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Autore: Xeire    29/07/2021    1 recensioni
Un mondo devastato e un ragazzo che ha perso tutto. Un organizzazione ribelle e un giovane capo che deve dimostrare costantemente di essere meritevole del suo posto. Un soldato costretto a nascondere i propri sentimenti. In questa realtà, dove conta solo essere forti per sopravvivere, c'è spazio per l'amore, la fiducia, l'amicizia? Ma, soprattutto, sono stati davvero degli eventi naturali a distruggere l'umanità, oppure, c'è dietro qualcosa di più grande?
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II.
Marco non sapeva da quanto tempo si trovasse su quel camion. Era bendato e con le mani legate, ma sapeva di non essere solo nel retro del veicolo: aveva sentito salire due Ali. Uno, probabilmente, era l’uomo che aveva trovato il suo coltello (lo chiamavano “Walker 1”); l’altro, a giudicare dalla voce, era un ragazzino di quindici o sedici anni. Lo chiamavano “Crawler”.
Non si sapeva granché dell’organizzazione chiamata “Ali”. Le poche cose che conosceva su di loro le aveva imparate al Mercato, parlando con zia Jo. Nessuno era a conoscenza di cosa si occupassero di preciso, ma la loro attività di facciata era mantenere l’ordine, catturando “individui pericolosi” come, ad esempio, i Randagi come lui. Per diventare una delle Ali ci si poteva arruolare (anche se Marco ignorava i motivi per cui uno dovesse farlo), oppure, dopo essere stati catturati da loro, per sfuggire ad un destino ignoto, i più spaventati potevano tentare quella carriera. Si iniziava come Crawler (coloro che strisciano), poi come Walker (coloro che camminano) e, infine, si finiva da Flyer, le Ali vere e proprie. A Marco questo processo ricordò la metamorfosi da bruco in farfalla: una farfalla orribile.
“Il Randagio sembra abbastanza in forze. Ci potrebbe fare comodo uno della sua stazza” osservò Walker. Marco provò ribrezzo al solo pensiero che lui lo stesse esaminando, studiando, come se fosse un topo da laboratorio “ultimamente ci capitano tutti magrolini come te Crawler” concluse l’uomo. Marco sentì il ragazzo trattenere il respiro, come se fosse arrabbiato. Come se un complimento da parte di uno di quei bastardi potesse essere in qualche modo gratificante.
Dopo una serie di scossoni, il camion si fermò e le porte si aprirono. Marco sentì qualcuno scendere e pregava che fosse Walker.
“Ci fermiamo a mangiare qualcosa. Crawler, vedi di non fare cazzate: la tua promozione dipende da questa missione, e lo sai. Non perderlo di vista” ordinò Walker 1.
Si udì una risata tonante e fragorosa. Doveva provenire dall’altro Walker. “Come se potesse andare da qualche parte. Vieni, numero 3. Andiamo a farci un boccone. Ho sentito che lo stufato che fanno qua dentro è prodotto con la selvaggina di questi boschi, non con quella merda del mercato”. Delle porte vennero chiuse.
Erano andati via in 3, compreso il guidatore. Era da solo con il nuovo arrivato, la cui carriera dipendeva unicamente dalla sua sorveglianza. Poteva aggirarlo in qualche modo? O lui non avrebbe esitato ad ucciderlo? Certo, se lo avessero voluto morto a quest’ora non sarebbe qui: quando lo avevano catturato aveva posto resistenza: era riuscito a colpire uno dei due armadi al ginocchio, così forte da farlo piegare. L’altro aveva risposto colpendolo in testa con il calcio della sua pistola. Poi si era risvegliato sul camion.
Da quello che aveva detto l’uno, le file delle Ali avevano bisogno di giovani in forze, quindi lui era una risorsa preziosa, più o meno.
