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Autore: Flos Ignis    03/08/2021    1 recensioni
Questa storia è una denuncia contro la violenza sui minori e le discriminazioni sessuali.
Una persona a me cara ha dovuto compiere una scelta tra conformarsi alla volontà della famiglia o essere se stesso. L'ultimatum l'ha allontanato dalla famiglia, gli ha spezzato il cuore.
La sua scelta l'ha fatto rifiorire come se stesso, senza più paura di nascondersi.
I suoi sentimenti hanno ispirato questa storia, insieme alla mia volontà di diffondere con il mezzo che mi è più congeniale l'ingiustizia che persone cieche e bigotte perpetrano contro chi è diverso.
Le apparenze sociali non dovrebbero mai superare l'amore che proviamo per i nostri cari.
La nuova generazione dovrà fare di meglio. È la mia speranza.
Tratto dal testo:
Per lui i giorni erano tutti uguali, che piovesse o splendesse il sole doveva sempre sorridere per non far rabbuiare la madre e non far preoccupare il padre.
Lui sorrideva e al mondo non importava se dentro piangeva; incurante degli insignificanti sentimenti di un bambino qualunque, la natura indomabile seguiva imperterrita il suo corso.
Da che ricordava, la sua vita era sempre stata così.
«Partecipa al contest "La Geografia del Buio" indetto da Asmodeus sul forum di EFP»
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Karma Akabane, Koro Sensei, Nagisa Shiota
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La vita non era come nelle favole.
Il buio non era metafora del male, così come la luce non equivaleva al bene.
Le giornate di pioggia non erano una visione più grande della tristezza di una persona, così come quelle di sole non implicavano risate e gioia.
Nagisa lo sapeva bene.
Per lui i giorni erano tutti uguali, che piovesse o splendesse il sole doveva sempre sorridere per non far rabbuiare la madre e non far preoccupare il padre.
Lui sorrideva e al mondo non importava se dentro piangeva; incurante degli insignificanti sentimenti di un bambino qualunque, la natura indomabile seguiva imperterrita il suo corso.
Da che ricordava, la sua vita era sempre stata così.



*****



Quando era piccolo, nei giorni buoni sua madre gli preparava la colazione sorridendo e suo padre lo accompagnava a scuola salutandolo con una pacca affettuosa sulla testa.
Erano però più numerosi i giorni cattivi, quando si svegliava a causa delle urla dei suoi genitori che litigavano; talvolta sua madre lanciava a terra dei bicchieri e suo padre, stanco di gridare, usciva di casa sbattendo la porta e poi non si faceva vedere fino a sera inoltrata.
Durante gli anni della scuola elementare aveva sviluppato una leggera forma d’ansia che si manifestava ogni volta che un adulto si avvicinava troppo a lui.
Era stata scambiata per timidezza fortunatamente, perciò gli insegnanti si limitavano a parlargli da lontano con voce pacata, assecondando quella che credevano una fase transitoria nello sviluppo del suo carattere.
All’inizio era in grado di controllare i suoi tremori, ma poi ci fu l’Incidente.
Ricordava ogni dettaglio di quella sera di febbraio: tirava un leggero venticello, gli alberi erano spogli e grigi, a eccezione di una leggera spolverata dell’ultima neve della stagione.
A scuola aveva passato delle ore tranquille, aveva persino preso un buon voto in matematica. Sperava che questo avrebbe fatto sorridere sua madre. La speranza però morì nel momento esatto in cui rimise piede in casa.
I suoi genitori stavano urlando, il padre piangeva e la voce era roca per le lacrime e le urla, mentre la madre era pallida e tremante di rabbia.
Nagisa aveva paura ad avvicinarsi in quelle occasioni; quando percepiva l’atmosfera di casa sua appesantirsi il suo cuore gli rimbombava fin nelle orecchie e il ronzio dei suoi pensieri si arrestava formando una palla di ansia che gli ostruiva la gola.
Quella volta però si comportò diversamente.
Non avrebbe mai capito il motivo, forse fu l’istinto che porta ogni bambino a cercare il conforto dei genitori quando qualcosa li terrorizza, anche se sono proprio loro la fonte del disagio.
-Mamma...non gridare, per favore...-
Il tempo si fermò per un istante, ma poi sua madre si rivolse verso di lui. Lo strattonò lontano da sé, strappandogli il sostegno che aveva cercato, per poi trascinarlo per un braccio davanti allo specchio del bagno.
-L’unico motivo per cui ho sposato tuo padre era per avere una figlia che avrebbe ereditato i miei lati migliori perché avesse la vita che mi è stata negata, e invece…! E invece quel buono a nulla mi ha dato un maschio. Non saresti dovuto nascere!-
Poi l’aveva afferrato per i capelli prima che le sue parole facessero effetto sul corpo paralizzato dalla paura del figlio, dandogli una spinta.
Cadere era durato un solo istante, ma le conseguenze durarono una vita intera.
Una corsa all’ospedale più tardi, Nagisa aveva guadagnato quattro punti sul braccio e nove sulla testa. Tanto sangue, ma nessun danno reale.
Nessuno fisico, almeno.
La sua leggera ansia si era trasformata in mutismo e terrore di ogni adulto nel raggio di tre metri da lui.
I suoi genitori avevano divorziato dopo quell’episodio, ma il buon nome di lei e il suo lavoro prestigioso avevano impedito all’uomo di portare via con sé il figlio come avrebbe voluto. Neppure le carte ospedaliere aiutarono con la sua causa, visto che era stato catalogato come incidente.
Dopo quel giorno, il bambino era rimasto il solo su cui la donna potesse sfogare le sue frustrazioni, il che le rese peggiori rispetto al passato.
Nagisa aveva dimenticato il numero di volte che aveva dovuto nascondere i suoi attacchi di panico.
