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Autore: Roscoe24    26/07/2021    2 recensioni
"Arthur sapeva essere estremamente premuroso, quando non si comportava come un totale babbeo.
E questo pensiero fece sfarfallare il cuore di Merlin, in un modo che lui decise volutamente di ignorare per tutta una serie di innumerevoli motivi (...). Non poteva innamorarsi del suo capo. Sarebbe stato poco professionale, decisamente poco etico, e oltraggiosamente scontato."
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Gwen/Lancillotto, Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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La serata era proseguita bene. Arthur era riuscito a divertirsi, nonostante l’iniziale preoccupazione dei giornalisti.
Giornalisti che, per inciso, non gli avevano dato tregua nemmeno quando era uscito dalla mostra. Attratti come mosche dal miele, non appena avevano visto lui e Merlin uscire insieme, fianco a fianco, si erano precipitati su di loro, accecandoli nuovamente con i flash e ponendo domande che Arthur aveva percepito, ma ignorato.
Chi è lui?
Come si chiama?
È il tuo ragazzo?
Arthur! Sei gay?

E altre domande che, in sostanza, erano tutte uguali. Erano interessati al ruolo di Merlin e alla sessualità di Arthur.
E lui, dal canto suo, era più che mai deciso a non rispondere. Non erano affari loro. Non capiva nemmeno il motivo di tanto interesse. Fosse stato una star famosa avrebbe anche potuto capire la bramosia di carpire informazioni – non li avrebbe giustificati, mai. Non giustificava mai il comportamento di quegli sciacalli nei confronti delle celebrità, quasi si dimenticassero di avere a che fare con persone – ma lui era tutto fuorché una star. Faceva semplicemente parte dell’upper class di Londra – e sebbene riuscisse anche da solo a comprendere la fortuna che aveva avuto nascendo in una famiglia ricca e a non dare mai per scontato ciò che aveva, non riusciva davvero a capire cosa potessero trovarci di tanto interessante nella sua vita da braccarlo come se fosse Tom Hiddleston.
In ogni caso, comunque, dopo aver capito che nessuna delle loro domande avrebbe ricevuto risposta, avevano almeno avuto la decenza di non seguirlo fino alla macchina. Quando sia lui che Merlin si erano trovati nella tranquillità dell’abitacolo, Arthur aveva esalato un sospiro frustrato. Merlin l’aveva guardato con tutta la comprensione del mondo e gli aveva preso una mano tra le sue, accarezzandogli le nocche. Non serviva che si dicessero niente, quelle domande rimbombavano nella testa di entrambi.
Tutta quell’attenzione avrebbe inevitabilmente portato guai. Uther, primo fra tutti. Arthur sapeva che suo padre avrebbe reagito male a tutta questa faccenda. Avrebbe visto il suo rapporto con Merlin come il capriccio di un ragazzino che si ribella all’autorità del padre. E chissà cosa avrebbe detto. Dalla sua bocca sarebbero uscite le ingiurie peggiori, rivolte ad Arthur e a Merlin. Il solo pensiero lo rattristava all’inverosimile. Merlin non meritava di avere a che fare con qualcuno dalla mentalità chiusa come suo padre, qualcuno così fortemente radicato nei suoi ideali retrogradi da arrivare ad essere offensivo e meschino.
Eppure… Eppure Merlin era lì, al suo fianco. Nonostante Uther e la sua omofobia che gravava sulle loro teste come una spada di Damocle. Questo la diceva lunga su quanto i sentimenti di Merlin fossero profondi e Arthur era convinto che ogni parola che avrebbe mai potuto pronunciare e ogni gesto che avrebbe mai potuto compiere non sarebbero mai comunque stati abbastanza in grado di esprimere tutta la gratitudine che provava nei suoi confronti.
“È tardi.” Aveva sussurrato Merlin. “Penseremo a tutto domani. Ora, andiamo a casa.”
E Arthur aveva semplicemente annuito, assaporando con ogni fibra di se stesso la facilità con cui Merlin aveva detto casa riferendosi ad un luogo che lui stesso sentiva familiare, di cui si sentiva parte. Avrebbe potuto specificare casa tua, ma non l’aveva fatto. Aveva semplicemente detto casa, come se sentisse di appartenere lui stesso a quel luogo.
Arthur non poteva che esserne felice.
Ancora gli veniva da sorridere, se ci pensava. Guardò Merlin al suo fianco, addormentato nel suo letto. Aveva un’espressione così rilassata e tranquilla. Le labbra carnose leggermente socchiuse e le lunghe e folte ciglia nere che sfioravano le guance. Era la cosa più bella che mai gli fosse capitata nella vita. Merlin era libertà e amore.
Si sporse per lasciargli un bacio delicato su una guancia, prima di tirarlo a sé. Merlin si mosse nel sonno, percependo il corpo di Arthur vicino al suo e rispondendo automaticamente a quella richiesta di contatto. Si sistemò in modo che la sua schiena aderisse completamente al petto di Arthur.
“Che succede?” domandò con la voce impastata dal sonno, aprendo a fatica gli occhi. Era notte fonda, dopotutto.
“Nulla. Volevo averti vicino. Dormi.” Sussurrò Arthur.
Merlin annuì. Allungando una mano dietro di sé, raggiunse la nuca di Arthur, dove lasciò una carezza rassicurante, giochicchiando distrattamente con i suoi capelli per qualche istante, prima di rimettere il braccio sotto al piumone.
“Andrà tutto bene, Arthur.”
Arthur gli lasciò un bacio su una guancia e uno sul collo, leggero, delicato, senza malizia. Gesti carichi di affetto, gratitudine. Merlin sorrise in automatico, nell’ombra della stanza, e il suo sorriso si allargò inevitabilmente quando avvertì la presa di Arthur su di sé farsi ancora più salda, quasi volesse assicurarsi che tra di loro non sarebbe passato neppure uno spillo. Merlin appoggiò le proprie mani su quelle di Arthur, intrecciate all’altezza del suo ventre, e solo quando percepì il respiro rilassato del suo ragazzo, si riaddormentò a sua volta.





