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Autore: Baudelaire    25/07/2021    2 recensioni
Rebecca Bonner sta per tornare ad Amtara, per il suo secondo anno.
Questa storia è la continuazione della mia precedente "La stella di Amtara".
Cuore di ghiaccio diCristina è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Usciti dall’ufficio della Collins, la Poliglotter e il professor Christie spedirono Rebecca e le gemelle a lezione.
“Ma professoressa!” – protestò Rebecca.
“Non voglio sentire una parola, Bonner. Hai fatto quello che dovevi, ma ora spetta a noi occuparcene.”
“Ma sono stata io ad avere la Premonizione!”
Gli occhi della Poliglotter lampeggiarono. “Lo so benissimo, Bonner. Ho ascoltato ogni tua parola e ti garantisco che sarò perfettamente in grado di riferire il tutto alla preside.” – rispose in tono perentorio.
Rebecca non potè fare altro che avviarsi verso l’aula del professor Garou, insieme a Brenda e Barbara.
“Riusciranno ad avvertirle?” – chiese loro Rebecca, quando si furono allontanati.
“Abbi un po’ di fiducia, Rebecca.” – rispose Brenda. “Sono professori e sanno usare la magia.”
Ma Rebecca non riusciva a darsi pace. Avrebbe preferito parlare personalmente sia con la preside che con la Rudolf. Avrebbe potuto raccontare nei dettagli la Premonizione, sicuramente meglio di quanto avrebbe fatto la Poliglotter.
Ed era profondamente in ansia per quello che aveva visto. La stanza in cui si trovava doveva essere la camera della Rudolf ad Amtara. Tutto sarebbe avvenuto quella notte?
Non sapeva a che ora sarebbero tornate, probabilmente tardi.
Rebecca non aveva idea di dove si sarebbero svolti i funerali, né a che ora. Forse si sarebbero fermate più a lungo, certo avrebbero voluto scambiare due parole con i parenti delle vittime.
Ripensò alle parole di Jennifer, che aveva salvato sua madre grazie ad una Premonizione. Forse ora sarebbe toccato a lei salvare qualcuno, e trovava curioso che si sarebbe trattato proprio dell’insegnante con la quale aveva instaurato un rapporto problematico, all’inizio dello scorso anno.
Se la Rudolf avesse perso la vita per causa sua, non se lo sarebbe mai perdonato…
Doveva impedirlo, a qualunque costo. Avrebbe chiesto a qualcuno dove si trovava la stanza della Rudolf e avrebbe fatto la guardia per tutta la notte davanti alla porta, se necessario. Qualunque cosa, pur di impedire che la Premonizione si avverasse.
In fondo, pensò con amarezza, se davvero di Posimaar si trattava, gli avrebbe facilitato il compito. Era lei quella che stava cercando, quindi si sarebbe fatta trovare. Non gli avrebbe permesso di torcere un solo capello alla Rudolf.
Si sarebbero scontrati, finalmente, faccia a faccia.
Cercò di scacciare dalla mente l’immagine del Demone di fuoco che le si avvicinava. Non doveva pensarci, o non sarebbe mai riuscita a mantenere fede ai suoi propositi.
Rebecca trascorse una giornata terribile, che peggiorò ulteriormente nel tardo pomeriggio quando la Poliglotter la avvicinò per informarla che non erano ancora riusciti ad avvisare la preside e la Rudolf.
Rebecca sbiancò. “Ma…. Com’è possibile?” – mormorò, incredula.
“Mi dispiace, Bonner. Non le abbiamo trovate. Non possiamo fare altro che aspettare il loro ritorno.”
Rebecca non riusciva a crederci. Erano o non erano maghi? E dove potevano essere finite le due donne, tanto da risultare irrintracciabili?
Un pensiero terribile si affacciò alla sua mente. E se Posimaar avesse agito lontano da Amtara?
No, impossibile. La stanza era ad Amtara, ne era certa. E le Premonizioni non mentivano mai. Il Demone avrebbe atteso il ritorno della Rudolf per attaccare.
Probabilmente era già lì attorno, da qualche parte, che la stava spiando, facendosi beffe di lei.
