Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Enchalott    26/07/2021    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
**************************************************
Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Esibizione di forza
 
Le nubi sopra Minkar roteavano compatte a occultare il sole, ma la pioggia torrenziale era cessata. Il terreno era un pantano, il vento sferzava le stoffe delle uniformi e faceva schioccare il vessillo con il Sole Trigemino in campo carminio, sormontato dal diadema reale.
Sheratan seguì gli ultimi granelli della clessidra sancire la scadenza dell’ultimatum.
Dai bastioni non venne issata nessuna bandiera a indicare la resa. L’immobilità e il silenzio, interrotti dal pigolio insoddisfatto dei vradak, erano la risposta.
Scambiò uno sguardo eloquente con Eskandar.
Le fila schierate dei Khai si aprirono, mentre un uomo in catene veniva trascinato sullo spiazzo. Lo costrinsero a inginocchiarsi nel fango: quello si mosse a stento, i segni della paura e delle percosse sul volto contratto, gli abiti strappati e striati di sangue. Il sovrano minkari, dopo settimane di detenzione, non conservava nulla di regale. Era stato trattato come un prigioniero qualsiasi, tenuto in vita in base all’utilità.
Assiso sul seggio guarnito di pellicce, Mahati assentì. Se il vento non avesse mosso il lembi del mantello bianco e gli orecchini non fossero oscillati al movimento della testa, non avrebbe avuto niente da invidiare a una statua terrificante. Le corna svettanti dal diadema ombreggiavano il volto arrossato dal dorcha, gli artigli tinti di nero erano appoggiati ai decori del bracciolo e il thyr fiammeggiante spuntava dallo scollo. Sollevò il viso alla città, gli occhi nocciola balenarono feroci a contrasto con il bistro nero.
«Regina Amshula!» tuonò Sheratan «L’ultima ora sarà scandita dalla morte di vostro marito. Capitolate prima che le nostre lame intacchino la sua carne!»
 
La reggente di Minkar, riparata dalla merlatura squadrata del baluardo, aveva seguito l’albeggiare tetro di quel giorno. Era riuscita a identificare a malapena il consorte, non per la distanza ma per l’aspetto devastato.
A titolo si sfregio, il generale nemico aveva gettato nella mota la corona dell’Irravin e l’oro scintillava come una stella caduta anzitempo. L’aut aut successivo era impattato alla stregua di un’esplosione. Il primo pensiero era andato al figlio, che l’affiancava sul bastione con gli occhi pieni di lacrime.
«Allontanate il principe, generale.»
«Madre, voglio restare!»
«Non è posto per te, Shaeta. Segui Daniyal senza discussioni.»
«Tutti penseranno che sono un vigliacco!»
«È un mio ordine, il re sarebbe d’accordo. Desideri rattristarlo?»
Il ragazzo spalancò gli occhi scuri e mosse le labbra, ma non ne uscì alcun suono.
La regina si voltò alla piana antistante, ritta in dignitoso silenzio difronte agli avversari.
Daniyal inghiottì la commozione nello scorgere le lacrime dell’erede al trono.
«È necessario che la vostra mente rimanga lucida, altezza» gli spiegò «Fare un passo indietro per progettarne dieci in avanti.»
Shaeta si fermò al fondo della scalinata, gettando un’occhiata al luogo sopraelevato da cui era sceso. Si asciugò il viso con l’orlo della manica, il cuore in pezzi.
«Perché non ci arrendiamo, Daniyal? Perché mio padre deve morire?»
Questi si genufletté, sorridendogli con tristezza.
«La guerra non deve varcare le nostre difese morali, mio signore. I Khai non provano pietà, se vostra madre dichiarasse la sconfitta sarebbe un massacro: invece la vita della maggioranza ha precedenza su quella del singolo, compreso chi amiamo.»
Le lacrime ripresero a scorrere sulle guance del ragazzo. Il generale non poté evitare di pensare che, se avesse saputo quale mostro era suo padre, forse non avrebbe provato afflizione.
«Rimarrete con me, Daniyal? Siete l’amico più caro che ho, se piango davanti a voi non mi vergogno tanto.»
«Finché lo riterrete necessario, mio signore.»
 
In risposta al silenzio, Eskandar snudò la lama ricurva. La calibrò sul prigioniero, teso sul ceppo e bloccato dalla morsa dei guerrieri khai. Questi serrò le palpebre e mormorò una preghiera. La spada calò, troncandogli il braccio poco sopra il polso.
L’urlo agghiacciante echeggiò contro le mura e sfumò in un mugolio animalesco. Un brivido gelato corse lungo le fila minkari.
«Cauterizzate. Non deve morire dissanguato.»
L’odore di carne bruciata esalò dall’uomo riverso, che non si accorse che i nemici avevano fermato l’emorragia con un coltello arroventato e un laccio, bloccandogli poi l’arto sinistro sul legno.
