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Autore: Sasita    31/07/2021    1 recensioni
[Spoiler Echi in Tempesta]
E se Thorn per una volta avesse deciso di pensare anche a sé stesso? Se avesse deciso, per una sola volta, di essere egoista e non lasciare il braccio di Ofelia? Ecco un finale alternativo per l'intendente e la lettrice, per dare loro l'opportunità di vivere insieme una vita felice. Anche un po' di più.
Genere: Drammatico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ofelia, Thorn
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Anche un po' di più



[Da Echi in Tempesta]
Erano le braccia di Thorn.

Aveva approfittato di quella breccia improvvisa nel luogo di mezzo. Precipitando sotto la superficie dello specchio il viso dell’Altro si dilatò dalla sorpresa. Perse le lentiggini, le sopracciglia, il naso, gli occhi e la bocca finché non rimase più alcun viso e si lasciò inghiottire come un anonimo pupazzo.

Con Thorn.

«Stavolta no»

Ofelia tuffò il braccio nello specchio. Sentì la mano di Thorn afferrare la sua, ma non avendo più dita non potè fare altrettanto.

[What If?]

Ci pensò la sciarpa a riparare a quella mancanza. Con uno slancio sicuro, comandata tanto dall’animismo di Ofelia quanto da una sua volontà personale, la sciarpa lanciò un’estremità dentro lo specchio verso Thorn, e con l’altra si aggrappò con tutte le forze a un pezzo della struttura del globo, per evitare che sia lei che Ofelia finissero risucchiate nel gorgo del Rovescio.

«Aiutatemi»

Il grido era uscito dalla bocca dell’Animista come un richiamo viscerale. In un istante Elizabeth e Archibald le furono addosso, afferrandola e tirandola come una molla. Il braccio di Ofelia non riuscì a reggere lo sforzo, e la spalla le si slogò con un orribile rumore di ossa e tendini che si staccano. Con la testa infilata dentro lo specchio e il dolore che le pulsava in tutto il corpo, la ragazza aveva gli occhi fissi sul viso bronzo-verde di Thorn, che la guardava sereno. Ofelia sapeva che avrebbe lasciato la presa.

«Non ci provare», gli gridò. Sapeva che lui non poteva risponderle; nel Rovescio non c’era spazio per le parole. «Non ci provare. Devo ancora chiederti di sposarmi», lo minacciò. 

Forse era stato un riflesso involontario, oppure l’aerargyrum che circondava Thorn le stava facendo un brutto scherzo, ma le sembrò che l’ex intendente avesse accennato un sorriso. Una smorfia contratta, con le labbra sottili e gli angoli della bocca che andavano quasi all’ingiù, ma se non si fosse trovata in una situazione tanto incresciosa probabilmente Ofelia avrebbe esultato.

Con tutta la forza che aveva spostò anche l’altro braccio dentro allo specchio, che si stava minacciosamente restringendo.

«Prendimi l’altro braccio», gli disse con la voce flebile che tuonava come in un pozzo. Ofelia per un attimo pensò che le sue corde vocali non avrebbero retto a tutti quegli sforzi degli ultimi tempi. «Ti prego, prendi l’altro braccio o giuro che mi butterò con te nel Rovescio»

Quella minaccia parve scuotere Thorn dall’altra parte. Le sue sopracciglia si alzarono e gli occhi si spalancarono, allungando la cicatrice sul suo viso spigoloso. I capelli gli svolazzavano su tutto il viso. A quella vista Ofelia seppe che non l’avrebbe mai lasciato andare, per nessun motivo al mondo. 

