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Autore: crazyfred    29/07/2021    12 recensioni
Alessandro, 45 anni, direttore di una rivista di lifestyle. Maya, 30 anni, sua assistente personale. Borgataro lui, pariolina lei. Self made man lui, principessina viziata ma senza un soldo lei. Lavorano insieme da anni, ma un giorno, la vita di entrambi cambierà radicalmente ... ed inizieranno a guardarsi con occhi diversi. Sullo sfondo: Roma.
(dal Prologo) "Quando Alessandro l'aveva assunta, oltre al suo aspetto patinato, aveva notato la sua classe e il suo buon gusto, oltre ad una sensibilità ed intelligenza nascoste, ma scalpitanti e volenterose di venire fuori. Forse nemmeno Maya si rendeva conto, all'epoca, che razza di diamante grezzo fosse. Alex però, che nello scoprire talenti era un segugio infallibile, non se l'era fatta sfuggire."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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Capitolo 3

 
Scesa per strada, Maya prese una grossa boccata d'aria. Era una bellissima giornata di fine estate, calda, senza una nuvola in cielo. Sulla strada principale il traffico e i clacson scorrevano abituali, ormai totalmente parte dell'ordine naturale delle cose che nemmeno ci si faceva più caso. Prese una strada laterale per dirigersi verso un piccolo bar che all'ora di pranzo si trasformava in bistrot. Avrebbe preso un'insalata e un caffè, come sempre, e sarebbe tornata al lavoro, pregando che nel frattempo Alex fosse andato in pausa pranzo e non avrebbe dovuto incontrarlo. Non era stata strigliata, ma il fatto che avesse provocato, con la sua battuta, una situazione di tale imbarazzo tra di loro, l'aveva decisamente stordita.
Ma il bistrot era ancora affollato per l'aperitivo così, ricordandosi di aver finito le sigarette, cambiò programma e si diresse verso il tabacchino più vicino.
"Un pacchetto di Marlboro Rosse, per favore."
Lei era più tipa da Philip Morris, ma aveva bisogno di lasciarsi andare un po' e sentire il sapore forte e avvolgente delle rosse più note, oltre che il loro bel colpo in gola ad ogni tiro.
"Sarebbe meglio se la smettessi con quella porcheria" le intimò una voce alle sue spalle, con un tono leggermente sarcastico "sei giovane e ti fa male." Era Alex.
A parte che sono cazzi miei, avrebbe voluto rispondergli. Ma poi cosa ci faceva già fuori dall'ufficio?
"L'ultima volta che ho controllato è proprio questo che fa una dipendenza. Non si riesce a smettere nonostante si sappia che fa male."
Lui sorrise sommessamente, abbassando e ciondolando un po' la testa, divertito da quel modo tutto particolare che lei aveva di rispondergli a tono.
"Finito con il seating plan?" gli domandò, mentre riponeva portafogli e sigarette in borsa.
"Sì, non ci voleva poi molto" rispose lui, avvicinandosi al bancone."Un pacchetto di Nirdosh. E mi dà anche un accendino. Grazie"
"Com'era quella cosa che il fumo fa male?"
"Non mi guardare così" le disse, notando il suo sguardo sconcertato mentre uscivano dal negozietto "non fumo. Ma quando mi vengono i 5 minuti ho bisogno anch'io di distendermi e queste sono completamente naturali. Niente tabacco e nicotina. Anzi, dovresti provarle …"
Le allungò il pacchetto, ma Maya mise le mani avanti.
"Magari dopo pranzo …"
"Pure tu hai ragione. A proposito … ti va un sushi?"
"Come prego?"
"Qui a fianco c'è questo locale fusion … giappo-brasiliano … offro io, si intende. Devo farmi perdonare per prima. Allora, ci stai?"
Dopo averci pensato un po' su - sia mai che Maya non facesse un po' la sostenuta quando si trattava di inviti - accettò, di buon grado.
Per la maggior parte della gente le lasagne della mamma o la torta della nonna erano i piatti per coccolarsi, ma sua madre non cucinava e l'unico cibo vagamente familiare di cui aveva memoria era la zuppa inglese che la loro governante preparava ogni domenica ed era il dolce preferito di suo padre; per lei, invece, l'unico comfort food a cui poteva pensare erano gli onigiri, ricordo della brevissima fase nerd da liceale a causa di un ragazzetto per cui aveva una cottarella.