Studiare era diventato più difficile rispetto al passato, poiché la sua capacità di concentrazione si era assottigliata. Aveva superato gli esami di fine corso per un pelo, rientrando nella rosa degli studenti in attesa per accedere alla scuola media che sua madre aveva scelto per lui.
Era stato ammesso come ripescato alla Kunugigaoka grazie alle pressioni economiche della madre, ma i professori avevano espresso chiaramente il loro scetticismo sulla sua capacità di affrontarla con successo dato il suo rendimento altalenante.
Alla cerimonia d’inaugurazione dell’anno scolastico aveva promesso a se stesso di fare del suo meglio, di dimostrare che la sua ammissione non era frutto del caso, che poteva impegnarsi ed essere uno studente diligente e preparato.
Forse questo avrebbe aiutato sua madre a essere meno buia.
Non aveva altre parole per descrivere come percepiva l’umore di sua madre, se non “luminosa” e “buia”. Era diventato sensibile a questi cambiamenti, specie perché per lui determinavano se avrebbe affrontato una giornata di sole o di pioggia.
Che metafora semplicistica… Ma cosa poteva aspettarsi da qualcosa uscito da una favola? Aveva imparato molto tempo prima a non crederci più.
Solo nelle favole i buoni vincono sempre, e nessuno sente quando un cuore di spezza. A nessuno nemmeno importa.
A volte, Nagisa vorrebbe solo vivere in un’altra pelle molto più dura e resistente.
Così forse avrebbe potuto sopportare meglio le lacerazioni e i lividi che oltrepassavano la barriera della pelle per finire alle ossa, al sangue e al midollo della sua anima.



*****



Durante il primo semestre, un paio di ragazzi lo invitarono a casa loro per studiare.
Qualcosa di tanto semplice era una completa novità per lui, ma accettò con piacere, approfittando dei giorni in cui sua madre rientrava tardi dal lavoro.
Quel periodo di piacevole quiete durò solo poche settimane, perché non poteva correre il rischio di far entrare in casa sua gli amici.
I ragazzini di undici anni potevano essere volubili e superficiali alle volte, anche se non per cattiveria, quindi vedendo la sua mancanza di partecipazione i compagni di classe iniziarono a ignorarlo credendolo un asociale e un maleducato.
Quel breve mese però bastò a capovolgere il suo mondo. Vedere in prima persona dei genitori presenti e amorevoli, dai toni pacati e talvolta scherzosi riportò alla memoria frammenti del passato, quando la sua famiglia era veramente tale, quando il buio non aveva assorbito ogni frammento di luce e gioia.
Aveva ricordato il significato di una famiglia.
Questo lo portò in una spirale di negatività che intristì il suo animo e gli fece perdere ogni speranza di normalità.
Adesso sapeva che non era normale il modo in cui era diventato sempre più sensibile all’umore della madre, vedendolo come una specie di vortice oscuro che risucchiava tutta la vitalità che aveva in corpo.
Sapeva, dallo sguardo preoccupato dei suoi insegnanti, che i lividi a forma di dita che a volte spuntavano da sotto le maniche della maglietta raccontavano troppi dettagli della sua vita casalinga.
Sapeva anche che i suoi compagni di classe non volevano diventare suoi amici per più del semplice fatto che non avesse mai ricambiato un invito. Lui era quello strano: i suoi capelli erano lunghi come quelli di una ragazza, i suoi lineamenti erano troppo delicati per un ragazzo e la sua presenza era talmente labile che si dimenticavano persino che esistesse.
Nagisa sospettava anche che loro intuissero la diversità che celava al mondo, che a malapena iniziava a capire lui stesso, il suo personale groviglio di nera angoscia e dubbi dotati di artigli avvelenati.
Eppure…
Eppure cos’altro poteva fare? Cosa, di preciso, avrebbe migliorato la sua situazione?
Poteva solo resistere, un giorno alla volta, affrontando il buio di sua madre e i conflitti dentro di sé, attendendo che il suo sorriso falso ritrovasse vita e gioia.
La solitudine gli pesava, non poteva negarlo: la madre avrebbe sicuramente disapprovato chiunque al di sotto dei suoi standard e alla sua età riteneva la compagnia dei coetanei solo una distrazione inutile.
Non hai bisogno di trastullarti con degli sciocchi ragazzini, non gioverà né ai tuoi studi né alla tua futura carriera.
Ricordava bene il giorno in cui gli aveva ringhiato quelle parole dritto in faccia, mentre gli stringeva le braccia al punto da lasciare lividi violacei per diversi giorni. Il buio sul viso della donna era tale mentre parlava che ogni volta che qualcuno gli rivolgeva la parola lui riviveva quel momento.
Inevitabilmente, il suo interlocutore percepiva la paura e la faccenda veniva liquidata in fretta, ma Nagisa ci metteva sempre qualche ora a tranquillizzarsi.
Poco alla volta, stava morendo dentro.
Ogni giorno per lui era uguale al precedente.
Si svegliava con la madre che controllava la sua vita pretendendo che lasciasse i capelli lunghi sciolti, e nei giorni di pioggia prima di andare a dormire doveva sopportare in placido silenzio di essere vestito come una bambola.
Andava a scuola cercando di concentrare la mente sulle materie da studiare, quando in realtà tutto ciò a cui riusciva a pensare era che ora dopo ora l’ultima campanella si avvicinava sempre di più, e con essa il tempo di tornare a casa.
La sua vita era un susseguirsi di oscurità e piccoli momenti di pace in attesa della prossima tempesta, e lui era solo un pulcino sotto il temporale, sballottato dal vento e appesantito dalla pioggia, senza alcuna speranza di spiegare le ali e volare.



*****



Il suo terzo anno fu quanto di più bizzarro, caotico, spaventoso ed emozionante che chiunque potesse immaginare.
I suoi voti si erano abbassati così tanto che era stato degradato alla classe E, la feccia della scuola in cui venivano mandati gli scansafatiche e i ragazzi problematici.
