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Autore: mask89    25/07/2021    12 recensioni
Due ragazzi, nati e vissuti in luoghi completamente diversi, vengono uniti dal destino. Verranno coinvolti nelle vicende del continente di Thauras, dove sono in atto oscure macchinazioni sin prima delle loro nascita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo VII

 

 

Il continuo rollio, alternato al beccheggio della nave, gli avevano scombussolato lo stomaco. I primi giorni di navigazione erano stati tranquilli e ricchi di emozioni; però, dopo quella burrasca che li aveva colti in mare aperto, il suo stomaco aveva accusato il duro colpo. Probabilmente era ancora da qualche parte sul ponte del bastimento, dopo quella terribile nottataccia passata in balia degli agenti atmosferici. Affermare che fosse stato un evento del tutto inaspettato, sarebbe stata un’offesa gratuita verso il nostromo che guidava, con sapienza e diligenza, la nave. Era stato capace di prevedere quella terribile tempesta con un grande anticipo, dalla mattina precedente. Quando il giorno prima lo aveva visto valutare accigliato le condizioni del cielo, aveva pensato che fosse soltanto un tipo ansioso o che il suo stato d’animo probabilmente fosse causato dall’avanzare dell’età; dopotutto, era risaputo che il periodo estivo fosse il migliore per la navigazione. Però, il canuto capitano non sembrava dello stesso avviso; più le alte nubi avanzavano verso di loro, più la sua espressione si allarmava. Che pericolo potevano presentare delle nuvole così alte nel cielo?

Lo aveva sentito sbraitare ordini ai marinai come un forsennato; fra un urlo e l’altro, aveva udito una parola a lui del tutto sconosciuta “cumulonembo”. Gli si era avvicinato per chiedergli di cosa si trattasse, magari era il nome di qualche strano mostro marino; per tutta risposta aveva ricevuto un sorriso tra il sornione ed il divertito. Archiviò quella frase di navigazione come “colpo di sole”, non poteva essere altro, per farlo sragionare in quel modo. Peccato che Davven e l’equipaggio lí presente non la pensassero come lui; lavorarono solertemente, come se un cataclisma terribile da lì a poco si sarebbe abbattuto su di loro. Sciocchi pensò, peccato che l’unico deficiente in quel gruppo si sarebbe dimostrato proprio lui. Nel giro di qualche ora l’aria divenne più fredda, la calda temperatura della mattina sembrava un lontano ricordo; inoltre, uno stormo di uccelli che volava in modo disordinato e il cui stridere provocava non poco fastidio alle orecchie, rese ancora più cupa l’espressione del capitano. Vide i marinai stringere maggiormente i legacci delle vele e rinforzare con più cura i punti deboli della nave, nel mentre Davven si avvicinó a lui con una robusta corda. Gliela passó sotto le ascelle e poi fece alcuni giri intorno alla vita, non aveva mai visto un’imbracatura di quel genere. Provò a chiedergli spiegazioni a riguardo, ma l’unica risposta che ottenne fu un grugnito ed un invito a mantenersi forte. Gli stava per chiedere il senso di quella frase, ma il fulmine che squarciò il cielo, seguito dal potente rombo, fu abbastanza eloquente. La nave in poco tempo si ritrovò in balia degli eventi; soltanto l’esperta mano del capitano, aiutato dai suoi rodati marinai, evitò l’inabissamento. Avevano ballato per tutta la notte, correndo da un capo all’altro dell’imbarcazione e cercando di far fronte a tutti i pericoli a cui il mare e la tempesta li stavano sottoponendo. Diverse volte aveva rischiato di cadere dalla paratia, come preda di quelle onde irose; solo la strana imbracatura, i tempestivi interventi dell’equipaggio e di Davven, lo avevano salvato da un epilogo terribile. A parte quegli spiacevoli episodi di quasi morte, aveva aiutato l’equipaggio a sversare diverse anfore d’olio in mare. In un primo momento gli era sembrata una cosa assurda; però, aveva potuto constatare con i suoi occhi che quell’azione permetteva alla nave di affrontare meglio le onde. Infatti, l’olio creava una specie di patina elastica sulla superficie del mare, che ostacolava il vento nel far presa sull’acqua e quindi d’innalzarla. Questo utile espediente, impediva il formarsi del frangente pericoloso, o almeno così gli era sembrato che il capitano lo avesse chiamato, fra un urlo e l’altro. Quel trucco così semplice, ma allo stesso tempo così ingegnoso, permetteva al bastimento di cavalcare facilmente le onde, senza il rischio di inabissarsi. Sorrise, aveva sbagliato nel giudicare il capitano, era un tipo in gamba; decise di trascorrere più tempo possibile vicino a lui, in modo da poter imparare qualche stratagemma. 

Soltanto con le prime luci del mattino, quel terribile temporale aveva deciso di lasciarli in pace, peccato che lo stomaco non fosse più nella sua sede naturale, da diverse ore ormai.

