormai a un passo da lei.

Sarvente aveva in volto l’espressione di chi voleva dire e fare veramente tante cose che si addicevano poco a una ragazzina della sua età, tanto meno a una suora o aspirante tale; alla fine rimase a fissare con sguardo torvo il ragazzino che era a tiro di schiaffi da lei, sapendo di dover sopportare e “porgere l’altra guancia.”

Ma Ruvyzvat non era un cristiano; lui le guance non doveva porgerle.

<< Oh, la piccola sposa cadavere non sa cosa dire? Ti ho lasciata senza parole oppure hai solo paura di aprire bocca? >> Infierì Didim avvicinando il viso a quello della bambina, mostrando i denti con soddisfazione.

Sarvente sostenne per un po’ il suo sguardo, ma alla fine sembrò rassegnarsi e abbassò la testa cominciando a cercare il borsello dove teneva i pochi spiccioli che erano i suoi risparmi, borbottando parole poco lusinghiere nei confronti del ragazzo di strada. Prima che la ragazzina potesse mettere mano ai soldi però, un tonfo sordo accanto a lei le fece ricordare di Ruvyzvat e si accorse che questo aveva appena posato al suolo il secchio con l’acqua.

Il ragazzino con il taglio sul sopracciglio si avvicinò a Didim, che notò subito l’aura aggressiva emanata da questo e fece un passo indietro. << Woah, non ti avevo visto, bello! Sembri un fantasma da quanto sei bianco. >> Gli disse. << Chi sei tu? Che ci fai da queste parti, non lo sai che anche tu devi pagare per passare di qua? O preferisci vedere le stelle? >>

I compari di Didim risero a quelle parole, mentre Ruvyzvat mantenne uno sguardo impassibile frapponendosi fra lui e Sarvente.

<< E allora? >> Domandò spazientendosi il biondino. << Che hai da guardare, muso lungo? Non ti faccio ridere? >>

Didim alzò di scatto le mani per spingere lo sconosciuto con prepotenza, ma Ruvyzvat gli afferrò i polsi e incominciò a stringere senza il minimo sforzo, tramutando il ghigno del teppista in una smorfia di dolore, che subito liberò un grido.

<< Lasciami! Lasciami andare! >> Piagnucolò come se stesse venendo divorato da un orso. Le sue mani divennero rosse e gonfie in un istante mentre il suo volto già smunto si fece bianco come la neve che cingeva i lati della strada.

Dopo alcuni secondi e inutili tentativi di divincolarsi del ragazzo, Ruvyzvat mollò la presa e rimase a fissare Didim mentre indietreggiava, tenendo le mani di fronte al proprio viso come se gliele avessero appena mozzate.

<< Brutto bastardo! Ma che problemi hai? >> Sbottò ansimando e guardando con profonda amarezza le proprie mani, trattenendo a stento le lacrime di dolore.

Ruvyzvat si rimise le mani nelle tasche e guardò prima Didim, poi i suoi compari che erano rimasti a fissare la scena allibiti. Tornò a guardare davanti a sé e rimase impassibile.

<< Non mi fai ridere. >> Disse con voce spenta.

Didim lo fissò esterrefatto, le mani gli pulsavano e bruciavano ora che il sangue aveva ripreso a scorrere; pensava che gli si fosse rotto almeno un polso e questo avrebbe dovuto essere il segnale per lui di non insistere con Ruvyzvat, ma il suo orgoglio gli impedì di fare un passo indietro.

Con uno scatto verso i suoi amici, mandò l’ordine di “insegnare una lezione” a quello sconosciuto.

Roman e Zot – si chiamavano così i due tirapiedi di quel Didim – esitarono un momento ad avventarsi su Ruvyzvat; uno era decisamente più robusto del ragazzino di sette anni che avevano davanti e, normalmente, non avrebbe avuto problemi a sopraffarlo, mentre l’altro era alto e smilzo, un fisico poco adatto alla lotta. Fu alla seconda esortazione del capobanda che entrambi si lanciarono all’attacco, dandosi forza a gran voce; contemporaneamente, Sarvente strillava dicendogli di fermarsi, ma nessuno fu in grado di capire se fosse rivolta a loro o al suo accompagnatore.

Ruvyzvat rimase immobile finché non furono arrivati da lui e iniziò a schivare senza alcun problema i loro attacchi goffi, piegando rapidamente la schiena e muovendo le gambe quando bastava per spostarsi sul posto come se stesse eseguendo dei passi di danza; dopo aver sfiancato i suoi due avversari, afferrò il più grosso da una spalla e lo fece girare verso di sé per scaricargli sulla faccia un pugno di potenza inaudita che gli fece saltare due denti. Il secondo ragazzo, Zot, quasi se la fece addosso vedendo il suo amico più prestante venire mandato a terra così facilmente da un bambino più piccolo, ma si scagliò lo stesso contro Ruvyzvat nella speranza di poter sfruttare il vantaggio dell’altezza, ma a quel punto il piccolo criminale gli pestò un piede facendolo urlare dal dolore e poi gli assestò un calcio sul ginocchio che lo fece rotolare per terra in preda alle convulsioni.

Ruvyzvat sbuffò. Non erano niente di che, aveva affrontato di peggio; non aveva nemmeno voglia di infierire, forse perché Sarvente lo stava guardando e se avesse esagerato lei non gli avrebbe dato ciò che voleva… Ma quando si voltò verso di lei per controllare che stesse bene, si ritrovò di fronte Didim: le mani rosse e deformi stringevano una tavola di legno con alcuni chiodi conficcati in un’estremità, le braccia già occupate nel movimento oscillatorio che avrebbe finito per far scontrare quell’arma di fortuna contro la sua testa. E alle spalle del ragazzino ferito, Sarvente che era stata spinta a terra per impedirle di avvertire Ruvyzvat del pericolo.

La tavola si scontrò con il volto di Ruvyzvat e i chiodi si conficcarono nella sua carne, proprio vicino all’occhio sinistro, continuando a strappare via lembi di pelle e facendo schizzare il sangue per terra.

Il ragazzino non fece un suono nemmeno quando i chiodi gli uscirono dalla guancia; la parte sinistra del suo volto era completamente imbrattata di sangue e la sua visione era diventata tutta rossa, ma il dolore non era poi così male. Notò Sarvente in un angolo che lo guardava atterrita mentre di fronte a lui Didim si preparava a ripetere l’attacco; questa volta, quando il ragazzo alzò la tavola, Ruvyzvat non si lasciò cogliere impreparato e la afferrò con entrambe le mani, strappandola dalla presa del suo avversario che a causa del dolore ai polsi non riuscì a opporre resistenza.

La rabbia montò su Ruvyzvat non appena ebbe stretto le dita attorno al legno. Fu tentato dal colpire la testa di quel teppista da strapazzo nello stesso modo in cui lui aveva fatto con la sua e ripeterlo ancora e ancora finché i chiodi non gli sarebbero rimasti incastrati nel cranio e le sue cervella sparse lungo il crocevia, ma il movimento fluido che eseguì gli fece puntare l’attacco al piede di Didim, colpendo così forte che i chiodi trapassarono il metatarso e si conficcarono nel terriccio, lasciando così il ragazzo letteralmente inchiodato alla strada.

