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Autore: Sweet Pink    26/07/2021    1 recensioni
Impero Britannico, 1730.
Saffie Lynwood e Arthur Worthington non si potrebbero dire più diversi di così: freddo quanto implacabile giovane Ammiraglio della Royal Navy lui, allegra e irriverente ragazza aristocratica lei. Dire che fra i due non scorre buon sangue è dire poco, soprattutto da quando sono stati costretti a diventare marito e moglie contro la loro stessa volontà e inclinazione!
Entrambi si giurano infatti odio reciproco, in barba non solo al fatto di essere i discendenti di due delle più ricche e antiche famiglie dell'Impero, ma pure alla vita che sono sfortunatamente costretti a condividere.
Eppure, il destino non è un giocatore tanto prevedibile quanto ci si potrebbe aspettare, poiché sono innumerevoli i segreti che li tengono incatenati l'uno all'altra; segreti, che risalgono il passato dei Worthington e dei Lynwood.
E se, con il tempo, i due nemici si scoprissero più simili di quanto avrebbero mai immaginato, quale tremendo desiderio ne potrebbe mai derivare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Avvertenza: il seguente capitolo contiene scene e tematiche sensibili, quindi procedete nella lettura con cautela.

Grazie mille e buona lettura.



CAPITOLO QUARTO

OSCURITÀ ACCECANTE





La chiesa era illuminata da una luce pura e abbagliante, bianco latte, che penetrava con delicatezza dalle maestose vetrate situate ai lati dell’unica navata presente, immersa anch’essa in un silenzio paradossalmente assordante.

Saffie presenziava nei primi banchi assieme ai genitori e, a parer suo, pure le mute figure in nero dei pochi presenti risultavano fin troppo nitide ai suoi occhi iniettati di sangue. Era come se si fosse risvegliata di botto in un mondo a lei totalmente estraneo, che il suo sguardo non riusciva a riconoscere.

Ma non era di certo tutto qui: davanti alla sua figura rigida faceva mostra di sé la bara candida dove riposava Amandine. La rappresentazione di ciò che più in vita sua aveva temuto era ora a nemmeno un metro da lei, un oggetto anonimo quanto agghiacciante, ricoperto da fiori di un bianco incredibile.

Ma è questa oscurità ad essere accecante, in realtà.

I suoi occhi castani non avevano mai abbandonato quello che non era altro se non un freddo contenitore ma, al contempo, sembrava essere pure l’ultima immagine con cui avrebbe ricordato l’amata sorella: una bara, la solenne incarnazione della sua tremenda colpa.

“Amandine era malata e tu non c’eri.”

Con un orribile sentimento che pulsava forte e doloroso nel cuore, la ragazza serrò improvvisamente labbra e denti, quasi a volersi far del male; tutto, pur di non piangere per l’ennesima volta a causa delle parole pronunciate dall’unica persona al mondo che poteva dire di odiare. Tutto pur di non voltare lo sguardo in direzione del banco posto vicino a quello della famiglia Lynwood dove, lo sapeva, avrebbe potuto osservare il dolore discreto in cui Simeon e Arthur Worthington si erano rinchiusi.

Saffie non voleva nemmeno posare gli occhi sull’ammiraglio, poiché la sua più ardente speranza era che lui potesse sparire come per magia.

“Saffie Lynwood, voi non sarete mai nemmeno la metà di quello che è stata Amandine”.

Strinse le piccole dita tremanti le une contro le altre, pronta a ricevere la sferzata di dolore e odio che sapeva si sarebbe abbattuta immediata su di lei. “Non è vero” pensò, fissando con vera disperazione le venature lucide di cui si componeva il legno della bara di fronte a lei “Voi l’avete uccisa, mentre io l’amavo per davvero”.

Saffie non aveva ascoltato neanche la metà della messa funebre di Amandine, celebrata dall’anziano parroco della loro contea e, se per questo, neppure un terremoto avrebbe potuto distrarla dal vortice di pensieri che riguardavano sua sorella e il disgustoso uomo ritto in piedi a pochi metri da loro.

Sparisci dalla mia vista.

La ragazza fu grata di udire il tono grave e gracchiante del prete annunciare il termine della funzione religiosa, visto che non pensava di riuscire ad arginare il suo opprimente rancore ancora molto a lungo. L’abbagliante luce bianca e asettica che penetrava dalle magnifiche finestre della chiesa, poi, non faceva altro se non aumentare il suo senso di nausea e confusione.

È difficile abituarsi a questa oscurità accecante.

“Fratelli e sorelle, andate in pace.”

Saffie alzò lentamente le palpebre, mentre una leggera espressione sarcastica passava fulminea sul suo viso giovane e stravolto.

Sì, certo.

Senza nemmeno una parola, né uno sguardo, Cordelia e Alastair Lynwood le votarono le spalle e cominciarono ad avviarsi pigramente fuori dall’edificio, inseguendo come due cadaveri viventi la bara portata sulle spalle da persone estranee che il Duca aveva vestito di tutto punto per l’occasione.

Facce immobili e senza lineamenti, muti manichini senza volto.

No, forse non mi abituerò mai a questo nuovo odio.

“Trovare pace…probabilmente non riuscirò nemmeno più a scrivere nemmeno una riga su un foglio di carta” si trovò a considerare la signorina Lynwood, mentre lei e la sua ingombrante gonna nera si apprestavano ad uscire faticosamente dall’elegante quanto stretto banco di famiglia. “Come posso prometterti di non piangere, se pure la sola idea di continuare a scrivere mi ripugna dal profondo?”

“Giurami che andrai avanti e sarai libera, che non verserai più alcuna lacrima per la tua frivola e fragile sorella.”

E difatti, i suoi occhi scuri si riempirono di lacrime nell’esatto momento in cui quasi si trovò a sbattere contro un indefinito qualcosa di scuro e solido. Come risvegliatasi di soprassalto, Saffie mise a fuoco un ampio torace tonico, fasciato da una lucida e lunga giacca in seta nero pece; senza poterne fare a meno, risalì con lo sguardo fino a un viso virile e dai lineamenti decisi, seppure esausti. Dall’alto, due iridi chiarissime la fissavano con un luminoso quanto agghiacciante disprezzo.

“…ma non si meritava la disgrazia di amare te.”

Con un piccolo sussulto sorpreso, la ragazza si allontanò appena dalla figura alta di Arthur Worthington che, da parte sua, si fece da parte in silenzio, con l’intenzione di farla passare.

Malgrado il cuore schizzato improvvisamente in gola e il turbamento causato dall’improvvisa vicinanza dell’uomo che lei riteneva la causa della morte di Amandine, Saffie riuscì a fingere più che degnamente l’indifferenza necessaria ad articolare un freddo quanto spoglio ringraziamento di circostanza. “Vi ringrazio” mormorò quindi, inchinandosi appena e spostando gli occhi in qualsiasi direzione che non fosse quella in cui vi era lui.

“Dovere” lo sentì rispondere in tono marmoreo e distaccato, come se l’ammiraglio Worthington fosse andato a sbattere contro un oggetto inanimato, e non una persona in carne e ossa.

A entrambi, in realtà, non importava poi molto del tono usato dall’uno o dall’altra, poiché paradossalmente era ancora una volta unico il pensiero celato dietro a obbligatorie parole di finta cortesia.

Sparisci dalla mia vista.

D’altronde ciò che era capitato il giorno precedente non sembrava voler abbandonare tanto presto le loro menti, poiché sembrava essere inciso a fuoco nel loro animo e sulla loro stessa pelle: Saffie era sicura di sentire ancora l’impronta delle dita grandi dell’uomo stringersi letali attorno al suo braccio sottile, tanto quanto Arthur era convinto di non riuscire a liberarsi della sensazione di cinque piccole dita impresse con violenza sul suo volto.

Era la rappresentazione della loro reciproca colpa, ciò che li aveva portati a superare un confine.

“Fortuna che entro poche ore sarà tutto concluso” pensò quindi la ragazza castana, massaggiandosi in maniera meccanica il braccio destro.

Si era appena lasciata alle spalle l’odiata figura di Worthington, che incrociò lo sguardo vuoto e impassibile di Alastair Lynwood: suo padre stava fissando lei e l’ammiraglio con un’aria stranamente pensierosa, quasi interessata.

“Si intende che lo farei…Sono tuo padre e questo rientra nei miei pieni diritti.”