“Bonner, ti garantisco che non andrò a dormire finchè non saranno tornate. Mi assicurerò che la professoressa Rudolf sia al sicuro. Io e il professor Christie ci daremo il cambio, se dovessero tardare troppo.”
Rebecca avrebbe voluto risponderle che ci avrebbe pensato lei a difendere la Rudolf, ma sarebbe stato fin troppo azzardato. I professori non le avrebbero mai permesso di mettere a repentaglio la sua incolumità.
Doveva fidarsi di loro.
Restò a guardare la Poliglotter mentre si allontanava, con un peso insopportabile sul cuore.
 
Quella sera Rebecca, Brenda e Barbara restarono sveglie fino a tardi. Anche volendo, non sarebbero riuscite a dormire.
Rebecca non faceva che pensare e ripensare al ringhio udito in quella stanza. Le ricordava i suoni emessi da Cogitus, una volta trasformato in lupo. Che si fosse trattato di qualcosa di simile? Ripensò al rumore degli abiti lacerati e poi a quell’odore terribile. La bestia doveva aver attaccato ferocemente, senza pietà, e la povera donna non aveva avuto nemmeno la possibilità di difendersi.
Tutto era accaduto troppo in fretta. La donna aveva appoggiato lievemente l’orecchio alla porta, poi l’aveva aperta piano, molto piano… ed era stato allora che quella si era spalancata di colpo. Questo significava che lei doveva aver sentito qualcosa e che Posimaar si trovava esattamente dietro la porta. La stava aspettando, sapeva che era lì. E aveva aspettato il momento più propizio per attaccare.
Rebecca guardò l’orologio, domandandosi se le due donne fossero già tornate.
Pensò alla Poliglotter e al professor Christie, reprimendo l’istinto di infilare la vestaglia e scendere a dare un’occhiata.
D’altra parte, c’era anche la possibilità che il Demone non avrebbe attaccato quella notte. Ma quale momento migliore, se non quello in cui la Rudolf sarebbe rientrata tardi nella sua stanza?
Lei e le gemelle restarono sveglie ancora a lungo, parlando di quello che sarebbe potuto accadere. Poi, la stanchezza ebbe il sopravvento e alla fine, esauste, si addormentarono.
 
“Vai pure a dormire, Ignatia. Resterò io di guardia.”
Il professor Christie aveva raggiunto la Poliglotter, nell’atrio di fronte al portone d’ingresso.
“Non ti preoccupare, Daniel. Non riuscirei comunque a dormire.” – rispose, stringendosi addosso lo scialle.
Tutto il castello era avvolto nel silenzio. Di tanto in tanto, qualche fata spuntava dal buio e scivolava loro accanto, senza far rumore. Ormai erano tutti abituati alla loro discreta presenza, a qualunque ora del giorno e della notte.
“Stai pensando alla Premonizione di Rebecca Bonner, vero?” – le chiese il professore.
La Poliglotter annuì. Il suo volto pallido appariva quasi spettrale alla tenue luce delle torce.
“E’ terribile. Dobbiamo assolutamente avvisarla. Non posso pensare che le possa accadere qualcosa di terribile.”
“Siamo qui per questo.”
L’insegnante sbuffò. “Solo non capisco perché ci stanno mettendo così tanto. Il funerale si è tenuto questa mattina.”
“Si saranno trattenute con le famiglie. Lo sai come vanno queste cose.”
“Sì, ma è molto tardi. Dovrebbero già essere di ritorno, ormai.”
“Vedrai che saranno qui a momenti.”
Il professor Christie, deciso a non lasciarla sola, aspettò insieme a lei il ritorno delle colleghe.
Un’ora dopo, ancora nessuna traccia della preside e della Rudolf.
Stanca e provata, la Poliglotter stava per imprecare ad alta voce, quando un fruscio proveniente dalle scale la fermò.
Si voltarono entrambi, spaventati. Qualcuno stava venendo verso di loro e fu solo quando la figura passò oltre le torce che la riconobbero.
Era la Collins, avvolta in una lunga vestaglia di lana color amaranto e i capelli intrecciati dietro la nuca.
La Poliglotter si portò una mano sulla bocca, per soffocare un grido.
“Dana! Che cosa ci fai qui?” – esclamò, atterrita.
Il professor Christie fissava la preside imbambolato.