Il locale era piccolino, più un bar si sarebbe detto, ma coloratissimo e accogliente. I posti a sedere erano pochi e questo a tutto vantaggio della quiete. Tuttavia, Maya avrebbe gradito un po' più di chiacchiericcio in sottofondo, qualcosa che l'aiutasse a fare conversazione spicciola per rompere il ghiaccio. Non si era mai trovata in una situazione tanto informale con il suo capo. Al massimo avevano condiviso un box take away in ufficio mentre lavoravano, ma seduti da soli, faccia a faccia, in tavolino per due, nella sala da pranzo semivuota sul soppalco di una temakeria dell'Eur, questo mai. C'era una prima volta per tutto, e lei non era tipo da tirarsi indietro di fronte alle novità, ma non poteva nascondere un certo disagio. Conosceva Alex per il suo lavoro, ma qui erano fuori dal loro habitat naturale ed era tutto da scoprire.
"Devo chiederti scusa per prima, non avevo alcun diritto di parlarti in quel modo" le disse, mentre aspettavano le loro ordinazioni, versandole dell'acqua minerale nel bicchiere.
"Ci mancherebbe altro, Alex … se c'è stato qualcuno di inopportuno, quella ero io"
Sbollita la rabbia e la tensione dei primi istanti, Maya si rese conto di non potergli addossare alcuna colpa.
"Ma che stai scherzando? Tu non potevi mica sapere …"
Sapere forse no, ma intuire sì. Ed erano cinque giorni che non era l'Alex che lei conosceva e, si sa, e già solo tre giorni di indizi avrebbero fatto una prova.
"È che questa storia mi ha scombussolato il cervello … e siccome è una questione delicata per via dei miei figli finora ne ho parlato solo con l'avvocato e mi sembra di scoppiare"
"Posso solo immaginare…"
Maya provava in tutti i modi di fargli capire che andava bene così, che non c'era bisogno che entrasse nei dettagli, ma più lui lo faceva, più lui le raccontava, più capiva che in realtà aveva solo bisogno di sfogarsi, di raccontare a qualcuno che non fosse il suo avvocato quello che era successo. E forse aveva scelto proprio lei perché non faceva parte della sua vita; perché, sebbene, a suo modo, si prendesse cura di lui, non si era mai interessata a quella parte che ora era andata in frantumi. Lei era, del resto, una colonna di quella parte del suo mondo che era ancora in piedi, salda, sicura e di successo.
"Tu lo sai dove vado in vacanza tutti gli anni ad Agosto, vero?"
Maya annuì. Aveva una casa al Circeo, non molto grande stando a quello che aveva sentito dire, ma aveva una bella terrazza ed era vicinissima al mare. "Beh tutti gli anni Claudia va da sola qualche giorno prima per aprirla e mettere tutto in ordine … "
Ma a questo giro, al suo arrivo con i figli, Alex trovò solo un biglietto in camera da letto dove c'era scritto che aveva bisogno di stare da sola e di ritrovare sé stessa.
"Solo che uno si immagina un viaggio in India tra templi e santoni o un ritiro in qualche convento per ritrovare sé stessi … non una vacanza in un resort a Bali"
Maya lo lasciava parlare. Un po' perché francamente non sapeva cosa dire, lei in una situazione del genere non ci si era mai trovata - o piuttosto sarebbe stato sconveniente ammettere di essersi trovata dall'altro lato della storia - un po' perché gli faceva una tenerezza tremenda. Quell'uomo che lei conosceva come tutto d'un pezzo, si stava aprendo con lei come se di fronte non avesse una dipendente, ma semplicemente un'amica. I suoi occhi, che lei aveva sempre associato al ghiaccio, nonostante le sfumature grigio verdi, così decisi, fermi come le posizioni che prendeva, ora sembravano essersi sciolti, pieni di incertezze e di paure.
"Che poi per carità … io le crisi sono anche abituato a gestirle" aggiunse "è per i miei figli che mi preoccupo"
"Hanno capito?" si limitò a chiedergli, tentando di non risultare invadente.
"Edoardo sì, ovviamente, è grande ormai. Ci ha messo un paio di giorni a capire che qualcosa non andava ma non ho dovuto dirgli niente. Ma Giulia è una bambina … cosa vuoi che capisca?! Mi sono inventato che la mamma è andata ad accudire una vecchia zia malata, figurati."