Un brivido terribile scosse interamente Saffie, mentre Amandine varcava la soglia della chiesa, sparendo per sempre nella luce.



§



Un mucchio informe di carte stropicciate ardeva lentamente sul pavimento, mentre un forte odore di bruciato si diffondeva fastidioso in tutta la ricca stanza.

“Potete anche scordarvelo.”

Simeon Worthington era ritenuto da molti – e a ragione - un ufficiale dal temperamento adamantino, dalla volontà e animo incrollabili, nonché dal sangue freddo e carattere impassibile. Eppure, anche un uomo come lui si trovava ora in difficoltà, nel dover sostenere il gelido furore con cui gli occhi verde scuro del figlio lo stavano fissando. Era come se Arthur volesse inchiodarlo alla parete dietro alle sue spalle solo con la forza intimidatoria di quel tremendo sguardo che, oltre alla rabbia, comunicava un’indignazione sorprendente.

“Sì…” pensò d’impulso l'ex ammiraglio, trattenendo un sospiro “È veramente fuori di sé”.

Alastair se ne è venuto fuori con una richiesta a dir poco bizzarra, questa volta.

“Puoi sempre rifiutare, se non ti trovi d’accordo con il nuovo contratto proposto dal Duca” decise di commentare con finta indifferenza il padre di Arthur, osservandosi le unghie curate. Cercava di rimanere sul vago, di mascherare il suo vero stato d’animo solo per riguardo dell’amicizia trentennale che lo legava al padre di Saffie, ma il progetto del suo più vecchio amico gli suscitava più nausea che interesse.

Non che situazioni del genere siano una novità al giorno d’oggi.

“Certo che rifiuterò” sputò vero e proprio veleno il giovane ammiraglio, voltando la chioma scura verso la figura robusta del padre, osservandolo nuovamente con due occhi di fuoco dal centro della stanza. “Amandine è mancata da un mese e ora voi mi chiedete di legarmi a quella donna.”

“Ti chiedo di non rivolgerti in questi termini alla signorina Lynwood, figliolo” disse Simeon, una punta di severità nella voce piatta. Aspettò di sprofondare con le spalle nella sua poltrona preferita, prima di continuare il discorso con pacatezza: “È Duchessina, fra l’altro. Non dimentico che rappresenta l’alta aristocrazia con cui ho sempre voluto accasarti, come da accordi presi”.

Anche se, a dire il vero, non dovremmo chiedere a quella ragazza un sacrificio del genere.

Come non dovremmo chiederlo nemmeno a mio figlio.

Il volto virile di Arthur Worthington fu attraversato da una smorfia sprezzante, nauseata, mentre il proprietario decideva di dare le spalle al suo ingombrante e famoso padre, che pareva sereno come non mai. L’uomo si portò in due passi davanti al ricco camino acceso e puntò gli occhi nelle fiamme ardenti, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni per nascondere i pugni chiusi dalla tensione.

Un sentimento misto al rifiuto e al rancore si agitava senza pace nel suo petto mentre, senza che potesse in alcun modo impedirselo, il viso contratto dalle lacrime di Saffie si sovrapponeva al fuoco davanti a lui. Lo aveva sempre saputo, che dietro a quegli occhi innocenti si nascondeva una vera e propria strega.

Non potevi sopportare che Amandine ti fosse così superiore, non è vero?

Realizzò questo pensiero nel medesimo istante in cui le sue labbra articolarono, con quello che suonò genuino disgusto: “La sola idea di prenderla in moglie mi ripugna”.

Dietro la sua ampia schiena, le parole piene di stupore di Simeon non tardarono a farsi sentire: “E dunque, la detesti sul serio così tanto, quella povera ragazza?”

I riflessi aranciati delle fiamme davano colore al viso di un Arthur impassibile, dagli occhi tinti di un oscuro sentimento inamovibile. Un’oscurità che non lasciava intravedere nient’altro se non disperazione.

“Io e voi siamo molto diversi non è così?”

Sì, proprio così tanto.

A pensarci adesso, l'accordo di pace che lui e la signorina Lynwood avevano stretto parecchi mesi prima per il bene di Amandine pareva appartenere a un tempo e uno spazio mai esistiti: un universo impossibile, dove entrambi potevano guardarsi negli occhi senza intravedere la tremenda colpa di cui si accusavano a vicenda. Un mondo dove, per qualche assurda ragione, Arthur era pure arrivato a pensare di provare una sorta di ammirazione nei confronti di Saffie e del suo carattere ostinato.

Non potrà mai esistere, un mondo in cui noi due riusciremo a perdonarci.

Tra le fiamme, il viso tanto detestato della ragazza castana venne sostituito da quello dolce e pallido di Amandine. Con una dolorosa e sgradevole fitta allo stomaco, l’ammiraglio si accorse immediatamente dello sguardo con cui quegli incredibili occhi turchesi lo stavano fissando.

A chi stai pensando?

Due iridi piene di delusione scavavano ora nel suo animo a pezzi, portando a galla un senso di colpa che, in fondo, giaceva sopito dentro di lui già da un pezzo.

Perché non ho mantenuto la mia promessa?

“Puoi nasconderti fin che vuoi ma, non lo sai, che tu sai solo fare del male?”

Arthur piegò la testa bruna verso il pavimento, con l’intenzione di nascondere il suo smarrimento improvviso a non si sa bene chi. Se eccellere gli era sempre venuto facile fin da quando era bambino, questo valeva anche per il fingere: d’altronde, aveva imparato molto bene cosa comportava porgere il fianco a qualcuno, mostrarsi stupidamente debole.

Dimenticalo, dimentica tutto.

Fu così che, non rispondendo in alcun modo alla domanda posta in precedenza da suo padre, l’uomo sillabò solo: “Lei non avrà mai il mio nome”.

E questo sembrava chiudere la discussione, poiché il salotto elegante e sobrio di casa Worthington piombò in un silenzio pesante quanto teso.

Gli occhi grigi e acuti di Simeon indagarono la figura alta di un Arthur che ancora gli dava le spalle, nascondendosi così alla sua vista e al suo giudizio, proprio come sempre era stato da trent’anni a quella parte: suo figlio aveva cucito un’incrollabile figura di potere addosso alla sua persona, perché era la sua ambizione sfrenata a fare piazza pulita di ogni ostacolo presente sul suo cammino.

È più facile fare del male agli altri e proteggere così sé stessi, no?

Eppure, si disse ancora il signor Worthington, non aveva mai visto Arthur lasciar cadere la sua facciata di solida compostezza. O, almeno, ciò non era mai accaduto finché una certa ragazzina sveglia e perspicace non era entrata nelle loro vite: Saffie Lynwood non incarnava solo il ruolo di ultima discendente dell'antico casato dei Lynwood, ma era pure l’unica fanciulla al mondo che aveva osato tenere testa a suo figlio fin dal principio.

E, per questo, Simeon l’aveva sempre considerata una moglie molto più adatta della fragile Amandine.

“Alastair, amico mio, siamo due genitori orribili, non è vero?” pensò Simeon, alzandosi dalla sua amata poltrona in velluto blu con uno strano sentimento di stanchezza nelle ossa. “È un vero peccato” disse quindi, soave “Hai il patrimonio e l’età per sottrarti ai tuoi doveri, mandando all’aria tutto il lavoro che tuo padre ha dovuto svolgere in questi anni, solo per poterti aiutare a prendere posto tra i potenti”.

Con uno strano scatto meccanico, Arthur voltò il busto nella sua direzione e, odiandosi come non mai, non riuscì in alcun modo a nascondere come in effetti l’argomento tirato fuori dal padre fosse di gran interesse per lui: dentro di sé, era perfettamente cosciente di come l’appoggio del Duca di Lynwood fosse fondamentale per arrivare al suo obbiettivo.

Il potere, in fondo, non basta mai.

Un senso di rigetto immediato gli risalì in gola, facendogli venir voglia di vomitare.

Come puoi anche solo fare questo ad Amandine?

“Arriverò al vertice in ogni caso, pure senza questi mezzucci da quattro soldi” ribatté il giovane ammiraglio con forza, quasi ringhiando le ultime parole. “Forse avrò qualche difficoltà in più, ma è un rischio che sono disposto a correre, se significa evitare questa schifezza.”

