Anime & Manga > Candy Candy
Segui la storia  |       
Autore: moira78    27/07/2021    3 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Neil Lagan era steso su un fianco e fissava il riflesso della luna sui vetri.

Si sentiva come se nel suo corpo ci fosse un'altra persona, completamente diversa e a lui ignota. Quegli ultimi giorni erano stati devastanti e avevano sancito la loro fine.
Aveva visto Eliza disperarsi, urlare, strapparsi i capelli e sua madre, dapprima sconvolta, reagire poi con una compostezza di cui non la credeva capace, anche se era pallida come fosse morta. Aveva mandato un telegramma al loro padre curandosi di non anticipargli nulla, ma sarebbe arrivato l'indomani assieme alla polizia e a quel tipo che era andato a parlare con Sarah rivelandole tutto.

Poche ore e tutto sarebbe finito.

Poche ore e avrebbero avuta salva la vita, ammesso che la polizia non fallisse, a costo della libertà.

Niente più auto lussuose, donne, alberghi da aprire e niente più sole della Florida. Con quello che credevano il piano perfetto lui e sua sorella avevano corrotto tutto, distruggendo anni di sacrifici e impegni.

Suo padre lo avrebbe ucciso.

Deglutendo a vuoto, Neil lasciò le lacrime brucianti scorrergli sul volto e, sorprendentemente, pensò a Candy.

Lei, così libera. Lei, così solare. Lei, così gentile nonostante tutto. Lei, che ora non aveva memoria per colpa di Eliza. E sua.

La invidiò, la desiderò, voleva sentire la sua voce, voleva che gli dicesse parole di conforto, voleva...

"Maledizione!", soffocò le parole nel cuscino, singhiozzando, arreso alla mole di eventi che li avevano travolti. Doveva solo ringraziare il Cielo che fossero tutti vivi ma non gli bastava.

Non era pronto ad affrontare quel futuro oscuro che lo attendeva. Che attendeva tutti. Non poteva sopportare gli sguardi pieni di odio che gli aveva lanciato sua madre e che gli avrebbe lanciato suo padre.

Mentre il pianto si placava, a poco a poco, in Neil cadde una calma inquietante, mentre la consapevolezza di quello che doveva fare risplendeva chiara e limpida come quella luna.

Si tirò a sedere accarezzando la seta del lenzuolo come se fosse la pelle di una donna, come aveva toccato la sua auto solo qualche giorno prima. Il tocco carezzevole si trasformò in uno strattone e Neil strappò via il tessuto dal letto, fissandolo per qualche istante.

Cominciò ad arrotolarlo con gesti sapienti, come se lo avesse sempre fatto e, di nuovo, gli venne in mente Candy che arrotolava le lenzuola per fuggire dalla finestra.

Lui, però, non aveva alcuna intenzione di fuggire. Non dalla finestra, perlomeno.
 
- § -
 
Adrian si stava togliendo la giacca, pronto a infilarsi il pigiama quando udì bussare piano alla porta. Prima ancora di invitare il misterioso visitatore, sapeva di chi si trattasse e cosa volesse.

Con un sospiro, cominciò a slacciarsi i polsini della camicia e si tolse il panciotto e fu così che lo trovò Frannie, in piedi in mezzo alla stanza.

"Scusami se sono venuta a quest'ora...", cominciò. Da che la conosceva, Frannie non era mai stata in imbarazzo.

Continuando a slacciare il polsini con nonchalance rispose alla domanda che non aveva posto: "Il signor Ardlay è molto provato, inutile nascondertelo. È dimagrito a livelli allarmanti e non sarà certo la riabilitazione in carcere a rimetterlo in sesto come si deve. Spero che esca di lì prima possibile. Inoltre abbiamo parlato di Candy e del sospetto che abbiamo che lei lo ritenga responsabile della morte di Anthony e non credo gli abbia fatto bene sentirlo. Mi è dispiaciuto tanto lasciarlo in quelle condizioni, ma non avevo scelta: almeno ora so tutta la storia". L'ultimo bottone saltò via e Adrian imprecò. Sì, era stato sincero in maniera brutale, ma aveva alternative? Aveva senso indorarle la pillola?

Alzò per un attimo gli occhi su Frannie e si rese conto che stava per piangere.

Si bloccò.

Quella era davvero Frannie? Quella che si stava portando una mano al viso e si appoggiava a una sedia fino a cadervi sopra, prostrata da un dolore che non era suo? Era la fredda, enigmatica e professionale Frannie Hamilton, ex crocerossina che era sopravvissuta a tutti gli orrori della guerra?