Archibald e Elizabeth iniziarono a tirarla con tutte le loro forze, la sciarpa si aggrovigliò intorno al braccio destro di Thorn e gli passò intorno al busto per fare maggiore presa. Ofelia ignorò il dolore, ignorò la stanchezza, ignorò il mondo che stava ricomparendo intorno a lei e il Memoriale ricostruito che si stava sgretolando sotto il peso della fetta che stava  uscendo dal Rovescio, contro-invertendosi. Finalmente una delle lunghe mani ossute di Thorn uscì dalla voragine dello specchio insieme alla spalla contusa di Ofelia. Archibald si lasciò sfuggire un mugugno interdetto rendendosi conto che tutto intorno a loro si stava combattendo una battaglia destinata a trasformare la struttura in un rudere. Ofelia sapeva che dovevano fare in fretta, altrimenti avrebbero riportato Thorn nel Dritto solo per morire insieme sotto le macerie.

Ancorò i piedi, tirò indietro la schiena e con l’aiuto della sciarpa, dell’ex ambasciatore e dell’ex Eulalia Diyoh finalmente il busto dell’ex intendente del Polo sbucò dalla superficie, di nuovo bianco e biondo come era nella realtà. Ofelia cadde sulla schiena, ma lui non la lasciò. Archibald ed Elizabeth si sporsero ad afferrare Thorn dalle spalle, pronti per l’ultimo sforzo.

Nell’arco di pochi secondi il corpo eccessivamente lungo di Thorn franò con tutto il suo peso sul corpo eccessivamente piccolo di Ofelia, che si sentì svuotare di tutto l’ossigeno. 

Proruppe in una risata isterica, poi pianse. 

Fu una frazione di secondo, perché Archibald lanciò un’esclamazione interdetta.

«Oh-oh», disse, alzando gli occhi verso il soffitto. O meglio, i soffitti. Che stavano franando verso di loro. 

La ex lettrice rotolò difficoltosamente su un fianco, la spalla le pulsava come un tamburo e la testa le scoppiava, ma si voltò verso Thorn che si stava faticosamente alzando cercando di fare leva sulla gamba buona e si sentì leggera.

Aveva perso tantissimo in meno di due ore. Non avrebbe mai permesso all'Altro di portarle via anche lui. Istintivamente gli si lanciò contro per abbracciarlo, e lui la afferrò con una foga che sapeva di necessità.

Poi l’orologio da taschino scattò. Tac-Tac. 

Dovevano scappare.

Ofelia non riuscì a finire di formulare quel pensiero che sentì un colpo secco arrivarle sulla testa.

L’ultima cosa che vide furono gli occhi chiarissimi, sulla pelle chiarissima coperta dai capelli chiarissimi di Thorn. 

Sorrise. Poi tutto si fece nero.

 

******
 

La prima cosa a cui Ofelia pensò quando aprì gli occhi fu che doveva buttarsi in uno specchio e riprendere Thorn dal Rovescio. Il bianco del soffitto, colpito dalla luce immacolata e potente del sole che filtrava dalla finestra la abbagliò e per un attimo fu presa dal panico. Si trovava nel vuoto? Era finita nell’aeragyrum? Era morta?

Poi sentì la pressione leggera di una mano chiusa sul suo palmo senza dita, e quando il fischio nelle sue orecchie si attutì iniziò a percepire un brusio di sottofondo.

«Avrà conseguenze?», sentì sua madre chiedere a qualcuno che non vedeva.

«Sicuramente non potrà più leggere», sentì rispondere al prozio. Aveva nella voce una vena di risentimento mista a rabbia, frustrazione e sollievo.

«A me basta che sia viva.»

Come al solito il pragmatismo di Thorn si era espresso con una frase che fece tacere tutte le altre persone nella stanza. Ofelia sgranò gli occhi e si voltò di scatto verso quella voce. Thorn. Thorn era vivo, ed era nel Dritto. L’Altro non gli aveva portato via anche lui. Thorn non aveva ceduto. Si era ripreso i suoi dadi. Le aveva dato retta. Non l'aveva lasciata.

Come un fulmine il ricordo di quello che era successo le attraversò la mente dalla memoria potenziata, e come uno schiaffo il dolore alla spalla si ravvivò, così come la sensazione di pienezza.