Didim iniziò ad urlare cercando di sganciarsi dalla tavola di legno, ma Ruvyzvat non gli diede neanche il tempo di abbassarsi che lo colpì al naso con un pugno caricato al massimo. Il ragazzo si sbilanciò indietro e un fiotto di sangue e muco gli partì da una narice nel momento esatto in cui perdeva i sensi. Immediatamente Sarvente raggiunse il ragazzo che l’aveva difesa e, con grande sorpresa di lui, fu più preoccupata per le sue ferite che per lo scempio che aveva provocato in strada.

<< Stai bene? Ti fa male? E’ sembrato veramente brutto, come ti senti? >> La ragazzina lo tempestò di domande alle quali Ruvyzvat rispose negativamente e iniziò a girargli attorno come se stesse cercando un modo per aiutarlo.

Il ragazzino ignorò le altre domande e raccolse il secchio d’acqua per far segno di volersene andare via da lì; senza preavviso, Sarvente gli afferrò una mano e cominciò a tirarlo quasi come se avesse capito perfettamente il motivo della sua fretta.

La loro corsa durò qualche minuto e nessuno dei due disse niente finché Sarvente non si fu stancata ed ebbe rallentato fino a fermarsi. Ruvyzvat la guardò perplesso e poi si fissò la mano che lei gli aveva stretto per tutto il tempo: i guanti stropicciati gli erano quasi scivolati via per quanto era stato tirato dalla ragazzina.

Lui lasciò andare di nuovo il secchio e Sarvente, dopo aver ripreso fiato, tornò da lui.

<< Che fai? >> Gli chiese vedendolo allontanarsi.

<< Me ne vado. >> Disse senza troppe cerimonie. << Tu attiri troppi guai. >>

<< Aspetta! >>

Sarvente lo supplicò di restare e tentò di afferrargli un braccio, ma questa volta Ruvyzvat non si lasciò prendere e continuò a sfuggirle anche dopo che lei ebbe ripreso a parlare. Esausta, la ragazzina gli chiese perché fosse così diffidente tutto il tempo.

<< Non è colpa tua. >> Borbottò lui. << Ho solo troppi problemi per restare qui e rischiare di farmi beccare; adesso quei tre andranno a dire a qualcuno di chi li ha ridotti così, e finirò in un altro guaio… >>

Sarvente fissò il viso girato di Ruvyzvat e abbassò lentamente lo sguardo, delusa. << Quindi te ne devi proprio andare? >> Domandò tristemente. Lui ovviamente non rispose, ritenendola una domanda inutile a quel punto.

Poi Sarvente rialzò la testa, gli occhi decisi. << Lascia almeno che ti pulisca un po’ le ferite! >> Gli disse, e senza accettare un no per risposta, lo fece sedere su degli scalini al bordo della strada e attirò a sé il secchio pieno d’acqua.

Il volto di Ruvyzvat era imbrattato di sangue e sotto a questo si potevano vedere chiaramente tre tagli trasversali che passavano pericolosamente vicino all’occhio sinistro; la pelle lacera aveva un colore marrone reso ancora più grottesco dai coaguli di sangue che si stavano formando ai bordi delle ferite.

<< Questo lascerà una brutta cicatrice… >> Borbottò la ragazzina mordendosi un labbro, pensando che a Ruvyzvat non sarebbe piaciuta quella notizia. In realtà a lui non interessava, se ne rimaneva a fissarla impassibile, in attesa che concludesse l’operazione.

Senza niente che potesse passare sopra alle ferite, Sarvente immerse la mano nell’acqua del secchio e avvicinò lentamente le dita alla guancia del ragazzino. Ruvyzvat ebbe l’impulso di indietreggiare e quando lo vide fare così, Sarvente si fermò chiedendogli con lo sguardo di poter procedere. Alla fine quello emise uno sbuffo rassegnato, come a volerle dire di darsi una mossa.

<< Brucerà un poco. >> Mormorò prima di poggiare le dita sui tagli e strofinare delicatamente.

Ruvyzvat digrignò i denti; questa volta il dolore non lo poteva ignorare, e per un momento fece preoccupare Sarvente.

<< Fa male? >> Domandò lei ritirando subito la mano bagnata.

<< No. >> Disse lui, ma mentì e la smorfia che assunse lo tradì all’istante. Sarvente abbassò lo sguardo costernata.

<< Mi dispiace. >> Mormorò. << Cerca di sopportarlo, va bene? >>

La mano della bambina si immerse nuovamente nell’acqua e Ruvyzvat vide il secchio tingersi un po’ di rosso; a quel punto comprese che quella stramba ragazzina voleva solo aiutarlo, così annuì e decise di sopportare tutto quello, ancora per un po’.

Le operazioni di medicamento di Sarvente durarono pochi minuti, ma dopo aver fatto sciacquare per bene il viso a Ruvyzvat, la ragazzina si rese conto di non poterlo bendare senza un tessuto adatto.

Poi, come se avesse avuto un colpo di genio, iniziò a sciogliersi il fiocco che aveva legato dietro la testa e lo porse a Ruvyzvat per mostrarglielo: era un nastro nero con uno strano disegno sopra composto da due linee che si incrociavano, un rombo bianco sotto di esse e una mezzaluna dalla parte opposta, il tutto costellato da puntini che somigliavano a stelle. Sarvente sembrava molto contenta di aver trovato quella garza improvvisata e attendeva una sua risposta.

Con un cenno Ruvyzvat le fece segno di procedere e Sarvente strinse il nastro al volto del ragazzino, coprendo quasi completamente il lato sinistro della sua faccia.

<< Almeno fermerà il sangue. >> Disse alla fine, sorridendo di fronte al risultato del suo ingegno.

Il ragazzino sbatté le palpebre per abituarsi alla visione oscurata dell’occhio sinistro e alzò una mano per tastarsi quella benda di fortuna applicata dalla bambina; non sarà stato un granché, ma era sempre meglio che andare in giro con un occhio sanguinante, attirando ancora di più l’attenzione… E poi era stato un gesto gentile da parte di Sarvente, che lo conosceva a malapena.

<< Quell’idiota di Didim! >> Sbuffò poi lei portandosi le mani ai fianchi. Per qualche motivo, Ruvyzvat sentì l’impulso di farle qualche domanda.

<< E’ sempre così rompicoglioni? >> Borbottò ignorando l’espressione allibita della ragazzina alle sue parole. Lei si portò le mani davanti alle labbra quasi come se stesse pregando e spalancò gli occhi nella sua direzione; non riuscì però a mantenere quella faccia a lungo, perché dopo un po’ le sfuggì una risatina.

<< Sì, non userei le stesse parole però… >> Cercò di salvarsi in extremis la ragazzina, scoppiando in una risata liberatoria. La tensione era completamente svanita dopo lo spavento che si era presa durante la lotta.

A Ruvyzvat non dispiacque vederla in quel modo. Pensava che le si addicesse molto di più quell’aria spensierata.