Gli occhi metallici di suo padre saettarono di gelida e calma ira, ma l’uomo non sembrò smosso più di tanto dalle parole sboccate di Arthur. “Stai attento a come parli in mia presenza” gli suggerì infine Simeon, cominciando ad avvicinarsi a passo lento. “Sei un Ammiraglio adesso. Continua a comportarti come tale, senza utilizzare il disdicevole vocabolario di tua madre”.

“Come se la tua vergognosa madre avesse avuto molta scelta, comunque.”

A quel punto, l’espressione che si incise nei lineamenti raffinati di Arthur Worthington si fece specchio di quella del padre: un pericoloso bagliore fece la sua comparsa in quelle iridi dal verde disarmante, mentre quest’ultimo si decideva a dire, con un tono che sembrava poter uccidere: “State dimenticando un non trascurabile dettaglio, caro padre: la vostra adorata Saffie Lynwood non si piegherà mai ad accettare un’unione simile”. Un sorrisetto a malapena visibile, ma pieno di crudele arroganza, piegò gli angoli della sua bocca sottile. “Quel caratterino che tanto vi piace, unito al suo non saper stare al proprio posto, faranno il resto.”

Tra le infinite reazioni possibili al mondo, il giovane uomo non si sarebbe mai aspettato di veder suo padre sorridere a sua volta, nascondendo le labbra fra le dita callose, come se volesse impedirsi di scoppiare in una delle sue classiche risate assordanti. “Come se avesse possibilità di scelta” fu il commento sibillino che Arthur poté udire in maniera più che cristallina.

Un agghiacciante presentimento lo freddò sul posto, nell’esatto momento in cui Simeon decideva di rincarare la dose, portando avanti con apparente ignoranza una strategia in realtà più che concreta.

“La Duchessina si è rivelata sveglia oltre ogni mia immaginazione, devo ammetterlo” incominciò a dire suo padre, con voce di seta. “Visto che ha già accettato il contratto di matrimonio che la legherebbe alla nostra famiglia e a te. E l’ha fatto volontariamente.”

“…così che voi possiate sparire per sempre dalle nostre vite.”

Impossibile.

Gli occhi di Arthur si spalancano fin quasi al loro limite, mentre quella sgradevole premonizione nata dentro di lui sembrava ora trasformarsi in una certezza aberrante.

“Impossibile” ripeté poi ad alta voce, fissando con improvviso smarrimento l’attempato uomo di fronte a sé, come se nemmeno lo riconoscesse. “Non può averlo fatto davvero.”

Per tutta risposta, Simeon Worthington fece spallucce nel suo lussuoso abito in seta verde, spudorata copia dello sfarzo senza limite che tanto andava di moda in Francia e che suo figlio invece detestava. “Alastair sa essere un padre molto persuasivo, ma in effetti mi chiedo cosa abbia portato la signorina Lynwood ad accettare così presto. In fondo, ho sempre creduto non vedesse l’ora di tornare alla vita che conduceva nella capitale.”

Anche Arthur lo credeva.

Da quando aveva incontrato la famiglia del Duca Alastair – ormai più di un anno prima – l’uomo aveva a più riprese sentito parlare della famosa vita di Londra condotta dalla sorella di Amandine: non si contavano le volte in cui aveva dovuto sorbirsi i racconti di tutte le serate altolocate a cui la ragazza aveva partecipato, al suo impegno nell’attività di istitutrice, fino alla grande considerazione di cui godeva presso i letterati più in voga della città.

In fondo, come dimenticare che proprio lui stesso aveva accusato Saffie Lynwood di occuparsi solamente di inutili sciocchezze.

Perché?

“E io sono altrettanto sicuro di come, fra qualche anno, non si farà altro se non sentir parlare di voi, a Londra.”

Ancora, come se si fosse trattato di una dannata maledizione, la figura minuta della ragazza in questione gli galleggiò davanti agli occhi, sovrapponendosi a quella robusta del padre.

“Oh, io la trovo di un’intelligenza piuttosto acuta, a dire il vero.”

Un sorriso giovane e imbarazzato, tinto di una controversa ironia.

Il cuore a pezzi del giovane ammiraglio cominciò a battere furiosamente contro la cassa toracica, pure se non era nulla confronto al disprezzo travolgente che lo inghiottì all'improvviso, come un’alta e oscura onda.

“…così che voi possiate sparire per sempre dalle nostre vite.”

Se lo aspetta. La ragazzina sa fin troppo bene che non la sposeresti per niente al mondo.

Determinato a raggiungere il suo obbiettivo, Simeon Worthington sospirò con fare rassegnato e commentò, stringendosi nelle spalle: “Senza una degna moglie, il governatore non ti concederà mai il comando di Kingston, questo lo sai…Eppure tu sei così risoluto nelle tue decisioni!”. Lo sguardo metallico dell’uomo si fece sottile, da serpente a sonagli. “Dovrai rinunciarvi ma, almeno, lo avrai voluto tu.”

“Non così in fretta” sentenziò Arthur con voce di pietra, prendendo elegantemente posto sul sofà vicino al camino. Il giovane uomo non era così stupido da ignorare la strategia neanche troppo velata del padre, atta a perpetrare il piano ideato dal suo fido compare Alastair; ma ciò non significava che lui stesso non potesse trarne qualche vantaggio: se quella ragazzina pensava di poter salvare la sua reputazione, sottraendosi alla responsabilità di rifiutare il matrimonio e mandare a monte il contratto fra le loro famiglie, così da riuscire a tornare senza impedimenti alla sua pigra vita nella capitale, beh, aveva fatto molto male i suoi conti.

No, non ti lascerò mai più tornare al tuo finto paradiso, alla tua libertà.

Non quando io ho perso tutto a causa tua.

L’uomo incrociò lentamente le gambe toniche e disse, appoggiando con leggerezza la chioma scura sul palmo della mano: “Scrivete al Duca di Lynwood, padre”. Un sorriso di pura malvagità, di quelli che Simeon poteva dire di non vedere da parecchio tempo, sembrò profanargli il viso in meno di un secondo. “Ho tutte le intenzioni di rispettare il mio dovere, come d’abitudine, d’altronde.”

Non combattere contro di me, Saffie Lynwood.

La mia oscurità è accecante.

E, in quel momento, Arthur cercò di non soffermarsi su nulla che non fosse il suo personale e irremovibile odio. Non pensò ad Amandine, o all’ingiustizia che stava compiendo nei confronti suoi e della piccola strega. Al dolore che avrebbe inflitto a sé stesso.

“Puoi nasconderti fin che vuoi ma, non lo sai, che tu sai solo fare del male?”



§



“Congratulazioni, figlia mia. La risposta dell’ammiraglio Worthington è arrivata giusto un’ora fa” asserì una voce che, per quanto concerneva Saffie, poteva appartenere a un perfetto sconosciuto. “Finalmente ne hai combinata una giusta: non potevi essere nata con un visino così grazioso per niente.”

Non c’è nulla per cui congratularsi, festeggiare.

Perché io non ho potuto scegliere un bel niente.

Forte di questa considerazione, la ragazza sollevò la testa castana e inchiodò i suoi occhi scuri in quelli di Alastair Lynwood, lanciandogli uno sguardo deluso e altrettanto terribile.

Dietro alla sua elaborata scrivania in mogano, il nobile padre della ragazza sembrò non scomporsi troppo. “Su, su, non guardarmi così imbronciata” commentò, tagliando l’aria con la mano pallida e riccamente ingioiellata, liquidando così il turbamento di Saffie come se si stesse parlando di una cosa da niente. “Hai ampiamente dimostrato di possedere l’intelligenza di cui vai tanto fiera, nel decidere di non continuare ad opporti all’inevitabile: un contratto è stato siglato anni orsono e io ho ancora una figlia.

E, nel pronunciare le ultime due parole, il volto raffinato e aristocratico dell’uomo si aprì in un debole sorriso comprensivo, ma ugualmente agghiacciante. Ritta in piedi di fronte a lui, la figura minuta della sua primogenita tremava leggermente, dalla tensione, mentre il suo acceso sguardo castano ancora non ne voleva sapere di offuscarsi e cadere al suolo, di arrendersi alle leggi che governavano da secoli il loro mondo.

È arrivato il momento di imparare qual è il tuo posto.

Il Duca di Lynwood stava per aprire nuovamente bocca, forse rendere partecipe Saffie di questo suo pensiero fugace, che la ragazza lo precedette: “Vi congratulate, padre” cominciò lei con voce esile, affaticata. “Non sembra toccarvi minimamente la mancanza di qualsiasi scrupolo morale da parte di quell’uomo, nell’accettare di unirsi alla sorella di colei che aveva giurato di amare.”