Vide l’anziano capitano avvicinarsi a lui, con passo fermo e deciso.

«Allora giovanotto, sei ancora convinto che io sia un vecchio rincoglionito?»

«No, penso che lei sia un vecchio stronzo!» Il capitano rise allegramente a quella battuta, come se fosse la frase più divertente del mondo.

«Perché non mi ha detto nulla?»

«Beh Ioan, anche tu dovevi sottoporti al “battesimo del mare”.»

«E questo battesimo non prevede nessun percorso iniziatico?»

«Assolutamente no!»

«Stronzo! Come me la sono cavata?»

«Per essere un pivellino, direi che è andata bene. Sei ancora vivo e, nonostante tu non sia capace di fare un nodo decente, ti sei dato da fare per aiutare l’equipaggio. Hai le palle, ragazzo.»

«Grazie. Sa dirmi dov’è finito il mio stomaco?»

«Dov’è sempre stato, ragazzo. Bevi un goccio di questo e poi vai sottocoperta, ne hai bisogno.»

Ioan prese la borraccia che gli aveva dato il vecchio lupo di mare. Beve tutto d’un fiato il contenuto. La gola e lo stomaco gli sembrarono andare a fuoco. Sentì la testa improvvisamente farsi leggera, contemporaneamente il corpo farsi pesante.

«Accidenti ragazzino, avevo detto un goccio, non di scolare il contenuto.

Poi il capitano urló: «Sagola! Vieni qui, dammi una mano. Dobbiamo portare il pivellino di sotto, ha bevuto tutto d’un fiato il distillato di uva contenuto nella fiaschetta.»

Sentì il marinaio ridere sguaiatamente, poi il buio.

 

Il mal di testa era martellante, provò ad alzarsi, ma una forza misteriosa lo respinse verso il pagliericcio.

«Non provare ad alzarti, idiota.»

«Davven?!» Biascicò.

«Chi altri?»

«Cosa mi è successo?»

«Succede che non reggi l’alcol, pivello.»

«Ma cosa dici? Nell’arena ci davano sempre del vino.»

«Ah, ora si chiama vino quella bevanda annacquata che spacciavano come tale?»

«Ma cosa stai dicendo?»

«La verità, saprai anche combattere discretamente, ma per il resto delle cose sei un pivellino. Il capitano ha ragione ad apostrofarti in quel modo.»

«Credo di essermelo meritato, l’ho sottovalutato. É una persona abile che conosce profondamente il suo mestiere, penso che gli debba delle scuse.»

«Almeno non sei uno stupido. Riconoscere i propri errori è un segno di umiltà e di grande intelligenza. Però, prima di andare, bevi questa.» Gli porse un bicchiere.

«Cos’è?» Chiese sospettoso.

«Una tisana di mia creazione, ti aiuterà a riprenderti più velocemente. Quando ti sentirai meglio raggiungimi sul ponte, dobbiamo fare una bella chiacchierata.»

Bevve lentamente quella strana bevanda; il sapore a primo impatto non era dei migliori però, più la sorseggiava, più poteva coglierne le varie sfumature: zenzero, garofano ed una lieve nota di miele. Rimase steso per un altro po’, il tempo necessario per recuperare le forze. Si mise a sedere lentamente, la testa non gli vorticava più violentemente. Solo un leggero senso di vertigine che poteva tranquillamente gestire, d’altronde era abituato a molto peggio. Fece attenzione a non inciampare tra le cuciture che univano il pagliolo al paramezzale, faticava ancora a credere che una nave “cucita” riuscisse a navigare tranquillamente in mare aperto. Eppure, filava che era una meraviglia e dimostrava una solidità straordinaria; inoltre, era facile da riparare o da manutenere, anche un inesperto come lui poteva facilmente apprendere come preservarla al meglio. Salì i gradini della scaletta in legno che l’avrebbe condotto sul ponte, la luce solare lo colpì in pieno, rendendolo cieco per qualche istante. Si portò la mano a coprire gli occhi, in modo da permettere alle pupille di adattarsi al nuovo ambiente. Vide il capitano sul castello della nave intento a guardare qualcosa in una bacinella, si avvicinò incuriosito da quello strano atteggiamento. Vide che, nella piccola tinozza in legno, vi era un disco in metallo, per il cui centro passavano tante linee, in modo da dividere la superficie in diversi settori. Ogni porzione presentava un nome. Sopra vi erano uno gnomone ed una lancetta.

«Cos’è?» Chiese incuriosito.

«Una bussola solare.»

«A cosa serve?»

«Ad orientarmi in mare aperto, per determinare la posizione della nave rispetto alla terra.»

«Ed è affidabile?»

«Ci ha sempre condotto a destinazione e lo farà anche questa volta. Entro mattinata o al massimo per il primo pomeriggio raggiungeremo la nostra meta.»

«Riesce a dire anche questo?!»

