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Autore: NyxTNeko    25/07/2021    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 116 - Non si desidera ciò che è facile ottenere -

13 agosto

Napoleone si era ormai rassegnato alla fine della sua storia con Eugènie, che era tornata ad essere solamente Desirée Clary. Erano quasi due mesi che non gli scriveva più, nemmeno una risposta alle sue ultime lettere, che nel frattempo, erano diventate più fredde e ritornava a darle del voi 'So che conserverete sempre affetto per il Vostro amico, ma che esso non sarà niente più che stima affezionata'.

Pur non avendo ottenuto spiegazioni di tale scelta, il generale aveva compreso che dietro vi era sicuramente la famiglia 'Seguite il vostro istinto, consentitevi di amare ciò che vi è vicino' aveva continuato in un'altra lettera, forse l'ultima, che segnava la fine del rapporto 'Sapete che il mio destino si trova nei rischi della battaglia, nella gloria o nella morte'. Giuseppe, nelle lettere di risposta al disperato fratello, aveva solo accennato a quanto era accaduto, sua moglie gli aveva pregato di non insistere, con grande dolore. Anche lui era dispiaciuto per la sorte di Napoleone, il suo caro fratellino non aveva avuto mai fortuna con le donne. Gli aveva persino confessato, non molte settimane prima, del suo profondo desiderio di mettere su famiglia.

Marsiglia

Il maggiore non aveva mai creduto del tutto alla volontà del fratello di restare scapolo a vita, aveva sempre dimostrato un istinto paterno, nei confronti dei fratelli più piccoli. Senza contare il suo contributo alle spese familiari. Non si era stupito nel leggere queste confessioni così intime e private. Il suo legame con Napoleone era sempre stato molto forte, nonostante i rimproveri che gli aveva fatto spesso.

Inoltre gli aveva riferito l'intenzione di comprare un piccolo castello in Borgogna, precisamente a Ragny, buttando giù alcune torri per renderla una villa, eliminando, così, l'aspetto aristocratico. La sala da pranzo, da sola, secondo lui, era grande quanto la loro ex casa in Corsica. L'ampio spazio esterno sarebbe stato perfetto per poter coltivare cereali. Questa idea stupì non poco Giuseppe, non se lo aspettava da uno come lui. Era sempre stato un uomo in perenne movimento, sia esteriore che interiore. Non riusciva a godere mai di ciò che possedeva, per questo considerava strano la sua proposta decisamente borghese.

Tuttavia apprezzava l'entusiasmo che dimostrava nell'affrontare le sue disgrazie, era sempre pronto a voltare pagina e ricominciare da capo. Lo aveva già fatto quando erano dovuti scappare quasi due anni prima ed ora, a Parigi, in solitudine, seppur avesse i suoi aiutanti come unica compagnia. Non smetteva di spedirgli lettere in cui parlava delle attrattive della capitale francese 'Qui il ricordo del Terrore non è altro che un incubo' ricordava Giuseppe con nitidezza 'Tutti appaiono determinati a recuperare per quello che hanno sofferto; e determinati, a causa del futuro incerto, a non perdere un solo piacere del presente'.

E gli raccontava dei suoi intrattenimenti più intellettuali che sociali, dalle conferenze pubbliche, all'osservatorio che visitava interessato, curioso, discutendo anche con uomini facoltosi senza nessuna remora. Per Giuseppe non era difficile immaginarlo nei teatri di prosa e all'opera, ad ascoltare tragedie ed opere liriche, rapito dalla musica, dalle melodie e dalle parole che erano capaci di coinvolgerlo come poche altre cose al mondo. Suo fratello era sempre stato attratto da qualsiasi evento o accadimento che si svolgesse attorno a lui, ascoltava, osservava, contemplava per poi riflettere e valutare se quel qualcosa gli piacesse o meno. Non c'era ricordo in cui il fratello non fosse assorto o pensieroso. Risuonava il sospiro che usciva dalla sua bocca di tanto in tanto.

'Dal canto mio sono attaccato pochissimo alla vita' gli aveva scritto in un'altra lettera ancora, ironizzando sulla sua misera condizione 'Trovandomi di continuo nella situazione in cui si è alla vigilia di una battaglia, convinto soltanto dal sentimento che quando in combattimento si trova la morte, che termina tutto, essere ansiosi è una follia' e con grande sorpresa di Giuseppe concluse con una battuta che inizialmente aveva preso sul serio 'Essendomi sempre molto affidato al Fato e al destino, amico mio, se continua così finirò per non farmi da parte quando si avvicina una carrozza' immaginò la sua risata fresca, mentre si burlava di lui. In fondo era un bonaccione, aveva imparato a conoscere questo suo lato scherzoso fin dall'infanzia.

- Fratello, fai attenzione mi raccomando - disse poi ripensando alla strategia che stava mettendo in atto per riottenere il suo posto nell'artiglieria. Stava letteralmente giocando con il fuoco, con il ministero della guerra. Stava sfidando individui che avrebbero potuto realmente ostacolarlo. Prese tutte le ultime missive di Napoleone e le rimise a posto, sicuro che ne sarebbero arrivate altre.