Sua madre aveva urlato per due giorni di fila quando lo aveva scoperto; il primo giorno nella nuova classe aveva ancora i segni che gli avevano lasciato le sue unghie quando l’aveva afferrato, e un livido violaceo sul fianco dove aveva sbattuto per il contraccolpo della spinta.
Nagisa ormai ci era talmente abituato che non ci faceva neppure più caso.
Era diventato bravo a fingere un sorriso distaccato davanti a tutti, non sussultava più quando qualcuno si avvicinava e aveva persino iniziato a fare qualche breve discorso con due nuovi compagni di classe, Sugino e Kayano.
Si sentiva diviso a metà, il più delle volte: aveva imparato a relegare il Nagisa spaventato e succube tra le quattro mura della sua casa, mentre quello apparentemente sereno e imperturbabile poteva emergere durante le ore scolastiche, imparare a socializzare come un essere umano decente e…
Tentare di uccidere il suo insegnante.
Per davvero, non era un modo di dire.
Korosensei era arrivato ad anno scolastico iniziato per sostituire la povera Yukimura-sensei, morta in una tragica esplosione alle industrie farmaceutiche in cui lavorava part-time. Quella stessa sera, come a voler piangere lo spezzarsi della vita di una persona tanto speciale, la luna era esplosa.
La storia di come il satellite fosse andato distrutto era stata al centro di miliardi di discussioni per mesi, ma solo le più alte sfere governative del mondo conoscevano la verità.
Loro, e un manipolo di circa venti adolescenti di una qualunque scuola media giapponese, che avevano ricevuto il compito di assassinare quella creatura tentacolare che schivava i missili nucleari mentre andava a comprare il pranzo in Brasile e poi tornava per insegnare loro l’algebra.
Così era la vita, ormai. Bizzarra a dir poco.
Nagisa sapeva che avrebbe dovuto provare paura per la propria vita, che tutti loro avrebbero dovuto. La prova della sua forza era visibile a tutti ogni notte, avrebbe potuto conquistare la Terra in un solo giorno con la sua velocità supersonica se solo l’avesse desiderato.
Invece aveva dato un anno di tempo al pianeta, e mentre aspettava di essere ucciso si godeva la vita e insegnava con una passione non comune.
Nessuno sapeva da dove venisse, o quali fossero le sue ragioni, ma era ovvio che ce ne fossero di imperscrutabili; non poteva trattarsi solo di mera volontà di distruggere, non era coerente.
Nagisa aveva passato molto tempo a pensarci, ma più riviveva nella mente i momenti trascorsi con Krosensei meno ci capiva qualcosa.
Aveva una sola certezza su cosa pensava di lui, e questo componeva una buona parte dell’assurdità della situazione: gli piaceva.
Contro tutti i pronostici, lo stimava e la sua compagnia era piacevole.
Ma soprattutto, non gli faceva paura.
Nagisa, il bambino che aveva avuto timore di tutto, non provava alcuna paura di fronte a un potenziale assassino di massa.
C’era di che riderne a crepapelle.
Ma il suo istinto di base, allenato fino allo stremo ogni singolo giorno per captare e deviare tutti i pericoli possibili, era silente intorno al suo insolito insegnante.
Si trovava davvero bene nella nuova classe, si sentiva a casa con i suoi compagni più di quanto non ricordasse di aver fatto da troppo tempo.
E si sentiva al sicuro con i suoi insegnanti.
Stava imparando a combattere e difendersi con Karasuma-sensei, come far abbassare la guardia ai nemici grazie a bitch-sensei e come affrontare la vita e tutto il marcio del mondo insieme a Korosensei.
Stava imparando a vivere grazie ai compagni – no, agli amici che si era fatto in quella classe, dove ognuno aveva la sua croce da portare.
Il mondo gli sembrava più bello che mai, proprio mentre si avvicinava alla sua fine.
C’era un che di tragicamente bello in tutto ciò.



Era stato bello rivedere Karma; si era preoccupato per lui quando aveva saputo della rissa che aveva scatenato contro uno studente referenziato dell’ultimo anno, ma era felice che sarebbero nuovamente stati in classe insieme ora che la sua sospensione era finita.
Evidentemente si portava dietro molte insoddisfazioni riguardo a come era stato trattato dai vecchi insegnanti, ma sembrava che in quella classe di assassinio lui si trovasse come uno squalo nell’oceano.
Perfettamente a suo agio.
Sapere che avrebbero vissuto insieme quell’avventura aveva emozionato il ragazzo dagli occhi azzurri, sarebbe stato inutile negarlo.
Del resto, riconosceva di aver sempre reagito con emozioni forti nei dintorni del rosso.
Persino la prima volta che lo aveva visto.
Ricordava che ad averlo colpito inizialmente era stato il rosso dei suoi occhi: aveva uno sguardo così… trasparente, dove mostrava tutte le sue emozioni senza timore.
Nagisa in quel periodo non era abituato al contatto umano abbastanza da saperle identificare, ma la spontaneità e l’energia del ragazzo l’avevano catturato.
All’epoca lo conosceva solo di fama: il suo nome era sempre in cima alla classifica dei punteggi dei test, ma a parte la sua comprovata intelligenza non sapeva altro di lui.
Cosa che cambiò nel giro di poco tempo, perché il rosso sembrò deciso a pretendere giornalmente la sua compagnia per tutto quel primo trimestre del secondo anno. Karma era brillante, carismatico e impavido: faceva desiderare a Nagisa di assomigliargli, facendo sorgere dentro di lui piccole scintille di un sentimento che temeva di aver scordato.
Il coraggio.
La stima si era trasformata velocemente in simpatia, nonostante non avessero nulla in comune, poi in amicizia e vero e proprio affetto.
Fu un breve periodo di leggerezza e timida gioia, il che lo portò a uno stato di tranquillità sufficiente per riuscire a superare gli esami di fine trimestre con voti insolitamente alti.