Marco era bendato e con le mani legate. Sentiva il ginocchio del pivello premuto contro il suo: erano molto vicini. Da quello che aveva dimostrato, tirava dei bei calci; ma come avrebbe fatto a stordire il ragazzo che aveva davanti? Poteva colpire alla cieca, ma non poteva essere certo che il suo piede sarebbe finito sulla faccia del Crawler.
Così gli venne un’idea. Un’idea fottutamente stupida.
“Ehi piccoletto”, disse, rivolto al ragazzino. Cercò di sembrare il più provocatorio possibile. “Certo che deve essere frustrante sentirsi subito inferiore al primo Randagio che vi passa sotto il naso”.
Marco sentì la gamba di lui irrigidirsi. Ma il ragazzo non si scompose. Doveva usare di più.
“Se la vocina che ti ritrovi è proporzionata alla tua stazza, allora non credo che abbiano fatto bene a lasciarti qui da solo. Sai, ho la sensazione che con un tocco potrei spezzarti un osso”.
Il respiro del ragazzo si fece rapido e pesante. Marco poté giurare di sentire la rabbia che emanava in quel momento.
“Io pensavo di essere importante, ma se hanno lasciato un bambino a sorvegliarm..”
Un forte colpo. Poi a Marco mancò l’aria. Il Crawler si era alzato e gli stava stringendo la gola con entrambe le mani. Sentiva il suo fiato, il suo respiro caldo e furioso sulla sua pelle.
“Tu, brutto Randagio, sei solo un piccolo, insignificante...”. Era vicino, ma non troppo. Marco sapeva cosa doveva fare e colpì, mettendoci tutta la propria forza.
Se non avesse passato tanto tempo al Mercato e non avesse ascoltato gli insegnamenti di Chicco, di Fred e del Grigio a quest’ora avrebbe il cranio in due: saper tirare una buona testata era fondamentale, se non volevi svenire.
Il colpo fu forte, e Marco provò comunque una forte fitta nel punto della colluttazione: il ragazzo andò a terra, accompagnato da un fragore sul pavimento metallico.
Durante lo scontro la benda si era spostata sull’occhio sinistro e Marco riusciva a vedere, almeno un po’, la situazione. A terra, scomposto, il corpo del Crawler. Il retro del furgone era molto piccolo, come immaginò.
Guardandosi meglio intorno si rese conto di uno scintillio sul pavimento. Non poteva crederci. Il suo coltello. Un moto di speranza gli si accese nel petto: si piegò e cercò di afferrare il coltello. Aveva le mani legate dietro la schiena, così diede le spalle all’arma e tentò di prenderlo. Si tagliò le mani a forza di provare alla cieca, ma, alla fine, sentì la familiare impugnatura di legno di nuovo contro il suo palmo.
Le Ali avevano così scarsa considerazione Marco che l’avevano legato con un pezzo di stoffa. Meglio per lui, perché lo tagliò in due secondi; quando ebbe finalmente le mani libere, si tolse la benda. Guardò il ragazzo a terra: quanto tempo ci avrebbe messo a riprendersi? E tra quanto sarebbero tornati i Walker?
Doveva agire in fretta. Tolse la giacca nera al ragazzo, l’uniforme delle Ali, e la indossò. In questo modo, sperò, nessuno avrebbe tentato di catturarlo.
Aprì il portellone del camion e guardò fuori: si trovava sotto un ponte, accanto a quella che era un’ex stazione di servizio (e ora era una stazione di servizio e un bordello): era notte, fuori non c’era anima viva e dal locale provenivano grida, urla e schiamazzi, sovrastati da musica di pessimo gusto.