Per fortuna la signora si era ricordata di essere una madre e, dopo essersi spostata dai genitori, pensionati alle Canarie, si era messa in contatto con i suoi figli, ma per il momento non aveva fatto alcun cenno di ritorno a Roma.
"Posso chiederti come stai?" domandò Maya, di getto.
Si rese conto di quello che gli aveva chiesto quando ormai aveva terminato di pronunciare quella frase e non poteva più tirarla indietro. Le era uscita spontanea, onesta, come poche volte le era capitato prima. Proprio lei, che aveva fatto della sua vita un calcolo continuo e una lunga lista di regole ed imposizioni per mantenersi a galla.
"Certo che puoi …" la rassicurò, gentile.
Sembrava fragile in quel momento, mentre girava il cucchiaino nel caffè che aveva ordinato per chiudere il pasto.
"Come vuoi che stia? Come uno che si accorge che la sua vita era un castello costruito sulla sabbia e ad un certo punto arriva la marea. Ecco come mi sento … ma forse è una frase troppo ad effetto che non mi si addice."
Sì, era una persona pratica e cinica, che non stava lì molto a rimuginare, ma rendeva benissimo l'idea. Una vita trascorsa insieme, credendo di aver creato qualcosa di buono e duraturo - per non dire perfetto - e poi suona la sveglia, come il primo giorno dopo le ferie.
"Ma la cosa peggiore" aggiunse "è che è successo da un momento all'altro. Non mi sono accorto di niente, ero convinto che andasse tutto bene … ma forse è colpa mia, forse mio figlio ha ragione"
Come se non bastasse, infatti, Edoardo aveva preso le difese della madre, accusandolo di aver dedicato troppo tempo al lavoro e poco alla famiglia. Ma non era giusto, pensò Maya, che lui si accollasse una mancanza del genere, perché sapeva benissimo che non era così. Non poteva essere una colpa provvedere per la propria famiglia. Suo padre, ad esempio, quel riguardo nei confronti di lei, di sua madre e dei suoi fratelli non lo aveva mai avuto. Spendi e spandi fino all'ultimo e poi l'amara scoperta.
"Dio mio, ho monopolizzato tutto il pranzo con le mie fisime … di te che mi dici, hai passato delle belle vacanze, al contrario di me?"
Quell'autoironia, quel sorriso compassato e amaro, la spezzavano. Ne aveva sempre ammirato il rigore con cui teneva dritta la barra senza mai una lamentela o una spiegazione, la professionalità con cui lasciava che il suo privato non interferisse. Se possibile ora lo rispettava ancora di più, perché capiva a quale caro, carissimo, prezzo avesse acquistato il successo personale e quello della sua rivista.
"Abbastanza, non mi posso lamentare. In barca da Napoli fino all'Argentario."
"Una vacanzuccia economica insomma"
"Sì, penso si sia capito ormai che sono una persona di poche pretese"
Per la prima volta da quando si erano seduti a tavola, Alessandro si lasciò andare ad un sorriso libero, spensierato. A Maya faceva piacere sapere di aver contribuito a rasserenarlo un po'. Avrebbero continuato a parlare ancora a lungo se il cameriere non li avesse interrotti, presentando il conto.
"Perdonatemi" esordi non proprio mortificato, come sperava di risultare, ma ben più chiaramente alterato "ma dobbiamo chiudere il servizio"
"Oddio, ma che ore sono?" domandò lui, alzandosi dalla sedia e indossando la giacca che aveva accuratamente appoggiato allo schienale della sedia. Erano le 15. Avevano passato due ore come fossero meno di mezzora. Assolutamente volate. E la cosa assurda era che, per una che si era imposta di non unire lavoro e vita privata, Maya avrebbe continuato tranquillamente quella conversazione, e se lui le avesse chiesto qualcosa di lei magari gli avrebbe risposto pure.
"Io vado via" le disse, mentre si attardava alla cassa per pagare "devo andare a prendere la bambina all'asilo e le suore ci tengono alla puntualità … meglio non sfidare il traffico di Roma. Tu ne sai qualcosa …"
"Va bene, per la chiusura degli articoli e delle pagine carico tutto sul cloud così puoi stamparteli a casa e ti invio una bozza degli appuntamenti della prossima settimana"
"Ti ringrazio. Ah Maya …" la richiamò, un'ultima volta, mentre lei era sulla porta "non ho bisogno di dirti che quanto ci siamo detti qui, qui rimane. Ho bisogno della massima discrezione."