Sua madre parve talmente soddisfatta che per qualche tempo mostrò solo il suo lato luminoso.
L’atmosfera meno buia e l’aver trovato un vero amico lo fecero sbocciare: ora il suo animo non era privo di paure e ansie, ma dato che non si sentiva più solo aveva il coraggio di affrontarle.
Era persino riuscito a sorridere di nuovo in modo sincero, di tanto in tanto, non solo quegli stiramenti vuoti di labbra a cui era abituato il suo volto da anni.
Nagisa teneva cari nella memoria quei ricordi: ripensarci lo aveva scaldato spesso nelle notti frette e spaventose che passava rintanato nella sua stanza, mentre dormiva con un occhio aperto per la paura.



L’amicizia tra Karma e Nagisa parve riprendere esattamente dal punto in cui l’avevano interrotta. All’apparenza.
Sembravano essere tornati amici, ma la realtà era che lo erano appena diventati.
L’anno precedente Nagisa era stato troppo occupato a stare al sicuro dietro i suoi muri per capire che, per legare la propria anima con quella degli altri era necessario guardarli negli occhi e abbattere quei muri.
Ora però era cresciuto e se all’apparenza tutto era rimasto uguale, nel profondo più nulla era lo stesso.
Non sapeva più cosa fosse giusto o sbagliato in un mondo che per lui non aveva senso, dove la persona che dovrebbe proteggerlo infesta i suoi incubi e quella che ha minacciato di distruggere l’umanità lo aiuta e rassicura quando ha dei dubbi.
Non riconosceva il bene dal male, ma aveva deciso che non gli importava di quella particolare dicotomia, dato che l’unica sua vera esistenza si trovava nelle favole.
Aveva deciso che avrebbe distinto solo il vero e il falso.
Aveva paura di sua madre. Vero.
Si fidava di Korosensei. Vero.
Era un ragazzo normale. Falso.
Andava bene essere diverso. Vero o falso?
All’ultima affermazione non era ancora riuscito a dare una risposta definitiva, ma più passava il tempo in quella classe e più faceva pace con le sue particolarità.
Si sentiva più fiducioso e ottimista, abbastanza da decidere che presto o tardi avrebbe parlato con sua madre per cercare di risolvere i loro problemi.
Non era più un bambino spaventato.
Era un assassino. E questo gli dava coraggio.



*****



Quel coraggio lo portò, durante una fredda sera di ottobre, a richiedere volontariamente l’attenzione della madre per la prima volta da molti anni.
Stringendo i pungi e inspirando forza insieme all’ossigeno diede un colpetto di tosse per richiamare su di sé l’attenzione.
Aveva pensato e ripensato a quale fosse il momento migliore per agire, ma aveva concluso che non esistesse l’attimo perfetto. Aveva solo atteso, osservando come un falco ogni microespressione su quel volto tanto familiare, in agguato proprio come aveva imparato a fare nel suo addestramento da assassino.
Quella sera sembrava perfetta: la donna era rincasata presto dal lavoro perché aveva terminato in anticipo il suo programma della settimana e poteva godersi il weekend libero. Non c’erano stati grossi problemi o imprevisti fastidiosi, e i voti di Nagisa erano stati buoni ultimamente con la guida di Korosensei.
Se non esisteva il momento perfetto, quello era senza dubbio il migliore possibile.
-Mamma, vorrei parlarti per un minuto se va bene.-
Lei lo guardò, la sua espressione luminosa divenne incuriosita, ma non c’era segno di rabbia nei suoi lineamenti e il cenno che gli fece bastò per spronarlo a dire il discorso che si stava preparando da settimane.
-Ho scoperto qualcosa su di me ultimamente, qualcosa di molto importante e vorrei comunicartelo. Alla mia età, i ragazzi iniziano a notare quanto sono belli gli occhi delle ragazze, cercano di attirare la loro attenzione e di fare in modo che si interessino a loro volta. Qualcosa di molto simile sta succedendo anche a me.-
Sua madre lo interruppe nel tempo che ci impiegò a riprendere fiato.
-Oh Nagisa, capisco che sia normale ora che sei un adolescente iniziare a vedere le ragazze in modo un po’ speciale. Speravo che mio figlio sarebbe stato diverso da tutti gli altri adolescenti in preda agli ormoni, ma avrei dovuto aspettarmi che mi avresti delusa anche in questo. Non posso impedirti di trovare carina una tua compagna di scuola, ma sappi che ti è proibito agire a riguardo. In futuro troverò una ragazza di buona famiglia con cui potrai frequentarti, ma fino ad allora è meglio che tu non faccia sorgere pettegolezzi di alcun tipo su di te. Una reputazione immacolata è fondamentale e alla tua età ci vuole poco a commettere errori di cui ci si pentirà per tutta la vita...-
Neppure aveva ascoltato del tutto il suo discorso, ma aveva già dato per scontato troppe cose; c’erano così tanti errori nelle parole di sua madre, talmente tanti che la interruppe bruscamente.
-Mamma, non credo che sposerò mai una ragazza.-
Lei perse il fiato per la sorpresa, fissandolo incredula per un paio di secondi, prima di sospirare e scuotere la testa, dandogli una pacca leggera sulla fronte come per scacciare un pensiero molesto solo con la sua volontà.
-Naturalmente sei troppo giovane per parlare di matrimonio, Nagisa. Il mio era un discorso volto al futuro, e anche se manca ancora qualche anno alla tua maggiore età hai dimostrato di essere abbastanza grande da capire cosa mi aspetto da te, dato che hai menzionato di aver iniziato a patire gli effetti delle prime cotte.-
-Mamma, non sposerò mai una ragazza perché non mi innamorerò mai di una di loro. L’interesse di cui ti stavo parlando è per un mio compagno di classe. Un maschio.-
Il buio sul viso della donna aveva inghiottito tutta la luminosità precedente, perciò Nagisa sapeva di avere poco tempo per spiegarsi prima che il peggio si manifestasse. Era diventato più coraggioso rispetto al passato, ma ancora non era in grado di impedire alla sua voce di tremare mentre dichiarava la sua identità.
