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Autore: selenvphilia    01/08/2021    0 recensioni
“Ci saranno soltanto questi versi incisi nel marmo del sepolcro: «Enea fornì il motivo della morte e la spada; Didone si tolse la vita con la sua stessa mano».”
I pensieri di Chuuya dettati dalla fredda realizzazione del tradimento e dell'abbandono del suo fidato amante e compagno Dazai analizzati con una chiave narrativa che si rifà al personaggio di Didone, eroina dell'Eneide virgiliana.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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“Ci saranno soltanto questi versi incisi nel marmo del sepolcro: «Enea fornì il motivo della morte e la spada; Didone si tolse la vita con la sua stessa mano».”
***
Amare significa essere egoisti, per quanto si possa negare questo concetto alla base del sentimento purtroppo è così. Amare significa desiderare poi l’amore altrui, desiderare l’essenza della persona amata, desiderare le sue attenzioni, la sua voce che ti chiama, i suoi occhi che ti guardano, le sue mani che ti sfiorano. Amare, nel vero senso della parola, senza dolori e sofferenze, senza patire un sentimento non corrisposto, significa divenire giorno per giorno sempre più avidi dell’altro.
Ed è proprio quando si ama così, senza barriere e senza scuti, in modo naturale, che ci si fa più male. Che una semplice parola detta diviene il più affilato fra i coltelli ed una parola non detta la più aguzza delle spade affondate nella schiena. C’erano cose che andavano fatte, ma alle quali si poteva rinunciare per amore. Ma era evidente che l’ideale d’amore, nel vero senso del sentimento, lì era chiaro solo ad uno fra i due.
«Se ne è andato, Chuuya. Non importa affatto cosa dirai, quale divinità pregherai o quanto frustrato ti sentirai: Dazai ha lasciato la Port Mafia, ha lasciato la sua vecchia vita ed ha lasciato te. Da questo momento in avanti non dovrai nemmeno più pronunciare questo nome. Da questo momento in avanti…non potrai più amarlo, Chuuya» era una donna razionale, lei, realista e che non avrebbe certamente illuso qualcuno adulto e vaccinato con qualche parolina rassicurativa da madre.
«Vedrai invece! Dazai tornerà indietro…tornerà per me! Verrà da me! Perché lui mi ama, non importa cosa dovrà fare o quali ostacoli poi dovrà superare, tornerà sicuramente!» sbottò, la voce di chi più che convinto cercava di convincersi e gli occhi di chi, invece, ci aveva già rinunciato. La verità era che lo sapeva, eccome se lo sapeva, chi andava via da quel posto lo faceva per sempre, non tornava indietro, né per cento né per un solo uomo, nemmeno per chi si amava.
Abbassò allora il capo, il cappello tenuto fermo dalla pressione della mano destra, il petto di Kouyou che adesso diveniva sempre più vicino e caldo fino a soffocare le lacrime dell’altro. Non era sua madre, non era sua sorella, non aveva alcun legame di sangue con lui eppure in quel momento rappresentava un centro fisso, due mani soffici che lo avrebbe aiutato a rialzarsi dopo quella rovinosa caduta. Singhiozzò, la voce incrinata appena, troppo inesperto per accusar un colpo simile restando in piedi.
«Chuuya…è difficile mettere subito fine a un lungo amore» mormorò, le parole di quello sventurato di Catullo che mai come in quel momento si sarebbero potute rivelare più vere ed adatte. Le dispiaceva da morire, quasi avessero fatto del male ad un figlio proprio, eppure non poteva far nulla. Non poteva accarezzargli il capo e dirgli che tutto sarebbe andato bene, non poteva asciugargli le lacrime e dirgli che il ragazzo che amava sarebbe tornato, non poteva dirgli che ad amare si perdeva tempo, mente e cuore.
Non sapeva nemmeno come esprimerlo quel dolore, eppure sapeva che più la stretta di Kouyou diveniva calda e dolce e più lui soffriva. Avrebbe voluto alzare il capo e ritrovarsi dinnanzi il viso beffardo di Dazai, prenderlo a pugni, iniziare a litigare come due deficienti fino ad essere esausti, poi fare pace, abbracciarsi, baciarsi e cominciare nuovamente tutto da capo. Ma allo stesso tempo voleva dimenticare. Voleva dimenticare i momenti felici passati assieme, le battaglie combattute fianco a fianco, le serate trascorse fra questo e quel bar a bere, le nottate svegli ad abbracciarsi e a coccolarsi in attesa del sorgere del sole, e ancora i disastri dell’altro da sistemare, le sue scenate improvvise di adorabile gelosia, le sue cene romantiche organizzate da un momento all’altro. Più cercava di dimenticare, e più tutto ritornava.