<< Che cosa ti fa di solito? >>

<< Chi, Didim? >> Borbottò Sarvente corrugando la fronte. << Mi spinge, mi getta il secchio così che debba tornare indietro a prendere l’acqua, mi ruba i soldi… >>

Ruvyzvat la squadrò per un attimo. << Hai soldi con te? E non hai paura di perderli? >>

<< Solo la mia paghetta settimanale, e non è molto comunque… E poi i soldi sono solo un effetto materiale non essenziale per raggiungere la salvezza dei cieli! E io sono lieta di donarne a chi ha più bisogno di me, ti ricordo che Gesù diceva… >>

<< Non so cosa dicesse quel tipo e non mi interessa. >> Tagliò corto Ruvyzvat, notando il cambio di espressione nella ragazzina; da benevola e leggermente saccente, si imbronciò di colpo fulminandolo con lo sguardo. << Ma se lasci che gli altri si approfittino di te, la gente finirà per mancarti di rispetto sempre! >>

Quelle ultime parole arrivarono a Sarvente inaspettate. Lei non gli aveva chiesto un consiglio né aveva fatto intendere di volerne uno, ma Ruvyzvat si era preoccupato spontaneamente di sapere cosa le facesse quell’antipatico di Didim e le aveva dato un pizzico di saggezza dalla strada…

<< Bé, grazie per il consiglio… >> Mormorò alla fine, sapendo di non poter fare molto al riguardo. Anche se avesse detto di no ai continui soprusi di Didim, avrebbe semplicemente rischiato di ricevere una rappresaglia peggiore. Cosa poteva fare una bambina piccola e indifesa come lei?

Ruvyzvat sembrò leggerle nel pensiero perché si alzò dal gradino e sospirò:<< Sembra che tu abbia bisogno di me per molte più cose che portare l’acqua dalla fontana… >> E a proposito dell’acqua, volse lo sguardo al secchio dove il suo sangue si era mischiato con il liquido trasparente. << Dovremmo tornare indietro e prendere altra acqua… >> Sibilò a denti stretti, pur sapendo che quella diversione sarebbe stata molto pericolosa per lui, che era braccato dalle guardie.

<< No! Se torniamo indietro adesso rischierai di finire in guai seri! >> Protestò Sarvente.

<< Ci sono abituato… >> Strinse le spalle lui. Ma la ragazzina non mollò.

<< Non posso permettere che tu passi altri guai per colpa mia! Mi inventerò una scusa con la madre superiora, tu però puoi accompagnarmi a casa se ti va… >> Lo sguardo di lei si fece incredibilmente deciso e Ruvyzvat non riuscì a trovare una buona ragione per rifiutare quella cosa che lo avrebbe inevitabilmente favorito; per qualche motivo sentiva di voler aiutare quella ragazzina, per quanto la sua filosofia fosse sempre stata quella di guardare ai propri interessi prima di tutto.

<< D’accordo. >> Borbottò distogliendo lo sguardo. Avrebbe aggiunto un ringraziamento per avergli risparmiato il secondo viaggio, ma non riuscì a formulare quella parola; Sarvente non sembrò infastidita da ciò e ammiccò con trasporto prima di raggiungere il secchio pieno d’acqua sporca e svuotarlo lungo la strada.

<< Posso tenerti per mano? >> Domandò con entusiasmo tornando da Ruvyzvat.

<< No. >>

La ragazzina gonfiò le guance in segno di disappunto, ma non volle insistere e allora gli consegnò nuovamente il secchio e riprese ad aprire la strada. Questa volta il viaggio fu più silenzioso, Sarvente aveva capito che Ruvyzvat non fosse un tipo di molte parole e aveva deciso di rispettare il suo desiderio di restare in silenzio, ma non mancarono gli occasionali cenni e indicazioni all’altro durante il tragitto, ai quali lui rispose con versi muti e monosillabi.

Alla fine, le abitazioni che circondavano la strada iniziarono a diradarsi e di fronte a loro si mostrò un edificio basso e dalla facciata larga con un grande portone in legno sgangherato con sopra affissa una croce nera. Quel posto aveva una strana aura attorno a sé, ma Ruvyzvat immaginò che fosse una cosa comune per i luoghi religiosi.

Sarvente si fermò di fronte alla porta. << Grazie, Ruvyzvat! Mi hai difesa da quel bullo di Didim e mi avresti anche aiutato a portare l’acqua se non fosse stato per lui. >>

Lui scosse la testa. << Non serve che mi ringrazi. >>

<< Oh, ma sì invece! >> Ribatté lei, e cominciò a frugarsi in una tasca con la mano. Un attimo dopo gli porse una caramella incartata di giallo, l’involucro non recitava niente sopra e sembrava essere stata srotolata e arrotolata più volte. << Questo è per ringraziarti dell’aiuto. >>

La mano di Ruvyzvat si mosse quasi automaticamente, colpendo la caramella di Sarvente e gettandola a terra. La ragazzina pensò di aver detto qualcosa che lo avesse fatto arrabbiare e rimase a fissare stupita la caramella per qualche istante prima di abbassarsi a raccoglierla.

<< Scusa, ma non mi piacciono le caramelle. >> Disse lui senza nessun tono in particolare. << Mi fanno male allo stomaco. >>

Sarvente lo guardò inarcando un sopracciglio e, dopo aver dato qualche colpetto alla carta per togliere la polvere, scartò la caramella e se la mise in bocca continuando a fissare il ragazzino con perplessità. Che razza di bambino stava male per delle caramelle?

<< Va bene. >> Mormorò pensierosa, e rimase a fissarlo ancora un po’. Lui le rispose con uno sguardo diffidente, rimanendosene con le mani nelle tasche del giubbotto; alla fine Sarvente sembrò ricordarsi di qualcosa gli disse di attendere un minuto prima di scostare il grande portone alle sue spalle e sparire all’interno dell’edificio.

Ruvyzvat si ritrovò ad attendere il ritorno della bambina senza protestare, pur essendo piuttosto annoiato. Quando Sarvente tornò da lui, si scusò per l’attesa e gli consegnò un sacchetto di carta con dentro qualcosa di tiepido.

<< Sono pierogi. >> Disse sorridendo. << Li ho fatti io. Così avrai qualcosa di buono da mangiare. >>

Ruvyzvat aprì il sacchetto e osservò stupefatto i ravioli che emanavano un profumo davvero invitante, poi rivolse uno sguardo interrogativo alla bambina come se volesse chiederle se potesse fidarsi.

<< Guarda che sono un’ottima cuoca! >> Gli disse facendogli l’occhiolino. << E non sono del tipo dolce; le sorelle mi dicono che ci vado troppo pesante con le spezie, ma io penso che siano più buoni così. Quindi puoi mangiare quanto vuoi! >>

Ruvyzvat infilò una mano nel sacchetto e ne tirò fuori uno di quei piccoli ravioli a mezzaluna, tiepido e dalla consistenza morbida. Lo sollevò tenendolo sul palmo della mano come se volesse farlo vedere bene a Sarvente, prima di portarlo alla bocca e dargli un morso. La ragazzina aveva ragione, erano buoni: era la prima volta che mangiava qualcosa che non gli desse il voltastomaco o che fosse effettivamente piacevole.

Il suo sguardo si corrugò, come se improvvisamente si sentisse insultato da quel raviolo che stava mangiando. Sarvente temette che non gli fosse piaciuto, ma alla fine Ruvyzvat deglutì quel primo morso e finì di mangiare il resto del pierogi con gusto, facendole un cenno dopo aver finito.

Sarvente si sciolse quando capì che gli era piaciuto. Ruvyzvat la vide abbassare piano la testa, come se il suo corpo non fosse più in grado di reggerne il peso, e pensò che si stesse sentendo male.