Se per questo, Saffie si trovò pure a considerare come lo stesso Alastair non paresse minimamente disturbato dalla sua stessa mancanza di umanità. L’uomo l’aveva infatti fatta chiamare con urgenza nel suo ricco studio – un luogo in cui né a lei, né ad Amandine era mai stato concesso di metter piede – e, da mezz’ora a quella parte, le si rivolgeva con stampata in faccia un’espressione di grande trionfo.

Normalmente, la ragazza avrebbe accolto con grande gioia l’idea di poter esplorare la stanza in cui il padre passava la maggior parte delle sue giornate: si trattava dell’uomo che l’aveva messa al mondo e a cui tanto assomigliava ma, per ventisette anni, Alastair Lynwood era stato più che altro uno sconosciuto.

Un estraneo che ora la stava vendendo come se niente fosse.

“Arthur Worthington è un uomo di grande ambizione” le spiegò il Duca, sordo alle precedenti parole della figlia e cieco davanti a qualsiasi accusa. “Lui e suo padre sono quasi certamente più ricchi di noi, ma entrambi sanno quanto sia il sangue a fare la differenza fra chi conta per davvero.”

“Come voi siete perfettamente al corrente di avere le casse di famiglia ormai miseramente vuote” lo rimbeccò Saffie con malcelato astio, cercando di non lasciare spazio alcuno alle lacrime che ora minacciavano di trasformarla in una fontana vivente: aveva promesso di non piangere, ma sembrava non essere stata capace di fare altro in quel lungo mese passato dalla morte di Amandine. Sapeva pure di star tremando liberamente, come un canarino zuppo di pioggia, ma continuò comunque ad affrontare la persona seduta di fronte a lei: “Questa unione vi è necessaria, proprio perché sapete che siamo in una condizione in cui il lignaggio non basta”.

D’altronde, è a questo che servono le figlie femmine, no?

Per un secondo, la risata frivola e ingenua di Amandine risuonò lontana nelle orecchie di Saffie.

Mia sorella non si meritava tutto questo.

Come se sua figlia gli avesse appena urlato contro un’eresia irripetibile, Alastair si alzò di scatto dalla sedia, i palmi premuti contro il piano della scrivania e gli occhi castani dardeggianti di improvvisa rabbia. Sporse la figura alta verso di lei e sillabò, glaciale: “Diventerai la signora Worthington, che tu lo voglia oppure no”.

“Non che io abbia mai avuto voce in capitolo, mi pare” fu il commento pieno di disperata ironia della ragazza, sul cui volto era apparso un mezzo sorriso riesumato chissà dove. “Nemmeno Amandine ha mai avuto questa possibilità, ma almeno lei era innamorata del tanto celebrato Arthur Worthington.”

Perché neppure il Duca di Lynwood avrebbe mai potuto comprendere che i brividi di cui era preda sua figlia non erano di paura, ma bensì di un limpido sentimento costituito di rancore puro; un sentimento accecante, che scuoteva la sua anima nel profondo.

Nemmeno nei suoi incubi peggiori, Saffie avrebbe pensato di finire in quella situazione ma, sopra ogni cosa, che lui accettasse di sposarla per davvero. Si chiese cosa l’avesse spinto ad accettare la loro unione senza pensarci due volte visto che, se doveva essere sicura di qualcosa, questa era l’odio cristallino di Worthington nei suoi confronti.

Dovresti esserci già arrivata, piccola sciocca.

A chi è assetato di potere, serve veramente una motivazione?

“Dovresti ritenerti fortunata di questa piega degli eventi, figlia mia” fece la voce indifferente di Alastair, ora impegnato a guardarla come se la ragazza che più aveva ereditato del suo ingegno si fosse trasformata in una perfetta ebete. “L’amore romantico? Davvero, Saffie? E dimmi, ricordi qual è l’unica condizione per la quale sono disposto a rescindere il contratto con i Worthington?”

Una voragine spaventosa si aprì nel cuore della ragazza castana, come se qualcuno l’avesse pugnalato all’improvviso. Saffie sbiancò di colpo, chinando il capo e osservando le piatte forme del pavimento in marmo come se potessero inghiottirla da un momento all’altro.

Ricordava benissimo.

Le onde dei suoi lunghi capelli, liberi da qualsiasi acconciatura, si mossero appena: annuiva piano con la testa, improvvisamente timorosa di mostrare qualsiasi tipo di espressione al padre.

“Rifiuta di salvare questa famiglia, di obbedirmi, e l’unica strada che percorrerai sarà quella per il manicomio.”

Un leggero sudore freddo cominciò a imperlarle la fronte ampia.

I manicomi erano l’inferno in terra.

Tanto valeva morire subito.

“Sapevo che non potevi essertene dimenticata” asserì il Duca di Lynwood, soave come non mai. “Ora, spiegami quanto vale il tuo sciocco amore romantico, al confronto con questa prospettiva più che reale.”

“Giurami che andrai avanti e sarai libera, che non verserai più alcuna lacrima per la tua frivola e fragile sorella.”

No, si disse Saffie, non poteva permettersi di infrangere pure l’ultima promessa fatta ad Amandine e condannarsi ad una vita fatta di stenti e torture, che l’avrebbe sicuramente portata alla vera pazzia in pochi anni. Era anche terrorizzata alla sola idea di essere rinchiusa per sempre dentro a uno di quei maledetti edifici, ma cercò di trattenersi dal farlo vedere più di quanto già non lo stesse mostrando con il suo pallore improvviso.

Perché non ha rifiutato?

Si piantò le piccole dita nei palmi delle mani e strinse con forza, cercando di domare il disprezzo impressionante che ora aveva preso a pulsare forte nelle sue tempie, riempiendola di un senso di nausea crescente: era stata lei stessa ad essersi rivelata fin troppo ingenua, nello sperare che Worthington rifiutasse in blocco la disgustosa proposta di suo padre, liberandola così dalla responsabilità di aver mandato a monte gli accordi presi?

Come un fulmine a ciel sereno, Saffie fu folgorata dal ricordo di due penetranti occhi verde smeraldo, animati da un sentimento freddo e implacabile.

“Voi non sapete un bel niente, signorina Lynwood.”

La stanza che tanto avrebbe voluto indagare, piena zeppa di polverosi volumi e pomposi busti di qualche lontano antenato, non aveva più alcuna attrattiva per una signorina Lynwood in attesa, al contrario, di poter fuggire da quel fantastico incontro con il Duca.

Nello studio era presente un’unica grande finestra e, al di là di essa, le chiome verdi degli alberi secolari della tenuta scuotevano le loro frondose cime con dolcezza, producendo un sussurro affascinante che riuscì a permeare quel silenzio fatto di pesante tensione.

“Abbiamo un accordo, dunque?”

Pareva non ci fosse più nulla da fare, come morta era ogni speranza di poter tornare almeno alla sua vita di prima: per Saffie, Londra rappresentava il luogo dove avrebbe potuto essere lontana sia dal giogo di Alastair e Cordelia, sia dal Northampton e dalla casa in cui sopravviveva il ricordo di sua sorella minore; avrebbe voluto provare a cancellare tutto, compreso Arthur Worthington e l’oscuro sentimento che ora la rendeva cieca.

“Questa roba, bruciala.”

Una dolorosa fitta di panico si fece sentire nel suo cuore, diretta e traditrice. Aveva detto a quell’uomo di non volerlo più vedere, mentre ora non aveva alcuna possibilità se non quella di dovergli stare accanto.

E dire che, in un passato ormai fin troppo lontano, Saffie aveva addirittura pensato lui fosse in qualche modo attraente; un uomo un po’ noioso e pieno di sé, ma che sapeva pure essere protettivo e gentile.

Non è mai esistita, né esisterà mai, una persona del genere.

“Saffie Lynwood, voi non sarete mai nemmeno la metà di quello che è stata Amandine”.

“Promettete solamente di non costringermi a partecipare alla cerimonia di matrimonio” sussurrò infine la ragazza, premendo il mento contro il petto, nel patetico tentativo di nascondere il volto fra le lunghe onde della sua chioma castana. “Vi imploro di non farmi questo.”

“Vuoi sposarti per procura?”

