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Autore: Sadele    02/08/2021    1 recensioni
L’amicizia è la cosa più difficile al mondo da spiegare. Non è qualcosa che si impara a scuola. Se non hai imparato il significato dell’amicizia, non hai davvero imparato niente.
(Muhammad Ali).
Emma e Yhassin, due bambini che non potevano essere più diversi, il giorno e la notte, destinati a diventare grandi amici.
la vita però si sa a volte è spietata, li porterà a perdersi per poi ritrovarsi a distanza di anni e scombussolare completamente i loro equilibri.
Eccomi qui con una storia originale, frutto della mia fantasia.
spero che vi piaccia!!
buona lettura.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Le nostre cicatrici ci ricordano che il passato è reale”

(Jane Austen)



Yhassin era tornato a casa e si era fatto una doccia nella vana speranza di rilassarsi un po'.
L'idea di tornare il quel ristorante non gli andava giù, era passato un bel po' di tempo, sicuramente ora le cose erano diverse ma aveva comunque dei ricordi spiacevoli che non voleva dover rivivere.
Il ristorante era un posto davvero carino, era un locale frequentato da turisti ma manteneva comunque un target abbastanza alto.
L'arredamento, il servizio e i piatti serviti erano tipici egiziani e l'atmosfera era davvero suggestiva.
Yhassin aveva lavorato in quel posto per anni e ora tornarci come cliente gli sembrava strano.
“Ehi cugino, sei puntuale che strano” Disse Habuk
“Sì e se ti levi guido io” Rispose il ragazzo.
“Ma che ha la mia guida?”
“Lo chiedi pure? Sei un cane al volante! Non so quelle povere ragazze come hanno fatto a non vomitare sui sedili” Disse Yhassin sogghignando.
Seguì un interminabile momento di silenzio che fu proprio lui ad interrompere.
“Tu lo sai vero che cosa significa per me tornare in quel posto?”
“Si, ma è passato un sacco di tempo, hai saldato il tuo debito e ora non hai più nulla da temere.”
“Habuk tu eri solo un ragazzino e non sai niente di quello che è successo...”
“Allora perché non me lo racconti, perché non mi dici come mai tuo padre si è dovuto indebitare, e soprattutto che cosa c'entrava Aisha con quella storia...?”
“Perché non sono affari tuoi, e poi non c'è proprio nulla da raccontare” Rispose secco. Yhassin non voleva rivangare il passato, ma Habuk aveva ragione, quella storia era rimasta un segreto tra lui e suo padre, per proteggere la sua famiglia non aveva raccontato a nessuno quello che era successo, per mettere a tacere le lingue avevano pagato parecchio, e solo con la vendita della proprietà era riuscito a togliersi quel debito dalle spalle.
Arrivarono all'albergo in poco tempo, erano le 20 in punto e le ragazze erano nella hall ad aspettarli.
Quando Emma vide Yhassin entrare le si fermò il respiro, era molto diverso dal pomeriggio, si era cambiato, era più curato e anche se indossava un semplice jeans e una camicia bianca, stava davvero bene.
“Non sbavare così o se ne accorgerà!” La rimproverò Erika tirando una gomitata a Emma, prenderla in giro stava diventando molto divertente, da quando arrossiva come un adolescente con gli ormoni in subbuglio?
“Scema, che dici, non farmi fare brutte figure, dobbiamo rimanere qui ancora per un po' e non voglio dovermi sotterrare dalla vergogna.”
“Buona sera signorine” Disse Habuk lanciando uno sguardo a Erika.
“Buona sera a voi” Rispose la ragazza.
Yhassin pensò che Emma fosse davvero bella, la guardò e sospirò. Il tempo non l'aveva cambiata poi molto. Era cresciuta certo, ma quello sguardo e quel sorriso erano rimasti gli stessi. Si rese conto che l'aveva sempre amata, prima come amica e compagna di giochi poi, come qualcosa di diverso, un sentimento ancora acerbo, ma adesso? Forse era lei quel destino che si portava dentro da metà della sua vita. Per quello stesso motivo non aveva mai voluto sposarsi, non poteva fare una cosa simile senza essere innamorato.
Certo, un pensiero stupido, dalle sue parti l'amore aveva poco a che fare con il matrimonio... Ma lui era fatto così.
Non aveva mai saputo spiegare il perché della sua scelta ma ora che la guardava, come se l'avesse vista per la prima volta, se ne rese conto.
Lui era innamorato di lei e lo era sempre stato fin da quando le tirava le trecce per farle dispetto.
Sapeva bene che doveva cacciare via dalla sua mente quel pensiero, Emma presto sarebbe tornata alla sua vita, e lui sarebbe rimasto lì, non avrebbe potuto esserci nulla di romantico tra loro, mai.