<< Ho anche preso un’altra cosa, se avessi intenzione di restare qui per un po’… >> Disse poi lei rianimandosi e iniziando a frugare in una tasca. Tirò fuori una grossa chiave mezza arrugginita che mise in mano a Ruvyzvat. << Il convento ha una piccola stalla non utilizzata dove potresti passare la notte al sicuro. Non posso farti entrare nelle nostre stanze, ma ho sentito alcune sorelle dire di aver bisogno di un tuttofare per le riparazioni o qualcosa del genere, e ho pensato che forse qualcuno come te sarebbe stato adatto a questo lavoro. Forse potrei parlargli di te, se riesco a convincerle potresti finire per avere una stanza tutta tua qui, e non dovresti più scappare e… >>

Sarvente si perse nei propri ragionamenti, imbarazzata dalla mole di ipotesi che stava riversando sul ragazzo di fronte a sé, sapendo bene che fossero tutti programmi un po’ troppo personali da fare con tanta leggerezza. Alla fine Ruvyzvat la interruppe e restituì la chiave a una Sarvente che non seppe come interpretare quel gesto.

<< Apprezzo l’impegno, ma ormai non posso più restare qui. >> Disse senza guardarla negli occhi. << Quei ragazzi si ricorderanno che ero con te; quando potranno raccontare quello che è successo, qualcuno verrà a cercarmi e voi non potrete nascondermi… >>

<< Sì che possiamo! Le suore del convento non lascerebbero mai che qualcuno porti via un innocente…! >> Protestò Sarvente, che si era presa a cuore quella questione. Ma Ruvyzvat scosse la testa e decretò la fine di quella discussione.

<< Non è il tipo di vita che fa per me, ma apprezzo che tu ci abbia provato. >> Spiegò mestamente. Questo era strano da lui, di solito non permetteva a sé stesso di affezionarsi a qualcuno, ma respingere l’offerta della suoretta gli provocò del dolore; lo ignorò, attribuendolo forse al raviolo appena mangiato e cercò di cambiare argomento. << In che altro modo posso mostrarti la mia gratitudine? >>

Sarvente vide le sue speranze andare finalmente in pezzi dopo che il ragazzo le ebbe rivolto quello sguardo così freddo, nonostante le parole appena pronunciate fossero forse le più umane che avesse usato dal loro incontro. Dovette abbandonare quel sogno di dare una parvenza di casa a quel randagio inspiegabilmente forte e coraggioso, e allora si rabbuiò un poco.

<< Oh. >> Mormorò abbassando lo sguardo e unendo inavvertitamente le mani come se stesse pregando, ma un attimo dopo il suo volto si illuminò e la ragazzina decise di sfruttare al meglio quell’occasione. << Allora puoi farmi un sorriso? >>

Ruvyzvat corrugò la fronte; ma non lo aveva ascoltato? Non riusciva a sorridere neanche provandoci. Ma Sarvente si corresse rapidamente.

<< So che non riesci a farlo, ma vorrei veramente vederti sorridere almeno una volta! Puoi usare le tue mani per tendere i muscoli della faccia, così non dovresti sentire dolore. >> La sua idea era talmente idiota che avrebbe potuto funzionare, e Ruvyzvat si ricordò del primo tentativo fallito della ragazzina di farlo sorridere.

Perplesso, il ragazzo poggiò per terra il sacchetto di pierogi e si fissò le mani. Con lentezza, avvicinò gli indici alle guance e tese la pelle, ottenendo una sorta di sorriso in quel modo che provocò l’ilarità della bambina.

<< Lo sapevo, fa schifo. >> Disse atono lasciando andare immediatamente le guance e raccogliendo i pierogi da terra. Ma Sarvente si scusò subito e gli disse di aver frainteso.

<< E’ solo che il modo in cui lo hai fatto è stato davvero buffo! >> Disse smettendo di ridere gradualmente. << E’ bello vederti sorridere. Mi dispiace che tu non riesca a farlo perché si tratta di un gesto piccolo, ma capace di cambiare completamente la tua visione del mondo… >>

Ruvyzvat sembrò soppesare attentamente quelle parole. Per quanto sembrasse allettante, il suo corpo gli impediva di provarci tanto che anche se si fosse allenato, non credeva che avrebbe mai imparato a sorridere naturalmente; inoltre non pensava ci fosse niente per cui sorridere, le barzellette che sentiva raccontare per strada non erano divertenti, e di sicuro non c’era niente di allegro nella sua vita… Però, a vedere quella bambina che rideva a quel modo subito dopo aver assistito al suo tentativo e che continuava ad ammiccare con gioia mentre conversava con lui, pensò che sarebbe stato bello poter essere più come lei.

<< Facciamo così… >> Mormorò stringendo le spalle. << Ogni volta che troverò qualcosa divertente, tu potrai sorridere al posto mio. >>

Gli occhi di Sarvente si accesero come il sole. << Dici davvero? Vorresti davvero affidarmi una questione così importante? >> Domandò stupefatta, ma entusiasta.

Ruvyzvat si guardò intorno chiedendosi se fosse lei a esagerare oppure se lui stesse prendendo quella questione troppo sotto gamba. << Certo, dubito che riusciresti a scazzare una cosa così… >> Borbottò con il suo solito tono disinteressato, ma in realtà trovava parecchio interessante il comportamento della ragazzina.

Sarvente esultò saltando vistosamente. Ruvyzvat pensò che stesse esagerando, ma non le disse niente per non intristirla.

<< Allora adesso vado. >> Disse lui grattandosi una guancia, e in quel momento si rese conto di avere ancora addosso il fiocco di Sarvente a coprirgli l’occhio. Stava per sfilarselo di dosso, quando la ragazzina lo fermò.

<< Tienilo! E’ un regalo, in segno della nostra amicizia. >> Disse lei alzando una mano. Lui la guardò dubbioso, poi abbassò le mani e sospirò.

<< D’accordo… Ti ringrazio veramente tanto… >> Sussurrò quasi senza voce. Era come se pronunciare quelle parole gli togliesse il respiro, ma lui voleva completare quella frase ad ogni costo! << E… La prossima volta ti aiuterò anche a portare l’acqua dalla fontana. >>

<< Allora prometti che ci rivedremo? >> Domandò vispa lei, come se quell’eventualità non le fosse ancora passata per la testa.

Ruvyzvat ci pensò solo un attimo, poi alzò il pugno con stanchezza e disse:<< Certo, è una promessa! >>

Sarvente ammiccò felice. Stava già ricoprendo egregiamente il suo ruolo di sostituta al sorriso, perché quell’espressione fu ancora più intensa del solito, e Ruvyzvat sapeva di voler sorridere in quella circostanza.

<< Il tuo cappello. >> Si ricordò un attimo dopo la ragazzina, alzando la mano per restituire a Ruvyzvat il suo ushanka. Il ragazzo lo guardò un istante e dopo averlo preso constatò soddisfatto che si fosse quasi asciugato; dopo un piccolo cenno, se lo sistemò sul capo e la guardò come se volesse dire ancora qualcosa. Fu Sarvente a precederlo, lasciando intendere che non fosse necessario che si sforzasse con i ringraziamenti.