Si stava dando dello stupido, ed aveva ragione. Non perché aveva creduto nell’amore di Dazai, ma perché si era convinto che tutto ciò sarebbe durato per sempre. Gli uomini sono vili – scappano, muoiono, vanno via, spariscono, e in nessuno di questi casi fanno più ritorno. In un certo senso la colpa non era dell’altro che aveva abbandonato lui, ma di Chuuya che non aveva mai capito che nulla nasce per durare in eterno. E quella consapevolezza, in quel momento, sulle sue spalle, pesava più di ogni vita strappata via e gettata al vento.
Aveva persino pensato, per qualche istante, che quella fosse la sua punizione. Aveva creduto di star venendo messo all’angolo da qualche divinità alla quale stava antipatico, che desiderava fargli comprendere tutti gli sbagli commessi durante la sua vita attraverso la medesima sofferenza che aveva inflitto ma maggiore. Poi aveva compreso che, alla fine, ad una qualsiasi divinità cosa mai poteva importare di un mafioso qualunque come lui? Era inutile. Poteva ancora sperarci, poteva ancora illudersi, poteva ancora mentire a se stesso ma la realtà dei fatti non sarebbe cambiata, Dazai non sarebbe tornato.
 
***
«Chuu Chuu» un soffio appena accentato sul suo collo che lo fece rabbrividire, mentre le labbra soffici del castano risalivano la pelle lattea arrivano alla mascella, agli zigomi, agli occhi ed infine si posavano su quelle dell’altro. Un bacio lento, innocente, di quelli dolci come il miele. Poi le loro lingue cominciarono ad attorcigliarsi, ad abbracciarsi, a cercar di comprendere il sapore l’una dell’altra. Non aveva molta importanza il modo in cui ciò stava avvenendo, se con dolcezza o con passione, l’importanza era che stava succedendo e basta,
Chuuya storse il capo di lato, le guance adesso eccessivamente arrossate mentre sentiva il viso caldo come non mai. Portò le mani sul petto del castano, i polpastrelli tremanti ed insicuri che percorrevano la pelle nuda e scolpita soffermandosi su questo o quel particolare poco visibile nel buio di quella stanza illuminato solo dalla luce appena percettibile della luna mezzana che curiosa trapassava dalle tende socchiuse. Non ricordava come tutto era iniziato, non ricordava come o perché si stessero spingendo a tanto, non ricordava nemmeno l’ultima volta in cui aveva sentito tanto caldo.
Sentì le labbra di Dazai percorrere un percorso immaginario lungo il proprio petto, solleticandogli la pelle fin troppo sensibile, mentre reprimere quelle sensazioni piacevoli suscitate nel proprio corpo diveniva via via sempre più difficile. Non aveva vergogna ad essere dinnanzi a lui privo di ogni indumento, non aveva vergogna a farsi toccare e assaporare in quel modo, non aveva vergona a mostrarsi per com’era davvero dinnanzi a quegli occhi unici al mondo che con o senza vestiti avrebbero sempre saputo cogliere ogni cosa di lui.