"Perché? Che ci siamo detti?" rispose lei, fintamente perplessa, strizzando l'occhio e uscendo dal locale.
Forse quella regola che si era data, a proposito del separare il lavoro dal privato, in fin dei conti era una stronzata: poteva andare bene all'inizio, quando non si conoscevano, per darsi un tono. Ma erano passati quasi cinque anni e ormai potevano fidarsi l'uno dell'altro. Non erano amici. Erano un team.
Mentre tornava in ufficio, Maya si rese conto di una cosa, piacevolmente stupita: nessuno dei due aveva più avuto bisogno delle sigarette che avevano acquistato.


"Ma che c'entro io con voi?"
"Senti cosa" quando la faceva incazzare, per Maya sua sorella era semplicemente cosa "non esci mai, il tuo concetto di vita sociale è il pranzo a mensa con i colleghi del reparto, per un venerdì sera che non lavori mi fai il favore di venire con me a toglierti di dosso quella puzza di disinfettante che porti in giro!"
Lavinia, la sorella maggiore di Maya, era un'internista. Quando il padre era morto, con i casini finanziari che avevano avuto, si era fatta avanti per lasciare l'università - rigorosamente UNICATT - e aiutare la famiglia come poteva. Ma la madre aveva detto di no, che non era colpa loro per come erano andate le cose e, a costo di vendere anche l'orologio della comunione, ai figli non avrebbe tolto nulla. Così Lavinia si era rimboccata le maniche e si era guadagnata la borsa di studio per ogni singolo anno di corso. Lei, tra i tre, era la posata, la responsabile, la giudiziosa. A differenza di Maya, la festaiola, e di Lorenzo, il mediano, che dal suo appartamento di South Kensington si faceva gli affari suoi con il lavoro nella City di giorno e le serate con gli stessi soggetti che frequentava a Ponte Milvio, expat come lui. Ma Lavinia no. Lavinia era tipa da andarsene a passare il weekend tra un'attività benefica e l'altra e le vacanze in missione in Africa. Una santa, una suora.
"Io non puzzo!" esclamò offesa la giovane donna, mentre sua sorella le camminava davanti ad un paio di metri di distanza, annusando furtivamente vestiti e capelli. "E poi non credo di essere la benvenuta" continuò "ti ricordo le belle parole che mi hanno riservato i tuoi amici"
Un commento captato per caso una sera che aveva accompagnato Maya ad una serata a La Maison, per via di un mezzo stalker che non aveva capito il no a caratteri cubitali che Maya aveva espresso. Guai a toccarle la sua sorellina, dovevano prima passare sul suo cadavere. E così, mentre erano in cubicolo del bagno a fare pipì, aveva sentito una certa Cris dire che era inutile che andava a farsi le foto in Africa con i bimbi dalle pance gonfie, quando aveva la nonna a casa con l'Alzheimer. E lei c'era rimasta così di merda che aveva trascinato via sé stessa e Maya, in lacrime.
"Certo che sei una pressa!!! Era una battuta!" ribattè Maya, girandosi scocciata verso la sorella "e sono passati due anni da allora, e Cristina non c'è. Potresti metterci una pietra sopra, come ho fatto io."
"Sarà… ma a me le persone che parlano alle spalle degli altri non piacciono" spiegò Lavinia "e se lo hanno fatto con me, di sicuro lo hanno fatto anche con te"
Del resto, nel frattempo la nonna se n'era andata, le amiche stronze della sorella no.