Tutti i presenti nella stanza si ammassarono sul piccolo letto d’ospedale, comunque molto più grande del piccolo corpo di Ofelia. Una cascata di capelli rosso-oro le si riversò addosso come una marea, e una dozzina di mani la toccarono come per rassicurarsi che fosse veramente sveglia. 

Delle cose che dicevano, Ofelia non sentiva niente.

Aveva gli occhi fissi nelle iridi azzurre di Thorn che la squadravano con la solita espressione indecifrabile. Sembrava rilassato. Ofelia si azzardò a pensare che fosse addirittura contento nonostante la calca di persone che si erano ammassate nella stanza. Fece la sua smorfia simile a un sorriso e le annuì in un gesto quasi militare, calcolato, impercettibile.

Ce l’avevano fatta. 

Una fitta al cuore la prese ripensando ai sacrifici che avevano dovuto fare, alle persone che avevano perso lungo la strada. Penso a Renard, a Gaela, a tutte le persone che erano scomparse per arrivare lì. La testa le ronzava di domande sconclusionate.

Com’era il mondo interno? Dov’era Eulalia? Erano tutti tornati dal Rovescio? L’Altro era davvero sparito? Dov’era la sua sciarpa? Ora si poteva viaggiare sul mare? Che ne sarebbe stato delle Arche? Gli Spiriti di Famiglia erano tornati dal Rovescio o erano tornati ad essere echi?

«Appena Ofelia si sarà ripresa mi consegnerò alla giustizia del Polo, chiederò l’annullamento del nostro matrimonio e riparerò ad ogni danno che vi ho procurato». I suoi pensieri furono interrotti dalle parole asciutte di Thorn.

«Stai ripudiando nostra figlia? Dopo tutto quello che è successo?», si indignò la madre di Ofelia tingendosi le guance di rosso come i capelli e il vestito.

«Quale giustizia, Thorn?», sentì chiedere a Berenilde.

Vittoria stava tra le sue braccia e le tirava i capelli biondi, continuando a dire “Ma’”. Ofelia si accorse che sul viso di Thorn era apparsa un’espressione strana, quasi soddisfatta. Si ripromise di parlare con lui per farsi raccontare tutto, per sapere cosa l’aveva cambiato, cosa l’aveva reso così indulgente nei confronti di sé stesso. Lo vedeva nel suo sguardo: mancava quella patina di delusione e disgusto che gli velava così spesso la limpidezza degli occhi chiari.

«Sono un fuggiasco, ho abbandonato una cella, mi sono dato alla macchia, ho rischiato di far uccidere Ofelia innumerevoli volte, ho attentato all’onore della nostra famiglia, ho s-…»

«Tu sei ufficialmente un Drago, Thorn. Faruk ha riabilitato la tua persona nel momento stesso in cui Ofelia gli ha detto delle strane parole che riguardavano il suo Libro. Nessuno ti cerca, nessuno vuole punirti.»

«Ebbene annullerò comunque il matrimonio… ho forzato Ofelia e tutta la sua famiglia a un’unione che non ha potuto scegliere, mentendo e raggirando ognuno di loro. Meritano di poter cambiare idea»

La voce di Thorn non lasciava trasparire nessuna emozione particolare, e la sua onestà aveva lasciato tutti senza capacità di replica. Anche Vittoria aveva smesso di giocare con i capelli di Berenilde e lo stava guardando incuriosita.

«Thorn»

La voce di Ofelia gorgogliò come se fosse rotta. La gola le andò in fiamme a quelle poche lettere e l’Animista fu costretta a schiarirsi la gola più volte. Cercò di alzarsi un po’ per mettersi dritta, e dovette fare qualche tentativo prima di riuscirci. Nella sala sembrava che nessuno l’avesse sentita, e tutti avevano ripreso a borbottare e dire la propria opinione, chi con più veemenza e chi meno.

«È as-so-lu-ta-men-te ignominioso questo atteggiamento signor Thorn!», disse Agata.