Merlin aveva la certezza che il cervello di Arthur stesse lavorando più del solito. E se le circostanze fossero state diverse, avrebbe persino fatto una battutaccia sul fatto che il cervello di Arthur non lavora mai, riducendo al minimo l’attività cerebrale, tipo le amebe che il cervello nemmeno ce l’hanno.
Ma visto che le circostanze non erano esattamente rosee, battute simili era meglio tenersele per sé, consapevole che nemmeno stuzzicare Arthur come faceva sempre avrebbe stemperato la tensione.
Arthur, anche se non voleva né ammetterlo né darlo a vedere, era teso e agitato. L’ansia gli tirava i bei lineamenti e Merlin era convinto che si meritasse un po’ di tranquillità, qualcosa che lo aiutasse a distrarsi almeno per qualche ora dall’angoscia che l’imminente chiacchierata con Uther gli provocava.
Per questo motivo, Merlin aveva deciso di iniziare quel sabato mattina portandogli la colazione a letto. Entrò nella stanza con un vassoio carico di cibo in equilibrio tra le mani, mentre Arthur, seduto nel letto, con il piumone a coprirlo fino alla vita, lo guardava con un sorriso stampato sul viso.
“Avrei potuto aiutarti, o quanto meno evitare di farti tornare su.”
“Non fare il finto servizievole, Arthur. Non ti si addice.”
Arthur lo guardò malissimo. Certo che sapeva essere servizievole, lui. Quando gli andava, ovvio. E non con tutti. Forse le persone per cui sapeva essere servizievole si contavano sulle dita di una mano. Fece una smorfia. Merlin aveva ragione. Ma non l’avrebbe ammesso. Si limitò a fargli una linguaccia e a picchiettare con la mano sullo spazio vuoto del materasso, invitando Merlin a sedersi vicino a lui.
Merlin scosse la testa affettuosamente e si sedette al suo fianco, infilandosi nuovamente sotto il piumone e appoggiando il vassoio sulle gambe incrociate di Arthur.
“Se dovessi sporcare le lenzuola, puoi sempre provare a lavarle e a rimpicciolirle nell’asciugatrice.”
Arthur gli fece un’altra linguaccia. “Ah-ah, quanto sei simpatico!”
Merlin gli riservò un sorrisetto soddisfatto e gli lasciò un bacio su una guancia. “Mangia.”
“Cosa mi hai preparato?”
“Cose buone.”
Arthur abbassò lo sguardo sul vassoio, dove c’erano waffles, uova, pane tostato e bacon. Il tutto accompagnato da due fumanti tazze di caffè. Arthur ne passò una a Merlin.
“Grazie.”
Merlin si limitò a sorridergli. “Oggi cosa ti va di fare?”
Arthur ci pensò su. Se avesse potuto davvero scegliere, avrebbe proposto a Merlin di andare a pranzo fuori, più tardi, e poi fare un giro a Londra, e magari verso il tardo pomeriggio andare al cinema. Ma sapeva che quel sabato in particolare non sarebbe stato riservato ad una giornata passata ad amoreggiare con il suo ragazzo, quanto piuttosto a dover affrontare suo padre.
“Quello che mi va di fare è irrilevante, Merlin.” Sospirò, affranto. “Oggi devo parlare con mio padre.”
Il tono grave con cui Arthur aveva parlato, faceva suonare tutta quella situazione come una condanna a morte. E se magari non lo era da un punto letterale del termine, poteva esserlo da un punto di vista prettamente teorico.
Merlin sapeva cosa significasse scontrarsi con persone profondamente omofobe. Gli era capitato al college, quando un suo compagno di corso l’aveva riempito degli insulti peggiori dopo che l’aveva visto baciare il ragazzo con cui usciva in quel periodo. Gli era capitato in metropolitana, udendo la conversazione sussurrata tra due donne, particolarmente propense a dargli del deviato e chiaramente malato perché stava tenendo per mano un ragazzo.
Gli era capitato in un bar, quando un tizio oltremodo molesto era arrivato persino a spintonarlo perché voleva allontanarlo dal ragazzo con cui si era dato appuntamento e con il quale si era scambiato dei baci, ritenendo quel gesto innaturale e intimandogli di andare a fare certe porcherie contronatura da un’altra parte.
Merlin voleva avere fiducia nelle persone. Voleva concentrarsi su coloro che facevano parte della sua vita e l’avevano sempre accettato per quello che era. Voleva avere fiducia in quegli estranei che vedono un bacio solamente per quello che è: un gesto d’amore, indipendentemente se a scambiarselo sono un uomo e una donna, o due uomini, o due donne.
Ma sapeva che il mondo non era un posto roseo. Nel mondo c’erano anche persone con una mentalità ristretta e chiusa, persone che non si facevano scrupoli ad usare parole crudeli e pesanti per farlo sentire sbagliato. Persone che trovavano così difficile accettare che possa esistere qualcosa di differente dalla loro visione delle persone e delle cose da arrivare ad essere violenti e meschini.
Ed era così difficile, a volte, ricordarsi che il mondo poteva anche essere un bel posto. Perché per quante parole di conforto si possano ricevere, per quanti abbracci e spalle amiche su cui contare una persona possa avere, le parole hanno un peso – e quelle cattive arrivano a pesare persino un quintale, gravando sul cuore e scolpendosi a fuoco caldo nella mente, rendendo impossibile farle uscire da lì.
Merlin aveva imparato nel tempo a non focalizzarsi troppo sulle offese, sulle esperienze negative che aveva ingiustamente vissuto. Ma nonostante questo, era pienamente consapevole quanto fosse difficile. Quanto facesse male.
E poteva solamente immaginare quanto lo era per Arthur, in quel momento. Era già orribile quando gli insulti arrivavano da estranei, ma quando ti aspetti da un momento all’altro che sia tuo padre a trattarti male… quello è tutto un altro genere di sofferenza e di angoscia.
Merlin sospirò. “Lo faremo insieme.”
Arthur gli afferrò le mani tra le sue, stringendole. Un delicato sorriso fece capolino sul suo volto, quando avvertì le dita fredde di Merlin. Si chiese per un fuggevole momento se sarebbero state dei ghiaccioli anche in estate. Non vedeva l’ora di scoprirlo. Avrebbe stretto quelle mani ogni giorno per il resto della sua vita, con la consapevolezza che l’avrebbero accompagnato in ogni situazione, bella o brutta che fosse.
“Grazie.” Gli disse, prima di sporgersi per lasciargli un bacio a stampo.
Con Merlin vicino, tutto faceva meno paura. Persino Uther.


*


Il resto della mattinata la passarono a letto. Avevano silenziosamente pattuito entrambi che almeno per quella mattina avrebbero avuto un po’ di tempo per loro. Dopo la colazione, infatti, Arthur aveva sistemato il vassoio vuoto sul comodino e poi aveva tirato fuori la sua collezione di DVD – ne aveva così tanti da far invidia ad una videoteca – e aveva detto a Merlin di scegliere quello che voleva.
Merlin aveva sorriso teneramente, perché nell’epoca di Netflix e ogni genere di piattaforma streaming esistente, attingere ad una collezione di DVD per guardare qualcosa alla tv poteva essere visto quasi come un gesto vintage.
Merlin per un attimo si sentì più vecchio di quanto non fosse, rendendosi conto di quanto a lui – e ad Arthur – venisse più naturale un approccio del genere. Lui faceva parte di quella generazione la cui infanzia era strettamente legata alle VHS – e questo sì che lo faceva sentire un matusa, soprattutto perché più di una volta aveva realizzato che i bambini di oggi non avevano la minima idea di cosa fosse una VHS.
Digressioni sul suo sentirsi vecchio quanto Tutankhamon a parte, alla fine Merlin aveva scelto Robin Hood. E la cosa divertente – e che ancora non sapeva di Arthur, a quanto pare – fu scoprire che era uno dei suoi film preferiti, tanto che ne possedeva almeno quattro: quello del 1991, quello del 2010, del 2018 e l’immancabile cartone animato del 1973.
“Anche quello della Disney, sei serio?”
“Che vuoi? Era il mio preferito, da bambino!”
“Per questo adesso ne hai quattro? È la stessa storia, Arthur!”
“Raccontata in modi diversi. Non rompere e scegline uno!”