Ma Maya scacciò via quel pensiero dalla sua testa, tanto più che erano arrivate al teatro dove avrebbero trascorso la serata e bisognava cercare, tra la folla, i ragazzi che avevano anche i loro biglietti. Tirò fuori il telefono dalla borsa, ma prima che potesse iniziare a mandare un vocale su Whatsapp si sentì chiamare. Una ragazza alta e grossa, tozza e un po' grossolana si sbracciava per attirare la sua attenzione. Era Olivia. Non l'avrebbe mai definita la sua migliore amica, lei non aveva migliori amiche tranne sua sorella, ma era quella che conosceva da più tempo. In un certo senso le faceva la carità. Non c'entrava nulla con lei e con Roma Nord, i suoi erano di Orvieto, ma avevano ereditato da uno zio una casa al Fleming e da allora avevano lasciato il paesello per far crescere la figlia nella Roma bene. Non aveva frequentato le sue stesse scuole, non se le poteva permettere, ma - sebbene pubbliche - il Nitti e il Mameli le avevano fatto comunque conoscere la gente che conta. Siccome a lei e ai suoi era rimasta la mentalità di provincia, invece del motorino o della macchinetta, per andare a scuola usava i mezzi; da neopatentati, era l'unica tra gli amici ad avere ancora bisogno di chiedere lo strappo il sabato sera e finiva puntualmente presa per il culo. Per Maya era sempre stata un accollo, perché lei era la principessina di casa, la Belle di turno, e questa al massimo poteva fare la teiera di Belle viste le merende a pane e Nutella dai tempi delle elementari, a cui con il tempo aveva aggiunto un pacchetto al giorno di Camel Blue e Sex on the Beach all'ora dell'aperitivo ogni sera. Ma le loro mamme si erano conosciute in palestra e andavano straordinariamente d'accordo: dovevano farlo anche loro. E così, in qualche modo, a trent'anni non era ancora riuscita a levarsela di torno. Forse perché nel frattempo a Maya non era rimasta una lira neanche per piangere mentre i genitori di Olivia avevano fatto i soldi e un'amica con soldi e proprietà che ti invita sempre fa comunque comodo.
"Ciao tesò!" la salutò Olivia, abbracciando l'amica. Maya si sentì stritolare.
"Ciao anche a te Olivia" le disse, divincolandosi e sistemando il minidress di Erdem che aveva sentito stropicciarsi nella stretta. Le era costato metà quattordicesima, doveva restare immacolato.
"Madò che figa! Manco se mi chiudo in palestra per un anno divento così …"
Olivia aveva una sorta di venerazione per Maya, la seguiva come un cucciolo in cerca di attenzioni e coccole e Maya, che era egocentrica e vanitosa, lasciava che continuasse perché viveva per quel genere di adulazioni. Lavinia guardava sua sorella sconsolata, come fosse una battaglia persa. La sosteneva, in qualunque scelta, per lei e per tutti gli altri era la piccola di casa e l'avevano sempre protetta e scusata in ogni cazzata, ma le dispiaceva che sfruttasse la povera Olivia in quel modo.
"Gli altri dove sono? Non mi dire che ci sei solo te"
"No, tranquilla, sono già dentro. Flavia aveva sete e sono andati al bar del foyer"
"C'è pure Flavia?" domandò Maya, stupita "È una vita che non la vedo, pensavo ormai avesse sconfinato definitivamente …"
Sconfinare, per Maya e quelli come lei, era trasferirsi al di là di Ponte Milvio. Quando l'aveva conosciuta, ai tempi dell'università, Flavia frequentava il Villaggio Globale, a Testaccio, leggeva Il Manifesto e si impegnava in battaglie sociali e lotta di classe. Costantemente annoiata dalla vita e dall'Italia, sognava l'estero, ma il massimo dell'esotico all'epoca era andare a mangiare etnico in qualche locale al Pigneto e fare musica sulla Scalea del Tamburino a Trastevere, sentendosi profondamente migliore. In poche parole, una radical chic. Di quelle impegnate con il partito e che asseriscono, fiere, di non avere la tv - ma poi la guardano in streaming e votano pure ad ogni singola nomination dei reality di turno.
"I tempi sono cambiati" ridacchiò complice Olivia "ora va solo a feste private ed esce solo con gente del centro"
"Avrà trovato lavoro…"
il padre glielo aveva trovato … d'altronde quando telefona il Senatore …
"Lo vuoi davvero sapere?"
"Spara …"
"FAO" Maya alzò le mani, platealmente. "Dacce sti biglietti prima che se rovinamo la serata, Oli'!"
Forse stava solo rosicando, perché lei non ce l'aveva un padre senatore a cui bastava alzare la cornetta, anzi; suo padre aveva lasciato in eredità una lunga lista di creditori. Ma più vedeva certe cose e più le veniva la nausea.