Un vradak si levò in volo ed effettuò la macabra consegna, lasciando cadere il primo pezzo del re all’interno delle difese.
«Forse i bambini minkari sono tanto deboli da non sopportare la vista del sangue?» gridò sarcastico il generale «Per questo impedite al principe della corona di ammirare quello di suo padre?»
Amshula sussultò al tonfo del brandello sanguinolento che si schiantava al suolo e si asciugò il sudore freddo, sperando che Shaeta fosse lontano. Uno dei consiglieri le suggerì di parlamentare, ma lei lo zittì.
La spada di Eskandar si abbatté inesorabile allo scoccare del tempo, mutilando Namta del secondo braccio. Uno spruzzo scarlatto più intenso del primo sprizzò dal moncherino e tinteggiò il fango, indicando la gravità della ferita e dimostrando l’atroce abilità dei Khai nel riconoscere al centimetro i punti da colpire. Sarebbe stato un crescendo di tortura e brutalità.
Al piombare del nuovo lacerto umano nel cortile interno, alcuni dignitari diedero di stomaco, i soldati fremettero e la regina fu costretta a reggersi al mancorrente.
Non era un’azione di guerra, era un abominio. Quando vide che i demoni spogliavano quel che restava del re, comprese che l’amputazione successiva sarebbe stata umiliazione aggiunta allo scempio. Inalò l’aria e si rivolse al capitano degli arcieri, pronta a rispedire al mittente le obiezioni.
Il luccichio delle frecce tra le merlature non sfuggì a Eskandar.
«Sommo Kharnot, vogliono uccidere il prigioniero. Lo stormo è pronto a dissuaderli.»
«No» decise Mahati gettando un’occhiata a Namta, che ciondolava seminudo sul ceppo.
«Non reggerà il terzo taglio. Reshkigal ha richiamato la sua anima sulla soglia eterna, ma i sudditi lo pensano cosciente. È ancora possibile incrinarne l’ostinazione.»
«Amshula lo lascerà morire. Gli prepara un addio dignitoso, ma le porte della città resteranno chiuse.»
«Ardimentoso per una Minkari» considerò Eskandar.
Il Šarkumaar avanzò verso il sovrano nemico. La guardia personale si schierò a sua difesa, ma lui ordinò di lasciare piena visibilità. Sguainò la spada e la tenne sollevata, sfidando gli arcieri a batterlo sul tempo. Negli occhi balenò l’indomabilità feroce della sua stirpe, che non temeva nulla e conquistava sempre ciò che bramava.
Vibrò il fendente. La testa mozzata rotolò ai suoi piedi. Il corpo martoriato ebbe uno spasmo e si abbatté scomposto nel pantano. Il getto di sangue gli inondò gli abiti e gli macchiò la pelle. Una goccia corse sul filo della lama e scese lungo il polso.
Un nugolo di saette si levò dalla capitale, abbattendosi sugli scudi dei Khai.
Mahati ignorò la pioggia letale e affidò la spada a un attendente, che si precipitò a mondarla. Si fece portare una coppa di vino e attese che il lancio si esaurisse.
«Brindo a Belker, signore di tutte le Battaglie! Al coraggio che gli è compagno e delinea il valore di un mortale!»
Bevve un sorso e versò in libagione ciò che restava sulla chiazza vischiosa che impregnava il suolo, dove fino a un attimo prima giaceva il cadavere di Namta.
«Attingete al vostro, cittadini di Minkar, quando sarà il sangue dei vostri figli a inzuppare la terra! Biasimate la vostra caparbietà! Il prossimo a tornare in pezzi sarà l’erede al trono!»
 
Amshula ascoltò la minaccia con il cuore che schizzava fuori dal petto. Trovò Daniyal di guardia agli appartamenti reali e gli strinse le spalle con poca formalità.
«Shaeta corre un pericolo mortale! I Khai mirano a lui, se gli accadesse qualcosa…»
L’uomo si inchinò, i capelli bruni gli piovvero sulla fronte.
«Sul mio onore e sulla mia vita, non lo permetterò.»
Lei accolse con sollievo la promessa. Sedette sulla sponda del letto, ove il giovane principe giaceva addormentato, vinto dalle lacrime e dalla notte in bianco.
«Mi odierà» mormorò sconfortata.
«No, mia signora. Possiede un cuore generoso e sa distinguere il bene dal male. In questo assomiglia a voi.»
Amshula accarezzò la chioma castana del figlio, chiedendosi quanto casuale fosse quell’affermazione gentile.
«Sarò qui fuori» garantì Danyal accostando la porta.