“Sì, è ciò che desidero” annuì Saffie, senza alzare la testa. “Per rispetto di Amandine ma, se devo essere sincera, non voglio nemmeno che sia quell’uomo a infilarmi alcun anello al dito.”

Sarebbe rivoltante.

Alastair sollevò un sopracciglio grigio e sottile, con fare scettico. “Non l’hai mai avuto in simpatia ma, da come ne parli, parrebbe proprio che l’ammiraglio si sia guadagnato il tuo disprezzo.”

Fu allora che sua figlia decise finalmente di mostrargli il viso e, indagando in due occhi liquidi e inaspettatamente determinati, il Duca di Lynwood ebbe modo di comprendere come effettivamente la sua considerazione fosse veritiera, poiché seppe immediatamente che non era il figlio di Simeon, l’unico ad essere disprezzato da Saffie.

So bene quanto mi detesti, visto che sei così simile a me.

Di nuovo, un sorriso comprensivo apparve sul volto affilato dell’uomo dall’ego incrollabile. “Considera la tua richiesta accettata, figlia mia. In fondo, nemmeno io desidero offendere la memoria della mia amata Amandine con fastosi ricevimenti; tua madre, poi, potrebbe perfino soffrirne così tanto da morire per davvero.”

“Come se non aveste già calpestato abbastanza i sentimenti delle vostre figlie” pensò Saffie con ironia, mentre si inchinava appena all’elegante uomo di fronte a lei e diceva, senza alcuna inflessione di tono: “Grazie di questa concessione, caro padre”.

L’uomo sventolò una mano pallida nella sua direzione, con indifferenza. “Direi che è tutto. Metterò immediatamente in moto chi di dovere e incontrerò i Worthington, così sbrigheremo le ultime noiose scartoffie” asserì, sollevando pigramente la lettera scritta da Simeon davanti agli occhi. “Se tutto procede come si deve, tra meno di tre mesi potrai farti chiamare dagli altri signora Worthington.”

Mai e poi mai.

È più facile che io mi butti giù dal ponte della sua nave, piuttosto di usare quel nome.

Senza commentare in alcun modo le parole di Alastair, Saffie obbligò sé stessa a voltarsi meccanicamente verso la porta della stanza e, quasi senza respirare, cominciò ad avviarsi fuori dallo studio a passi lenti e forzatamente misurati. Nel suo intimo, la voglia di scappare a gambe levate era in realtà immensa.

“Ah, Saffie, giusto un’ultima cosa.”

La voce pacata e carezzevole del Duca le arrivò alle orecchie come un sussurro velenoso, obbligandola a voltare la testa castana verso il serpente che aveva parlato. Suo padre si era rimesso a sedere sul suo trono costituito di convenzioni sociali e la fissava da lontano con una serietà mortale; i suoi occhi furono percorsi da un fugace bagliore rabbioso e, per un attimo, Saffie ricordò di come egli si fosse rinchiuso per giorni interi lì dentro, incapace di affrontare la scomparsa della figlia prediletta.

“…in fondo, non sopportavi l’idea che Amandine fosse la preferita, non è vero?”

“Non vorrei che in questi mesi pensassi di usare il tuo sveglio intelletto per escogitare qualcuno dei tuoi colpi di testa, perché io te lo impedirò con ogni mezzo possibile” le spiegò Alastair, come se le stesse parlando dell’inverno in arrivo. “Questa unione sarà la punizione tua e di Arthur Worthington per la vostra noncuranza: che sia un modo di scontare la vostra colpa, quello di passare la vita insieme.”

“È stato grazie a te e ad Arthur, se me ne vado felice”

No, già lo sapeva che non poteva essere vero. Saffie capì solo in quell’istante quanto lei e il Duca fossero effettivamente simili perché, ripensando alle ultime parole della sorella, non riusciva a provare nulla al di là del genuino disprezzo rivolto al maledetto Arthur Worthington. Non era capace di vedere altro, oltre alla crudele prospettiva di rendergli la vita letteralmente impossibile.

Perdonami Amandine. Alla fine…io sono veramente una persona meschina come mio padre.



§



Febbraio 1730

La Duchessina di Lynwood osservò il suo riflesso allo specchio e le venne subito da pensare che la ragazza di fronte a lei non assomigliava proprio per niente alla cara vecchia Saffie, la divertente strega buona descritta da Amandine: aveva ancora un volto piccolo e ovale, grazioso, ma un pallore strano lo rendeva simile a quello smorto di un fantasma senza pace alcuna; gli occhi, da sempre molto grandi e accesi di un irriverente divertimento, ora la guardavano lucidi di un sentimento misto fra paura e determinazione.

Paura di ciò che la sua vita sarebbe diventata da quel momento in poi e, infine, determinazione nella sua personalissima scelta di non arrendersi per nessuna ragione a colui che ormai considerava come suo nemico naturale.

“Io e voi siamo molto diversi, non è così?”

“Come aria e mare, signorina.”

Due elementi che mai si incontrano davvero.

Un viavai di domestiche in veletta si affaccendava alle sue spalle, mentre una figura alta ed elegante di donna se ne stava ritta in piedi al suo fianco, intenta a spazzolare con cura una ciocca ribelle dei suoi lunghi capelli castani.

“Non è dorata come quella di tua sorella ma, lo stesso, hai una chioma che sembra fatta di seta, figlia mia” commentò Cordelia Lynwood, il tono di voce carico di un insolito affetto. “E sono ugualmente sorpresa: non pensavo nemmeno fosse cresciuta fino ad arrivarti al giro vita!”

La ragazza presa in causa alzò allora lo sguardo scuro sulla madre, come se quest’ultima si fosse materializzata all’improvviso nella stanza e non fosse in sua compagnia da almeno mezz’ora. Forse, si trovò poi a pensare, Cordelia si era finalmente accorta di avere sul serio un’altra figlia, ora che la prediletta non era più con loro: non ricordava l’ultima volta in cui aveva avuto l’occasione di udire la donna rivolgersi a lei in quella maniera, piuttosto che attraverso parole di biasimo inerenti alla sua condotta.

O forse è solamente merito del fatto che ora sono sposata, proprio come hai sempre desiderato.

Ignorando il turbamento presente nella sua coscienza, Saffie decise di dedicare un debole sorriso al riflesso della madre; una donna che – come lei – alla fine non aveva potuto decidere che esistenza vivere. “Vi ringrazio, mamma” cercò di articolare, muovendo appena le labbra. “Sono contenta passiate questi ultimi momenti insieme a me.”

Già, perché quella era la terribile sera della prima notte di nozze e, al solo pensiero, la sua anima fremeva di un panico e una rabbia mai provati in precedenza. Tre mesi erano infatti passati in un lampo e, quella notte, lei avrebbe incontrato dopo tanto tempo gli occhi di quell’uomo.

Lì, in una delle lussuose camere da letto della tenuta dei Worthington, lei e l’ammiraglio erano chiamati ad ottemperare al loro cosiddetto dovere coniugale.

Tutto questo è profondamente sbagliato, perché non dovrei esserci io qui, ma Amandine.

Che cosa sto facendo?

Cordelia Lynwood piantò gli occhi azzurri sul viso della primogenita e vi lesse un’incertezza improvvisa e spaesante, resa ancora più palese da uno sguardo fatto di due iridi spaventate, da cerbiatto in fuga. “Ho sempre voluto vederti accasata degnamente, pure se speravo non in questo modo” disse allora la donna, accarezzando dolcemente la piccola spalla di Saffie con la mano. “Ormai non puoi più tornare indietro, perché tuo padre non scherza affatto, figlia mia.”

La strada per il manicomio.

“Non temete, madre: compirò i miei doveri di moglie, se è questo che tanto vi preoccupa” rispose di getto Saffie, stringendosi nella sua fine sottoveste azzurro pallido. “So bene cosa mi aspetta, se il matrimonio venisse annullato per inadempienza.”

Anche se, ne era più che certa, la sola idea di passare la notte insieme disgustava lei e Arthur Worthington alla stessa identica maniera.

Le dita lunghe e curate della Duchessa scivolarono via dalla sua spalla e schioccarono in aria, attirando l’attenzione della brigata di serve ancora intente a rassettare una stanza già di per sé perfetta e illuminata dalla luce soffusa di fin troppe candele accese. “Vi concedo cinque minuti per sbrigare gli ultimi preparativi e abbandonare la camera” ordinò, cominciando ad avviarsi lei per prima verso l’uscita con un gran fruscio di gonne e sottogonne costose; si girò solo una volta, giusto il tempo di poter dire, ad una Saffie pietrificata davanti alla specchiera: “Ora pensi che sia terribile ma, con il tempo, imparerai ad apprezzare l’uomo al tuo fianco e, chissà, potresti perfino innamorartene.”