-Karma è stato il mio primo amico, il primo a ricambiare il mio affetto. Mi ha insegnato tanto, e in questi mesi ho ritrovato la sintonia che avevamo e che credevo perduta. Nella nostra classe abbiamo Korosensei che… beh, è più di un normale insegnante, e ci sta facendo imparare molto di più di quanto potresti immaginare. Stiamo vivendo insieme, fianco a fianco incredibili esperienze che ci legheranno per la vita. Ho capito che l’affetto si è approfondito e… io non lo so cosa ne pensi lui, non gliel’ho mai detto, ma vorrei farlo un giorno. Per sconfiggere la paura di aprirgli il mio cuore però, sentivo che prima avrei dovuto farlo con te. Mamma… per favore. Voglio solo che tu mi voglia bene, anche se sono diverso. Perché se c’è una cosa che ho imparato nella classe E, è che non c’è niente di male a essere diverso.-
Tremava e aveva la gola secca, ma doveva continuare e finire il suo discorso il più in fretta possibile.
Sua madre era diventata completamente buia mentre avanzava con una lentezza drammatica verso di lui, spaventosa come solo nei suoi incubi peggiori l’aveva vista.
Non era mai stata tanto furiosa, ma lui doveva ancora togliersi qualcosa dal petto e se non lo avesse fatto in quel momento ci avrebbe dovuto convivere per il resto della sua vita.
-Se… se decidi che non puoi capirmi, che non vuoi accettarmi… allora è un problema tuo, non mio. Io sono chi sono, ora tu lo sai e se smetti di amarmi solo per questo, allora è la conferma che non mi hai mai amato davvero.-
Lei ormai era a un passo da lui, completamente silenziosa. Il buio aveva inghiottito ogni emozione dal volto pallido che tanto gli ricordava il proprio, ma la donna non aveva ancora aperto bocca.
Quasi avrebbe preferito degli insulti a quel nulla silenzioso.
Nagisa stava per spezzare quel fragile momento di tensione, ma sua madre lo anticipò dandogli uno schiaffo, tanto forte da spaccargli il labbro a causa della fede che ancora indossava per salvare le apparenze.
I suoi capelli, sciolti nel tentativo di far piacere a sua madre, furono l’appiglio perfetto per la mano pallida della donna, che usandoli come leva scaraventò il figlio contro il tavolo della cucina.
Il suo corpo era scomposto, il suo peso sostenuto solo dalla lastra di vetro sottile, i suoi piedi sollevati a metà via per la forza con cui era stato spostato e la mancanza totale di un piano d’appoggio.
L’apparenza poteva ingannare, ma la donna era incredibilmente forte.
Nonostante tutte le ore che aveva speso a esercitarsi, tutto il tempo passato a cercare di tenere testa a un essere che si muoveva a velocità inumana, Nagisa sembrava perdere ogni progresso effettuato quando varcava la porta di casa, tornando a essere il sacco da boxe di sua madre.
Lei aveva iniziato a urlare, un vortice di negatività li aveva avvolti lasciandoli soli al mondo, ma non riusciva a captare nessuna delle sue parole. Il tono acuto e furibondo bastava a far intendere la linea generale, ma la testa gli faceva troppo male per prestare attenzione.
Istintivamente portò una mano alla tempia, e ritirandola la trovò macchiata di sangue.
Ma cosa era successo?
Svenne prima di capirlo, dimenticandosi dell’esistenza del pesante angelo di ceramica che sua madre teneva come centrotavola.
Mai avrebbe immaginato di finire con un ematoma in fronte e un taglio sulla tempia per quel piccolo e grazioso ornamento.
Per un po’ si lasciò cullare dall’oblio, che era in grado di cancellare anche il dolore.
Fu un bagliore a svegliarlo. Un baluginio rosso lo riportò alla veglia, il ricordo di qualcosa collegato a quel colore una promessa abbastanza allettante da riportarlo nel mondo di dolore che lo aspettava.
Fu faticoso aprire gli occhi, e ancora di più capire dove si trovasse.
Non stava parlando in cucina con sua madre? Perché allora era steso sui sedili posteriori di una macchina?
Nagisa era confuso, perciò i suoi riflessi furono rallentati quando sua madre aprì la portiera e lo trascinò fuori per il braccio. Incespicò un po’, ma poi gli ingranaggi del suo cervello ripresero a funzionare correttamente e lo scenario davanti ai suoi occhi gli mise i brividi.
Sua madre li aveva portati davanti all’edificio che ospitava la classe E, e nel buio della notte la luminosità della torcia rudimentale che aveva acceso le gettava sul volto ombre inquietanti.
-Mamma…?-
-Nagisa. Vieni qui, vicino a me.-
Considerando che l’ultima volta che aveva sentito la sua voce stava strillando, quell’ordine pacato avrebbe potuto considerarlo un miglioramento… se non avesse avuto in mano delle fiamme libere, mentre fissava la sua scuola con uno sguardo da folle in volto.
Ubbidì, cercando di schiarirsi le idee prendendo tempo. Cosa stava succedendo? Cosa voleva fare sua madre in piena notte, in cima a quella montagna?
-Da quando sei entrato in questa classe hai iniziato a essere disubbidiente e arrogante, bambino mio. Tutti i nostri problemi sono iniziati in questo luogo. Persino quanto hai detto prima deriva da una strana devianza che devono averti messo in testa i tuoi compagni di classe o i tuoi insegnanti. Sono giunta alla conclusione che questo luogo deve sparire. E dovrai essere tu stesso a dargli fuoco, in modo che non avrai più il coraggio di guardare nessuno di loro negli occhi, meno che mai di frequentare insieme le lezioni.-
Gli porse la torcia, uno sguardo determinato e implacabile.