Nella sala del teatro, le poltroncine di velluto rosso avevano lasciato il posto ai tavoli e le luci formali da platea erano state sostituite da luci soffuse e avvolgenti da club. Ad aspettarle al tavolo, oltre a Flavia, c'erano Andrea e la sua ragazza, Aurora, e Max, il compagno di Olivia. I due stavano meravigliosamente insieme, Maya lo ammetteva, e ammetteva anche che solo una come Olivia, che si faceva andare bene laqualunque, poteva andare d'accordo con Brontolo. Si lamentava di tutto, dei posti in cui andava, della gente che frequentava, della città che era ormai morta, di Ponte Milvio pieno di bori, del Caffè della Pace ormai così, del GOA diventato cosà. Che schifo qui, che schifo lì. Era una vita che si lamentava ma sempre negli stessi posti stava. E quando glielo facevano notare rispondeva, ineluttabile, “mi ci hanno portato”.
"Ciao principe'! Stasera sei splendente"
"Vola basso, Andrea!"
Vola basso … era stata un'espressione involontaria, non c'era alcun intento offensivo, eppure Maya dovette contenere con tutte le sue forze una risata ma anche solo un sorriso. Perché lei lo aveva ribattezzato Chuck Bass, ma aveva più a che fare con la sua mancanza di centimetri in altezza che con Gossip Girl. Era assistente di economia alla Sapienza, ma spento l'iniziale entusiasmo sembrava determinato a non passare la sua vita dietro una cattedra a sentire gli studenti ripetere giorno dopo giorno sempre gli stessi argomenti d'esame. Molto più probabilmente a studi conclusi avrebbe aperto una società di eventi, qualcosa che gli avrebbe permesso di esprimere sé stesso e tutta la sua iperattività. Organizzava di tutto: il tavolo in discoteca, il torneo di calcetto, la settimana bianca e naturalmente la cena del venerdì. Il suo guru, a Roma, era proprio Alessandro Bonelli ma, come ha detto qualcuno, ne doveva mangiare di cereali sottomarca per arrivare al suo livello. Maya aveva anche ceduto e c'era stata insieme per un'estate, un paio di anni addietro, ma quel suo essere sempre a mille - non era mai riuscita a capire se fosse questione di carattere o di sostanze - le trasmetteva un costante stato d'ansia e lei, con il suo lavoro, non poteva stressarsi pure nel privato. Ora si era sistemato con Aurora, o Patata, che viveva la sua vita in funzione di lui. Maya non sapeva molto di lei, al di fuori delle foto di coppia che postava in continuazione sui social assieme ad una sfilza di hashtag. Erano stucchevoli, quando girava bene, due pazzi, quando invece si toppavano a vicenda i messaggi della tesista o dell'istruttore di zumba di turno sui rispettivi cellulari. Ma Maya teneva duro e se li teneva stretti, perché con loro la svolta della serata era sempre dietro l'angolo.
 
Il post cena aveva in programma una serata di stand up comedy. Tra comici, o pseudo tali, più o meno noti nei locali della capitale, la serata scorreva tra un cocktail e l'altro, ridendo sguaiatamente davanti ai monologhi sentiti e risentiti sulle differenze tra i vari quartieri della capitale e i cliché sui suoi abitanti. All'ennesima battuta sui bravi ragazzi di Roma Nord, mentre tutti attorno ululavano e battevano le mani, lei alzava gli occhi al cielo e sbuffava. "Dai Maya sciogliti un po'!" la esortò la sorella.
"Vuoi che rida, Lavi'?" rispose, piccata "com'è dice quella comica in tv? … per carità, uno una risata se la fa perché siamo persone di spirito, però manco approfittarsene così biecamente"
Ma lei lo sapeva perché non riusciva, al contrario degli altri, a ridere di quegli stereotipi, perché dietro a quegli accenti, dietro alla ragazza che si iscriveva a Storia dell'Arte tanto per prendersi un pezzo di carta, dietro al ragazzo con l'abbronzatura da lettino solare che disquisisce di televisori come farebbe con un purosangue a Tor di Valle, si celava lei, con tutte le sue falsità ed ipocrisie. Lei, che aveva speso tutte le sue energie per rimanere dentro a quel mondo e lo prendeva così sul serio che aveva smesso di guardarsi attorno e rendersi conto che la sua vita era un circo e lei ed ognuno di loro, un pagliaccio o un numero da mandare in scena. Finti, malinconici, decadenti, ridicoli.