“Come sarebbe a dire?” – replicò la Collins, irritata. “Voi, piuttosto, che ci fate lì davanti al portone? Si gela qui dentro.”
“Vi stavamo aspettando.”
“Siamo rientrate da un bel pezzo.”
“E da dove siete entrate?” – domandò la Poliglotter, mentre un terribile presentimento cominciava a farsi strada dentro di lei.
“Dall’ingresso posteriore. Perché?”
I due professori impallidirono.
“A… a che ora siete tornate?” – mormorò la Poliglotter.
“A mezzanotte.”
La Poliglotter guardò l’orologio. Era la una passata.
“Oh mio Dio…” – gemette.
La Collins si adombrò. “Ignatia, vuoi dirmi che sta succedendo?” – tuonò minacciosa.
“Dana, dov’è Alamberta?” – domandò la Poliglotter, con il cuore in gola.
Ora anche il professor Christie pareva essersi ridestato e spostava lo sguardo dall’una all’altra con espressione angosciata.
“In camera sua. Starà dormendo, credo. Ed è quello che dovremmo fare tutti.”
In quel momento, udirono un grido terrificante provenire dai piani superiori.
Si guardarono, atterriti.
Poi, il professor Christie si lanciò su per le scale, seguito a ruota dalle colleghe.
Arrivarono al piano dove si trovavano le camere degli insegnanti, ma le luci erano spente.
Avanzarono nel buio, alla cieca.
“Daniel!” – gridò la Collins.
“Da questa parte!” – rispose lui.
La preside e la Poliglotter avanzarono, seguendo il suono della sua voce.
“Dio, speriamo non sia troppo tardi.” – mormorò la Poliglotter, angosciata.
“Troppo tardi per cosa?” – le chiese la Collins. “Vuoi spiegarmi che diavolo sta succedendo?”
“Temo che lo scoprirai molto presto.”
Avanzarono ancora nel buio, tenendosi per mano.
Poi, improvvisamente, la Collins si fermò e la Poliglotter andò a sbattere col naso contro la sua testa.
“Che succede?”
“Ssht. Ho sentito qualcosa.”
Restarono immobili, in ascolto.
Ora anche la Poliglotter lo avvertì. Un suono sommesso, come un respiro strozzato.
C’era qualcuno, proprio lì accanto a loro.
Con il cuore che le martellava nel petto, la Poliglotter tremava.
“Venite, presto!”
La voce del professor Christie le fece sobbalzare.
Tesero di nuovo l’orecchio, ma non sentirono più nulla.
Con grande cautela, avanzarono ancora.
Poi, il corridoio si illuminò e videro una luce provenire dalla stanza della Rudolf.
Si voltarono entrambe, per verificare se ci fosse qualcuno dietro di loro.
Erano sole.
Entrarono nella camera della Rudolf e quello che videro le fece inorridire.
La Poliglotter si appoggiò allo stipite della porta, così pallida che la Collins pensò sarebbe svenuta da un momento all’altro.
“Siediti, Ignatia.”
La Poliglotter obbedì.
Di fronte a loro, il professor Christie era chino sulla Rudolf, che giaceva a terra in un lago di sangue. Il suo corpo era stato lacerato da graffi e morsi, con una ferocia inaudita.
La Collins comprendeva perfettamente lo stato della sua collega. Lei stessa non aveva mai assistito ad uno spettacolo tanto raccapricciante.
“Daniel…è…è….?”
“No. Respira ancora.” – rispose il professore. “Ma non c’è un minuto da perdere. Dobbiamo portarla dalla Anderson.”
La Poliglotter piangeva.
“Ignatia, non è questo il momento.” – le disse la Collins, in tono più rude di quanto non avesse voluto.
La Poliglotter annuì, asciugandosi in fretta le lacrime.
Senza guardare il corpo straziato della Rudolf, seguì il professor Christie, che con un semplice movimento della mano l’aveva sollevato in aria, davanti a sé.
La Collins camminava dietro di loro, sconvolta e incredula. Solo un’ora prima lei e Alamberta si erano salutate, prima di andare a dormire. Ora, l’aveva ritrovata in un bagno di sangue, la vita appesa ad un filo.
Chi mai poteva aver usato tanta violenza contro di lei?