Adrian strinse i denti, la mascella era contratta e i pugni si chiusero: "Frannie", disse con il tono più dolce che gli uscì.

Lei singhiozzava penosamente, si era tolta gli occhiali e sembrava tentare con tutte le sue forze di ricomporsi. Cosa doveva fare? Lui, uno psichiatra abituato a dare sollievo alle persone, non sapeva se prendere fra le braccia la donna che amava per consolarla, rischiando di nuovo un suo rifiuto, o se rimanere lì, fermo come un idiota a guardarla struggersi per un altro uomo.

Lasciò che si riprendesse da sola, certo che il suo stesso orgoglio fosse ferito da quella dimostrazione di debolezza estrema.

"Scusami, non so cosa mi è preso", disse con voce rotta, asciugandosi gli occhi. "Neanche al fronte mi è mai capitato di crollare così. Non è da me".

"Lo so che non è da te, anche se non ti conosco da tantissimo", sospirò sedendosi sul letto, improvvisamente svuotato di ogni energia, "ma, Frannie, la tua reazione è tipica di una donna innamorata. Sei in pena per quell'uomo e vorresti stare con lui per confortarlo adesso, o sbaglio?".

Frannie scuoteva la testa, una mano tra i capelli: "Mi ero ripromessa di non pensarci più, di rassegnarmi. Ma non riesco a impedirmi di...", all'improvviso alzò lo sguardo per fissarlo, come rendendosi conto di qualcosa che le era sfuggito fino a quel momento. "Io non dovrei fare questa conversazione con te. Tu sei un medico e io un'infermiera, non siamo due amiche che spettegolano".

Adrian fu quasi divertito e dovette mordersi le guance per non ridere. Allargò le braccia e disse: "Beh, almeno mi consideri un'amica con cui spettegolare, in fondo in fondo. È già un passo avanti, non trovi? Magari è un buon segno", concluse ironico.

"Adrian, per favore", ora il suo tono era tornato freddo.

La liquidò con un gesto: "Sì, lo so, lo so, stavo solo scherzando. Non cercherò più di convincerti che il mio cuore batte solo per te. E comunque non si decide da un momento all'altro di smettere di amare qualcuno: non è come una flebo che si toglie da una vena. Io lo so bene, credimi".

Si scambiarono uno sguardo imbarazzato e lei si alzò, pulendosi gli occhiali e rimettendoli sul naso come se nulla fosse accaduto. Solo la voce un po' incrinata gli indicava che era ancora preda di forti emozioni: "Mi dispiace per questa scena penosa, non si ripeterà più", dichiarò andando verso la porta.

Per un attimo, Adrian si vide raggiungerla in due passi, sbatterla su quella porta e imprigionarla contro il suo corpo, baciandola e accarezzandola finché non avessero avuto più fiato. E finché le sue ferite non si fossero rimarginate.

"Frannie", la richiamò invece, rimanendo ben fermo dove si trovava. Lei si voltò a guardarlo, gli occhi ancora scintillanti. "Ti sono amico, puoi sfogarti con me tutte le volte che vuoi".

Lei gli regalò un leggero sorriso, piccolo e stentato, ma sincero: "Grazie, Adrian". Poi uscì.

Un amico. Quello sarebbe rimasto sempre per lei.

Si sdraiò sul letto con tutte le scarpe, sfinito. Doveva concentrarsi su Candy, adesso. Voleva fare bene il suo lavoro per rendere felici almeno le altre persone di quella casa.
 
- § -
 
Era stato solo un tonfo, nulla di allarmante.

Qualcosa era caduto: un libro, una sedia, un oggetto qualunque.

Ma nel silenzio di quella serata orribile, a Sarah Lagan parve il rumore scoppiettante di un fucile che spari per uccidere un animale indifeso. Sedendosi sul letto si portò una mano al petto, ansimando allarmata da quel paragone così infelice che le era passato per la mente.

Rabbrividì nella sua camicia da notte e andò alla finestra per guardare fuori ripercorrendo, suo malgrado, gli accadimenti del pomeriggio.

"Cosa avete fatto? COSA AVETE FATTO, per l'amor di Dio?!", aveva gridato artigliandosi i capelli.

"Ma... mamma, io credevo che... quegli uomini... Molly...". Accecata dalla rabbia, aveva dato uno schiaffo a sua figlia, che era caduta a terra con un urlo costernato e piangeva istericamente.

Non l'aveva mai picchiata in vita sua.