<< Allora ci vediamo presto, Ruvyzvat. >> Disse con una piccola riverenza. << Pregherò per te tutti i giorni, perché tu sia sempre sano e salvo! >>

Ruvyzvat fu sorpreso di sentire quelle parole e il gesto della ragazzina che ne seguì lo lasciò spiazzato, con lei che univa le mani e abbassava la testa quasi a voler incominciare una preghiera in quel preciso momento. Alla fine il ragazzo le fece un piccolo cenno e si incamminò lungo la strada.

<< A presto, Sarvente. >> Mormorò prima di affrettare il passo per evitare di incrociare qualcuno che gli avrebbe dato noie, sparendo in pochi secondi dalla vista della ragazzina che rimase al portone del convento ancora per qualche minuto, come se volesse assicurarsi che Ruvyzvat fosse andato via per davvero, prima di rincasare.

*

Dal vicolo venne fuori un giovane uomo con indosso abiti pesanti e un copricapo tipico dell’est Europa, ferito e zoppicante; la pioggia lo colpì con tanta forza da farlo quasi andare a terra, tanto che era esausto.

Liberò un’imprecazione a denti stretti. Non avrebbe dovuto cercare di scippare quel gangster, ma l’occasione era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire; alla fine non era stato un problema, lui e i suoi scagnozzi erano stati neutralizzati, il locale distrutto e in fiamme, nessuno lo avrebbe disturbato oltre quella notte… Ma forse era stata una cattiva mossa.

Al suo arrivo in America, Ruvyzvat avrebbe dovuto cercare di rigare dritto, non dare nell’occhio in modo da non dover riprendere a scappare da tutto e tutti, ma sembrava che quello fosse solo un sogno destinato a non avverarsi; adesso gli affiliati di quel pezzo di merda sarebbero andati a cercarlo e a lui non sarebbe rimasto altro che cercare un modo per non farsi trovare, di nuovo.

Si trascinò lungo la strada per alcuni minuti, la pioggia batteva forte sulla sua testa ma il freddo non lo infastidiva; le luci dei lampioni lo accecavano però, dopo aver assistito alle fiamme sprigionatesi all’interno del locale il suo occhio buono era rimasto molto sensibile alla luce. Riuscì comunque ad avvistare un edificio dall’ampia facciata, ma dall’aspetto un po’ decadente, e decise che fosse un buon posto dove nascondersi; non lo riconobbe come una chiesa finché non ebbe attraversato una delle porte laterali e si fu ritrovato davanti a una fila di candele accese da una parte e una immaginetta sacra su di un pilastro dall’altra.

Ebbe quasi l’impulso di andarsene, ma fuori stava piovendo a dirotto e non avrebbe trovato un posto più accogliente di quello in fin dei conti; non amava i luoghi di culto, ma sapeva che quella gente fosse propensa ad offrire riparo a persone come lui in qualunque situazione, quindi di certo nessuno lo avrebbe disturbato lì…

Passò davanti a un piccolo altare con sopra una statua di qualche figura sacra e non poté fare a meno di notare gli intarsi dorati che decoravano la parete, assieme al marmo pregiato su cui poggiava la statua e che si presentava alle pareti un po’ ovunque il quel luogo; in realtà erano falsi preziosi, quel luogo era più povero delle sue tasche, l’oro sugli intarsi era solo vernice e il marmo era grezzo e rovinato.

Accantonando l’idea di rubare qualcosa, si trascinò bagnato fradicio a una delle panche al centro della sala; le colonne ai lati della navata indirizzavano verso il coro dove sopra a un altare spoglio vegliava una singola croce, con i lati due finestre colorate da cui si poteva vedere perfettamente la pioggia infrangersi contro il vetro.

Ruvyzvat si sedette pesantemente sul legno e poggiò la testa sulla panca di fronte, liberando un lungo sospiro spossato. Iniziò a pensare che forse non ne valeva la pena di continuare a scappare, il mondo non era certo cambiato da quando era un bambino e qualunque cosa facesse per migliorare la situazione finiva solo per ritrovarsi in guai peggiori di prima; forse se si fosse lasciato catturare e avesse scontato la sua pena, un giorno sarebbe potuto tornare ad essere come una persona normale, ripartire da zero… Ma a quel punto che cosa avrebbe potuto fare?

Poteva davvero vivere in mezzo alla gente normale, sapendo di essere sempre a un passo dall’agire sconsideratamente e dal commettere un crimine? Aveva anche solo la più pallida idea di come ci si comportasse civilmente tra le persone, oppure era semplicemente inadatto ad avere una vita normale?

Il suo ushanka bagnato gocciolava sulla panca di fronte a sé, così come il resto dei suoi vestiti e in breve tempo sotto ai suoi piedi iniziò a formarsi una piccola pozzanghera. Non si accorse dei passi che arrivavano dal fondo della chiesa e che si fecero sempre più vicini finché una figura slanciata e vestita di nero non gli comparve davanti, guardandolo dall’alto come se lo stesse giudicando in silenzio.

L’ospite alzò lo sguardo e per un momento gli sembrò di vedere una cosa appartenente a un altro mondo, con grandi corna e ali nere ad avvolgere il suo corpo snello, dalle fattezze femminili, ma fu sicuramente colpa delle luci alle spalle di quest’ultima che lo abbagliarono per un istante; quando sbatté le palpebre di fronte a sé vide solo una giovane suora che gli sorrideva con aria accogliente.

<< Come cazzo sei vestita…? >> Le domandò con voce impercettibile fissando il suo abito, che non ricordava per niente la tunica di una donna di chiesa se non per il tipico velo sopra la testa: la ragazza portava stivali alti sotto a un vestito che terminava con una sorta di minigonna e presentava una piccola apertura all’altezza del seno che dava su di una maglia candida sotto di esso, mentre sulla testa la ragazza mostrava fieramente due grosse spille rosa a forma di croce.

La suora non sembrò infastidita dal linguaggio di Ruvyzvat, ma lo ammonì mantenendo un tono amichevole. << Bada a come parli, giovanotto! Siamo nella casa di Dio, non è bello sentirti dire queste parole. >>

<< Sei comunque vestita da tr… >>

<< Troppa acqua ti ha inceppato il cervello? >> Lo incalzò fulminandolo con lo sguardo. << Non credi che dovresti mostrare un po’ di educazione? >>

Per tutta risposta questo girò la testa dall’altro lato ed emise un grugnito sofferente. Cominciava già a non sopportarla, ma se lo avesse lasciato riposare lì si sarebbe limitato a non dire niente; possibile che tra tutte le suore che gli potevano capitare, lui doveva incontrare proprio la più rompicoglioni e sfacciata di tutte?

<< Da dove vieni, sconosciuto? >> Riprese lei mettendosi le mani ai fianchi.

<< Lontano. >>

La donna piegò la testa di lato e sorrise di nuovo, pur sapendo che lui non la potesse vedere. << Lontano non esiste sulla mappa geografica. >> Disse sarcastica. << Ma se dovessi tirare a indovinare, dal tuo accento direi che vieni dal Blocco Sovietico. >>

A quella dichiarazione, lui scattò sull’attenti e si voltò verso di lei. La ragazza ridacchiò notando come avesse finalmente stuzzicato la sua attenzione, ma si affrettò a tranquillizzarlo.