E per quale ragione?
Era la stessa persona che aveva ucciso Alvis?
Amtara non era più un luogo sicuro, ormai doveva riconoscerlo. Il Consiglio stesso aveva espresso i suoi dubbi, a tale proposito.
E come mai aveva la sensazione che la Poliglotter sapesse che qualcosa di terribile stesse per accadere alla Rudolf?
Che ci facevano lei e il professor Christie davanti al portone, in piena notte?
Stavano aspettando il loro ritorno, ma perché?
Ora, però, doveva pensare solo ad Alamberta. La Anderson doveva salvarla, a qualunque costo.
Di tutto il resto, se ne sarebbe occupata dopo.
 
Per quanto fosse abituata al sangue e alle ferite, la Anderson si spaventò quando vide le condizioni della Rudolf.
Adagiarono il corpo sul letto.
La Rudolf emise un debole gemito e per un istante tutti pensarono che stesse per svegliarsi, ma subito tornò al suo stato d’incoscienza.
Era pallidissima.
La Collins si rivolse alla Anderson. “Salvala. A qualunque costo.”
“E’ in uno stato pietoso. Non posso garantirti nulla.” – replicò l’infermiera, seria.
“Non importa. Fa quel che devi.”
“Chi…chi è stato a farle questo?”
“Non lo sappiamo.”
“E’ proprio come Alvis.”
La Collins aggrottò la fronte. “Che vuoi dire?”
“Le ferite sono le stesse. Identici segni, identici morsi. Sono sicura che chi ha ucciso Alvis è la stessa persona che le ha fatto questo.”
La Collins barcollò. “Sei…sei sicura?”
La Anderson annuì. “E’ il mio lavoro. Sono sicura.”
I tre professori si scambiarono un’occhiata preoccupata.
Poi, senza ulteriori indugi, la Anderson li invitò ad uscire e cominciò ad occuparsi della Rudolf.
 
Fuori dall’infermeria, la Collins guardò in faccia i due colleghi.
“Lo so che siete esausti, e lo sono anch’io. Ma ho bisogno di sapere cos’è successo mentre eravamo via.”
“Sì.” – rispose la Poliglotter.
Seguirono la Collins nel suo ufficio, che preparò il caffè per tutti.
Sarebbe stata una lunga notte.
“Rebecca Bonner è venuta a cercarti, questa mattina.” – esordì la Poliglotter. La Collins la fissò, sorpresa. “E’ venuta a cercarmi? E perché?”
Sapeva quanto Rebecca fosse restia a chiedere l’aiuto di chiunque. Se l’aveva fatto, doveva esserci un buon motivo.
“Ha avuto una Premonizione, ieri, durante la mia lezione.” – intervenne il professore. “E’ svenuta in classe e quando si è ripresa l’ho mandata in infermeria. Ma non ha raccontato niente a nessuno. Solo questa mattina abbiamo saputo che aveva avuto una Premonizione.”
“E che cosa ha visto, esattamente?” – chiese la Collins.
“Si trovava nella stanza di Alamberta.” – rispose la Poliglotter. “L’ha vista avvicinarsi alla porta, poi qualcuno è entrato e l’ha aggredita. Ma era tutto buio, purtroppo, non è riuscita a vedere chi fosse.”
“Dio mio…” – mormorò la preside.
“Vi abbiamo mandato un messaggio, non appena l’abbiamo saputo, ma credo non l’abbiate ricevuto.”
“No, non ho ricevuto niente. Siamo rimaste con le famiglie, per tutto il giorno.”
“Sì, lo immaginavo. Così abbiamo deciso di aspettare il vostro ritorno, ma…”
“… ma noi siamo entrate dal retro, e non ci avete visto.” – concluse la preside.
“Già.”
“Sono sicuro che siamo comunque arrivati in tempo.” – disse il professor Christie. “Ce la farà.”
La Collins non rispose. Non si dava pace. Rebecca Bonner aveva avuto bisogno di lei e lei non c’era.  Si malediva per questo, ma non avrebbe mai potuto non presenziare al funerale. Era stato pietoso. Aveva porto le sue condoglianze alle famiglie, sentendosi in qualche modo responsabile per quelle morti assurde. Camilla, come Bonnie, era stata una sua allieva. Non era stata in grado di insegnare loro a difendersi dal Demone come avrebbero dovuto. Aveva fallito.