Merlin aveva ridacchiato perché Arthur era adorabile tutto imbronciato e poi aveva scelto quello del ’91.
Era stata una bella mattinata. Ed era passata decisamente troppo in fretta per entrambi. Merlin avrebbe decisamente passato tutta la giornata in camera di Arthur, nel suo letto, a guardare film sul suo mega televisore. E, soprattutto, a stare appiccicati. Decisamente quella era la parte che gli piaceva di più. Gli abbracci spontanei di Arthur, il modo in cui le sue dita gli accarezzavano l’avambraccio, o il modo in cui cercava le sue mani per far intrecciare le loro dita. E poi, Merlin aveva avvertito le dita di Arthur che gli prendevano il mento per farlo girare verso di lui e lasciargli un bacio. Ma non era stato solo uno. Il primo era servito da miccia per altri, che erano diventati sempre più passionali a mano a mano che le loro labbra venivano in contatto. Ciò che era cominciato con un delicato sfioramento di labbra, era finito in una danza divoratrice dove uno non ne aveva mai abbastanza dell’altro e, come se fosse una conseguenza naturale a tutto quel desiderio, Merlin si era trovato sotto ad Arthur. E improvvisamente l’unica cosa che contava era la bocca del suo ragazzo che esplorava ogni centimetro della sua pelle e le sue mani che lo accarezzavano ovunque.
Quindi, , Merlin poteva decisamente abituarsi a mattinate del genere.
L’unico difetto che avevano, era che duravano decisamente troppo poco.
Ma sapeva che non potevano davvero passare le giornate chiusi in camera. Lo sapevano entrambi. Per questo adesso si trovavano al piano di sotto, in cucina, a sistemare tutti i piatti che avevano sporcato per la colazione.
Merlin lavava i piatti e Arthur lo guardava, perché in fondo era un po’ schiavista, anche se non lo ammetteva.
“Sai,” Cominciò Merlin, mentre metteva un piatto nella credenza, “Potresti almeno venire ad asciugarli.”
Arthur, seduto su uno degli sgabelli e con i gomiti appoggiati al tavolo, fece spallucce. “No, ci sei tu che sei così bravo a farlo.”
“Schiavista.”
“Ti ho sentito.”
“Lo so. Per questo l’ho detto.” Merlin si voltò quel tanto da riuscire a guardarlo da sopra alla sua spalla e gli fece una linguaccia, che Arthur, ovviamente, ricambiò.
Guardò Merlin per qualche istante. O meglio, guardò la sua schiena. Indossava ancora i vestiti che Arthur gli aveva dato per dormire – erano suoi, perché Merlin non si era portato niente. Avrebbe dovuto proporgli di portare qualcuno dei suoi vestiti lì, a casa sua. Magari gli avrebbe liberato un cassetto o due. Anche se in realtà, ad Arthur piaceva vedere Merlin con addosso le sue magliette e i suoi pantaloni.
Sorrise, notando il modo in cui la stoffa della maglietta rossa che indossava gli scivolava sulla schiena longilinea. Non riusciva a riempirla quanto Arthur e gli stava un po’ larga sulle spalle, ma la evidenziava in un bel modo. Provò l’urgenza di toccarlo. Quasi come se fosse stato preso da una frenesia incontrollabile, le sue dita cominciarono a formicolare. Arthur si alzò, assecondando quel desiderio improvviso, e raggiunse Merlin, abbracciandolo da dietro. Gli appoggiò il mento sulla spalla, le mani intrecciate sul suo addome. Il formicolio, tuttavia, anzi che chetarsi, aumentò. Non gli bastava. Voleva di più. Voleva Merlin.
“Ti sei deciso ad aiutarmi, finalmente?”
“No.” La sua voce uscì più roca di quanto si sarebbe aspettato. Sentiva il cuore che batteva all’impazzata, mentre appoggiava le proprie labbra sul collo di Merlin, nello stesso punto in cui si trovava già il segno di un succhiotto che gli aveva lasciato qualche ora prima. Lo sentì emettere un piccolo gemito, mentre gli succhiava la pelle sensibile. E il suo cuore aumentò percettibilmente i battiti a quel suono, quasi ne traesse lo stesso orgoglio che ne traeva Arthur.
Merlin si voltò, girando di trecentosessanta gradi dentro all’abbraccio di Arthur. Le sue dita formicolavano ancora come se non fossero pienamente soddisfatte, così Arthur infilò le mani sotto la maglietta di Merlin, dove a contatto con la pelle nuda di Merlin, smisero finalmente di formicolare, ritenendosi soddisfatte di quella nuova postazione.
“E allora cos’hai deciso di fare?” Domandò Merlin, incatenando i suoi occhi cerulei in quelli dell’altro. Le braccia allacciate al collo di Arthur, mentre le mani giocava distrattamente con i suoi capelli biondi.
Arthur fece scorrere le proprie mani sulla schiena nuda di Merlin. Era stata proprio colpa sua – o merito, sì decisamente merito – se gli ormoni di Arthur si erano risvegliati più velocemente di quelli di un adolescente in piena pubertà.
Si sporse in avanti, riducendo a zero la distanza che gli separava, e lo baciò. Arthur era decisamente ingordo, se si trattava delle labbra di Merlin. Ogni bacio era pieno di una foga quasi prepotente e nonostante questo non riusciva mai a ritenersi sazio. E ogni volta che sentiva Merlin rispondere ai suoi baci, quella bramosia cresceva, anzi che placarsi.
Si separò da lui quel tanto necessario a guardarlo negli occhi. “Voglio fare l’amore con te.”
“Di nuovo?” gli domandò Merlin, malizioso, con un sopracciglio alzato e l’espressione malandrina.
“Di nuovo.” Confermò, gli occhi che caddero sulla bocca di Merlin, mentre si passava la lingua sulle labbra. “Se lo vuoi anche tu.”
Merlin gli lasciò un fugace bacio a stampo. “Lo voglio.” Lo rassicurò, prima di baciarlo di nuovo. Avvertì chiaramente Arthur sorridere tra i baci, prima che ogni loro contatto si facesse sempre più profondo, andando a soddisfare quell’impazienza di ritrovare qualcosa di cui, ormai, non potevano più fare a meno: l’un l’altro.