Parigi

Il ministero, infatti, non esitava a mandare, ripetutamente, intimazioni a quel generale Buonaparte che continuava a non fornire alcuna spiegazione sul suo rifiuto di recarsi in Vandea, per svolgere il compito che gli era stato ordinato - Vi esortiamo a fornire delle prove di questa fantomatica malattia di cui soffrite e di cui abusate per girovagare in città - ripeteva Napoleone scimmiottando il tono freddo di quei uomini di potere - Oppure licenziatevi del tutto - sogghignò divertito - Non lo farò mai, perché sarebbe una resa nei vostri riguardi ed io voglio vincere - accartocciò la lettera e la buttò a terra, accanto alle altre uguali che gli avevano mandato da mesi.

- Generale - emise Junot alle sue spalle, dopo averlo visto gettare l'ennesima lettera con sdegno e anche capriccio. Perché ai suoi occhi era un suo capriccio, più che una sfida. Che gli costava accettare quel compito e andare lì? Questa sua ostinazione era una perdita di tempo. Anzi avrebbe perso meno tempo nello svolgere il proprio compito, mostrare il suo talento e quindi fornire la prova che serve al ministero e poi tornare ad occuparsi della sua cara artiglieria - Forse dovreste rinunciare a questa lotta che avete ingaggiato con loro...

- Avete paura di quattro individui senza palle, Junot? - gli domandò sarcastico. Si voltò verso l'aiutante e lo guardò a braccia conserte - Non vi facevo così pauroso, ma forse è dovuto al fatto che non state combattendo...chissà... - ridacchiò, punzecchiandolo un po'.

- No... figuriamoci - fece Junot celando un po' di vergogna. Non voleva apparire come un rammollito agli occhi del generale, non lo era affatto, al contrario moriva dalla voglia di puntare i cannoni da qualche parte e far saltare in aria palazzi e nemici. Gli mancava l'azione, l'odore della terra insanguinata, del fango, della guerra in generale. Parigi era bella, ma offriva troppo ozio e divertimento e quando se ne possiede troppo, sopraggiunge la noia - Ma secondo me non otterrete nulla così, se non l'ostilità di quegli uomini...lo dico per voi generale...

- Se fossero stati individui da temere o da controllare lo avrei intuito subito - rispose Napoleone sicuro del suo piano. I suoi occhi brillavano intensamente, quella luce che rendeva il suo sguardo particolare - Ma non sono nemmeno una briciola degli uomini del Terrore - emise tranquillo, agitando la mano all'aria - Per cui so che non potrebbero mai fare nulla contro di me, la prigione l'ho già sperimentata - il suo tono era denigratorio.  Non provava nemmeno un briciolo di stima per i potenti di quel momento storico.

Junot non insistette, sarebbe stato difficile fargli cambiare idea, non che fosse un male per lui, aveva schiere di donne che lo assaltavano ogni qualvolta lo vedevano non era un male e lui iniziava a provare attrazione per alcune di loro. Paolina era ormai un ricordo sbiadito. Uscì dalla stanza del generale e se ne tornò nella sua, a prepararsi per uscire. Voleva essere il più presentabile possibile.

Una volta solo, Napoleone emise un profondo sospiro, si mostrava spavaldo, sicuro di sé, arrogante, ma in realtà rimuginava su quanto gli stava accadendo. Giuseppe gli aveva ricordato di essere prudente e di non pensare più a Desirée. Ma non riusciva a non farlo, il suo rifiuto lo aveva fatto sprofondare nuovamente nell'insicurezza con il gentil sesso. La sua unione con lei gli aveva dato la forza di andare avanti da quel punto di vista, ma adesso? Iniziava a non sopportare più le donne in generale, si era mostrato sempre affabile e cortese con quelle per le quali aveva avuto una cotta, però loro sembravano non apprezzarlo. Lo fissavano nauseate o divertite e a lui, tale atteggiamento, dava tremendamente fastidio.

"Preferiscono i damerini, come Junot, capaci solo di abbindolarle con le loro lusinghe"  pensò disgustato "Ah, se non esistesse l'amore...non ci sarebbe nemmeno l'odio e quindi sofferenza, sarebbe il migliore dei mondi possibili...invece..." si sedette sul letto e alzò la testa. Si strinse nelle braccia "Anche io voglio una famiglia tutta per me, una moglie da amare, dei figli da crescere ed educare..." Era un pensiero egoista, vero, ma tutti gli esseri umani sono egoisti, inutile negarlo. Si agiva sempre per un tornaconto personale, per interesse, per paura, per ambizione ed anche per amore. Tutti fini egoistici "Che cosa c'è che non va in me?" si chiese sospirando ancora. Forse sarebbe rimasta una domanda senza risposta.