Prese il corpo del Crawler e, con più delicatezza di quanto avrebbe voluto riservagli, lo adagiò sul terreno fangoso. Lo guardò per un po’, forse per troppo tempo. Aveva paura che si svegliasse e che iniziasse a urlare, facendo intervenire i suoi superiori. Così usò il pezzo di stoffa con cui lo avevano legato come bavaglio, poi gli legò insieme i lacci delle scarpe. Sorrise al pensiero di aver fatto una cosa infantile: Javier gli faceva sempre questo tipo di scherzi. Al pensiero di suo fratello, sentì che un’ondata di tristezza lo stava per soffocare, ma scacciò quei sentimenti. Cosa gli avrebbe detto Javi se lo avesse visto imbambolato lì invece di agire e scappare?  ¡Muévete, bobo!”. Marco sorrise. Gli avrebbe decisamente dato dello scemo.
Si decise ad andare verso l’abitacolo del camion; aprì la porta verso il lato del guidatore e salì. Ovviamente le chiavi non c’erano. Ovviamente. Ma questa volta Marco poteva benissimo fregare la Dea Fortuna: era cresciuto nel South Side: aveva imparato a rubare auto prima ancora che a camminare.
Il camion partì senza problemi e Marco premette sull’acceleratore. “Chissà quanto ci vorrà prima che la fortuna mi abbandoni di nuovo” pensò, mentre si lasciava alle spalle quel luogo fangoso e desolato.
Poco, ovviamente. La fortuna lo abbandonò dopo un’ora che era sul camion. Era finita la benzina.
Marco accostò e scese; provò a vedere se dietro ci fosse una tanica di scorta. Ovviamente non c’era.
Se le Ali non avevano fatto rifornimento e non avevano del carburante di scorta, voleva dire solo una cosa: il loro quarter generale non era lontano dal posto in cui si erano fermati prima. Questo lo rincuorò. Lo rincuorò meno il fatto che lui avesse fatto solamente un’ora di viaggio e quindi le ali non ci avrebbero messo molto a raggiungerlo.
In quel momento gli balenò in mente un’ipotesi. Il camion poteva essere tracciato. Poteva avere un microchip o un’altra stronzata che avrebbe condotto le Ali dritte dove si trovava lui in quel momento.
Così, d’istinto, iniziò a correre. La strada era dritta, circondata ai lati da campi. Nessun bosco, nessun luogo dove avrebbe potuto essere più al sicuro. Davanti a lui, si ergevano delle montagne.
Continuò a correre, nonostante sentisse i polmoni bruciargli nel petto, nonostante l’aria gli sferzasse le guance incavate come una frusta, nonostante i piedi gli stessero implodendo.
Si fermò solamente quando vide dei cartelli: Piemonte, Valle d’Aosta. Non aveva idea di essere arrivato fino lì. Due anni fa era sbarcato dall’altra parte della penisola italiana, in Sicilia. Poi aveva fatto quello che tutti i Randagi facevano: si stabiliva in un luogo, ci restava un po’, poi si spostava. A volte da solo, a volte in gruppi. Con altre persone era più difficile: venivi catturato e ucciso più facilmente, ed era difficile dover superare sempre delle perdite. Pensò a Chiara, una ragazzina di 12 anni che aveva perso i genitori, morta l’inverno scorso per ipotermia. Dopo la loro perdita, non mangiava da giorni e il suo corpo non resse le gelide temperature. Pensò a Michael, un uomo che veniva dalla Francia. Aveva ottantatré anni quando morì: gli spararono le Ali, era troppo vecchio per arruolarsi e troppo inutile per continuare a vivere. Il suo sangue schizzò sulla felpa di Marco. La bruciò la sera seguente.
Continuò a camminare, cercando di non essere sopraffatto dai ricordi, ma era impossibile. Ogni cosa, ogni momento, gli faceva ripensare a tutte le morti a cui aveva dovuto assistere.
“Fermo!”
Marco sobbalzò. Chi era? Chi parlava? Era così buio che non vedeva niente.
Una luce accecante gli venne puntata in faccia.
“E’ un Pulcino!” esclamò una voce sbeffeggiante.
“Ma cosa dici Igor”. Bene, erano in due, o forse di più.
“Ma sì! Guarda la giacca!”