*



Il paradiso perduto.
Arthur sapeva che l’opera di John Milton non c’entrava assolutamente con la sua vita – era megalomane (a detta di Merlin, ovviamente), ma non fino a questo punto – ma un po’ si sentiva come se avesse perso qualcosa di decisamente idilliaco per essere destinato a sprofondare in un inferno.
E no, lui non credeva che fosse meglio regnare all’inferno che servire in paradiso.
Regnare gli sarebbe piaciuto, ovviamente, ma quando si immaginava in vesti di monarca pensava più all’Inghilterra.
Megalomane sì, ma fino ad un certo punto.
L’Inghilterra gli sembrava un buon compromesso.
Ma ad ogni modo, stava vaneggiando e anche parecchio.
Il fatto era che il suo paradiso personale consisteva nella mattinata che aveva appena passato con Merlin. Il suo inferno, invece, consisteva nel viaggio in macchina che stava per fare diretto a casa di suo padre.
Uther aveva le sue abitudini, il sabato mattina.
Usciva presto, andava nella sua pasticceria preferita, prendeva i suoi dolci preferiti e tornava a casa. Faceva colazione, rigorosamente in solitaria e in assoluto silenzio – se non in rare occasioni dove si concedeva un leggero sottofondo di musica classica – e poi scendeva nella taverna di casa sua, adibita a palestra. Lì correva sul tapis roulant per circa un’ora e poi risaliva per farsi la doccia. Solo dopo essersi lavato e asciugato a dovere, si rintanava nel suo studio per passare ore e ore a leggere.
Tutto questo, tenendo sempre il cellulare spento ed evitando la televisione.
Lo faceva perché riteneva che almeno il sabato mattina dovesse prendersi un momento di tranquillità. Gli altri giorni, il tuo telefono squillava di continuo, non lasciandogli mai pace. Quindi il sabato voleva starsene tranquillo, senza che quell’oggetto suonasse come se fosse posseduto dal demonio stesso.
Arthur sospirò. Non poteva più rimandare. Non voleva più rimandare. Ciò nonostante, si sentiva in ansia.
La sua mente andò a Hunith. Aveva conosciuto quella donna amorevole. Hunith aveva sempre sostenuto Merlin, indipendentemente da tutto. Non era cambiata quando lui le aveva detto della sua omosessualità e l’aveva sempre fatto sentire al sicuro.
Arthur sapeva di non poter contare sulla stessa reazione. Suo padre avrebbe preso il suo coming-out come una specie di affronto, o peggio.
Sospirò di nuovo.
Merlin se ne accorse. “Se non ti senti pronto, possiamo rimandare.” Gli disse, passandogli una mano sulla schiena.
Arthur si guardò allo specchio. Erano in camera sua e lui stava finendo di vestirsi. Merlin indossava i vestiti della sera prima, Arthur invece indossava semplicemente dei jeans chiari e un maglione bianco.
Guardò il suo riflesso e poi osservò quello di Merlin, vicino a sé.
Si vide diverso. Si sentì diverso. In qualche modo più libero.
Guardò se stesso e non vide più il ragazzino che era stato, quello consapevole di due cose: la sua bisessualità e l’importanza di tenerla segregata in una parte profonda di sé, una parte che nessuno avrebbe conosciuto.
Quel ragazzino non avrebbe mai immaginato di guardare il suo riflesso in uno specchio, un giorno, e vedersi accanto ad un maschio.
Quel ragazzino sentiva la voce profonda di Uther inculcargli la sua veduta del mondo, della famiglia, della vita.
Arthur avrebbe voluto abbracciarlo, quel ragazzino – rassicurarlo che un giorno avrebbe trovato il coraggio per non far propria quella voce, quelle vedute così ristrette. Avrebbe voluto dirgli che un giorno avrebbe guardato nello specchio e avrebbe visto un uomo felice di stare accanto ad un altro uomo.
“Sono pronto.” Rispose, ed era vero. Era ancora spaventato, demoralizzato dalla consapevolezza che suo padre sarebbe stato tutto fuorché comprensivo, ma si sentiva pronto ad affrontarlo.
Arthur era cresciuto. E aveva intenzione di non ascoltare più la voce di suo padre, se significava portarlo a percorrere strade che lo rendevano infelice.
Rivolse un’altra occhiata allo specchio. Merlin vicino a lui, il sorriso ampio sul viso. Era tutta la forza di cui aveva bisogno.
Stava per dirglielo. Stava per dirgli che senza di lui non avrebbe mai trovato il coraggio di essere libero, ma tutte le sue buone intenzioni vennero smorzate dal suono insistente del campanello, un suono così assillante da ricordare uno strillo acuto.
Arthur non si era mai reso conto di quanto fosse fastidioso fino a quel momento.
In un primo momento non si domandò chi potesse essere, a quell’ora di sabato. Si limitò semplicemente a scendere al piano di sotto e a dirigersi verso la porta perché chiunque si attaccasse ad un campanello in quel modo ossesso doveva sicuramente avere un’emergenza.
Quando aprì la porta, tuttavia, tutto ebbe un senso: l’insistenza, l’urgenza.
Uther lo stava guardando e nei suoi occhi c’era un’espressione che non prometteva nulla di buono.