E ora, il pericolo era dentro la scuola.
Per fortuna, i suoi due colleghi avevano preso la decisione giusta. Si erano comportati egregiamente. Se solo loro fossero entrate dal portone principale, forse ora Alamberta non si sarebbe trovata in infermeria, a lottare tra la vita e la morte.
Ripensò alle parole della Anderson. L’aggressore era lo stesso di Alvis.
Qualcuno minacciava la tranquillità di Amtara.
Ma chi?
Posimaar?
Se fosse stato lui, per quale motivo colpire uno Gnomo e un insegnante?
Rebecca Bonner era proprio lì, ad Amtara.  Perché non aveva attaccato lei?
C’era la possibilità che Cogitus avesse mentito? Il Demone non voleva uccidere Rebecca Bonner? Ma che ragione poteva avere Cogitus di mentire su una cosa del genere? In fondo, lui stesso aveva ammesso di aver rapito le Prescelte proprio per attirare Rebecca in trappola.
“Ignatia.” – disse ad un tratto la Collins, ripensando a tutto quello che era accaduto quella notte. “Hai sentito anche tu quel respiro, prima nel corridoio, non è vero?”
La Poliglotter la guardò, pallida. “Io… ho sentito qualcosa, sì. Ma non so esattamente cosa.”
“C’era qualcuno lì accanto a noi.”
“Quando? Dove?” – domandò il professor Christie, perplesso.
“Mentre stavamo per raggiungerti.” – rispose la preside, senza smettere di guardare la Poliglotter. “Il corridoio era al buio. Avanzavamo piano, fin quando non abbiamo sentito qualcuno che respirava vicino a noi. Sono sicura che se solo avessi allungato la mano, sarei riuscita a toccarlo.”
“Per fortuna non l’hai fatto.” – mormorò la Poliglotter.
La Collins inarcò un sopracciglio. “Se l’avessi fatto, forse ora avrei catturato l’assassino.”
“Se l’avessi fatto, forse ora saresti morta.” – replicò il professore, asciutto.
La Collins scosse piano la testa, sospirando profondamente.
“E’ stata una fortuna che non vi abbia attaccato.” – continuò il professor Christie.
“Già, ma perché non l’ha fatto?” – si domandò la Poliglotter a voce alta. “Se davvero era lui, perché non ha cercato di uccidere anche noi?”
La Collins alzò le braccia. “Questo è un altro mistero da risolvere. Sentite, si è fatto molto tardi e ormai mi avete detto tutto quello che volevo sapere. Andate a dormire. Domani ci aspetta una lunga giornata. Tutte le Prescelte sapranno quello che è successo, in qualche modo dovrò spiegare la situazione.”
“Quando lo verranno a sapere i genitori, saranno guai grossi.” – disse la Poliglotter.
“Sì. Affronterò anche questo.”
Li mandò a dormire, pensando che avrebbe dovuto farlo anche lei.
Era stata una lunga giornata, conclusasi nel peggiore dei modi.
Tuttavia, non sarebbe riuscita a dormire, senza sapere come stava Alamberta.
Decise di lasciar perdere il sonno e di tornare in infermeria per parlare con la Anderson.
 
Il mattino seguente, com’era prevedibile, le voci su quello che era successo alla professoressa di Protezione fecero presto il giro della scuola.
A colazione, tutti già sapevano.
Il cuore di Rebecca quasi si fermò. Non poteva credere che i suoi peggiori timori si fossero avverati. Evidentemente, la Poliglotter non era riuscita a mantenere la sua promessa. Qualcosa doveva essere andato storto.
Non appena la vide, seduta al tavolo dei professori, insieme al professor Christie, Rebecca decise di andare a parlare con loro. Aveva tutto il diritto di sapere com’erano andate le cose.
Ma non fece in tempo ad alzarsi che la Collins entrò in Sala da Pranzo, dirigendosi verso di lei.
“Bonner.”
“Buongiorno, professoressa.”
“Buongiorno. Ho bisogno di parlare con te. Ora.”
Rebecca annuì.
Non aspettava altro.
   
 
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