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“Wow!” Esclamò Erika, guardandosi intorno. Il ristorante era davvero bello, un ambiente suggestivo, ricco di colori e particolari che lo rendevano magico.
“Ottima scelta” disse “Non mi intendo di ristoranti egiziani ma questo mi sembra davvero suggestivo”.
“Sono contento che ti piaccia” Disse Habuk.
Emma si guardò intorno estasiata. Il locale era particolare, molto curato ma a catturare la sua attenzione fu la luce.
I due grandi lampadari che pendevano dal soffitto emanavano una luce aranciata, che, accentuata dal colore delle pareti, avvolgeva tutto in un suggestivo color tramonto.
“È meraviglioso qui, sembra di essere nel deserto al tramonto.” Disse Emma.
“Già, è un posto molto suggestivo, vengono molti turisti, ma non è per tutti... non so se mi sono spiegato!” Disse Yhassin.
Certo non era uno di quei locali prettamente commerciale, frequentati dai turisti, l'idea che dava era di essere un posto di nicchia, frequentato da una certa clientela.
“Tanto paga Eugenio” Disse Erika divertita, interpretando il significato delle parole di Yhassin.
“Non se ne parla, siete nostre ospiti” Disse il ragazzo con un sorriso.
“Dovrebbe essere illegale!” Disse Erika.
“Che cosa?” Chiese Yhassin non capendo a cosa si riferisse la ragazza.
“Il tuo sorriso... È da infarto!”
Erika sapeva essere molto diretta e sfacciata, a volte anche troppo, questa esternazione le costò una gomitata nelle costole da Emma che la fulminò con gli occhi.
Yhassin scrollò la testa in leggero imbarazzo ed invitò le ragazze a seguirlo.
Un cameriere si avvicinò e sorrise. Iniziò una conversazione in arabo con Yhassin, da quello che si poteva osservare, dato che non si capiva nulla, sembrava che i due si conoscessero bene.
Alla fine il cameriere si rivolse alle ragazze in inglese e le accompagnò al tavolo che era stato prenotato.
Emma guardò Yhassin con fare interrogativo e lui sorrise.
“È un mio vecchio amico, ho lavorato qui per parecchio tempo quando sono tornato.”