Arthur avvertì il respiro mozzarglisi in gola, quasi come se tutta l’aria gli fosse stata succhiata via dai polmoni. Tutto si sarebbe aspettato meno che vedersi capitare suo padre alla porta, con un’espressione furiosa in volto.
O meglio, l’espressione furiosa se l’era immaginata, anche se la realtà, purtroppo, superava di gran lunga la fantasia. Uther lo guardava con un tale disprezzo che Arthur avvertì qualcosa rompersi dentro di sé, come se il suo cuore si fosse fisicamente spezzato in due metà.
“Nega, ti prego nega.” La voce di suo padre era un tuono rabbioso, qualcosa che precede un’esplosione violenta.
Arthur si fece da parte per farlo entrare.
Poco importava il suo cuore ferito, o il fatto che tutta quella situazione stava andando diversamente da come si era immaginato. Il risultato era lo stesso: lui che doveva affrontare suo padre.
Di certo, però, non gli avrebbe permesso di fare una scenata fuori da casa sua. Ma quando suo padre non accennò a muoversi, limitandosi a fissarlo in attesa di una risposta, Arthur lo invitò espressamente ad entrare, anche se avrebbe preferito di gran lunga che la terra si aprisse e lo inghiottisse. O inghiottisse suo padre.
Sapeva di aver detto di essere pronto, ma la verità era che niente poteva prepararlo sul serio a quel momento. Non quando l’espressione di suo padre era la manifestazione fisica e concreta di tutti i suoi timori. Uther lo stava già guardando in modo diverso, lo stava già giudicando, stava già disapprovando.
Quando suo padre varcò la soglia di casa, Arthur chiuse la porta. Fece un profondo respiro e poi si voltò verso Uther.
“Cosa vorresti che negassi, esattamente?”
“Lo sai.” Ringhiò Uther.
Arthur sospirò. “Non lo negherò. E non mi aspetto che tu mi capisca, o mi accetti. Non riesci nemmeno a pronunciare la parola omosessualità, quindi non mi aspetto che tu possa anche lontanamente capire. Ma non chiedermi di negare perché non lo farò. Non più.”
“Quindi è vero? Sei… sei… così?” Uther alzò un foglio che aveva in mano e che Arthur notò solo in quel momento. Gli stava mostrando una foto che ritraeva lui e Merlin la sera prima. Si sarebbe aspettato di vedere loro due fuori dall’edificio che si tenevano per mano in attesa di entrare, ma Uther gli stava mostrando qualcos’altro. Gli stava mostrando una foto di Arthur e Merlin mentre si baciavano. La qualità dell’immagine non era minimamente paragonabile a quella che viene utilizzata per sviluppare le foto fatte da macchine fotografiche professionali. Sembrava più che altro scattata da un cellulare e, soprattutto, l’angolazione faceva chiaramente capire che chiunque l’avesse scattata fosse stato all’interno della mostra.
Arthur aveva la certezza assoluta che nessun paparazzo fosse entrato, quindi si domandò chi potesse aver scattato quella foto. Chi poteva essere tanto meschino da invadere la sua privacy?
“Questo è il tuo modo di chiedermi se sono gay?”
Uther ebbe un sussulto a quella parola e Arthur avvertì la ferita al cuore aprirsi sempre di più.
“Lo sei?”
“No, sono bisessuale.” Chiarì Arthur. Voleva essere completamente sincero, mettere le carte in tavola una volta per tutte e liberarsi dal peso che gli aveva sempre gravato sul cuore.
La verità rende liberi – e mai più di adesso gli sembrò vero. Nonostante tutto, provò quasi un sollievo a pronunciare quelle parole. Nonostante tutto, per un attimo si sentì davvero libero.
Un attimo soltanto, prima che i suoi occhi riuscissero a cogliere l’espressione di suo padre – e allora tutto precipitasse di nuovo nel baratro.
Sapeva che sarebbe stato difficile, Arthur non era certo un ingenuo, ma non si aspettava che sarebbe stato così tanto difficile.
Uther lo stava guardando come se gli avesse appena confessato di aver fatto qualcosa di orribile, i suoi occhi erano piedi d’una ira profonda, di un disagio radicato, di… disprezzo.
Arthur avvertì il suo cuore cedere di fronte a quella consapevolezza. Suo padre lo stava disprezzando. Ebbe la sensazione di affondare, di cadere in un luogo oscuro e freddo, una tenebra che avvolgeva il suo cuore in una profonda tristezza. Ma in fondo… in fondo avvertì anche dell’altro. Avvertì una forte rabbia, che esplose dentro di lui come un’atomica. Era un’ingiustizia! Suo padre lo stava guardando in modo diverso, stava cambiando opinione su di lui come se gli avesse fatto un torto o si fosse comportato come la peggior persona sul pianeta! Ma non era così! Arthur non aveva fatto niente di male! Gli aveva semplicemente detto la verità, una verità che non avrebbe in alcun modo dovuto influire sul loro rapporto!
E invece…
E invece era cambiato tutto. Perché Uther era così bigotto da non riuscire ad accettare qualcosa che non rientrasse nei suoi antiquati ideali.
“Continuerai a guardarmi in quel modo sprezzante o hai intenzione di dirmi qualcosa?”
Un muscolo sulla mascella di Uther ebbe un guizzo. Nei suoi occhi saettò una palese rabbia, prima di guardare di nuovo la foto stampata che teneva in mano. La accartocciò con disprezzo, prima di farla furiosamente a pezzi.
“Negherai tutto, intesi?” La sua voce uscì in un sibilo gelido e fermo. Un ordine che non ammetteva repliche. “Negherai pubblicamente. Dirai che sei stato raggirato da questo ragazzetto che altro non voleva che un po’ d’attenzione. Oppure lo farai passare come il bieco tentativo di un ragazzino disperato di cercare di fare carriera. Darai la colpa a lui. Sarà facile e veloce. Lo licenzieremo e la questione finirà. Intesi?”
Darai la colpa a lui.
Ecco come Uther viveva la sessualità di suo figlio. Come una colpa. Qualcosa per cui fare ammenda, cercare espiazione.
Qualcosa che assomigliava terribilmente ad un peccato.
Arthur avvertì le lacrime salirgli agli occhi, pungenti ed inevitabili.
Gli stava ordinando ancora una volta come vivere la sua vita, gli stava imponendo di negare se stesso. Non gli interessava la verità, o il fatto che finalmente, dopo anni di infelicità, Arthur avesse trovato il coraggio di essere libero e felice con qualcuno che lui amava e dal quale era amato sinceramente per quello che era.
No. Uther pensava alle apparenze, a come salvare la sua reputazione davanti a tutti quegli stronzi che la pensavano come lui.
Provò un profondo moto d’odio verso Uther e una parte di lui se ne vergognò. Si vergognò di provare qualcosa di così fortemente negativo nei confronti di qualcuno a cui aveva sempre voluto bene, nonostante gli evidenti difetti.
Ma adesso… adesso voler bene a qualcuno che non si premurava minimamente di non farlo soffrire gli veniva così difficile, che odiarlo sembrava diecimila volte più facile.
Ma poi pensò a Merlin, alla conversazione che avevano avuto nel suo ufficio quando avevano parlato del fatto che Uther l’avesse oberato di lavoro per punirlo del fatto che si fosse ribellato.
Gli venne in mente che quel discorso poteva essere riassunto semplicemente con l’odio genera soltanto altro odio. E se Arthur si fosse lasciato totalmente andare a quel sentimento, non sarebbe poi stato tanto diverso da suo padre.
E Dio sapeva quanto in quel momento lui volesse essere tutto fuorché simile ad Uther.
Così accantonò la rabbia, l’odio, il rancore. Accantonò tutti i sentimenti che l’avrebbe reso simile a suo padre e, dopo aver preso un profondo respiro, rispose semplicemente: “No.”
“No?” gli fece eco Uther, chiaramente infastidito dalla sfacciataggine del figlio.
“Hai sentito. Non negherò niente. Confermerò, se dovessero chiedermi qualcosa. Dirò quanto lo amo, quanto sia forte ciò che mi lega a lui. Dirò quanto lui ama me, in un modo che esula completamente dal mio status, o dalla sua carriera. E non ti permetterò di dipingere Merlin come un arrampicatore sociale perché non c’è immagine più errata per descriverlo! Quindi, lascialo in pace. Non ti permetto di usarlo per i tuoi scopi, come non ti permetto di parlare male di lui!” Arthur aveva percepito la sua voce farsi sempre più salda, a mano a mano che parlava. Come se difendere se stesso, Merlin, e ciò che li legava fosse diventata la sua personale missione, qualcosa per cui valeva la pena combattere. E lui sapeva che era così, ne aveva piena certezza, per questo aveva parlato con voce ferma e decisa. Voleva rendere chiaro che non si sarebbe tirato indietro, nemmeno davanti a tutte le intimazioni – più o meno minacciose che fossero – del mondo. Voleva chiaramente far capire a suo padre che altro non avrebbe fatto che sprecare fiato, se avesse continuato a chiedergli di fare finta di niente, di cacciare la testa sotto la sabbia.
Arthur non avrebbe rinunciato a Merlin per nulla al mondo.
Uther rimase a guardarlo in silenzio per qualche istante. Nel viso un’espressione granitica, una vena pulsava al centro della sua fronte, gli occhi saettavano di quella rabbia che ormai sembrava alimentasse ogni fibra del suo corpo e che era stata alimentata da ogni parola pronunciata da Arthur. Come se il ragazzo avesse gettato benzina su un fuoco dirompente con ogni parola che aveva lasciato la sua bocca. E forse fu perché era stanco di tenerla sotto controllo e cercare di risolvere la situazione a modo suo, o forse perché non si aspettava che Arthur si rifiutasse di chinare la testa, ma Uther esplose e con lui la sua ira.
Con una falcata raggiunse Arthur, che non ebbe nemmeno il tempo di fare un passo indietro, e alzò una mano su di lui.
Arthur era incredulo. Suo padre non aveva mai alzato un dito su di lui e adesso… adesso si stava preparando a colpirlo. Senza esitazione. Senza rimorso.
“Toccalo e ti denuncio, Uther.”
Uther si bloccò, il braccio sospeso a mezz’aria tra lui e il figlio. Si voltò verso la fonte di quella voce, trovando Merlin alle sue spalle che teneva in mano un cellulare. Era seduto sugli ultimi scalini della scala che conduceva al piano superiore. Quando Uther posò lo sguardo su di lui, Merlin si alzò e si avvicinò.
“Prova solamente a sfiorarlo e ti trascino in tribunale. Ho tutta la vostra conversazione registrata in video. Sta ancora registrando. Quindi toccalo e avrò prove a sufficienza.” Merlin fece una pausa, lasciandogli il tempo di metabolizzare le sue parole. “Allontanati da lui ed esci da questa casa.” Aggiunse poi, perentorio.
“Chi ti credi di essere per darmi ordini?”
“Forse un ragazzino disperato in cerca di attenzioni, o un arrampicatore sociale che ha costretto tuo figlio a uscire con lui. Scegli tu, dopotutto sembra che tu abbia una fervida fantasia. Non mi interessa cosa pensi di me. Onestamente, il problema sei tu. Dovresti criticare meno me e riflettere su che razza di uomo sei. Meschino, se vuoi la mia opinione, e stronzo, se vuoi che sia completamente sincero. Rifletti su ciò che sei e mentre lo fai, esci da questa casa e assicurati di chiudere bene la porta.”
Uther ribolliva di rabbia. La mascella contratta, i denti che cozzavano tra di loro. La cosa che più ferì Arthur fu che suo padre sembrava fosse furioso con Merlin e per nulla turbato dal fatto che stava per tirare un pugno a suo figlio.
Quando Uther posò lo sguardo su Arthur, al ragazzo venne così difficile non lasciarsi andare a quell’odio profondo che aveva già provato e soppresso.
Ci riuscì solamente perché non voleva assomigliargli. In niente, soprattutto dopo il gesto che stava per compiere.
“L’hai sentito. Esci di qui.” Arthur si fece da parte per farlo passare.
Quando Uther raggiunse la porta, prima di aprirla si voltò semplicemente per dire: “Non voglio vedere nessuno dei due in studio, lunedì.”
E senza dare loro la possibilità di replicare, uscì di casa, sbattendosi la porta alle spalle.