 
Mahati passò il panno umido sull’epidermide, ripulendosi dal sudore e dal sudiciume, aspetti detestabili del combattimento sul campo. Immerse la pezzuola e la strizzò: l’acqua si colorò di un rosso più acceso di quello del dorcha, determinando il grado di violenza dello scontro appena concluso.
La cavalleria minkari aveva attaccato in risposta alle intimidazioni o forse per recuperare il corpo del re, al fine di celebrare esequie pseudo onorevoli. Inutilmente: il corpo smembrato del nemico era stato restituito a rate, come garantito.
Eskandar aveva appiccato il fuoco alle catapulte e, senza l’ostacolo dei proiettili incendiari, i vradak avevano mietuto vittime finché non era calato il buio. L’oscurità non era un problema per i Khai, tuttavia serbava la carta, spinto dalla sensazione che la fine dell’assedio fosse tutt’altro che prossima.
In barba all’ultimo vaticinio.
Aveva scelto di partecipare all’offensiva, sebbene il suo secondo si fosse opposto. Mahati aveva sentito l’impellente bisogno di sfogare la rabbia prima che ottenebrasse il lato sensato sul quale faceva costante affidamento.
Tutta colpa di Rhenn!
Ripensò alle parole che gli avevano provocato la reazione furibonda. Mai come allora si era scorto sul punto di varcare il confine. Strinse tra le dita il ciondolo che gli pendeva dal collo. Non avrebbe dovuto mostrare che la provocazione aveva colto nel segno, tanto più che l’aikaharr era inviso anche a suo fratello. Esecrarlo dal profondo dell’anima era uno dei pochi aspetti che li accomunava. Si era trattato di una trappola emotiva, vi era precipitato a capofitto come un dilettante.
Al suo posto, pur schiumando, Rhenn non lo avrebbe dato a vedere. Vantava la straordinaria capacità di restare indifferente e in ciò era invidiabile.
Avrebbe pensato con calma al modo di restituirgli il favore, quando fosse stato in grado di incrociarlo senza essere sovrastato dall’impellenza di spezzargli il collo.
Sbuffò seccato. Gli incontri notturni alla piscina erano uno dei rari pregi di Mardan e il primo aspetto che veniva a mancare era il loro continuo punzecchiarsi. Si capivano al volo, sebbene alcune vedute rimanessero inconciliabili.
Come quella del matrimonio, per esempio.
Mahati terminò di spogliarsi e gettò l’acqua ormai inservibile.
La responsabilità del perdurare della collera non era tutta di Rhenn. Kaniša lo aveva convocato con l’ordine di immediato rientro a Minkar. Prima di congedarlo gli aveva domandato se la principessa salki fosse di suo gradimento, se stesse imparando le usanze khai, quando si sarebbero recati al suo regio cospetto per ufficializzare il fidanzamento. Un’esortazione alla quale era stato costretto a replicare in modo affermativo. Per fortuna non era sceso in questioni personali, chiedendogli conto dei rapporti fisici.
Imprecò tra le zanne. Perché pensare a un diverso scopo della visita? Kaniša era apparso rilassato: non nell’aver appreso che il suo secondogenito era lieto di prendere moglie, ma in quanto il vaticinio aveva rappresentato la necessità dell’unione per l’equilibrio del regno.
All’inferno lui, la maledetta tradizione e tutte sue le insane superstizioni!
Considerando che Rhenn era il portatore della fiamma e che la pithya pareva pronta a esaudire ogni suo capriccio, la volontà di Belker appariva settaria.
La sacerdotessa non gli piaceva: era sfuggente, il suo sguardo era torbido, Rhenn ne era consapevole, ma per qualche ragione la apprezzava. Mahati forse aveva inteso quale ed era stato tentato di approfondire, tuttavia aveva dato precedenza alla guerra.
Forse era giunto il momento di tornare sulla decisione: essere costretto a lasciare Mardan senza possibilità d’appello era un’offesa al suo ruolo di Kharnot. Un insieme di parole sconnesse, derivanti dalle esalazioni nauseabonde dell’incenso, davanti al sovrano dei Khai aveva più influenza di lui. Era inaccettabile. Ne andava dell’orgoglio personale e della libertà di scelta. Adorava combattere, ma non tollerava di essere comandato come uno shitai. Senza contare che non era riuscito a riposare.
I lembi del padiglione si mossero all’ingresso del suo braccio destro. Gli occhi ciclamino ammiccarono all’espressione meditabonda del principe.
«Ti attendiamo per il desinare, non sei ancora pronto?»
L’amicizia secolare lo autorizzava alla familiarità in privato. Eskandar era devoto e leale, Mahati gli avrebbe affidato la vita. Pensò di parlargli dei sospetti sul fratello, delegandolo a investigare. Ma non quella sera.
«Iniziate senza di me, non sono di compagnia.»