La ragazza non si voltò e nemmeno si sognò di risponderle, poiché sapeva che altrimenti sarebbe scoppiata a riderle crudelmente in faccia con vero e isterico scetticismo. Fissava il suo stesso sguardo allo specchio, in attesa come un soldato pronto a scendere in guerra.

Innamorarmene.

Non è mai esistita, né esisterà mai, una persona del genere.



§



Infine, anche l’ultima giovane domestica si ritirò dalla camera, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle e lasciando così sola una Saffie Lynwood in preda ad un agghiacciante turbamento. La ragazza si alzò lentamente dal morbido sgabello in velluto su cui era seduta e, cercando di dominare il tremolio delle sue gambe incerte, si fece strada verso il letto a baldacchino preparato per l’occasione.

Fissò le lenzuola candide e profumate, nuove di zecca, con uno strano senso di nausea e rifiuto: era lì che avrebbe dovuto adempiere al suo dovere coniugale, pena l’annullamento del matrimonio stesso in caso di inadempienza.

“…tuo padre non scherza affatto, figlia mia.”

Le preoccupate parole pronunciate neanche un’ora prima da Cordelia Lynwood riecheggiarono improvvise nella testa di Saffie, ancora intenta a fissare l’elegante alcova come se fosse uscita da un incubo. Quelle parole, di nuovo, suonarono da cupo e terribile monito.

“…di obbedirmi, e l’unica strada che percorrerai sarà quella per il manicomio.”

Questo, ovviamente, era inaccettabile. La ragazza si lasciò cadere sul bordo del materasso pesantemente, come se fosse stata un fagotto informe. Con aria assente, alzò lo sguardo sulla porta d’ingresso alla camera, poiché sapeva che il momento doveva essere vicino: non poteva sfuggire in alcun modo all’incontro con il tanto odiato Arthur Worthington, come non poteva più sfuggire a quella vita cui era stata condannata.

“L’ho sempre pensato: in fondo, non sopportavi l’idea che Amandine fosse la preferita, non è vero?”

Il cuore già di per sé stravolto di Saffie si fece pesante, traboccante di risentimento e dolore. “Se davvero non ti avessimo mai incontrato” pensò disperata, serrando le mani in grembo per ingannare il loro tremore leggero “Se solo quel giorno tu fossi arrivato, ora lei sarebbe qui al posto mio. Sarebbe viva e felice.”

E io non sarei divorata da questo implacabile odio.

La visione dei suoi occhi scuri si fece annebbiata e confusa senza che la ragazza potesse farci nulla. Allora Saffie abbassò lo sguardo scuro di scatto, cercando di concentrare la sua attenzione sulle sue stesse piccole dita, incrociate le une con le altre: era un metodo infallibile certificato da lei e Amandine, quello di spostare il proprio interesse su delle sciocchezze per dimenticare la sofferenza.

“Non dovrai mai piangere per me, quando non ci sarò più.”

Una singola lacrima cadde sul dorso della mano di Saffie.

““È stato grazie a te e ad Arthur, se me ne vado felice”

“Non è vero” bisbiglio solo, lasciando ai suoi lunghissimi capelli castano chiaro la libertà di coprirle il viso congestionato. “Mi dispiace, Amandine. Mi dispiace così…”

Fu in quel momento che la porta si aprì con uno scatto discreto quanto inaspettato. Il qualcuno al di là della soglia, evidentemente, non aveva ritenuto necessario prendersi il disturbo di bussare ed annunciare la propria presenza. Non che la signorina Lynwood si fosse aspettata niente di diverso da lui, ormai.

Se l’ammiraglio Worthington si era aspettato di trovarsi di fronte a una Saffie sull'orlo di una crisi isterica, oppure pronta a vomitargli addosso altre accuse di malvagità o insulti rabbiosi, dovette rimanere profondamente deluso. Gli occhi verdi e vuoti dell’uomo si posarono su una piccola sagoma tremante, seduta sul letto dove di lì a poco avrebbe dovuto farla sua.

L’uomo osservò con un bizzarro sentimento di disprezzo e disagio la veste da notte blu pallido avvolgere le esili forme della ragazza castana, i cui capelli ricadevano liberi sulle spalle e quasi arrivavano a toccare il bordo del materasso stesso: la piccola strega si nascondeva alla sua vista, rifugiando il viso dietro a quelle lunghe onde, così diverse dai boccoli dorati di Amandine.

“… lei ti aspettava, ma è stata la tua ambizione ad ucciderla.”

Il suo sguardo verde si fece limpido d’odio, mentre considerava il fatto di non riuscire a provare assolutamente nulla che andasse al di là di quel sentimento e della rabbia, nell’osservare la figura di Saffie Lynwood. “Maledico il giorno in cui ti ho incontrata” pensò d’impulso, come se potesse ferirla solo con quel pensiero tagliente.

Poiché credevo di averla seppellita, la persona che ero un tempo.

Quella capace di fare del male.

L’uomo allora avanzò in silenzio verso la ragazza in questione, che ancora non osava alzare il volto nella sua direzione e sommergerlo delle sue solite vane chiacchiere. Aspettò di essere a neanche un metro da lei, prima di fermarsi con le mani poggiate sui fianchi snelli e dire, quasi sputando veleno: “Buonasera anche a voi, moglie. Tutto avrei pensato, tranne questo”.

Due occhi grandi e lucidi si sollevarono di scatto sui suoi; e Arthur dovette incassare uno sguardo costituito non di terrorizzata attesa, quanto di un disprezzo più che cristallino: Saffie lo guardava con un’espressione di sfida che – per un attimo - gli aveva dato letteralmente i brividi.

“Avreste dovuto rifiutare le nozze, allora” gli rispose una voce esile, ma allo stesso tempo di una ironia disarmante e crudele “Pure voi siete caduto in basso, marito”.

L’uomo assunse un’aria sprezzante e le sue iridi furono attraversate da un bagliore di sinistra e calma rabbia: a quanto pareva, la signorina Lynwood aveva tutte le intenzioni di ingaggiar battaglia.

Non combattere contro di me, ragazzina.

Non puoi vincere.

Dal canto suo, Saffie ringraziò le domestiche per aver allontanato dalla camera qualsiasi oggetto contundente, visto il folle desiderio nato non appena aveva osato alzare la testa e guardarlo: avrebbe volentieri ferito a morte quella persona che ora incombeva alta su di lei, e cercava di dominarla con parole d'odio. Un rancore che, si disse la ragazza, era lo specchio del suo.

“…sparire per sempre dalle nostre vite.”

Ora invece non possiamo più liberarci l’uno dell’altra.

Arthur allungò lentamente una mano verso il viso di Saffie e passò distrattamente le dita fra le onde dei suoi capelli sciolti, assaporandone a malapena la morbidezza con i polpastrelli. “Ah, quanto detesto la tua lingua lunga” ammise di getto, sfoderando un sorrisetto glaciale che non si preoccupò minimamente di nascondere.

Saffie sgranò lo sguardo scuro e uno strano brivido di soggezione le attraversò la spina dorsale a tradimento, malgrado i suoi tentativi di non soccombere e cedere terreno al giovane uomo in piedi a nemmeno un passo di distanza. Eppure, Arthur Worthington le si rivelava ogni volta sotto un aspetto diverso e, ovviamente, questo non le piaceva affatto.

L’ambizione ha sempre un lato oscuro.

Ma lei non si sarebbe arresa per niente al mondo. Oh, proprio no.

“Sei il benvenuto” gli disse allora Saffie, buttando alle ortiche il formale voi come aveva fatto l’ammiraglio; le sue piccole dita andarono a contatto con la mano grande di lui, allontanandola dai suoi capelli con finta dolcezza. “Perché la tua arroganza è detestabile.”

Il silenzio calò nuovamente fra i due combattenti, che ben sapevano di stare aspettando l’una la mossa dell’altro; la tensione e la rabbia aleggiavano nel piccolo spazio che li divideva come una nebbia palpabile, quasi potesse tagliarsi con un coltello affilato.