*



Arthur rimase a fissare la porta di casa. L’eco del rumore che aveva fatto quando Uther se l’era sbattuta alle spalle ancora gli risuonava nelle orecchie e quasi riusciva ancora a sentire i cardini che venivano scossi.
O forse, più probabilmente, quello scosso era lui.
Niente era andato come si era immaginato.
Niente.
Arthur si era immaginato di cominciare un discorso, di preparare suo padre a sentire la verità. Si era immaginato di prendersi il tempo necessario ad entrambi per far venire fuori la verità. E invece qualcuno aveva semplicemente pensato che fosse giusto far trovare quella foto ad Uther e scatenare così la sua ira.
Forse l’ira di Uther si sarebbe scatenata comunque. Arthur non era così ingenuo da credere che se le cose fossero andate diversamente, la reazione di suo padre sarebbe stata un’altra.
Uther avrebbe reagito nello stesso modo, indipendentemente da come Arthur gli avrebbe detto la verità.
Di certo, non si aspettava una reazione così violenta.
Di certo, non si aspettava che fosse disposto ad arrivare anche a mettergli le mani addosso.
Chi era quell’uomo?
Arthur provò una profonda tristezza all’idea che suo padre, adesso, gli sembrava un estraneo.
“Come stai?” Domandò Merlin, estraniandolo dai suoi pensieri.
Domanda di riserva?
Come stava? A pezzi. Era scosso, triste, arrabbiato. Si sentiva come se fosse stato lanciato in mezzo all’occhio di un ciclone armato solamente un ridicolo bicchiere di plastica per cercare di intrappolarlo.
Sospirò. E invece di rispondere, chiese: “Da quanto sei qui?” I suoi occhi lasciarono finalmente la porta e si concentrarono su Merlin. 
“Da quando hai aperto la porta.”
“Non me ne sono accorto.”
“Ero pronto ad intervenire, ma te la sei cavata benissimo anche senza il mio aiuto. Sono fiero di te.”
“Mi hai aiutato, invece. Non posso credere che stesse per…”
Merlin lo strinse tra le braccia e con una mano cominciò ad accarezzargli la schiena, in movimenti lenti e circolari. “Lo so, lo so. Ma non è successo.”
Arthur rivisse quell’attimo nella sua mente. Non era successo solo perché Merlin l’aveva impedito.
“Solo perché c’eri tu. Se fossi stato da solo?”
Merlin soffocò la rabbia e il disgusto che provava verso Uther. “Ma non eri da solo. C’ero io. Ci sarò sempre per te.”
Arthur strinse Merlin a sé, così forte che per un istante ebbe paura di spezzargli le ossa. Ma Merlin reagì a quell’abbraccio stringendolo con altrettanta forza e allora Arthur avvertì un po’ della sua rabbia sciamare, un po’ della sua angoscia placarsi. Un po’ della sua paura svanire.
Merlin riprese ad accarezzargli la schiena. Gli baciò le guance, la fronte. Gesti lenti e dolci, carichi di una premura dalla quale trasudava tutto l’amore che li legava.
Uther non capiva. Non avrebbe mai capito. Ma Arthur capiva. Arthur sapeva che ciò che aveva trovato in Merlin era raro e prezioso e non avrebbe permesso a nessuno di infangarlo, o corromperlo.
Che Uther passasse pure la sua vita a provare disprezzo, Arthur aveva di meglio da fare.
Arthur aveva Merlin da amare e voleva farlo nel modo più cristallino possibile, senza nessuna ombra che potesse gravare su di loro, o sul loro amore.
“Niente è andato come avevo previsto.” Arthur accarezzò una guancia di Merlin. “Ma sono comunque contento di averlo fatto. Nonostante tutto, mi sento libero, me stesso.”
Merlin sporse il viso verso quella carezza. “Sono felice di sentirtelo dire. Significa che c’è un lato positivo in questa faccenda.”
Arthur annuì e poi si sporse per posare un bacio sulle labbra di Merlin. Fu un contatto delicato, uno sfioramento leggero. Rimasero in silenzio per qualche istante, le fronti appoggiate l’una all’altra, stretti in un abbraccio confortevole e rassicurante.
“Possiamo stare abbracciati per un po’?”
Merlin strinse la presa su Arthur. “Tutto il tempo che vuoi.”