«Se pensi di cavartela così ragazzo non hai capito con chi hai a che fare…», rincarò il prozio.

«Perché vuoi lasciare Ofelia?», intervenne Hector con la sua tipica domanda.

«Thorn.»

Stavolta Ofelia parlò con voce più chiara e il silenzio si propagò come un’ombra su tutta la famiglia. Con la coda dell’occhio l’Animista vide Archibald in un angolo, con le labbra piegate nella sua solita smorfia di soddisfazione. Ofelia si ripromise di fare due chiacchiere anche con lui non appena ne avesse avuto l’opportunità.

L’ex intendente se ne stava seduto su una sedia decisamente troppo piccola per lui. Stava curvo in avanti, i vestiti ben stirati e puliti contagiati dal suo animismo maniacale che non riusciva a sopportare una sola stilla di disordine. La guardava in attesa. Non le aveva ancora lasciato la mano mutilata. Una fitta attraversò il cuore di Ofelia. 

Ne è valsa la pena, pensò.

«Thorn», ripetè.

Lui non disse una parola, si limitava a guardarla. Con le sue tre cicatrici facciali ben ferme, poco più bianche del suo incarnato già pallido.

«Vorrei che voi mi sposaste», articolò Ofelia, marcando sul ‘voi’ come se fosse un gioco. «Vorrei che voi mi sposaste di nuovo», si corresse poi.

Il suono di un sospiro inequivocabile fece sorridere l’ex lettrice. Zia Roseline era in piedi accanto a Berenilde, e guardava la sua protetta con un orgoglio che non avrebbe mai ammesso a voce alta, ma che le si irradiava da tutto lo sguardo.

«Vorreste sposarmi?», chiese di nuovo quando si rese conto che Thorn era rimasto in silenzio.

Lui si alzò faticosamente dalla sedia, poi in moto del tutto inaspettato le lasciò la mano, si appoggiò al bordo del letto con entrambe le mani e con difficoltà poggiò il ginocchio buono sul pavimento, inginocchiandosi al suo fianco. «Ne sarei veramente onorato», le disse con uno sguardo che le parve attraversarla da parte a parte. Ofelia andò a fuoco. Avrebbe voluto che in quella stanza fossero spariti tutti e fossero rimasti solo lei e Thorn. Soli. Abbracciati per l’eternità.

Thorn incatenò gli occhi a quelli di Ofelia, poi fece di nuovo la sua smorfia che sembrava un sorriso. Le sue labbra si contrassero ed ebbe un fremito di incertezza che passò subito. Le sue sopracciglia si rilassarono, così come tutto il suo corpo lungo e magro coperto di cicatrici nascoste dai vestiti. Cinquantasei, Ofelia lo sapeva. 

Lei stava per rispondergli, ma lui non le dette tempo. Da quella posizione era esattamente all’altezza del viso di Ofelia; senza curarsi dei familiari dell’Animista, di qualunque spettatore, di ogni etichetta, buon costume o freno inibitore l’avesse mai frenato dal fare qualunque cosa, Thorn le prese il viso tra le mani e la baciò, trasmettendole tutta la necessità che provava dentro di sè. Trasmettendole tutta la foga, l’euforia, la gioia, la passione che nessun altro avrebbe potuto scorgere in lui tranne Ofelia. Lei lo baciò a sua volta con la stessa foga, posandogli i palmi senza dita sulle guance appena ruvide di barba.

«Signorina cosa stai…?», sentì quasi impercettibilmente dire a sua madre.

Il prozio grugnì. «Vorrai dire signora», la corresse.

Ofelia e Thorn non li sentirono, continuarono a sfiorarsi le labbra come se fossero stati soli. Quando si separarono, lui le prese le mani mutilate tra le sue, e ne baciò i palmi e i dorsi con una precisione quasi scientifica. 

«Sarei onorato di sposarti di nuovo», le disse. Stavolta l’emozione trapelava nonostante la maschera di freddo uomo del Polo. «Anche un po’ di più»









 

   
 
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