"E tu, figlio degenere! Come hai potuto partecipare a questa pazzia! Sei suo fratello maggiore!", si voltò verso il suo unico erede maschio che aveva una calma glaciale negli occhi, certamente dettata dal fatto che era sconvolto, sotto shock.

"Non sapevo ci fosse di mezzo la mafia. Credevo fossero delinquenti comuni. Li ha contattati Eliza", aveva detto con voce roca, da uomo.

"Come osi dare tutta la colpa a me?! L'idea di incastrare lo zio è stata tua!", Eliza si era rialzata e si era aggrappata ai suoi vestiti, urlando come un'invasata mentre lo strattonava e lui la fissava con sguardo vacuo.

"State zitti, tacete! Vorrei non avervi mai messi al mondo, ci avete rovinati!". E, mentre lo diceva e incontrava gli occhi sgranati dei frutti del suo ventre, si rendeva conto della portata di quello che aveva appena detto ad alta voce.

Come era fatta una famiglia felice? Era ricca? Povera? Era composta da genitori onesti e figli devoti?

Credeva che la sua fosse perfetta, invece era solo un ammasso putrido e marcescente di bugie e cattiverie mai dette, nascoste, concesse e incoraggiate.

Per Sarah Lagan l'unica cosa importante erano la posizione e i soldi, perché altrimenti si sarebbe sposata con Raymond? Non certo per quella sciocchezza chiamata amore.

Amore. Ho provato qualcosa di simile quando ho avuto i miei bambini tra le braccia, appena nati, prima che cominciassero a crescere e a somigliarmi.

Sbatté le palpebre, sconvolta: erano i suoi figli, Dio santo! Dovevano somigliarle!

Li aveva cresciuti bene e protetti, persino coccolati e aveva dato loro quanto più poteva di quell'immensa ricchezza cui aveva diritto. Era orgogliosa dell'intelligenza brillante di Eliza, mentre Neil... beh, Neil cercava spesso di ottenere ciò che voleva con delle scorciatoie e, a parte quando si era fissato con quell'orfana, cosa c'era di male?

Un verso strozzato, maschile, chiaro come il tonfo di poco prima. Un verso di dolore.

Con un'esclamazione di terrore, Sarah sentì un brivido percorrerle tutta la schiena rimandandole il battito del proprio cuore nelle orecchie. Sudore gelato le scorreva sulle tempie.

Le gambe si mossero da sole e, in preda a un istinto primitivo, si recò senza indugi nella stanza di Neil correndo, spalancando la porta e cercando di articolarne il nome.
Il suo grido salì dalle viscere e risuonò nella camera, mentre il pensiero assurdo che avesse indovinato la caduta di una sedia qualche minuto prima le illuminava la mente, assieme all'orrore dell'immagine davanti ai suoi occhi.
 
- § -
 
George non riusciva a prendere sonno.

Era stato talmente impegnato, in quei giorni frenetici, che era riuscito a vedere William una volta sola, intubato e privo di conoscenza. Aveva pianto di sollievo quando il signorino Cornwell gli aveva telefonato per comunicargli che era sveglio e stava bene, ma la gioia era durata poco.

Il processo era in corso e gli avvocati non erano riusciti a concordare i domiciliari, sicché William doveva fare la riabilitazione in ospedale e poi in carcere.

Il che era una pessima notizia.

Da Archibald aveva appreso che entrambi avevano avuto alti e bassi durante la loro permanenza a causa delle condizioni stesse di reclusione, di uomini senza scrupoli che li minacciavano di continuo e soprattutto per via della preoccupazione che li attanagliava.

L'influenza degli Ardlay era drasticamente scesa di livello e il giudice aveva rigettato l'istanza, concedendo al signorino Cornwell di uscire di prigione per mancanza di prove più concrete, ma non consentendo a William di potersi riprendere in una struttura adeguata o a casa.

Davanti alla legge era ancora colpevole di traffico illecito.

George si alzò dal letto e si passò una mano tra i capelli, ricordando le parole di Archibald.

"Albert sembra l'ombra di se stesso. Nonostante stia cercando disperatamente di recuperare le energie mentali e fisiche, il rancio del carcere è pessimo e lui è ancora molto preoccupato per Candy. Ricordi che ha cominciato a dimagrire quando lei ha avuto l'incidente? Beh, dopo quello che gli è successo sembra quasi uno scheletro...".

Nella sua vita, sia lui che la famiglia Ardlay avevano dovuto sopportare molte disgrazie: a cominciare dalla morte di William senior, per poi arrivare a quella, per lui particolarmente dolorosa, della giovane Rosemary.

I suoi occhi pieni d'amore per il suo bambino e per suo marito. Le sue ultime parole per il suo fratellino minore...