«No, me lo dicono loro.» Indicò degli uccelli che volteggiavano sulle loro teste. «Sono volatili di terra, fra un po’ cominceremo a vedere all’orizzonte il profilo del nostro obiettivo.»

«Incredibile, sa un sacco di cose. A proposito, mi scusi per lo scetticismo che ho mostrato ad inizio navigazione. É un grande capitano, mi piacerebbe molto imparare qualcosa da lei.»

«Non ti preoccupare pivellino, è una cosa che capita a tutti quando salgono per la prima volta su questa nave. Per l’insegnamento, beh, penso che ci sarà tempo e modo, Davven è un tipo che tende a formare una persona a tutto tondo.»

«Cosa vuole dire?»

«Questo devi chiederlo a lui. Ora va, la sua pazienza ha un limite molto ridotto.»

Ioan si affrettò a raggiungere Davven a prua. Lo vide scrutare intensamente l’orizzonte.

«Scusa per l’attesa.»

«Fai bene a soddisfare le tue curiosità, è un sinonimo d’intelligenza.»

«Di cosa volevi parlarmi?»

«Del tuo incontro nell’arena.»

«Sono sei giorni che navighiamo, perché ora?»

«Perché avevo bisogno di tempo per riflettere.»

«Riflettere su cosa?»

«Su quello che ti voglio dire.»

«Non riesco a capire.»

«Non capisci…Dimmi, come ti sei ritrovato quella lancia in mano, quella con cui hai trapassato il bandito quando eri a terra?»

«Era sotto lo strato di terra battuta e sabbia, era ben nascosta ma sono riuscito a percepire il manico in legno.»

«Cazzate!»

«Cosa ne sai tu dell’arena? È normale trovare delle armi sul terreno, specialmente se prima ci sono stati degli incontri!»

«Quello che dici è corretto, ma c’è una piccola cosa che ti sfugge: prima del tuo ingresso, il campo di battaglia è stato completamente ripulito. Sai perché? Per rendere l’incontro che ti vedeva impegnato più spettacolare, o almeno era quello che si augurava il governatore della città; peccato che gli hai rovinato i piani.»

«Non l’avranno notata…»

«Certo, immagino sia usuale non vedere una lancia di quasi due metri nel terreno. Perché non mi dici la verità, Ioan?»

«Cosa dovrei dirti? Me la sono ritrovata tra le mani. Un colpo di fortuna che mi ha permesso di sopravvivere, altrimenti ci sarei rimasto secco.»

«Un colpo di fortuna?»

«Si!»

Davven lo guardò con aria meditabonda, come se quelle parole non l’avessero convinto a fondo. Camminò su e giù per la nave per un po’, cercando di riflettere su ciò che aveva visto quel giorno e su quanto il ragazzo gli aveva detto. Poi, improvvisamente, si fermò dinanzi a lui, scrutandolo in modo serio.

«Ioan!»

«Che c’è Davven?»

«Ho bisogno che tu ricordi.»

«Cosa?»

«Cosa hai pensato quando eri a terra? Quando eri quasi sicuro di morire?»

«Che non volevo morire, che mi sarebbe bastata un’arma per infilzare quel bandito.»

«Quindi hai desiderato di non morire?»

«Con tutte le mie forze!»

«Capisco…Ioan, quella lancia non era a terra.»

«Hai bevuto anche tu quell’intruglio, per caso?» Il ragazzo lo guardò stupito. Non era sicuro che la persona che lo aveva salvato qualche giorno addietro stesse bene di testa.

«Non sono ubriaco, anzi, sono più lucido che mai! Ioan, tu quella lancia l’hai evocata!»

Il ragazzo scoppiò a ridere, ma prima che potesse dire qualcosa l’uomo gli prese il viso tra le mani e lo costrinse a guardarlo negli occhi.

«Pensaci bene ragazzo e rispondi con sincerità. Prima di afferrarla, avevi notato la sua presenza?»

«No…» Disse, dopo un lungo silenzio.

«E ti sembra strano che tu abbia evocato qualcosa?»

«Decisamente, visto che non so usare la magia, ammesso che questa esista.»

«E se ti dicessi che non è così?»

«Cosa vuoi dire?» Il guerriero lo fissò a lungo, una strana sensazione si fece largo in lui: gli stava celando qualcosa. «Mi stai nascondendo qualcosa!?»

«Non proprio. Voglio essere sicuro di ciò che sospetto. Fino ad allora non mi pronuncerò. Fidati di me ragazzo, ok?»

Ioan lo fissò a lungo, soppesò tutte le azioni di quei giorni, decise di fidarsi.

«Va bene. Però, appena sarai sicuro di ciò che pensi mi informerai, chiaro?»

«Perfetto.»

L’urlo del capitano li fece ritornare al presente.

«Terra in vista! A breve sbarcheremo sull’isola di Broken Henge.»

Ioan si precipitò a vedere il profilo che si stagliava all’orizzonte. Sorrise felice, non vedeva l’ora di visitare quel nuovo luogo.

   
 
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