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Autore: Rosette_Carillon    28/07/2021    0 recensioni
L'incontro fortuito di due vecchi amici, compagni di classi, che la vita ha allonanato. Una serena notte parigina per ricordare, riunirsi, restare assieme fino all'alba e, forse, anche oltre.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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    Vie perdue








 
 
 
 
Ne era passata di acqua sotto i ponti da quando si erano conosciuti nei corridoi di quel vecchio, antiquato collège, e ora erano di nuovo l’uno davanti all’altra, ancora assieme, come sempre, a scherzare.
Non aveva mai pensato che si sarebbero rincontrati. Quando aveva preso la decisioni di partire, di lasciare Parigi, aveva messo in conto anche quello: il lasciarsi tutto alle spalle, cose e persone, lui compreso. Era convinta che l’avrebbe accettato, che se ne sarebbe fatta una ragione e sarebbe andata avanti come se fosse stata la cose più normale, come se fra loro non ci fosse mai stato nulla.
E ora, invece, era lì, davanti a lui. Solo in quel momento aveva realizzato che le era sempre mancato, quanto si era sentita sola.
Erano cresciuti, erano cambiati. Lui non era più il quattordicenne che faceva esasperare i docenti, spesso in ritardo, che dedicava allo studio il minor tempo possibile, e lei non era più la sedicenne che vestiva sempre di nero e parlava poco.
Erano cambiati, eppure, infondo, erano rimasti uguali. Infondo erano ancora quegli adolescenti, e lo sarebbero sempre stati.
Fintanto che fossero rimasti assieme, sarebbe stato come se il tempo per loro non fosse trascorso, come se quegli anni lontani non fossero passati. Due adolescenti nel buio e freddo corridoio dagli alti soffitti a volta.
Poteva ancora sentire l’eco dei suoi passi lungo quei corridoi…
Se chiudeva gli occhi si rivedeva nel cortile, seduta in una panchina fra gli alberi, sentiva l’odore della terra bagnata e il vento freddo di un Novembre di tanto tempo prima.
Aveva passato la sera a giocare, agitata, con l’anello d’argento che portava all’indice, a lui non poteva essere sfuggito, lo sapeva, eppure non aveva fatto nessuno commento. Lui aveva sorriso, sempre, e aveva conversato come fosse la cosa più normale e, in effetti, lo sarebbe stato, se solo non fosse passato così tanto tempo, se solo non avesse avuto l’impressione che fra di loro fosse rimasto qualcosa in sospeso.
<< Ti accompagno a casa. >>
Lei aveva riso, poi aveva accettato. Quella notte non era tornata in quello che lei amava chiamare il suo ‘attico’ ma che, in realtà, era una chambre de bonne.
Non era mai stata un animale notturno, diversamente da quanto tutti potevano pensare, aveva sempre amato la tranquillità di casa, e aveva sempre sostenuto che la notte fosse fatta per dormire.
Passarono le ore che li separavano dall’alba passeggiando per le strade semideserte, illuminate dalla luce gialla dei lampioni, di una Parigi che solo loro conoscevano. Parlarono tanto, risero, si raccontarono quegli anni trascorsi separati e ricordarono quelli trascorsi assieme.
Le ore passarono, ma loro non se ne accorsero; il cielo schiariva, ma loro non vi badarono.
Erano passate da poco le cinque, quando si incamminarono verso casa di lei, verso il suo ‘attico’ nel Marais. Quando si salutarono, un delicato sole allungava i suoi tiepidi raggi sopra i tetti di una Parigi ancora addormentata.
Si fermarono davanti al palazzo, lei gli rivolse un sorrise stanco, i tacchi neri in mano: la aspettavano quattro piani a piedi. Lui rispose con un cenno del capo, prima di incamminarsi, in silenzio, lungo la strada.
Salì le scale a passo svelto, silenziosa nei suoi piedi nudi e dolorati, segnati dalle calze a rete, la testa bassa, lo sguardo allegro coperto dai lunghi capelli e le labbra piegate in un sorriso.
Le venne da ridere e si morse le labbra sentendo il sapore amaro del poco rossetto che le era rimasto. Si fermò sul pianerottolo del terzo piano, guardò la scale che portavano al suo appartamento, poi si voltò verso l’ampia finestra che illuminava il pianerottolo, vi si avvicinò e guardò fuori: la strada era deserta, illuminata dal primo sole del mattino, lui non si vedeva più.
Si allontanò delusa.
Si chiese se si sarebbero rivisti, non gli aveva nemmeno chiesto il numero e dubitava che fosse lo stesso di anni prima. E poi, quel numero l’aveva perso: anche volendo non sarebbe riuscita a recuperarlo. Spesso, vedendolo fra i contatti del suo vecchio cellulare, si era soffermata a guardare la foto e aveva pensato di chiamare, o mandare un messaggio, ma aveva sempre posticipato.
Oggi no. . . domani sera. . .adesso è tardi. . . dopo l’esame. . . nel fine settimana. . . e alla fine gli anni erano passati.
Non sapeva nemmeno lei perché avesse aspettato tanto, forse perché sarebbe stato imbarazzante parlarsi di nuovo, forse perché restare nel dubbio appariva più facile di chiarire una situazione.
Si fermò davanti allo specchio e guardò l’immagine che esso le rimandava: il rossetto era quasi scomparso, ma aveva le labbra rosse. La matita era colata cerchiandole gli occhi, i lunghi capelli era spettinati.
Si lasciò cadere in ginocchio, stanca e improvvisamente triste.
Aveva sempre odiato come una serata felice fosse in grado di lasciare l’amaro in bocca quando finiva, quando la luce sostituiva il buio e la vita riprendeva la sua banale routine. Forse era la consapevolezza che quel momento allegro fosse finito per sempre, che non sarebbe più stato possibile riviverlo.
Si sentì svuotata, priva di ogni emozione, mentre le scene della notte precedente -solo poche ore prima- scorrevano nella sua mente.
Sentì una campana lontana battere le ore, normalmente, col caos cittadino non sarebbe stato possibile udirla, ma con quel silenzio sì.
Si alzò, poggiò la borsetta sul mobile basso e si incammino verso il bagno. Mentre i vestiti ricadevano per terra, sul parquet, l’acqua scorreva riempiendo la vasca da bagno sotto il basso soffitto.
Il cellulare si illuminò e vibrò sopra il mobile, mentre la quiete del bagno veniva interrotta dallo sciabordare dell’acqua contro le pareti della piccola vasca.







 
  
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