«Comprendo l’origine del malumore, ma considera che banchettare con i Khai dopo una vittoria costituisce un toccasana.»
«Non hai tutti i torti.»
Il generale sorrise di rimando, prendendo dal tavolino la scatoletta del dorcha.
«Ti aiuto. Sapendo quanto sei pignolo, ceneremmo all’alba.»
«Ho avuto un maestro scrupoloso. Sembra che tu sia reduce da una cerimonia, non da una battaglia nel pantano.»
«Il segreto è nella vanità» scherzò il reikan attingendo al colore «Mahati, sei ferito?» aggiunse aggrottando le sopracciglia.
«Cosa?»
Eskandar non lo chiamava quasi mai per nome: un modo di rispettare la gerarchia nonostante il legame fraterno. Quando accadeva, era indice di preoccupazione. Raggiunse con le dita il fianco destro e i polpastrelli saggiarono una lieve abrasione.
«Stupide frecce minkari! Un colpo di striscio, non sanguina nemmeno.»
«Non sembra la scalfittura di un dardo. Ti fa male?»
«Non me ne sono neanche accorto.»
«Un’altra stranezza, di solito la punta di uno strale provoca un lieve bruciore.»
«Tsk, quante storie! Domani sarà guarita.»
Lungi dal tranquillizzarsi, il reikan esaminò la lesione alla luce della lampada a olio, ignorando il borbottio seccato del principe.
«Perdonami» asserì con il tono di chi non si stava affatto scusando.
Si chinò, appoggiò le labbra sull’escoriazione e aspirò forte.
«Vuoi piantarla!? Sono immune ai veleni e… ah!»
La ferita gli spedì una fitta al cervello e prese a sanguinare. L’amico lasciò che sfogasse, la disinfettò e la medicò.
«Una scheggia?» s’informò il Kharnot.
«Aveva l’aspetto di un’ustione, ma quando ho risucchiato ha iniziato a comportarsi come un normalissimo taglio. Sarebbe opportuno parlarne con un guaritore.»
«Tsk. Come se non mi fosse mai successo.»
Mahati infilò gli orecchini ai lobi e indossò i bracciali. Infine calzò il diadema e indicò l’uscita.
 
 
Belker passò la mano sulle fiamme violacee, che virarono alla tinta originaria. Due epharat attendevano inginocchiate ai piedi dello scranno, inguainate nella pelle nera. Le piume di metallo sulle spalle rimandarono la vampa del fuoco, ripartendola in un caleidoscopio sulle pareti levigate.
«Il secondogenito khai ha la mia stima. Se non fosse così rigido, vanterebbe le carte per diventare il mio preferito.»
«Il temperamento austero è proficuo» osservò una delle essenze «Non rinuncerà alla guerra e catturerà l’erede minkari. Questo vi conferirà potere, mio signore.»
Il dio della Battaglia annuì soddisfatto.
«Hai buon occhio, Floga. Ho gradito il brindisi in mio onore, mi dispiace quasi di aver avvantaggiato i suoi avversari.»
«Parlate dell’Arco o della pergamena che mi avete fatto nascondere nella biblioteca di Amshula?»
Belker alzò le spalle.
«A che punto sono i segugi di Kalemi? Il rifugio è sicuro?»
«Sì, imperatore. Inoltre il principe Rhenn non ha comunicato a nessuno dell’eclissi. Il proposito della divina Valarde non ha avuto seguito.»
«Una fortuna che sia un miscredente. Non mi scomoderò a far profetizzare il contrario alla sacerdotessa da strapazzo che gli dà man forte e nei momenti d’uggia mi godrò i loro infervorati amplessi.»
Le epharat si guardarono con malizia. Gli presero le mani, le baciarono e levarono gli occhi di brace al suo viso attraente.
«Permetteteci di alleviare la vostra noia, sommo Belker.»
Le dita agili corsero alla fascia di seta rossa che gli teneva chiusa la veste.
«Lasciate che il nostro calore attenui i crucci. Concedeteci l’onore di condividere il talamo.»
«Relegate nell’oblio i pensieri nefasti. Dimenticate i Khai e le vicende dei mondi inferiori. Dimenticate l’eclissi, il sole e la pioggia…»
Belker sussultò. Le iridi di bronzo divennero burrasca. L’energia spirituale scaturì in un’onda arancio, che scaraventò le due contro la parete e le tenne lì inchiodate. Sulla fronte l’emblema della fenice era incandescente, l’aura alle sue spalle assunse l’aspetto di ali spalancate, la camicia di seta si gonfiò, rivelando i pettorali perfetti. Un’icona di potenza infinita e primordiale.
«Non osate nominarla!»
L’emanazione spaventosa cessò e le epharat si accasciarono al suolo prive di forze. Il dio della Battaglia abbandonò la sala in un’esplosione di luce.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Enchalott