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Erano seduti ad un ampio tavolo rotondo con al centro un vassoio girevole su cui il cameriere aveva posato le portate scelte.
Ruotando il vassoio ogni persona seduta al tavolo poteva assaggiare ogni portata comodamente.
“Che figata” Disse Erika “Ho visto un meccanismo simile in un ristorante cinese!” Habuk la guardò stizzito.
“Vorresti forse paragonare la nostra cucina con quella dei musi gialli?” Domandò.
“Però... E poi siamo noi i razzisti!” Disse Emma, Yhassin scoppiò a ridere e guardò suo cugino che aveva ancora la faccia offesa “In realtà Habuk ha un conto in sospeso con una certa ragazza il cui muso giallo ha spezzato il suo cuore.”
“Puoi evitare i particolari... Grazie!”
Le ragazze risero a quell'affermazione, era evidente che la cosa lo infastidisse ancora, ma in un modo talmente buffo da renderlo irresistibile.
I piatti tipici erano molto buoni, leggermente speziati ma davvero gustosi, Emma assaggiava un po' di tutto sotto lo sguardo divertito di Yhassin.
“Sei cambiata.” Disse.
“In che senso?”
“Eri molto schizzinosa, mangiavi solo pasta al pesto... Non avresti mai assaggiato questa roba.”
Emma guardò l'amico con aria stupita “Allora non ti sei dimenticato di me!” La frase uscì dalla sua bocca prima che potesse trattenerla, era una frecciatina neanche troppo velata, in realtà il fatto che lui ricordasse quel particolare le faceva piacere, in un modo che non riusciva nemmeno a comprendere.
“No, non avrei mai potuto...” Rispose guardandola negli occhi.
“Perché... Sei sparito?”
“No, sono solo tornato a casa, questa è la mia casa.” Disse.
Emma lo guardò, era sicura di aver sentito dell'emozione nella sua voce, una nota stonata.
“Anche l'Italia era casa tua.”
“Lo è stata per un po', tu sei stata la mia casa e la mia famiglia ma alle proprie origini non si sfugge!” Disse distogliendo lo sguardo. Emma capì che quello non era il posto né il momento per continuare quel discorso, Habuk ed Erika li osservavano, era chiaro come il sole che c'era del non detto tra loro, ma Emma lasciò cadere il discorso, non era sicura di volerlo approfondire.
La serata proseguì tranquilla, il cibo era ottimo e anche la compagnia. Tuttavia, Emma si sentiva a disagio, dopo lo scambio di battute si era creato come un muro tra loro, Habuk teneva banco con aneddoti divertenti sulla sua infanzia e racconti sulle tradizioni del suo paese, ma Yhassin sembrava nervoso, era teso e si guardava spesso attorno, come se cercasse qualcuno o al contrario temesse di incontrare qualcuno. Decise di non fare domande, aveva la sensazione che qualunque cosa avesse chiesto sarebbe stata quella sbagliata ed improvvisamente si sentì fuori posto.
Guardò Erika che rideva e scherzava con Habuk: perché lei non riusciva ad essere così leggera e a lasciarsi andare? Non riusciva mai a godendosi le situazioni senza farsi inutili voli pindarici o seghe mentali, come le avrebbe chiamate Erika.
Le venne in mente il suo ex e tutte le volte che le aveva fatto notare quelle cose... Sbuffò e improvvisamente si alzò dalla sedia.
“Devo fare una telefonata” Così dicendo prese la borsa ed uscì.
Doveva prendere una boccata d'aria, uno strano magone le attanagliava la gola.
“Merda, come vorrei tornare a Milano” Disse a voce alta sicura che nessuno l'avrebbe sentita o comunque capita.
“Pensavo che ti avesse fatto piacere incontrarmi.” Una voce alle sue spalle la fece sobbalzare “Che diavolo...”
“Scusa, ma è meglio non andare in giro da sole e poi non credo tu possa fare una telefonata senza questo...” Le porse il cellulare che aveva lasciato sul tavolo.
“Ehm, grazie, in realtà avevo bisogno di prendere una boccata d'aria.” Disse Emma in imbarazzo.
“Qualcosa non va?” la ragazza lo guardò stranita, era lui ad essere in evidente disagio e il suo atteggiamento aveva contagiato anche lei.
“No, cioè... Sì... No, è tutto ok!”
“Non sembri convinta”
“Ok, non va tutto bene, mi sento fuori posto, tu hai passato la serata a guardarti intorno, è chiaro che non avresti voluto essere qui... E per quanto mi riguarda nemmeno io. Mi fa piacere averti incontrato, ma...”
“Guarda un po' chi si rivede da queste parti...” Una voce alle loro spalle interruppe il discorso di Emma, il ragazzo che si stava avvicinando era alto scuro di carnagione, come tutti del resto, aveva i capelli lunghi e legati in un codino basso. Aveva un’aria minacciosa, Emma fece un passo indietro.
Yhassin si irrigidì, si voltò e sospirò.
“Talib, che piacere vederti!” Disse a denti stretti. Era ovvio che non fosse un piacere.
Il nuovo arrivato si rivolse ad Emma e le chiese in inglese come si chiamasse e da dove venisse.
Emma rispose educatamente ma quando il ragazzo si mise a ridere, le venne voglia di mandarlo a quel paese.
“Sei italiana?” Le chiese.
“Parli la mia lingua?” Chiese Emma stupita.
“Si, un po', sono stato in Italia tempo fa”.
“Yhassin, non mi avevi detto di aver ripreso l'attività... Vedo che le turiste ti piacciono sempre. Ottima scelta è un bel bocconcino...” Disse.
“Non ti azzardare a parlare così, lei non è una turista, e poi non ho ripreso proprio niente, lo sai che non lo farei mai e poi mai.”
Emma seguiva quella conversazione a fatica. Il tizio di nome Talib parlava volutamente in italiano ma Yhassin rispondeva in arabo, era evidente che non voleva farle capire di cosa stessero parlando... Questo le diede parecchio fastidio, chissà quale segreto aveva, o a quali attività si stavano riferendo.
Quando Talib si allontanò Yhassin tirò un sospiro di sollievo e prese Emma per un braccio e si diresse verso il ristorante.
“Scusa, che fai?” Chiese contrita Emma.
“Torno dentro al nostro tavolo” Fu la risposta del ragazzo.
“Non credi di dovermi una spiegazione?”
“No, non sono cose che ti riguardano.”
“Non sono cose che mi riguardano? Quel tipo mi ha fatto sentire come una poco di buono, si può sapere di cosa parlava?”
Yhassin guardò Emma negli occhi, la sua espressione era molto seria e non ammetteva repliche.
“Ok” Disse Emma “Torniamo dentro”.
Le parole di quel tizio continuavano a ronzarle in testa, non riusciva a non pensarci. Era ovvio che ci fosse qualcosa che non andava.
Si sentì ancora una volta fuori posto, Yhassin non era il ragazzo che ricordava, i quindici anni trascorsi lo avevano cambiato, si era illusa di aver ritrovato il suo miglior amico, si voltò a guardarlo e gli sembrò un perfetto estraneo, gli faceva persino un po' di paura.
“Habuk, puoi chiamarmi un taxi per favore? Vorrei tornare in albergo” Dichiarò Emma di punto in bianco.
“Ti accompagno io...” propose Yhassin.
“No, non ti disturbare, non voglio rovinare la vostra serata perché mi è venuto il mal di testa”.
“Emma, non scherzare, Yhassin può tenere l'auto, io abito qui vicino, andrò a prendere la moto e poi riaccompagno Erika più tardi.” Disse Habuk.
Accidenti, aveva trovato una soluzione a cui Emma non poteva ribattere. Non le restava che accettare anche se non aveva nessuna voglia di rimanere da sola con Yhassin.
“OK, allora grazie.” Disse a malincuore
   
 
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