<< Non voglio avvertire nessuno, abbassa le antenne! >> Gli disse alzando le mani. << Anche io vengo dall’est, a dire il vero. E’ bello incontrare qualcuno con cui avere qualcosa in comune, così lontano da casa. >>

Il ragazzo adagiò la testa contro la panca di legno e borbottò:<< Ah, ma davvero… >> Almeno non avrebbe dovuto sforzarsi di nascondere il proprio accento russo, ma rimase all’erta nel caso la suora volesse fargli qualche brutto scherzo.

<< E come ti chiami? A meno che tu non preferisca essere chiamato sconosciuto per tutto il tempo. >> Questa domanda rimase senza risposta per alcuni istanti; la ragazza l’avrebbe formulata di nuovo, lui lo sapeva, se non avesse ottenuto la risposta che cercava. Sembrava innocua, quindi perché preoccuparsi di nascondere la propria identità? Una suora non lo avrebbe di certo denunciato…

<< Ruv. >> Disse. << Solo Ruv. >>

Quella sembrò sollevata dal sentire la sua presentazione. << Bé, Ruv, sembra che tu sia passato sotto a un treno! Che ne diresti di andare a riposare in un posto più adatto a questo? >>

<< Non vado in ospedale. >> Disse a denti stretti lui.

<< Non intendevo mica questo. >> Gli rinfacciò quella. << Si dia il caso che in sagrestia ci sia una stanzetta con un letto molto più comodo di queste vecchie panche. Se ti va di seguirmi, posso mostrartelo. >>

Sospettoso, Ruv non mosse un muscolo. << Perché dovresti offrirmi riparo? >>

Seccata, la ragazza alzò lo sguardo al cielo. << Forse perché è quello che faccio? Non posso mica lasciare qualcuno a soffrire se ho la possibilità di aiutarlo! >>

Non gli piacque il tono sarcastico di quella donna, ma effettivamente la misericordia era una qualità tipica di quelli come lei. Non doveva sorprendersi se cercava di offrirgli aiuto, forse sarebbe stato più sospetto il contrario…

<< Non mi piace neanche un po’… >> Esalò senza fiato mentre cominciava ad alzarsi. << Però accetterò volentieri quel posto. >> Borbottò alla fine voltandosi verso di lei.

La donna ammiccò e disse:<< Allora seguimi pure! >> A quel punto iniziò a sfilare rapidamente tra le panche della navata mentre il rumore dei suoi tacchi riecheggiava nella chiesa vuota. Poi si fermò e voltandosi dichiarò:<< A proposito: io mi chiamo Sarvente, ma puoi chiamarmi Sarv. Solo Sarv. >>

E mandandogli un occhiolino, la suora si allontanò sparendo dietro a una porticina che lasciò semiaperta per permettergli di raggiungerla. Ruvyzvat sospirò esausto e iniziò a seguirla, sapendo di non avere molte scelte; sapeva di starsi mettendo in qualche guaio, ma non aveva la forza di tirarsi fuori da quella situazione in quel momento.

Quando raggiunse la sagrestia, trovò Sarv ad attenderlo per indirizzarlo verso un’altra porta; la stanza era ampia e arredata con qualche mobile a muro sgangherato, e al centro di essa un tavolo rettangolare completamente spoglio. Lui seguì le sue indicazioni senza fiatare e si ritrovò in quella che somigliava molto a una cella: una branda semplice spinta in un angolo, un mobiletto dall’aria molto vissuta e un armadio non molto diverso da questo erano tutto ciò che si presentava di fronte a lui, con una piccola finestra dal lato opposto del letto.

Con fierezza, Sarvente gli fece spazio perché potesse vedere meglio la stanza, ma non c’era molto da vedere; era un quadrato quasi vuoto e basta, sempre meglio di ciò a cui fosse abituato Ruv…

Senza chiedere il permesso, l’ospite andò a sedersi sul letto e mandò un’occhiata diffidente alla suora.

<< Quindi, ora che mi hai attirato nella tua ragnatela, cosa hai intenzione di farne di me? >> Domandò senza girare attorno all’idea che potesse ancora trattarsi di una trappola.

Sarv sembrò oltraggiata da quella sua insinuazione. << Cosa dovrei fare? Non posso fare una semplice buona azione? >>

Ruv non disse niente e si guardò intorno: quel posto cadeva a pezzi, la chiesa era completamente vuota e non aveva visto nessuno nelle sue vicinanze a parte quella ragazza. Non poteva averlo aiutato solo perché le andava!

<< Non dovrebbe esserci un prete o qualcosa del genere? >> Domandò atono. Sarv agitò una mano come se fosse una questione da niente.

<< A che serve un prete, quando ci sono io ad occuparmi di tutto? >> Disse con un falso sorriso orgoglioso. Quell’espressione fiera durò tre secondi prima di smontarsi, costringendo alla giovane suora di mostrare le proprie carte sotto allo sguardo severo del suo ospite.

<< Va bene, la chiesa non è proprio aperta. A dire il vero non è neanche consacrata, l’ho presa io per ristrutturarla nella speranza di aprire i battenti, ma è più difficile di quanto pensassi! >> Ammise sconfitta, ma senza perdere il proprio sorriso sicuro di sé. << Inoltre ho scoperto che era diventata il ritrovo di alcuni teppisti e ora non so come liberarmene. Avere qui qualcuno con me è un grande sollievo, ad essere onesta. >>

<< Perché non sei andata da qualche altra parte? A che serviva mettere a nuovo una chiesa sconsacrata? >> Domandò Ruv facendosi un po’ troppo insistente. Sarv non rispose, perché quando aprì la bocca per farlo, dall’altra sala arrivò del baccano che la costrinse a voltarsi.

La suora fece un versaccio e sussurrò con tono estremamente seccato:<< Parli del diavolo… >> E scappò a passi rapidi verso l’uscita della stanza. Ruvyzvat ci mise un po’ a seguirla e quando fu di nuovo fuori dalla sagrestia vide la suora ferma al centro della navata, rivolta verso l’entrata della chiesa.

In fondo alla via c’erano tre figure che avanzavano rumorosamente in mezzo ai banchi. La prima era un uomo sulla trentina con barba e capelli scuri, lo sguardo sicuro di sé e un giubbotto di pelle a coprirgli il busto dentro il quale teneva le mani al caldo; i due ai suoi fianchi erano personaggi dall’aria più ordinaria, più giovani di lui e dall’aspetto meno minaccioso. Parlottavano con toni sguaiati come se non fossero in un luogo dove bisognava mantenere un certo decoro e sembrarono notare Sarv solo quando vi furono a pochi metri di distanza.

<< Ah. Sei ancora qui… >> Disse deluso il capo dei tre. Ci fu immediatamente silenzio tra i tre, ma la suora sembrò voler mantenere un rapporto pacifico e per questo mostrò un sorriso benevolo nonostante l’irritazione.

<< Siete qui per sentire un sermone? E’ sempre un piacere avere ospiti, magari potreste aiutarmi con l’incenso… >> Borbottò nervosamente, già sapendo che non sarebbero stati al gioco. Il primo dei tre si avvicinò rapidamente a lei e quasi le si appiccicò alla faccia.

<< Forse non hai capito bene il nostro ultimo avvertimento, stronzetta! >> Iniziò lui mostrando i denti, gesto che rese Sarv molto più nervosa di quanto già non fosse nonostante l’uomo fosse più basso. << Questo posto è nostro, non vogliamo ficcanaso tra i piedi! Quindi se non vuoi ritrovarti con un paio di ossa rotte, ti conviene levare le tende, così che la gente smetta di frequentare la zona! >>

<< Quei chierichetti che ti eri trovata se la sono fatta sotto appena ci abbiamo parlato. E’ inutile insistere, non riuscirai mai a rimettere in sesto questo posto! >> Commentò uno alle spalle del capo, voce roca come se avesse fumato per tutto il giorno.