Marco si guardò. Aveva ancora la giacca sottratta al Crawler. Ecco il secondo errore più stupido che aveva fatto nelle ultime ventiquattro ore. Tutti odiavano le Ali, a parte le Ali stesse. Forse.
Indossare la loro uniforme era come un invito a farsi ammazzare.
Uno dei due sghignazzò: “A me sembra un Pulcino spaventato. Portiamolo al capo, deciderà cosa farci. Magari lo interrogherà o lo torturerà per avere informazioni”.
“Non credo che voglia perdere tempo con uno come lui. È un Crawler, che informazioni potrà mai avere?”
“Non lo so, ma mi diverto a vedere il capo che maltratta questi bastardi”
L’altro rise “e va bene, come ti pare. Ma sarai tu a consegnarglielo”
Marco non riusciva a crederci. Catturato due volte nello stesso giorno. Era veramente troppo.
Poteva girarsi e scappare. Gli uomini erano sul tetto della casa, ci avrebbero messo molto a scendere e ad inseguirlo.
Come se lo avesse letto nel pensiero, uno dei due esclamò: ”non provare a scappare! John, qui, è il migliore cecchino della compagnia. Non faresti in tempo a fare due passi su quelle tue gambette che ti ritroveresti giù, con il culo all’aria!” Altre risate.
La compagnia? Se avesse sentito bene, avrebbe potuto essere la cosa migliore che gli potesse capitare trovarsi lì. Gli avevano raccontato tante storie sulla compagnia, su questa organizzazione... ma erano vere?
Mentre pensava alle cose che aveva sentito dire su di loro, i due uomini vennero a prenderlo. Gli legarono, di nuovo, le mani e gli bendarono, di nuovo, gli occhi. Uno lo strattonò per camminare e l’altro gli teneva una pistola puntata alla testa.
Gli fecero percorrere un tratto pianeggiante, poi scale, poi dovette abbassarsi per passare in quello che credeva fosse un corridoio. Sentì una porta che veniva aperta: dal rumore doveva essere di metallo molto pesante. Venne sommerso dalle voci: gente che parlava, gridava, rideva, sentiva musica. C’era odore di sudore, di tanti corpi in uno spazio confinato. Era una prigione? Marco pregò di no.
Mentre passavano lì in mezzo, le voci si fecero più rade. Sapeva che le persone lì lo osservavano.
“Avete portato un Pulcino nel rifugio? Un Crawler. Addirittura?” era la voce di un ragazzo, della sua età forse.
“Lo portiamo dal capo. Sai che mi piace quando…”
“Quando maltratta i Pulcini. Sì, lo sappiamo tutti” rispose il ragazzo. Sembrava un padre che assecondava l’ennesimo capriccio del figlio. “Non è di buon umore oggi. È da stamani che non esce dal suo ufficio”
L’uomo che gli puntava la pistola alla testa sbuffò: “Oh no… non dirmi che è annoiata. Non è abbastanza divertente se il capo non si impegna a far parlare questi pagliacci”
“Cammina” ordinò l’altro, strattonandolo.
Ad un certo punto si fermarono. Gli venne tolta la benda che gli copriva gli occhi e Marco si ritrovò davanti ad una massiccia porta di metallo. Vide, finalmente, gli uomini che lo avevano rapito per la seconda volta in quella giornata. Erano entrambi molto alti, ma non potevano assolutamente competere con i due armadi Walker.
Uno dei due bussò (Marco non aveva ancora capito se fosse Igor o John). Si udì un suono e la porta si aprì.
L’uomo alla sua destra gli mise una mano sulla spalla: “Vedi di essere convincente, ragazzo. Se ti va bene, sarai condannato a morte. Fidati, è  veramente la cosa migliore”.
Marco deglutì. Igor (o John?) gli diede una piccola spinta, e lui entrò, mentre la porta si chiudeva alle sue spalle.
 
   
 
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