*



Morgana non si definiva una donna troppo abitudinaria. Non le piaceva programmare la sua vita nei minimi dettagli perché aveva l’impressione di infilarsi da sola in una specie di scatola fatta di una routine che presto o tardi le avrebbe dato l’impressione di soffocare. E lei non voleva questo per se stessa, quindi tendeva a non essere troppo abitudinaria.
Nonostante questo, tuttavia, delle abitudini nella sua vita c’erano. Tra queste, recarsi a casa di Uther il sabato nel tardo pomeriggio e cenare con la famiglia. L’unico motivo per cui partecipava a quella cene ridicole, dove fingevano che tutto andasse bene, era Arthur. Perché nonostante le loro divergenze, lei voleva bene a suo fratello. E le faceva più piacere di quanto riuscisse effettivamente ad esternare il fatto che stessero facendo di tutto per riavvicinarsi, per rimediare entrambi agli errori che avevano fatto in passato.
Ma, quando arrivata davanti alla casa di Uther, notò l’assenza dell’auto del fratello – Arthur arrivava sempre prima di lei e parcheggiava sempre nello stesso punto: davanti al garage di Uther – si insospettì. Così, accostò la propria auto e rimanendo all’interno di essa, cominciò a cercare il cellulare nella borsa. Quando lo trovò, fece partire la telefonata.
Arthur rispose dopo quattro squilli.
“Ehi.”
“Perché non sei da Uther? Di solito, quando arrivo, tu sei già qui da un pezzo a dimezzare la sua scorta di preziosissimo bourbon.”
Un sospiro afflitto raggiunse le orecchie della donna, e Morgana capì immediatamente che qualcosa non andava.
“Ha scoperto tutto. Sa della mia storia con Merlin ed è venuto a casa mia, prima.”
Morgana avvertì una forte stretta allo stomaco. Era preoccupata. “Sei a casa?”
“Sì.”
“Arrivo.”
Non lasciò al fratello il tempo di rispondere. Semplicemente attaccò e dopo aver gettato distrattamente il telefono dentro alla borsa, mise in moto l’auto e si diresse a casa di Arthur.




