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Autore: Placebogirl_Black Stones    29/07/2021    2 recensioni
Gin è il cuoco di un piccolo cafè a Tokyo. Odia qualunque cosa, persino i piatti del menù del giorno che è costretto a preparare. Un giorno al cafè arriva Camel, un nuovo cliente straniero, che lo metterà a dura prova...
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Gin, Tooru Amuro, Vodka
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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ANGOLO DELL’AUTORE
Premetto che questa fanfiction va presa per quello che è: un breve racconto trash ispirato da una fan art divertente. È una AU dove i personaggi sono IC per ovvi motivi. Ho cercato comunque di mantenere in tutti qualcosa che rispecchiasse i loro caratteri originali.
Il titolo è una sorta di “parodia” di “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, famoso romanzo di Luis Sepúlveda (che fra l’altro adoro quindi chiedo venia se l’ho storpiato).
Spero vi strappi una risata e non prendetemi per pazza! XD
 

                                                                                  

 
STORIA DI UN CUOCO MISANTROPO E DEL NUOVO CLIENTE CHE SI FECE ODIARE
 
 
Afferrò con stizza la paletta forata e girò velocemente i dorayaki che stava preparando, per farli cuocere dall’altro lato. Il solo pensiero di doverli farcire con della disgustosa composta di lamponi gli dava la nausea.
Odiava i sapori dolci.
Si chiedeva ancora come aveva fatto a finire lì, in quel piccolo cafè reso ancora più adolescenziale dalle troppe ragazzine che venivano solo per vedere Amuro, quel biondo cameriere sempre sorridente che lo faceva irritare solo guardandolo.
Odiava l’allegria.
Lui, il grande Gin, cuoco talentuoso, meritava un posto in un ristorante di classe dove decine di Yakuza potevano consumare indisturbati pasti raffinati, mentre discutevano della loro prossima vittima.
Gettò un’occhiata alla sua destra, dove il suo aiutante stava preparando una tempura di gamberi. Vodka, oltre che essere aiuto cuoco, era anche un suo vecchio amico. Lo aveva soprannominato così per la sua insana abitudine ad aggiungere quell’alcolico ovunque fosse possibile. Una volta ci aveva cotto un intero arrosto con mezza bottiglia di vodka. Era l’unico che sopportava, fra tutti i colleghi del cafè.
L’odore di fritto arrivò dritto alle sue narici, facendogli storcere il naso.
Odiava il fritto.
Tolse i dorayaki dalla padella e li posizionò armonicamente in un piatto, riempiendoli con la composta di lamponi e cospargendoli di zucchero a velo, per poi terminare la decorazione con qualche lampone fresco qua e là. Osservò l’operato finale e digrignò i denti, trattenendosi dal gettare tutto nella spazzatura.
Odiava le composizioni delicate e carine.
 
- Portala al tavolo cinque- disse sgarbatamente ad Amuro, il quale ormai non ci faceva nemmeno più caso.
 
Afferrò un grosso coltello e tagliò a metà tre arance con dei colpi netti, come se stesse facendo a pezzi un cadavere. Le due specialità del giorno erano proprio i dorayaki e la spremuta di arance rosse, un motivo valido per accrescere il suo odio interiore.
Mentre ricavava il succo dalle arance con lo spremiagrumi, il campanellino appeso sopra la porta d’ingresso tintinnò, segno che era appena entrato un cliente.
Amuro andò ad accoglierlo, ma non sembrò particolarmente entusiasta di vederlo. Era un uomo molto alto, dall’aspetto poco amichevole e per niente giapponese, con una corporatura robusta e massiccia, segno di ore di allenamento. Molto probabilmente doveva essere un turista o uno straniero venuto in Giappone per un viaggio di affari.
Odiava i turisti.
Amuro lo invitò a scegliere uno dei tavoli liberi dove sedersi e gli illustrò il menù del giorno. Dopo aver preso l’ordinazione, si avvicinò per dirgli cosa preparare.
 
- Il Signore al tavolo otto vuole lo speciale del giorno, dorayaki e spremuta di arance rosse-
 
Diamine, ma perché tutti quanti quei dannati clienti stavano chiedendo quegli schifosi dischetti spugnosi ripieni di quella disgustosa marmellata appiccicosa e accompagnati da una bevanda acida? Sperò che qualcuno della Yakuza entrasse sul serio e facesse una strage. Gli tornò il sorriso sulle labbra al pensiero di Amuro steso a terra in una pozza di sangue, circondato da quelle galline starnazzanti che venivano per vederlo, anch’esse prive di vita, aggiungendo alla lista anche lo straniero con la faccia quadrata.
Odiava i clienti, specie quelli nuovi.
Con la rabbia che gli ribolliva nelle vene preparò quell’ennesimo menù del giorno, desideroso che le tenebre calassero il prima possibile per andarsene a casa.
Quando fu pronto, Amuro lo consegnò allo straniero, il quale si mise a mangiare di gusto. Dopo una quindicina di minuti aveva ripulito a dovere il piatto. D’altra parte, grosso com’era, non ci si poteva certo aspettare che mangiasse come un uccellino.
Amuro tornò da lui e l’uomo gesticolò entusiasta mentre gli diceva chissà che cosa. Vide il suo biondo nemico annuire e in men che non si dica se lo trovò davanti.
 
- Il Signor Camel del tavolo cinque dice che è qui in Giappone da qualche mese ormai e che ha mangiato in tanti posti diversi, ma che non ha mai assaggiato dei dorayaki così soffici e una spremuta così dissetante. Ti manda i suoi complimenti- gli riportò svogliatamente il messaggio del cliente.
- Ne faccio anche a meno- rispose secco.
- Come vuoi, ma intanto preparagliene un’altra porzione perché non lo hai saziato a dovere- lo derise, per poi andarsene con quel suo sorrisetto insopportabile sulle labbra.
 
Morto. Desiderava arrivare al lavoro una mattina e trovarlo morto, quel dannato cameriere. Doveva morire insieme al suo nuovo cliente e ai dorayaki.
Iniziò a preparare il tutto con una foga tale che persino Vodka si spaventò.
 
- Va tutto bene, fratello?- gli chiese preoccupato.
- No, non va per niente bene!-
- Oggi c’è tanta gente, abbiamo un gran da fare- osservò.
- Maledetti tutti!- imprecò, continuando a spremere le arance e immaginando che fossero le teste di Amuro e del nuovo cliente.
 
Inutile dire che anche al secondo giro quella specie di armadio dalle sembianze umane si mangiò tutto quanto, sorridendo soddisfatto a fine pasto. Si augurò che non ordinasse anche una terza porzione, perché altrimenti gli avrebbe mozzato la testa con la mannaia che utilizzava solitamente per il pollo.
Per sua fortuna, lo straniero pagò il conto, ringraziò Amuro e se ne andò con la pancia piena. Come per ogni altro cliente che lo aveva fatto irritare, sperò di non vederlo mai più mettere piede in quel posto.
 
 
 
Il giorno successivo, mentre era intento a preparare il tortino di carote con panna e fragole (la solita schifosissima specialità del giorno), sentì il suono del campanello e si girò distrattamente verso la porta. Quello che vide gli fece gelare il sangue nelle vene. Era lì, in piedi, grosso e imponente, mentre sorrideva ad Amuro con le sue mascelle quadrate. Il cliente straniero del giorno prima era tornato.
Imprecò, mentre disintegrava schiacciandolo un tortino che aveva appena preparato, sotto gli occhi attoniti di Vodka.
Odiava i nuovi clienti che tornavano.
 
   
 
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