Saffie stava per decidersi a parlare di nuovo, forse chiedergli la motivazione per cui aveva accettato la loro unione, quando fu l’uomo a decidere di agire per primo: si chinò su di lei, allungando le braccia ai lati del suo corpo minuto e puntando le dita sul morbido materasso, imprigionandola così tra sé e la voluminosa pila di cuscini adagiata alla spalliera del letto.

Presa in contropiede, e con il cuore improvvisamente schizzato in gola, la ragazza castana non ebbe la forza di mantenere i suoi propositi di guerriera coraggiosa, poiché arretrò leggermente all’indietro e, di impulso, cercò di non guardare il volto di Arthur, ora fin troppo vicino a quello di lei. Abbassò gli occhi scuri sul petto dell’ammiraglio e riuscì a intravedere perfettamente i suoi muscoli tonici tra le pieghe della raffinata camicia bianca.

No, si disse Saffie arrossendo come una ciliegia matura, non era stata affatto una buona ritirata strategica.

Arthur dovette subire ancora una volta lo sguardo di quegli occhi da cerbiatto innocente che, questa volta, si piantarono su di lui con sorpreso timore. Non se ne stupì affatto: d’altronde, non gli era sfuggito lo scatto della piccola strega, quando aveva accennato a metterla all’angolo.

“Non farò nulla che non vorrai” si ritrovò quindi a dirle, usando un tono più serio e calmo di quanto si sentisse nella realtà dei fatti. “Dimmi di andarmene, e uscirò da questa stanza con grande gioia e piacere.”

Saffie continuò a fissarlo con le mani chiuse contro il petto e un cuore che, almeno quello, pareva volersi calmare un poco. “Come se mi fidassi delle sue parole” pensò dubbiosa “Inoltre, potrebbe uscire da qui e usare ovviamente la mancata notte di nozze come scusa per annullare il matrimonio”.

E nei manicomi le donne scomode trascorrono una vita di solitudine, rinchiuse in una minuscola stanza.

“Non temete, madre: compirò i miei doveri di moglie, se è questo che tanto vi preoccupa.”

Non c'era alcuna vita, alcuna fuga, se ora voltava le spalle alla promessa fatta ad Amandine: come avrebbe fatto a vivere anche per lei, se costretta a farlo dietro alle sbarre di una cella infernale?

Non posso farle questo.

Ma, questa notte…

“…non possiamo nemmeno fingere” mormorò a sé stessa e all’ammiraglio Worthington. L’uomo la fissava di rimando con i suoi occhi mortalmente seri e freddi, il viso attraente disteso in un’espressione indecifrabile che poteva voler dire qualsiasi cosa. Eppure, lei lo sentiva, era ancora il loro odio a tirare le fila.

“No, non possiamo fingere” le fece eco Arthur in un sussurro, sporgendosi di nuovo verso la ragazza e sorridendo infine con crudele ironia “Sei perspicace come sempre, vedo”.

Saffie cercò di ignorare con tutte le sue forze il turbamento provocato dalla sua vicinanza e - malgrado si sentisse impotente come un fragile uccellino intrappolato fra gli artigli mortali di un predatore - ebbe l’audacia di scoccargli un’occhiata di sfida coraggiosa, quasi sbuffando seccamente su quelle labbra sottili, ora a pochi centimetri dalle sue.

“Dovremo fare qualcosa per mettere a tacere anche questa tua seccante abitudine” commentò lui per tutta risposta, ghignando di quella che alla ragazza sembrò pura malvagità.

Ecco chi sei.

La signorina Lynwood avrebbe dovuto sapere molto bene di avere davanti un uomo abituato a vivere di battaglie mortali e, nello specifico, Arthur Worthington era il tipo di persona che attaccava sempre per prima. Allo stesso modo, l’ammiraglio annullò senza alcuna esitazione la distanza fra i loro corpi, aderendo a quello esile di lei con il petto ampio e superando al contempo il viso arrossato di Saffie, proprio nel momento in cui quest’ultima credeva che lui stesse per baciarla.

La ragazza sentì quasi immediatamente il suo alito caldo sfiorarle il collo con una strana delicatezza. “Tu sei mia, adesso” le disse Arthur glaciale, in un tono di genuino disprezzo, prima di passare appena la punta della lingua sulla sua pelle e morderla con cattiveria, come se volesse marchiarla.

Imprimere il suo odio su di lei.

Suo malgrado, Saffie non riuscì a trattenere un lieve lamento e, per questo, il rancore nei confronti dell’uomo che la teneva imprigionata sembrò raddoppiare e gonfiarsi come un vento di tempesta; ma odiò anche sé stessa: sentiva di stare letteralmente bruciando, ed era strano, vista i dannati brividi che avevano cominciato a scuotergli il corpo.

È tutta, tutta colpa tua.

Di questo disprezzo, che ci acceca.

La ragazza castana portò allora una mano sulla chioma ribelle dell’ammiraglio, stringendo con forza le ciocche dei suoi capelli scuri. “Io non sarò mai tua” disse solo, impegnandosi di parergli perfettamente controllata.

“Come se io lo volessi davvero” fu il commento acido soffiato sulla sua spalla “Questo è un contratto che entrambi siamo costretti a onorare”.

Arthur portò finalmente il viso davanti a quello di Saffie e la osservò con fredda determinazione: l’espressione della signorina Lynwood era la rappresentazione del rancore e del disgusto, pure se contrastava in maniera incredibile con l’adorabile rossore che l’aveva invasa da capo a piedi.

I suoi occhi, così grandi e innocenti, lo sfidavano ancora senza alcun rispetto.

Non puoi vincere.

Ragazzina, il mio odio è accecante.

“Credevi veramente che ti avrei lasciata tornare a Londra, alla tua vita di sempre, come se niente fosse accaduto?” ironizzò l’ammiraglio, implacabile. Un senso di trionfante soddisfazione si impadronì di lui nell’esatto momento in cui vide lo sguardo della ragazza tradire una certa sorpresa e, forte di questo, non fece nemmeno caso al suo lieve sussulto spaventato, non appena cominciò a far scorrere le dita sotto il tessuto della sua fine sottoveste.

E io solo, avrei dovuto sopportare il peso dell’inferno che hai creato.

Sei stata così stupida da accettare di legarti a me, credendo che io mi sarei tirato indietro. È questo il modo in cui mi hai già fatto vincere.

Risalì lentamente la pelle accaldata delle sue cosce e aggiunse, senza battere ciglio: “Verrai con me fino alla fine del mondo, se io te lo ordinerò. Sprofonderai nell’infelicità.”

“Quindi non si tratta solo di ambizione…questa è vendetta” pensò Saffie Lynwood con rabbia, insensibile al fatto che, in fondo, Worthington non era venuto a conoscenza dei misericordiosi piani di suo padre, in caso di mancato matrimonio. “E non dovrà mai venirli a sapere.”

Mi rinneghesti su due piedi, non è vero?

La tua arrogante superiorità sarà la tua disfatta, povero ammiraglio.

Le piccole dita della ragazza mollarono allora la presa sulla chioma scura di Arthur, scendendo fino al suo avambraccio tonico e fasciato dalla larga manica della camicia bianca, su cui esse si aggrapparono. “In questo caso, saremo in due, ad affogare” soffiò quindi lei sulle labbra sottili dell’uomo, che si piegarono in un sorrisetto più scettico che crudele.

Ma non si trattava solo di ingannare l’ammiraglio Worthington, ovviamente. Saffie cercava ancora una volta di ingannare anche se stessa, rinnegando l’effetto di controversa repulsione e aspettativa provocato dal lento percorso di quelle mani calde sulla sua pelle: non voleva più riconoscerlo come suo, quel piccolo corpo esile, che reagiva contro la sua stessa volontà.

Le dita dell’uomo risalirono fin dentro di lei e cominciarono a torturarla con una lentezza estenuante. Una cascata di nuovi brividi la aggredì di nuovo, e Saffie si sentì per un momento come sperduta in un mare indomabile. Si sforzò con tutta sé stessa di non farsi sfuggire nemmeno una sillaba dalle labbra e strinse con forza le dita contro il tessuto della camicia di Arthur, la cui espressione seria degli occhi verdi non sembrava voler comunicare più nulla.

Non possiamo fingere.

E dovette combattere pure per non tirarsi indietro, per non piangere, visto l’enorme senso di colpa e la grande vergogna che ricaddero improvvisi su di lei perché, in quel momento, senza via di fuga fra le braccia dell’ammiraglio, non provava nessun tipo di paura.