Morgana arrivò davanti alla casa del fratello poco dopo. Parcheggiò nel primo posto che trovò disponibile e si avviò verso la porta. In mano aveva una bottiglia di bourbon scadente comprata in un liquor store che aveva intravisto nel tragitto e un pacchetto di caramelle alla liquirizia, perché sapeva che ad Arthur piacevano.
O almeno, quando era un bambino ci andava matto, cosa che lei non aveva mai capito perché, insomma, con tutte le caramelle deliziose che esistono, proprio la liquirizia?
Scacciò quei pensieri e suonò il campanello.
Arthur le aprì poco dopo. Aveva un’espressione afflitta in viso e Morgana avrebbe tanto voluto abbracciarlo. Ma non lo fece – e non perché non le andasse di farlo, ma semplicemente perché era troppo tempo che non lo facevano e non era sicura di farlo sembrare più come un gesto che avrebbe imbarazzato entrambi, piuttosto che recare conforto.
Si rese conto di quanto suonasse triste, tutto ciò, solo dopo aver formulato quel pensiero.
A due fratelli dovrebbe venire spontaneo abbracciarsi.
“Ehi.” La salutò, facendosi poi da parte per farla entrare. Non appena Morgana varcò la soglia, Arthur chiuse la porta. E non poté fare a meno di pensare, per una frazione di secondo, all’ultima volta che l’aveva fatto. Ad Uther che lo guardava con disprezzo. Ad Uther che sarebbe persino arrivato a picchiarlo.
Scacciò quei pensieri e alzò lo sguardo sulla sorella. Morgana lo stava studiando con i suoi profondi occhi grigi. Morgana era intelligente, intuitiva. Subodorava le bugie più sottili, quelle raccontate meglio. Era uno dei motivi per cui fosse così dannatamente brava nel suo lavoro. I testimoni bugiardi, lei li demoliva in tre minuti.
Per questo, Arthur sapeva che aveva capito il suo stato d’animo. Forse aveva già intuito quanto stesse male.
E si aspettava da un momento all’altro che cominciasse a torchiarlo di domande, ma inaspettatamente…
“Ti ho portato le caramelle.”
…inaspettatamente non lo fece. Continuava a guardarlo come se volesse studiarlo, ma al tempo stesso sembrava gli stesse dando tutto il tempo di cui lui aveva bisogno per essere lui stesso a parlare dell’accaduto, se solo avesse voluto.
Morgana era lì semplicemente per lui, per stargli accanto.
Arthur le rivolse un sorriso, grato. Era bello sapere che, nonostante tutto, Morgana era quella parte della sua famiglia su cui lui avrebbe potuto fare sempre affidamento.
“Quali?”
“Le liquirizie. Non capirò mai perché ti piacciono tanto, hanno un sapore orribile.” Rispose, porgendogli il pacchetto e anche la bottiglia.
Arthur afferrò tutto e le fece cenno di seguirla. Abbandonarono l’entrata, superarono il salotto ed entrarono in cucina.
“Perché le liquirizie, in realtà, hanno un sapore buonissimo.”
Una volta arrivati in cucina, Morgana notò Merlin inserire dentro al forno due teglie per muffin. Quando ebbe chiuso lo sportello, la salutò con un sorriso, che lei ricambiò.
“Le liquirizie sono le caramelle per eccellenza, le più buone!” Si inserì, cercando di rubare il pacchetto dalle mani di Arthur, il quale, agilmente, gli impedì di afferrare il bottino.
“Siete gli unici che conosco a cui piacciono. Siete proprio fatti per stare insieme.” E lo disse come se fosse ovvio, come se il fatto che amassero le liquirizie fosse solamente un’altra cosa che faceva parte della miriade di cose che li rendeva compatibili, sebbene sotto molti punti di vista fossero diversi.
Bastava guardarli, per capire che si amassero, per capire che se non si fossero incontrati in questa vita, sarebbero potuti passare mille anni e loro si sarebbero comunque aspettati, in attesa di trovarsi e poter stare insieme. Perché Arthur era il cuore di Merlin, e Merlin era quello di Arthur.
Arthur alzò lo sguardo sulla sorella e Morgana lesse dolore all’interno dei suoi occhi. “Vallo a dire a Uther.”
Morgana notò che era la prima volta, in tutta la vita, che Arthur si appellava al padre chiamandolo per nome e non, appunto, papà. Era come se volesse mettere le distanze, come se qualcosa si fosse rotto tra di loro e in Arthur a tal punto da volersi allontanare da lui il più possibile.
“È andata tanto male?” Chiese, dal momento che era stato Arthur ad inserire l’argomento.
“Mi disprezza. Detesta me, ha cercato di descrivere Merlin come un approfittatore, un arrampicatore sociale. Mi ha addirittura ordinato di negare tutto ciò che io e lui abbiamo, pubblicamente. E quando mi sono rifiutato, mi ha guardato con talmente tanto odio e…ha provato a darmi un pugno.”
Morgana sgranò gli occhi, scioccata da quel racconto orribile.
Uther era orribile e quella era un’ulteriore conferma di che brutta persona fosse.
Era così arrabbiata, così furiosa con lui. Non solo aveva psicologicamente aggredito Arthur, ma era arrivato quasi a farlo fisicamente. Poteva essere più meschino? Più deplorevole?
“Cosa vuol dire che ha provato?”
Arthur guardò Merlin, che a sua volta guardava Arthur.
“Merlin l’ha minacciato di denunciarlo, se l’avesse fatto. Stava registrando tutto, quindi Uther si è fermato.”
Morgana assimilò quelle parole. Provò ad immaginarsi la conversazione, la piega che poteva aver preso. Provò ad immaginarsi Arthur, che dopo anni di silenzio e repressione verso se stesso, riesce finalmente a trovare il coraggio di essere sincero, di essere libero. E si immaginò la reazione di Uther, una reazione violenta e manipolatrice, fatta di parole taglienti, pronunciate solo con l’intento di gestire, ancora, la vita del figlio, senza domandarsi minimamente se i suoi comportamenti potessero ferirlo. Spoiler: certo che feriscono Arthur. Uther ferisce Arthur da tutta la vita, con i suoi ordini, il suo tono severo e manipolatore, con le sue idee rigide e retrograde che ha provato ad inculcargli da quando era un bambino, costringendolo a tacere sulla sua sessualità, consapevole che non avrebbe approvato.  
“Lo odio.” Sputò a denti stretti. “Dio, Arthur, lo odio così tanto.” La rabbia le fece tremare la voce. Guardò Arthur, di fronte a lei, e poi pensò a se stessa. A quanto, entrambi, fossero stati danneggiati da un uomo pessimo come Uther. Non aveva fatto altro che far del male ad entrambi.
In un modo o nell’altro, entrambi erano stati feriti da un uomo che, invece, avrebbe dovuto amarli. E Morgana era furiosa.
Arthur fece un passo verso di lei. Le afferrò il viso tra le mani. “No, Morgana. Non devi.”
“Ho tutto il diritto di farlo!” quasi gridò. “Guarda cosa ha fatto a me! Guarda cosa ha fatto a te! Ti ha quasi picchiato, Arthur! Come puoi dirmi di non odiarlo?”
Arthur abbassò le mani dal viso della sorella solo per stringere le sue tra le proprie. “Perché sei diversa da lui. Una volta mi hai detto che essere diverso da Uther fosse la cosa migliore che potesse capitarmi. Voglio ricordare la stessa cosa a te. Farsi dominare dall’odio ti renderebbe come lui. E tu non sei come lui. Sei migliore, sotto ogni punto di vista.”
Morgana guardò le loro mani intrecciate, mentre nelle orecchie le risuonavano le parole di suo fratello. Avvertì una strana stretta allo stomaco e poi avvertì un singhiozzo strozzato partirle dalla gola, il preludio di un pianto che chiedeva di uscire da anni, ma che lei aveva sempre trattenuto per non sentirsi debole, per non dare in qualche modo ad Uther il potere di farla soffrire.
Ma si rese conto, mentre Arthur la abbracciava e la lasciava piangere sul suo petto, che era liberatorio, e che Uther non aveva proprio nessun potere su di lei.
Solo lei aveva il potere su se stessa. E aveva il potere di essere migliore di lui, di essere una persona nuova, libera dall’odio.
“Continuo ad essere furiosa con lui, però.”
Arthur ridacchiò, mentre le accarezzava i capelli. “Mettiti in fila, allora. Pure io sono furioso con lui.”
“E io, anche se nessuno l’ha chiesto.”
I due fratelli si voltarono verso Merlin, rimasto in silenzio fino a quel momento.
“Che c’è? Ho tutto il diritto di esserlo, mi pare.”
Morgana accennò una flebile risata, mentre si asciugava le lacrime con i palmi delle mani. “Sì, ce l’hai.”
Un trillo interruppe la conversazione e attirò la loro attenzione. Merlin guardò il forno e costatò che i suoi muffin erano pronti.
“Rimani a cena con noi?” Chiese Arthur alla sorella. “Merlin ha preparato i muffin salati e le lasagne. Ti avverto però, le lasagne non hanno la carne.”
“E con cosa le ha fatte, allora?” domandò Morgana, quasi scioccata.
Merlin alzò gli occhi al cielo. I carnivori e la loro assurda credenza che non possano esistere alternative altrettanto buone alla carne.
“Pesto. Fatto da me. Vi piaceranno, prometto. E alcuni muffin hanno i cubetti di prosciutto, quindi non lamentatevi.”
Arthur si avvicinò e gli lasciò un bacio sulla guancia. “Guarda cosa arrivi a fare, per me.”
Merlin lo guardò negli occhi e gli lasciò un bacio a stampo. “Farei di tutto per te.” Affermò, accarezzandogli amorevolmente il viso.
E Arthur sapeva che con tutto si riferisse a cucinare usando il prosciutto, o ad arrivare a minacciare di denunciare Uther se solo avesse osato fargli del male.
E andava bene così.







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Ciao a tutti! Mi scuso per questi mesi di assenza e per il ritardo con cui ho aggiornato questa storia, ma è stato un periodo un po’ impegnativo per me e il tempo scrivere era davvero poco!
Vi chiedo scusa e se c’è ancora qualcuno che ha la pazienza di leggere questa storia, ha tutta la mia gratitudine!
Avevo preventivato che questo capitolo fosse l’ultimo, ma poi visto che non aggiornavo da tanto tempo ho pensato anzi di fermarmi qui. Anche perché penso che di cose ne siano successe abbastanza – e in proporzione, è lungo come gli altri capitoli, quindi non si crea troppo divario tra questo e i precedenti. In alcuni punti sono un po’ titubante, ho paura di aver gestito male un argomento così delicato e di non essere stata in grado di descriverlo in modo corretto. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, se ne avete voglia, ovviamente.
Mi scuso per eventuali errori. Ho riletto il capitolo, ma alcune cose potrebbero essermi sfuggite. Se doveste notare assurdità, ditemelo senza remore che provvederò a correggerle!
Vi saluto e ringrazio chiunque abbia deciso di portare avanti la lettura di questa storia.
Grazie anche a chi legge, ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate e a chi ha sempre trovato un po’ di tempo per recensire!
Vi mando un grande abbraccio!
Alla prossima! <3 
   
 
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