"Neanche Luciano se la passa bene" si disse tra sé. Sempre il maggiore gli aveva riferito che il loro caro fratello era stato imprigionato ad Aix-en-Provence a causa del suo passato giacobino. Per fortuna i termidoriani non erano efferati e crudeli come i terroristi, ma doveva sempre tenersi aggiornato, potevano comunque infliggergli pene tremende, se non addirittura la ghigliottina. E non poteva permetterlo, per questo doveva avere le spalle coperte, riavere una posizione stabile, in modo da poterlo aiutare e affidargli compiti che lo avrebbero ricondotto a lui. Solo a quel punto avrebbe potuto utilizzare le doti del fratello minore per sé.

Dopodiché si alzò in piedi e andò alla scrivania, vi era il foglio di carta già pronto, la penna e l'inchiostro. Doveva scrivere l'ennesima lettera al fratello, al momento non aveva nessun altro con cui confortarsi. I suoi uomini gli facevano compagnia, ma non riusciva mai a sciogliersi del tutto in loro presenza. Con il maggiore, invece, sapeva di poter parlare di ogni pensiero gli passasse per la testa. Ed in effetti c'era un disegno che aveva cominciato a formarsi nella sua testa da un bel po' di settimane: accettare l'idea di partire per l'Oriente.

Sentiva di essere chiamato da quell'universo di culture diverse e al tempo stesso simili, un luogo carico di storia millenaria, che lui ammirava e rispettava. Sin da bambino ne era rimasto ammaliato, affascinato dei loro costumi e del loro modo di pensiero. Si morse le labbra, era uno dei suoi sogni poter giungere in quelle terre, in particolare nel cuore dell'Impero Ottomano, la Turchia ed Instabul e mettersi al servizio del sultano. Insegnargli tutti i segreti del suo mestiere, che loro stessi avevano importato in Occidente. La caduta di Costantinopoli, nel 1453, era stato il primo momento di gloria per l'artiglieria, nonostante avesse portato al crollo dell'ultimo pezzo di Impero Romano.

Più di una volta l'Europa aveva temuto di essere islamizzata, l'ultima volta, l'11 settembre del 1683, quando i Turchi furono ad un passo da Vienna, ma vennero sconfitti e ricacciati indietro dal re di Polonia Giovanni III di Sobieski. Avrebbe dato la vita pur di assistere a quel momento: vedere dal vivo i turchi in azione e l'Occidente che resisteva strenuamente. Leggeva quella parte, con particolare trasporto, nei libri di storia, era uno dei suoi momenti preferiti.

Anche se non sapeva precisamente per chi patteggiasse, entrambi erano oggetto di stima e rispetto, seppur mossi dal fanatismo religioso tipico del periodo storico in cui si era svolto il conflitto. Sapeva solo che fu una guerra al pari della Gerusalemme Liberata e che poteva soltanto immaginare e ricostruire nella sua mente. Tuttavia, in quel periodo particolare della sua esistenza, la sua propensione era per l'Oriente, il comportamento degli occidentali, soprattutto dei nemici della Rivoluzione, lo inorridiva. Come si poteva essere così ciechi, tanto ottusi?

Ma non era solo la curiosità e la gloria a fargli rivolgere l'attenzione verso quell'impero sterminato, erano anche le sue ricchezze, immense e molte ancora sconosciute. "La maggior parte di noi occidentali non ha idea di quanti tesori inestimabili ci siano celati tra la sabbia bollente, solo l'inglesi e prima ancora gli olandesi, hanno, in parte, scoperto, attraverso la Compagnia delle Indie, la fonte della ricchezza su cui si reggono gli Ottomani, i francesi sono stati proprio degli stupidi a sopprimere la propria nel 1793 ".

Tale prospettiva gli faceva brillare gli occhi, al pari delle gazze ladre nell'istante in cui avvistano un oggetto prezioso e desiderano impossessarsene. Due diamanti rilucevano al posto delle iridi grigie del giovane generale corso "Anziché unirmi ai turchi potrei farlo con l'esercito della Compagnia stessa, viaggiando in lungo e in largo, alla scoperta di quei mondi meravigliosi, battendomi contro eserciti bizzarri" già si immaginava lì, tra l'odore delle spezie, i colori sgargianti e il suono di lingue strane. A volte era così appagante rifugiarsi nei sogni più segreti, nei desideri più reconditi, quasi proibiti. "Potrei sistemare la famiglia per sempre, e chissà, potrei farlo pure io, le donne orientali sono tra le più affascinanti del mondo, per non parlare della loro docilità e accondiscendenza, non sarebbe un male poterne sposare una, ora che sono di nuovo scapolo". Fantasticava su come sarebbe stata una famiglia simile.

Ritemprato da questo progetto, di getto scrisse al fratello per riferirlo, voleva avere una sua opinione, prima di decidersi del tutto a metterlo in pratica. E anche discuterne assieme agli altri fratelli e in particolare la madre, era cosciente del fatto che fosse difficile convincerla più degli altri, sui benefici di un simile viaggio.





 

 

   
 
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