George non si era mai più innamorato di nessun'altra allo stesso modo, quindi capiva molto bene quanto stesse soffrendo all'idea di aver perso Candy. Non l'aveva visto così sconvolto neanche quando il destino si era accanito ancora ed Anthony era morto a soli quindici anni: in quel caso, il pensiero di dover dare conforto a Candy gli aveva dato la forza necessaria a superare il suo dolore.

Ma ora cosa gli rimaneva?

Era in carcere, la donna che amava non aveva memoria, probabilmente lo detestava e forse a breve sarebbe stato rovinato.

Colto da un senso di urgenza improvviso, George uscì dalla stanza indossando solo una vestaglia da camera e si recò nel suo studio. Voleva ricontrollare i documenti del processo personalmente e la prima cosa che avrebbe fatto la mattina dopo appena sveglio, semmai avesse dormito, sarebbe stata contattare Jorge Ruiz.

Qualche giorno prima lo aveva chiamato perché voleva sapere chi fosse il commissario di polizia che aveva comunicato la falsa morte di Candy, ma quando gli aveva chiesto la motivazione lui aveva detto che prima doveva lavorarci, poi la linea era caduta.

Maledette linee telefoniche! Sembra che in Florida le abbiano allacciate degli incompetenti!

Non sapeva se dipendesse dagli apparecchi dai quali di solito il suo corrispondente chiamava o dai cavi di pessima qualità, ma ogni telefonata era costellata da statiche e rumori di ogni genere.

Mentre apriva la pila di documenti e li sfogliava rileggendoli per l'ennesima volta, si augurò che Archibald non stesse facendo nulla di avventato. Quando gli aveva raccontato dei sospetti della signora Elroy si era agitato tanto che credeva sarebbe saltato sul primo treno per andare a prendere i Lagan personalmente e non sarebbe stata affatto una buona idea.

L'ideale era coglierli con le mani nel sacco.

Perché Ruiz ha voluto il nominativo di quel commissario di New York? A che diavolo gli serve? Vuole coinvolgere la polizia dell'intero continente? Non che sia una mossa malvagia, visto che ha un conto in sospeso con gli Ardlay, ma...

Lo squillo del telefono per poco non gli fece volare i fogli dalle mani. Con un verso di stupore si portò la mano al petto, pregando Dio che non fosse un'altra brutta notizia.

Se è successo qualcosa a William penso che potrei semplicemente lasciarmi morire anche io.

Alzò la cornetta con una mano gelida e tremante e dalle scariche che gli arrivarono all'orecchio capì chi era: "Sono il tuo omonimo del Sudamerica, è già tramontato il sole, lì da voi?".

"Da qualche ora, Ruiz, e se la memoria non m'inganna lì siete avanti nel tempo di soli sessanta minuti. La prego di parlare, adesso". La sua pazienza era al limite: l'uomo era molto bravo ma, forse proprio per la sua intelligenza brillante, aveva sviluppato un'arroganza che riusciva a dare sui nervi persino a lui.

"Li abbiamo in pugno", disse secco.

George aprì la bocca, trattenendosi a stento dal gridare di gioia perché avrebbe svegliato tutti. Batté una mano sulla scrivania, serrando la mascella: "Portameli prima del processo", chiese passando al "tu" senza pensarci.

L'esitazione dell'uomo dall'altro capo del telefono gli arrivò sotto forma di mugugno contrariato.

Oh, no, cosa c'è che non va, adesso?

"Dovevamo partire domattina ma è sopraggiunto un piccolo imprevisto", continuò Ruiz con un tono calmo e controllato che lo urtò ancora di più.

"Un piccolo imprevisto? Di che si tratta?", riprese lui staccando un poco la cornetta dall'orecchio all'ennesima scarica. L'esaltazione di poco prima si trasformò rapidamente in rabbia. Perché doveva dargli le notizie col contagocce?

"Beh, ecco, a quanto pare il signorino Neil ha tentato il suicidio e ora si trova in ospedale", rispose in tono discorsivo, come se parlasse del tempo soleggiato previsto per l'indomani.

Per fortuna, la poltrona era proprio lì vicino o George sarebbe caduto a terra.

Quando tutto si fosse risolto, soprattutto se si fosse risolto, avrebbe preteso una lunga vacanza. Non era sicuro che i nervi gli avrebbero retto ancora a lungo.

"Ruiz, la prego, mi dia dettagli", chiese con voce tesa, ritornando alla formalità.