Perdonami, Amandine. Perdonami, perdonami ti prego.

Senza dire una parola, Arthur si mosse verso Saffie con delicatezza, obbligandola sdraiarsi sul candido materasso, i lunghi capelli castani che si allungavano come macchie di colore intorno a lei, facendola apparire più innocente di quanto fosse in realtà. All’uomo sembrò un angelo precipitato in mezzo alla neve, e lì abbandonato; ma nemmeno questo bastò a far cedere il suo animo colmo di freddo risentimento.

Perché tu non sei lei.

Non sei la donna che ho amato.

“Onoriamo i nostri doveri” le mormorò neutro, guardandola per l’ultima volta negli occhi: la ragazza lo osservava dal basso con un incredibile sguardo liquido eppure fermo, che comunicava un misto fra attesa e testarda sfida. Un violento brivido traditore sembrò attraversare Arthur come un fulmine a ciel sereno, ma lui si rifiutò categoricamente di riconoscerlo come tale. “E non saremo più obbligati a occuparci l’uno dell’altra, né a frequentarci seriamente” aggiunse, facendosi strada con il bacino fra le gambe di Saffie, che non oppose alcuna resistenza.

“È un contratto, in fondo” sibilò quindi lei, prestando a malapena attenzione alle mani grandi dell’ammiraglio che, permute sui morbidi cuscini, provvedevano a imprigionarla nuovamente. Con il cuore in tumulto e un odio invincibile nel petto, sperò solo che a Worthington non venisse in mente di provare a baciarla. Questo, non l’avrebbe mai permesso.

“Proprio così.”

Da quel momento in poi, nessuno dei due si guardò più negli occhi. Fedeli entrambi alla repulsione nei confronti di ciò che stava accadendo e, in generale, al rifiuto l’uno dell’altra, decisero di adempiere a quell’atto come se fosse stata una cosa dovuta, di cui non volevano essere consapevoli. Sia la ragazza che l’uomo, nel profondo, sentivano un opprimente senso di colpa nei confronti di Amandine: sapevano che non poteva esserci nulla di più sbagliato, di più sporco, di quel legame forzato. Era come se la stessero uccidendo di nuovo, proprio loro, che più di tutti gli altri l’avevano amata.

E quella loro accecante oscurità si fece ancora più grande.

Saffie passò tutto il tempo a fissare il petto ampio dell’uomo muoversi, senza quasi battere ciglio. Non avrebbe mai ammesso con sé stessa di sentirsi letteralmente in fiamme, quindi figurarsi mostrare qualsiasi segno di debolezza di fronte al terribile diavolo che aveva preso in marito. Inoltre, aveva paura ad alzare lo sguardo, poiché non voleva incontrare i suoi glaciali occhi verde smeraldo, seppure dubitava fortemente che lui la stesse guardando.

Solo una volta la ragazza rischiò di tradire il suo stato d’animo. Era bastato che la camicia slacciata dell’uomo scivolasse lungo una delle sue solide spalle, lasciando così alle iridi scure di Saffie la libertà di osservare una sconvolgente cicatrice dal bianco quasi innaturale palesarsi fra le pieghe del tessuto: era un largo e frastagliato percorso che risaltava sui muscoli tonici del petto di Worthington e, intuì lei raggelata, doveva trovare una sua fine sul fianco destro, nascosto ai suoi occhi.

“Voi non sapete un bel niente, signorina Lynwood.”

Senza vera coscienza di sé, Saffie allungò timidamente una piccola mano verso lo sfregio di Arthur e riuscì a sfiorarlo appena con la punta delle dita, prima che la presa fulminea dell’uomo si richiudesse attorno al suo polso sottile come una trappola mortale.

“No” le disse solamente lui, con una nota di malcelata collera nella voce roca.

Gli occhi dei due si incatenarono per un secondo e l’ammiraglio la uccise con uno sguardo di pietra, dalla freddezza impressionante. Allontanò il braccio di lei dal suo petto e lo tenne premuto con forza sul materasso, quasi per timore che la ragazza potesse di nuovo provare a toccarlo.

Allora Saffie non badò più al suo cuore furibondo e, voltando la testa castana sul cuscino, decise di ignorare la cicatrice che faceva bella mostra sul torace dell’uomo. L’avrebbe dimenticata, come avrebbe fatto con il resto di quella terribile notte di nozze.

Infine, dopo un tempo che a entrambi parve interminabile, tutto giunse a conclusione. Senza scambiare nemmeno una parola o un’occhiata, Arthur e Saffie si allontanarono l’uno dall’altra meccanicamente: l’ammiraglio si sedette sul bordo del letto, dando le spalle a una signorina Lynwood che si voltò subito su un fianco, raggomitolandosi su sé stessa come una bambina piccola.

“Tu sei mia, adesso.”

“Almeno non ha provato a baciarmi” pensò scioccamente la ragazza castana, combattendo contro un pianto che in ogni caso lui non avrebbe potuto vedere. Desiderava solo essere lasciata finalmente sola con sé stessa e, al massimo, in compagnia del suo schiacciante senso di colpa: le sembrava quasi di vederla, Amandine, mentre puntava su di lei uno sguardo deluso e terribile.

Sarai contenta ora, Saffie?

No, non è vero.

Saffie non si curò nemmeno di voltare la testa, né di controllare il tono di voce tremante, nel pronunciare ciò che si sentì in dovere di ammettere: “Ti disprezzo più di ogni altra persona al mondo”.

Arthur incassò quelle parole con indifferenza, poiché nemmeno un fremito percorse i suoi occhi verdi, piantati sull’unica finestra presente nella camera, assenti. Si allacciò quindi la camicia bianca fino al colletto, occultando la sua vergognosa cicatrice e rispose, stoico: “Anche io ti odio con tutto il mio animo, ragazzina”.

Sì, questa oscurità è accecante.



Angolo dell’autrice:


Un imperdonabile ritardo di non uno, ma ben due mesi!! (T.T)

Chiedo scusa a coloro che seguono questa storia e si stanno appassionando: so che Away with you non è famosissima, ma comunque è una questione di principio e posso solo addurre come giustificazione i miei impegni lavorativi, che mi tengono occupata pure durante il weekend!

Ringrazio quindi chi ha pazientato in queste settimane e coloro che mi hanno scritto in privato per sapere che fine avesse fatto la storia di Saffie e Arthur! Questa è una vicenda che mi sto divertendo a scrivere e che vorrei proprio portare fino in fondo (a grandi linee ho infatti già tutta la trama in mente), ma sapere che qualcuno oltre a me è curioso di sapere che fine faranno i protagonisti mi riempie di gioia.

Ora, due parole sul capitolo: per farmi perdonare del ritardo, è pure più lungo degli altri, ma spero davvero non sia risultato troppo pesante, in tutti i sensi. Desideravo descrivere in maniera corretta e coerente i sentimenti dei nostri due, il contesto sociale in cui essi sono costretti a muoversi, poiché i temi qui citati non possono essere affrontati alla leggera.

Ok, sono anche una brutta persona, visto che l’ultimo paragrafo mi sono divertita parecchio a scriverlo: adoro che né Arthur né Saffie abbiano paura l’uno dell’altra o, al contrario, si temano in dei modi che non sono mai riusciti a comprendere. A me è chiara come il sole l’istintiva curiosità che ha colpito entrambi fin dall’inizio, e a voi?

Ah, penso se ne vedranno delle belle!

Spero che il mood di questa storia si possa risollevare un poco, andando avanti con i capitoli. Per quel che concerne questo, chiaramente, non mi era in alcun modo possibile spezzare la tensione ma, adesso, si entra nel vivo della storia. E dire che, nella mia testa, il passato di Saffie e Arthur (l’anno e mezzo trascorso fino al loro imbarco sulla nave diretta a Kingstown) doveva risolversi in un capitoletto veloce…e invece no, ben quattro capitoli. Niente, io amo andare per le lunghe!

Vi chiedo ancora perdono per il ritardo: cercherò di essere più celere la prossima volta, pure se il modo in cui scrivo mi impegna tempo e ripensamenti.

Spero taaaaanto tanto che il capitolo vi abbia appassionato! Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate, perché mi farebbe veramente tanto piacere, sapete?

Un abbraccio forte,

Sweet Pink

  
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