Sarv ignorò le minacce e si sporse verso quello sul retro. << Allora siete stati voi a far scappare i miei aiutanti! Perché ce l’avete tanto con me? >>

<< Te l’ho già detto perché! >> Sbottò il primo dei tre, battendo un pugno sulla panca più vicina. << Questo è il nostro territorio! Se dovessi, grazie a chissà quale miracolo, riuscire a riaprire la chiesa, la gente comincerebbe a tornare qui rovinando tutti i nostri piani! >>

<< Sarebbe meglio condividere questo luogo con altre persone, piuttosto che… >>

<< Non mi interessano i tuoi stupidi discorsi sull’amore e la carità! >> Gridò quello alzando il braccio, pronto a colpire la ragazza che aveva di fronte. Sarvente chiuse gli occhi, pur sapendo che mai le avrebbe veramente fatto del male, ma fu sorpresa di vedere che dopo qualche secondo il teppista non aveva continuato il suo sfogo; qualcosa lo aveva tirato dal braccio destro e lo stava trattenendo dal parlare.

Si voltò e vide un Ruvyzvat esausto e irritato che gli stringeva il polso. Era arrivato da una delle navate laterali, passando in mezzo alle panche; nessuno dei tre lo aveva notato finché non aveva afferrato il braccio del teppista.

<< Perché non abbassi un poco il volume? >> Gli disse a voce bassa.

<< E questo pezzente chi è? Sembri arrivato dall’Alaska, fratello. >> Disse quello con tono di scherno. << Perché non vai in un rifugio per barboni invece di nasconderti in una vecchia chiesa? >>

L’uomo cercò di liberarsi dalla presa di Ruv, ma inaspettatamente la sua mano non si mosse. Questo guardò prima il braccio del ragazzo e poi fissò lo sguardo sul suo volto; si infuriò non appena vide il modo in cui lo stava guardando.

<< Ehi. >> Mormorò strattonando ancora il braccio. << C’è qualche problema? >>

Ruv strinse un poco le dita attorno al polso del nuovo arrivato, ma alla fine mollò la presa e questo si allontanò. Lentamente, abbassò la mano e Sarv poté notare le sue spalle alzarsi e abbassarsi per un istante.

<< Il problema è che i pezzi di merda boriosi come te mi fanno imbestialire. >> Disse con un filo di voce, fissando il giubbotto dell’uomo.

Questo provò a ribattere, ma prima che potesse aprire bocca il pugno dello straniero si abbatté sul suo viso; ci fu un fiotto di sangue che uscì dal suo naso fracassato e poi cadde a terra con l’impronta delle nocche di Ruv sul volto. Ci furono delle grida alla vista di quello che era stato un vero e proprio massacro istantaneo, ma inaspettatamente non arrivarono dalla ragazza lì accanto, che si spostò prontamente per non essere imbrattata di sangue; furono i due scagnozzi del teppista a urlare, e i loro strilli si fecero ancora più acuti e terrorizzati quando Ruvyzvat posò il suo sguardo su di essi.

<< Ne volete un po’ anche voi? >> Domandò con voce ferma, la mano grondante del sangue della sua vittima e il volto sudato, contratto in una smorfia insofferente.

Senza dire nulla, i due teppisti rimasti indietro si voltarono e iniziarono a correre verso l’uscita, abbandonando il loro compagno lì in mezzo alla navata. Ruv li osservò finché non furono usciti dal portone centrale, quindi grugnì e si diresse verso una panca.

<< Lo hai ucciso? >> Chiese una voce alle sue spalle. Sarv si era abbassata e stava punzecchiando il volto dell’uomo a terra con un dito. Ruv non rispose, stava già pensando a dove avrebbe passato la notte non potendo più rimanere in quel luogo, ma la ragazza si tirò su e lo guardò come se non fosse successo niente.

<< Grazie! >> Disse con un gran sorriso. << Scommetto che non torneranno per un bel po’! >>

Ruv rimase a guardarla perplesso e leggermente intimorito. Era la prima volta che assisteva a una reazione così tranquilla da parte di qualcuno che lo aveva visto uccidere una persona; va bene carità e compassione, ma si sarebbe aspettato come minimo che la ragazza lo mandasse via.

<< Sei una strana suora, tu. >> Mormorò voltandosi, deciso ad andarsene. Ma Sarvente gli girò attorno e gli bloccò la strada.

 << Guarda che ti ho riconosciuto. >> Disse con un leggero sorriso stampato sul volto. Ruv la fissò con sospetto; l’avrebbe ignorata se avesse potuto, ma gli aveva completamente bloccato la strada e non poteva più andare da nessuna parte.

Gli si avvicinò molto, troppo per qualcuno che avrebbe dovuto essere considerato pericoloso, e gli sorrise come se si aspettasse una reazione in particolare; Sarv attese qualche secondo, ma alla fine girò la testa come se avesse cambiato idea e con un movimento goffo tirò fuori da una tasca un manifesto con stampata sopra la faccia di lui e sotto la scritta “ATTENZIONE”.

<< Sei quel tipo che va in giro a combinare un sacco di guai, uccidi e rubi senza esitazione. >> Disse con tono stranamente calmo. Ruv ebbe l’impulso di scattare e allontanarsi da lì, ma la ragazza rimase immobile e, invece che continuare ad accusarlo, si mise a cercare le somiglianze tra il viso di lui e l’identikit sul manifesto.

<< Un uomo dell’Unione Sovietica che va in giro con un buffo cappello e una strana benda sopra all’occhio sinistro, sempre imbronciato… Sì, sembra che ti abbiano inquadrato bene! >> Cinguettò allegramente.

<< Che cosa vuoi? >> Tagliò corto aggressivo Ruv, immaginando già le seccature che avrebbe dovuto sopportare. Sarv però continuò a ignorare le sue domande.

<< Il fatto che tu sia capitato qui deve essere un dono dal cielo! >> Borbottò lei rimettendo a posto il manifesto e mandando un piccolo cenno al corpo riverso per terra, annegato nel suo stesso sangue. << Ho una proposta per te, compagno. >>

Il ragazzo ebbe un moto di disgusto quando si sentì chiamare a quel modo dalla donna ma la lasciò parlare perché, stranamente, arrivato a quel punto non credeva che avrebbe chiamato la polizia.