Le scariche sulla linea ripresero più forti di prima e George si ritrovò a imprecare mentalmente e, forse, anche ad alta voce senza rendersene conto. Prima che la comunicazione s'interrompesse in via definitiva, però, poté udire le parole "impiccarsi" e "speranza", che cozzavano l'una contro l'altra come lo stridio di un gesso su una lavagna.

Guardò la cornetta come se potesse dargli delle risposte, poi riattaccò con gesti lenti, cercando di riportare il respiro e il battito cardiaco a un livello normale.

Neil Lagan aveva tentato d'impiccarsi e l'unica cosa cui riusciva a pensare era che potesse sopravvivere per testimoniare al processo, perché entro pochi giorni si sarebbe presentata la difesa. Si sentì una persona orribile, ma l'unica speranza che aveva era che William, il suo figlioccio, suo fratello, il figlio dell'unico amico vero che avesse mai avuto nella sua vita, tornasse a casa e fosse finalmente felice.

Allora, forse, lo sarebbe stato anche lui.
 
- § -
 
Archie vide l'alba sorgere da dietro la finestra e, per un attimo, si chiese come fosse possibile. Da qualche tempo, appena apriva gli occhi vedeva un muro bianco oppure veniva svegliato dal clangore metallico di uno sfollagente sulle sbarre.

Rabbrividì, tirandosi le coperte fin sul naso, pensando che quel rumore lo avrebbe accompagnato fino alla morte.

Eppure aveva passato momenti peggiori di quello: il suo unico fratello era morto in guerra e, per quanto ne sapeva, il suo corpo decomposto giaceva in fondali marini lontani migliaia di chilometri. Bastava quel pensiero a rendere la sua relativamente breve permanenza in carcere una specie di vacanza scomoda.

Ma Archie sapeva che non era solo quello.

La prigione distruggeva le certezze e l'orgoglio: potevi startene nudo dentro a una doccia assieme ad altri uomini che volevano aggredirti come avevano fatto con Albert, oppure vivere col timore di subire le attenzioni sbagliate. O, ancora, rischiare di morire di fame o di malattia.

Archie aveva sempre creduto che il carcere fosse un luogo in cui gli uomini dovessero redimersi, rendendosi conto dei propri errori, ma ormai pensava che fosse solo un luogo di punizione dove, nella migliore delle ipotesi, se ne usciva sopravvissuti, peggiorati o traumatizzati.

E lui non aveva neanche il tempo di pensare ai propri traumi.

Doveva riportare indietro Candy, assieme ad Annie e al dottor Carter e doveva riprendere le fila della propria vita. Voleva ricominciare a studiare e poi sposare quella che era stata la sua fidanzata... se l'avesse mai riconquistata.

Il giorno prima era stato tentato di prenderla fra le braccia, dirle quanto l'amasse, ma era stato capace solo di piangere e vittimizzarsi.

Idiota. Si era sentito un lombrico, proprio come quel bastardo di Neil.

Maledetto, lui e sua sorella, e anche la sua intera famiglia: se non fosse stato perché temeva di compromettere i piani di George per tirare fuori Albert di prigione, sarebbe andato in Florida per riempirlo di pugni.

Possibile che sua zia Elroy non avesse detto nulla fino a quel momento?

Sedette sul letto, ormai sveglio, e si alzò per scostare le tende e vedere il sole sorgere. Per un attimo sognò che nel suo letto ci fosse anche Annie, profondamente addormentata. Sarebbe bastato voltarsi per vederla: la pelle chiara del suo viso che spiccava tra le ciocche di capelli corvini disposte in maniera scomposta sul cuscino.

Deglutì a vuoto, immaginandola nuda e in attesa che lui l'amasse.

Si batté un pugno sulla fronte, maledicendo quei pensieri così poco casti. Neanche con Candy aveva mai avuto fantasie simili e si chiese come avesse fatto a scambiare un amore platonico e meramente spirituale in quello vero che unisce un uomo a una donna.

Di Annie, ora lo capiva, amava tutto: la sua sensibilità che sapeva anche diventare determinazione, la sua eleganza, i modi gentili, l'allegria pacata. E gli occhi limpidi sul viso di porcellana, le labbra rosse che non aveva mai pensato di baciare, la pelle morbida del collo che...

"Okay, ora basta, Archibald Cornwell, stai veramente esagerando", si schernì con un sorrisetto. Doveva smetterla di pensare ad Annie come se fosse già sua moglie e mettere ordine nella sua vita.

Altrimenti sarebbe stato come invitarla in una casa disordinata e piena di povere e ragnatele.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Candy Candy / Vai alla pagina dell'autore: moira78