I suoi compagni di tavolo continuavano a ridere e a bere, ma lei sentiva la nausea assalirla. Le tornarono alla mente le parole di Alessandro, su come la tua vita può cambiare da un momento all'altro, su come certezze possono crollare dall'oggi al domani.
"Vado un attimo in bagno" urlò nell'orecchio della sorella, mentre un momento musicale si incastrava tra un comico e l'altro.
"Vuoi che ti accompagni?"
"No tranquilla"
Provenendo dalla penombra della sala dove aveva trascorso la serata, la luce fredda dei neon del foyer la accecò, improvvisa. Aveva bisogno d'aria, si sentiva soffocare e non era solo per l'aria viziata del locale. Uscì un'istante all'esterno per accendere una sigaretta. Sulle sale dell'ingresso un paio di ragazzi criticavano l'esibizione di un tizio del nord che aveva provato a far ridere una platea di romani. Provò pena per il tipo, e lo immaginava depresso dietro le quinte nel suo camerino, perché era stato alquanto un disastro. Appoggiata al muretto della scalinata, frugò nella borsa per le Marlboro Rosse che aveva comprato quella mattina ma, mentre rovistava, un plico bianco si metteva sempre di traverso. Era da quel pomeriggio, quando lo aveva trovato nella posta, che tentava di ignorarlo, pur immaginando benissimo di cosa si trattasse. Alla fine, stufa, dopo aver acceso la sigaretta e fatto un lungo tiro iniziale, tirò fuori quell'insieme di carte: era una diffida, in cui la proprietaria di casa la invitava - poco garbatamente - a rispettare il contratto d'affitto. Quando avevano estinto i debiti paterni, si era solennemente promessa di non fare cazzate, di essere giudiziosa nella contabilità ed oculata nelle spese. Ma il suo stile di vita non si finanziava da solo: si era dovuta ingegnare, negli anni, per far credere che per Maya Alberici tutto continuasse a girare come sempre. Il sistema Parioli, lo aveva ribattezzato. Ma per farlo credere agli altri doveva crederci anche lei e, così, gli sgarri annuali erano diventati mensili e ora non sapeva con che soldi pagare l'affitto e le altre spese di condominio, se non attingendo al fondo emergenze, un piccolo gruzzoletto che teneva da parte per spese extra come riparazioni e manutenzioni varie. Non poteva permettersi di spendere quei soldi e non voleva chiederne a nessuno, era troppo orgogliosa per ammettere di aver commesso un errore ed essere in difficoltà. Sapeva cosa avrebbe dovuto fare, per uscire da quell'impasse; era una scelta semplice, ma non così facile da attuare. Bisognava ridimensionarsi e farlo prima di venire fagocitata da un mostro che lei stessa aveva creato.

 
 


 
 

Ciao a tutti! Naturalmente, prima di ogni cosa: GRAZIE GRAZIE GRAZIE per le recensioni. 
Avevo promesso un nuovo capitolo per venerdì, ma domani ho un po' da fare e così ho deciso di anticipare la pubblicazione, tanto il capitolo era già pronto.
Finalmente sappiamo nel dettaglio cosa è successo al povero Alex: bella batosta vero? E Maya che sta lì ad ascoltarlo, non deve essere stato facile per lei che è tutta un io, io, io.  
Come vediamo, quel pranzo a due ha avuto delle conseguenze per Maya, di cui tralaltro vediamo uno spezzone di vita in comitiva.
A tal proposito, come ho spiegato ad alcuni di voi nelle risposte alle recensioni, non sono romana e per scrivere e descrivere la romanità mi sono affidata a qualche ricerca, agli sketch comici (se fate attenzione c'è qualche citazione di comiche romane più o meno famose) e a qualche cliché Roma Nord/Roma Sud. Spero nessuno si senta offeso, perché Roma è una città che amo e voglio omaggiarla nel limite delle mie possibilità.
Vi do appuntamento alla settimana prossima, verosimilmente tra giovedì e venerdì a seconda dei miei impegni.
Vi ricordo che potete venire a trovarmi su Facebook e vi invito comme d'habitude a lasciare anche un piccolo commentino.
 
A presto, 
crazy Fred ^_^
 
   
 
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