<< So che a te sembrerà una vera follia, ma io penso che nonostante tutti gli orribili delitti di cui ti sei macchiato ci sia ancora del buono dentro di te; c’è ancora tempo per guadagnarti la salvezza e la pace interiore… >> Esordì lei con un preambolo che alle orecchie di Ruv non prometteva niente di buono. << Ho bisogno di una guardia del corpo! Qualcuno che possa tenere al sicuro me e la chiesa, e tu mi sembri un tipo che sa il fatto suo; come vedi questo posto è meno sicuro di quanto sembri e quel tipo non era l’unico teppista che mi contendeva il controllo della zona. In cambio avresti sempre un tetto sulla testa e del buon cibo cucinato con tanto amore da me, una cuoca eccezionale che conosce un sacco di ricette della tua madrepatria! E se questo bel faccino non dovesse bastare a farti rimanere, avresti la certezza che nessuno verrà mai a darti noie. Che te ne pare, non ti sembra un patto vantaggioso? >>

Ruv ascoltò interamente quell’offerta e si chiese se quella ragazza fosse pazza a volersi mettere in casa un assassino e ladro; non poteva giustificare tutto quello con la scusa di vedere del buono in lui! Non aveva alcun senso, a meno che non si trattasse di una folle trappola per coglierlo in flagrante, ma il suo arrivo lì era stato completamente casuale e non avrebbe potuto trattarsi di un piano premeditato dai servizi segreti che gli davano la caccia o altri corpi di polizia…

<< Come fai a sapere che potrò restare indisturbato? >> Domandò senza voler sembrare troppo convinto di quell’idea. Ovviamente restare a vivere lì gli avrebbe cambiato molto le cose, ma non poteva semplicemente accettare e far finta che i problemi andassero via.

Sarv unì le mani con l’aria di chi tramava qualcosa e lo fissò come se non vedesse l’ora di sentirsi fare quella domanda. << Oh, una chiesa è il luogo più insospettabile di tutti, no? E se qualcuno dovesse fare troppe domande, stai tranquillo che saprei come liberarmene; sono una persona molto persuasiva, anche se non sembra… >>

Ruv evitò di domandarle cosa volesse dire con quell’ultima frase e fece finta di non essere interessato alla cosa. Onestamente, non gli importava se Sarvente fosse una vera suora e quella fosse solo una facciata per coprire chissà quale losco traffico, ne aveva viste così tante di cose simili che non lo stupiva più niente e se questo significava che poteva avere un tetto sulla testa e la sicurezza di non essere scoperto dalla gente che lo cercava, allora perché avrebbe dovuto rifiutare? Però non lo entusiasmava l’idea di legarsi a una persona così bizzarra…

<< Ma perché ti sta tanto a cuore questo rudere? >> Domandò guardandosi intorno. Le pareti scrostate, gli altari spogli, per non parlare di tutte quelle decorazioni fasulle che aveva notato precedentemente. Sapeva già che la suora gli avrebbe fatto una predica sull’abbandonare tutte le ricchezze e cercare il vero valore dentro di sé o qualcosa del genere, ma non capiva perché dovesse cercarlo proprio lì, il vero valore.

Invece però, Sarv rispose facendosi più titubante che mai. << E’ una cosa complicata… >> Mormorò. << Hai presente “casa”? Il luogo a cui sai che tornerai sempre? >>

Ruv non aveva familiarità con un concetto del genere. La sua infanzia era stata troppo movimentata perché potesse avere una casa vera e propria o qualcuno da convincerlo a restare, tuttavia la lasciò parlare.

<< Io non ne ho avuta una, quando ero bambina. Bé, tecnicamente sì, ma non poteva essere considerata veramente una casa… Perciò quando sono arrivata qui e ho visto questo posto, ho capito di averla trovata: la mia casa. >>

Ruv si guardò intorno di nuovo. Non c’era niente di bello, in quel posto, era talmente triste che non sarebbe riuscito a immaginare nessuno che volesse restare lì; poteva essere che la fede della ragazza fosse talmente forte da fargli ignorare tutto quello? Il desiderio di restaurare qualcosa la spingeva a fare così tanti sacrifici?

Sospirò. << Bé, è tremendamente melenso. >> Disse avvicinandosi a lei. << I sognatori come te sono veramente fastidiosi. Credete di poter fare qualsiasi cosa solo perché ci credete con tutto il cuore; vi lanciate in qualcosa di folle senza neanche calcolare i rischi e le possibilità di successo, finendo per gettare tutto nelle fiamme quando inevitabilmente le cose si fanno impossibili, portando a fondo con voi tutte le persone che vi stanno attorno… >>

Senza accorgersene, Ruvyzvat finì per torreggiare su Sarvente come se volesse aggredirla. Lei si fece minuscola di fronte a lui e sorrise docilmente. << Sarebbe un no? >> Domandò solamente, intimorita dallo sguardo del ragazzo.

Lui la fissò negli occhi. Non riusciva veramente a capire cosa le passasse per la testa; qualunque fosse il motivo per cui fosse così determinata a restaurare quella chiesa, pensava che stesse sprecando il suo tempo, eppure sentiva qualcosa che lo attirava a quel luogo. Possibile che fosse quella stessa sensazione di “casa” di cui aveva parlato lei?

Rassegnato, Ruv si voltò e disse:<< Sarà meglio che la polizia non venga a ficcare il naso! >>

Il volto di Sarvente si illuminò come una lampadina e lo raggiunse di corsa, saltellando con entusiasmo. Iniziò a ringraziarlo e a dirgli che non si sarebbe pentito di quella decisione, ma lui schivò agilmente i suoi tentativi di abbraccio e si tenne a distanza di sicurezza. Tutto a un tratto, il suo corpo cedette; le ferite procurate prima di arrivare in chiesa facevano troppo male e una fitta gli attraversò il costato, tagliandogli il respiro e facendolo cadere in ginocchio.

<< Ehi, ti senti bene? >> Domandò la suora.

Ruv si portò una mano al fianco e pressò con forza sulla ferita; i suoi guanti si imbrattarono di sangue, alla cui visione Sarv si fece più apprensiva.

<< Oh, no! Così non va bene… >> Iniziò a borbottare mentre si guardava in giro alla ricerca di qualcosa con cui curarlo. Alla fine capì di non poterlo aiutare lì in mezzo alla navata e così gli offrì appoggio con la spalla.

<< Non ci vado in ospedale… >> Mormorò esausto lui, lasciandosi aiutare dalla ragazza a rimettersi in piedi.

Sarv sorrise. << Certo che no! Ho detto che mi sarei occupata io di te, no? >> Sbuffò cominciando a camminare, diretta verso la stanza sul retro dove avrebbe potuto farlo sdraiare in attesa di medicarlo. << Quindi non morirai oggi, puoi starne certo. Anzi, non ti è permesso morire finché resterai al mio fianco! >>

Rimasero in silenzio per qualche istante e Ruv si concentrò sullo stabilizzare il proprio respiro mentre Sarv lo faceva sfilare di fronte all’altare; la ragazza però sembrò seccata da qualcosa e mentre si avvicinavano alla porta della sagrestia, finalmente sbottò:<< Però potresti fartela, una risata! >>

Non avendo capito la sua battuta, Ruv rispose semplicemente:<< Io non rido. >>

Scioccata, la ragazza girò la testa verso di lui e boccheggiò come se le avessero rivelato un segreto incredibile. Sembrò sul punto di ribattere con il suo solito tono saccente, ma alla fine invece accettò semplicemente quella peculiarità del suo nuovo amico, e quando si voltò nuovamente riprese a sghignazzare.

<< Allora dovrò impegnarmi a ridere per tutti e due! >> Commentò allegramente. Per qualche motivo Ruv sentì come se volesse sorridere a quelle parole, o quantomeno mandare un cenno di approvazione verso la ragazza, ma non ebbe bisogno di fare nulla perché Sarvente stava già ridendo con gioia per via di quel patto che aveva siglato lei stessa, benedicendo con la sua voce angelica l’inizio di quella amicizia.

   
 
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