Nagisa aveva passato la vita a studiare sua madre, a leggere le sue espressioni per capire quando sarebbe stato in pericolo e questo aveva fatto in modo che crescesse un certo talento in lui.
Il talento per l’assassinio.
Nonostante in tutti quei mesi lo avesse scoperto e allenato, la tenacia e la sete di sangue della donna erano ancora impossibili per lui da contrastare.
Ciononostante, la luce delle fiamme gli dava coraggio.
-Mamma, non voglio. Io mi trovo bene in questa classe, sto imparando moltissimo. Non sono loro ad avermi traviato. Sono solo cresciuto, e mi sono accorto di qualcosa su me stesso che è sempre stato lì. Ho trovato la forza di dirtelo grazie a loro.-
Sua madre gli diede uno schiaffo, e approfittando del suo stordimento cercò di mettergli in mano il bastone in fiamme, ma Nagisa indietreggiò di scatto.
Se c’era qualcosa che sapeva con assoluta certezza che non avrebbe mai potuto fare, era proprio quanto gli stava chiedendo la donna che gli aveva dato la vita.
-Non voglio! Mamma, ti prego, non farmi anche questo…!-
-Smettila di contrastarmi! Non sei altro che un essere umano che ho creato io, e mi devi obbedienza!-
Aveva torto, ma aveva ragione.
Come poteva esprimere quel groviglio di sentimenti per farsi capire dalla donna?
Quando aveva conosciuto sua madre, Korosensei gli aveva consigliato di esprimere chiaramente la posizione in cui si sarebbe schierato, ma come farlo?
E poi arrivò il colpo definitivo.
-Se non puoi fare come dico io, allora non disturbarti a tornare mai più sotto il mio tetto!-
Il suo mondo si inclinò per sempre, spegnendogli il cuore.
La loro discussione però fu interrotta dal sibilo di un’arma che sferzava l’aria.
Un assassino giunto per la taglia su Korosensei… non poteva arrivare in un momento peggiore.
La torcia cadde, e le sterpaglie presero fuoco in uno scenario infernale che circondò i tre.
Sua madre era caduta a terra in preda al panico per il colpo che era stato scoccato a due centimetri dal suo volto con una frusta.
La situazione gli era familiare, e grazie a questo finalmente riuscì a uscire dal suo stato di torpore e paura per agire.
E la sua mossa fu la sintesi di quello che aveva imparato a fare nella stessa classe che sua madre tanto disprezzava.
Grazie, mamma. Grazie a te ho sviluppato un talento che mi permette di essere utile ai miei amici. Il primo passo per essere me stesso inizia qui.
-Mamma, sto combattendo con tutto me stesso in questa classe. Non intendo andarmene. Arriverò a un risultato importante prima di diplomarmi, e quando accadrà… Ti ripagherò di tutto ciò che hai speso per me, taglierò i capelli e tutti i miei rapporti con te. Perché non intendo nascondermi mai più.-
Camminava tranquillamente verso l’assassino, entrambi gli adulti ipnotizzati dal suo volto innocente e il suo fare tranquillo.
L’attacco speciale che gli aveva insegnato il maestro di bitch-sensei mise al tappeto l’assassino, mentre sua madre non aveva ancora ritrovato la forza di alzarsi e riprendersi dagli eventi. Non era neppure sicuro che lo avesse ascoltato, ma ora il suo petto era leggero e libero.
Grazie, mamma, per avermi dato la vita. Vorrei che tu fossi felice di averlo fatto, e se un giorno riuscirai a esserlo forse potremo dare pace al nostro rapporto difficile. È il mio desiderio più grande.
Ma per il momento avrebbe percorso la strada su cui aveva scelto di camminare. E quello che aveva deciso era essere se stesso alla luce del sole.
Sua madre era svenuta a un certo punto, e se non fosse stato per Korosensei non sapeva cosa sarebbe accaduto. Tutto il peso della discussione con lei gli cadde addosso facendolo cadere in stato di shock, perciò l’insegnante gli aveva intimato di entrare in classe mentre lui accompagnava sua madre a casa. Con un po’ di fortuna, avrebbe solo creduto di essere rientrata.
Senza suo figlio. Perché non poteva accettare chi era.
A Nagisa si mozzò il fiato a ripensarci, perciò decise di disobbedire e strascicò i piedi fino alla stanza dove dormiva Korosensei, avvolgendosi nella sua coperta per riscaldarsi dal freddo che sentiva nel cuore.
Non aveva fatto nulla di male, lo sapeva. Non era neppure stata una sua scelta non tornare a casa con la madre. Glielo aveva detto lei stessa, no?
“Se non puoi fare come dico io, allora non disturbarti a tornare mai più sotto il mio tetto”, questo gli aveva urlato in faccia.
Ora che aveva dato voce a se stesso, che aveva ammesso cosa provava, per chi batteva il suo cuore… come avrebbe fatto a imbavagliarsi di nuovo? Non aveva smesso di avere paura, ma adesso dover tacere lo spaventava di più che dire la verità.
Gli faceva male tutto. La testa, il petto, le ferite che sua madre gli aveva provocato per quella che sperava essere l’ultima volta… Voleva solo dormire e dimenticare tutto, ma come avrebbe potuto?
Per un peso di cui si era liberato, un altro gli era stato posto sulle spalle.
Dove sarebbe vissuto ora? Forse poteva andare a stare con suo padre, ma aveva trovato lavoro dall’altra parte della città e sarebbe stato difficile venire a scuola alla Kunugigaoka, ma non credeva di avere altra scelta. Sapeva poi di essere stato affidato legalmente alla madre, avrebbe potuto mettere nei guai il suo ex marito se avesse scoperto che Nagisa aveva deciso di punto in bianco di andare a vivere con lui.