«Dazai…perché non mi hai detto che non esisteva un “per sempre”?» chiese, il respiro che subito dopo venne stroncato dal dolore lancinante che si diffuse nel suo corpo. Non vi era alcun amore in quel gesto, in quel modo di possederlo, in quella forza quasi bruta che stava usando. Ma forse gli stava bene, forse era una specie di prezzo che stava pagando per continuare ad illudersi, per continuare a vivere nella convinzione dell’amore dell’altro. Non importava quanto male ogni spinta facesse, quando dolore gli causasse, quanto stretto doveva tenere il lenzuolo fra le dita per non urlare, l’importate era che ci fosse Dazai con lui e nessun altro.
Ma poteva solo illudersi, vivere nel suo castello fittizio di carte dove giorno dopo giorno il sapore delle labbra dell’altro sfumava fino al nulla più totale, il suo viso svaniva divenendo anonimo e ogni suo gesto si faceva aggressivo e rabbioso, come quell’ira funesta che Chuuya inconsapevolmente stava coltivando dentro di se. Si stava solamente crogiolando in ricordi distorti per tenere a bada quell’odio che aveva dentro, quel senso di tradimento che gli stringeva il cuore fino a farlo urlare. Infondo era umano, come umano era l’odio, come umano era il rancore, come umano era anche l’amore stesso. Se si fosse rifiutato di provare ciascuno oppure uno solo, non sarebbe più stato definibile tale – umano.
Ed ogni volta che apriva gli occhi, ogni volta che si risvegliava in preda alle lacrime e alla tristezza, non poteva fare altro se non restare lì, dinnanzi alle tende spalancate, ad osservare quel cielo che era sicuro essere lo stesso che condivideva con quella persona che lo aveva distrutto. Ad un certo punto della notte, poi, quando non aveva né sonno né la forza di restare sveglio, tutto perdeva senso. La sua vita, il suo amore, il suo lavoro ed anche il futuro. E poi, da quel momento, una domanda cominciava a tartassarlo fino allo sfinimento totale: esiste per me un futuro senza Dazai al mio fianco?
E prima di trovare la risposta si addormentava nuovamente, scivolando in quel dolce abisso buio ed oscuro privo di sogni che gli regalava l’apparenza di poter riposare sereno. Aveva aspettato un giorno, una settimana, un mese, un anno ma Dazai non era tornato. Aveva davvero aspettato, le sue cose ancora lì, le foto assieme ancora in mostra, la tavola apparecchiata per entrambi ed il suo vino preferito sempre a portata di mano – ma non era tornato, Dazai, e non sarebbe tornato.

***
C’era un silenzio assordante, uno di quei silenzi da uscir pazzi. L’orologio con il suo ticchettio, la legna nel camino che scoppiettava, il rubinetto del lavandino della cucina che gocciolava – eppure c’era silenzio, un silenzio assordante, un silenzio di quelli che ti inducono alla follia più totale. Non una parola, non una sillaba, nulla di nulla. Ma lui ne aveva bisogno, aveva bisogno della sua voce che lo chiamava, dei suoi occhi che lo guardavano, delle sue mani che lo sfioravano – ne aveva bisogno come aveva bisogno dell’ossigeno per respirare.
Strinse le dita sull’impugnatura della pistola, gli occhi svuotati di ogni sentimento differente dall’odio, la dedica dell’altro ben in vista sotto alla luce pallida della luna. “Nihil difficile amanti”. Anche quella dedica era una bugia, anche quelle parole erano una bugia, anche quel regalo era una bugia. Bugie su bugie, bugie con le quali lui conviveva. Non tollerava più tutta quell’amarezza che gli restava in bocca anche solo a pronunciare il nome dell’altro. Non tollerava come i suoi occhi si riempissero di lacrime anche solo nel ricordarlo. Non tollerava come il suo cuore fosse divenuto incapace di far qualsiasi altra cosa se non odiare, odiare la persona che lo aveva abbandonato.
«Forse l’aspetto peggiore di tutto ciò, Dazai, è che tu non udirai mai queste parole. Non udirai mai il mio dolore, non udirai mai la mia amarezza, non udirai mai i miei rimpianti e le mie maledizioni. Ma tu non sei Enea, non sei un eroe, non sei andato via per volere altrui. Ma io sono Didone, e nel tuo amore e nel tuo odio spero che tu non possa mai trovar perdono per ogni errore passato o futuro se non nella morte così come io non ho trovato pace se non in essa»
Poi quel silenzio sparì, e la luce della luna si riflesse su quella scritta colorata di rosso che improvvisamente aveva riacquistato un minimo di veridicità – nulla era impossibile per gli amanti, nulla era troppo difficile da non poter essere superato, quindi non contavano i mezzi. O magari stava farneticando anche da morto, e delle tante bugie che si era detto quella era solo una delle tante.
   
 
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