E cosa avrebbe ricordato di quella sera? Korosensei gli aveva detto di cercare di rilassarsi, che lo shock avrebbe fatto in modo di compensare i ricordi mancanti e quelli inspiegabili con una spiegazione razionale.
Ma fino a che punto avrebbe ricordato?
Avrebbe scordato di aver rinnegato suo figlio, quando lui aveva rifiutato di rinnegare se stesso?
Pianse a lungo a quel pensiero, lasciandosi cadere di tanto in tanto in una specie di trance per sfuggire alla sofferenza del suo cuore, ma poi le ferite alla testa tornavano a pulsare e quel dolore lo destava, facendolo ricominciare il suo pianto sfrenato.
Korosensei rientrò, più silenzioso che mai, avvolgendolo nei suoi tentacoli e pulendo le sue ferite con delicatezza, bendandolo senza una parola. Era bello poter godere della vicinanza di una persona cara senza il peso di doversi spiegare. Sarebbe stato troppo faticoso per lui in quel momento.
Passarono l’ora successiva in placida quiete, mentre i pezzi sparsi dell’anima del ragazzo iniziavano a riattaccarsi l’uno all’altro.
Fu proprio lui a spezzare il silenzio, con sua grande sorpresa.
-Ho detto a mia madre chi sono, e lei ha cercato di estirpare la mia identità e tutto ciò che ho imparato in questa classe ordinandomi di bruciarla. Non avrei più avuto il coraggio di guardarvi in faccia se l’avessi fatto, e lei lo sapeva.-
-Capisco. Sei stato coraggioso a prendere posizione dalla parte a cui senti di appartenere. Non deve essere stato facile.-
-Non perdonerà mai la mia esistenza, né la mia identità.-
-Il futuro è incerto, giovane Nagisa. Nessuno al mondo può prevederlo, ma tu hai trovato il coraggio di affrontarlo. Meriti rispetto per questo, e forse un giorno anche tua madre lo capirà. Fino a quel momento, spero che tu capisca che puoi contare sul fatto di non essere solo. Parlerò con tuo padre per organizzare un programma adeguato affinché tu possa restare in questa classe, visto che questo è il tuo desiderio. Se non ti disturba, potresti dormire in una delle camere di questo edificio nei giorni di scuola.-
-Lo faresti davvero, Korosensei?-
-Non preoccuparti, Nagisa. Risolveremo tutto. Sei al sicuro qui.-
-Non so come ringraziarti...-
-Il migliore ringraziamento che potresti mai farmi è continuare a essere te stesso, e se un giorno desideri condividere quella verità anche con me, ne sarò onorato.-
Nagisa ci pensò su per un istante: avrebbe avuto il coraggio di raccontare due volte la stessa storia nella medesima notte, ai due adulti che per lui significavano tutto?
Non aveva neppure bisogno di arrovellarsi troppo, sapeva di essere al sicuro con Korosensei e aveva bisogno di parlarne con qualcuno che sicuramente non avrebbe reagito come sua madre.
-Le ho confessato di essermi innamorato di un ragazzo. Sono gay, Korosensei. Lo sono sempre stato, ma solo ultimamente mi sono accorto di cosa significassero le sensazioni che provavo.-
-Sei stato molto forte ad affrontare queste novità, specialmente considerando la complicata storia che tu e tua madre condividete. E credo anche che il giovane Karma sia molto fortunato ad avere la tua stima e il tuo affetto.-
Nagisa arrossì profondamente. Come aveva fatto…?
-Ho avuto modo di osservarvi, ragazzi, nel corso dei mesi. Avete una storia complicata alle spalle, ma il legame che vi unisce è stato temprato dalle difficoltà ed è cresciuto con le esperienze uniche che avete vissuto insieme. Qualunque cosa accada, sono certo che sarete in grado di mantenere intatto quel legame e farne tesoro, di qualsiasi natura si rivelasse.-
Nagisa si sentì circondato di affetto e comprensione dopo l’oceano di oscurità in cui era cresciuto. Sentiva di dover ricambiare in qualche modo. Come poteva farlo…? Korosensei aveva detto che la cosa migliore che potesse fare per lui era raccontargli la verità, giusto?
-...Vuoi sentire la storia di come mi sono innamorato di Karma? Eravamo amici da un po’, e poi...-



Non c’era solo la luce nei suoi ricordi di Karma.
Ogni volta che guardava il suo amico non ricordava solo come era iniziata e il bene che gli aveva fatto. Rammentava anche come era finita e il buio cui aveva dato origine.

L’universo ti risponde se lo impari ad ascoltare: a volte è in guerra, a volte è calmo come il mare. Così era la vita. Così era sua madre. Dopo un periodo di quiete giungeva sempre una tempesta.
Ci sono traiettorie semplici di natura elementare, altre invece sono invisibili e non le puoi spiegare.
Solitamente Nagisa era bravo ad ascoltare i segnali, prevedere i movimenti di sua madre era diventato semplice come respirare.
Ma era così felice di non essere più solo che diventò distratto. Fatalmente distratto.
La prima cosa che non notò fu il modo in cui Karma iniziò a guardarlo: come se avesse timore di lui per qualche motivo.
Ma Nagisa non aveva nulla di spaventoso. Era esile e pallido, non aveva un fisico prestante né un carattere litigioso, al contrario del suo amico: aveva dimenticato il numero di volte in cui aveva dovuto ripulirlo dal sangue e disinfettargli le ferite.
Eppure, se avesse prestato attenzione nei momenti giusti, avrebbe riconosciuto un’istintiva paura nello sguardo di brace dell’altro.
Nello stesso periodo, dimenticò di controllare le proprie emozioni. Seconda distrazione.
Il suo sguardo a volte indugiava un secondo di troppo su un certo bel viso, e si ritrovava ad arrossire per una specie di timida esultanza quando veniva guardato di rimando.
Il soggetto delle sue nuove, conflittuali emozioni era Karma, naturalmente. Le aveva sentite germogliare fin dal loro primo incontro, ma ora che il suo amico aveva iniziato a ignorarlo erano fiorite e avano piantato radici. Il dolore aveva radicato i suoi sentimenti, e non se ne sarebbe liberato tanto presto.
Faticava a identificarle con precisione, ma capiva per istinto che era qualcosa che avrebbe dovuto celare a tutti, soprattutto Karma.
Prima che si accorgesse della loro vera natura però, il suo primo vero amico si era allontanato.
Aveva forse percepito la sua diversità, comprendendola prima che potesse farlo lui stesso?
Era talmente confuso da tutte quelle novità che gli facevano palpitare il cuore che non vide arrivare la nuova tempesta, tanto violenta da spezzargli le ali che aveva appena iniziato a spiegare.
Ed ecco giungere la sua terza, fatale distrazione.
Nagisa non aveva notato quanto il lavoro stesse stressando sua madre in quel periodo. Un progetto eccezionale l’aveva fatta rincasare sempre più tardi, lasciando più faccende domestiche sulle spalle del figlio.
A Nagisa non importava solitamente, ma non era più abituato a studiare da solo: aveva passato così tanto tempo a farsi aiutare da Karma che senza di lui si sentiva stupido e lento come una lumaca.
Si era fatta sera prima che completasse tutti i compiti, il che aveva avuto come conseguenza il fatto che non fosse riuscito a lavare i piatti come aveva promesso.
E sua madre aveva dato di matto.
Forse era complice il fatto che fosse molto tempo che non trovava una scusa per abusare del figlio, o lo stress lavorativo, ma lo scoppio di quella sera fu più violento di quanto non accadesse da anni.
Aveva appena fatto in tempo a spostarsi dal tavolo su cui stava studiando prima che sua madre lo strattonasse con violenza per la spalla, facendo sbilanciare il suo esile corpo.
Finì gattoni a terra, ansimando per la paura mentre sua madre iniziava a urlare con voce stridula.
-Lavoro come un mulo tutto il giorno per mantenerti. Mi spacco la schiena, e tu cosa fai, ingrato di un figlio? Non vuoi neppure sprecare cinque minuti per aiutarmi in casa! Io cerco di guadagnare il più possibile per farti vivere una vita agiata, come i miei genitori non hanno fatto con me, ma sembra che tu non capisca la fortuna che hai!- il buio sul suo viso si addensava sempre più a ogni parola.
Più gli occhi della madre venivano illuminati dalla follia più quelli del figlio diventavano trasparenti per le lacrime mentre il suo cervello tentava, invano, di farlo estraniare da una realtà troppo dolorosa da affrontare.
Gli insulti venivano lanciati in abbondanza, e mentre il ragazzo cercava si scappare nella sua stanza sentì qualcosa colpirlo sul fianco. Gli mancò il fiato per qualche secondo, mentre il suo cervello lo informava del fatto che ciò che lo aveva colpito era stata la punta del décolleté di sua madre.
Poi lo sentì anche sulla nuca, e un beato oblio lo accolse.
Rimase in ospedale per due notti prima che lo dichiarassero guarito, anche se avevano raccomandato di limitare qualunque attività fisica per almeno due settimane, dando il tempo di guarire alla costola incrinata.
Il colpo alla testa l’aveva fatto svenire ma non gli aveva dato altri problemi, tanto più che per una volta i capelli lunghi lo aiutarono coprendo il livido.
Gli ultimi mesi sembrarono essere svaniti nel nulla, tutti i progressi che sentiva di aver fatto si erano vaporizzati, sua madre aveva spezzato nuovamente il suo spirito così come il suo corpo.
Il tempo si era mosso in modo bizzarro da quel momento.
L’anno scolastico era volato, ma ogni giorno a Nagisa sembrava lungo una vita.
Era tornato solo, spaventato e abusato.
Il rendimento scolastico risentì del suo stato d’animo, e con il suo peggioramento anche la situazione in casa seguì lo stesso corso. Non fu più necessario andare in ospedale, ma non mancarono i lividi e gli strattoni.
Solo che ora non gli importava più.
Prendeva tutto in silenzio, accettando il buio e la follia, gli schiaffi e gli abiti femminili che gli venivano imposti in casa.
E Karma aveva smesso definitivamente di parlargli.
Più ci pensava, più sentiva crescere dentro di lui un senso d’ingiustizia. Quella vaga sensazione prese la forma di un buco nero di oscurità, che cresceva sempre di più nel suo petto, riempiendolo di nostalgia, rassegnazione e furia.
Stava forse diventando come sua madre?
Non c’era niente che temesse di più al mondo…
Soppresse tutte le sue emozioni: la paura, la frustrazione, la tristezza, il dubbio, la rabbia… e anche il ricordo della gioia, dell’amicizia e della comprensione che aveva avuto per così breve tempo.
Divenne un guscio vuoto.
E il buio, dentro di lui, cresceva. E con esso, un sentimento che ci avrebbe messo tempo a identificare come amore.




Korosensei aveva ascoltato la storia con interesse, asciugando le sue lacrime e cancellando il suo timore di diventare una brutta persona. Il buio faceva parte di lui, ma il suo desiderio di usarlo per aiutare gli altri avrebbe guidato la sua vita in una direzione migliore, come aveva dimostrato quella stessa sera mettendo fuori gioco l’assassino che aveva spaventato sua madre.
Lo aveva lasciato solo a riposare, cedendogli la stanza finché non si fossero meglio organizzati, augurandogli una buona notte.
Nagisa però aveva avuto troppe emozioni per un giorno solo.
Non sapeva da quanto tempo si era rintanato nell’angolo di quella stanza, sotto la pesante coperta che aveva l’odore rassicurante di Korosensei, la televisione ancora accesa che era l’unica fonte di luce per chilometri.
Sapeva solo che, a un certo punto della notte, quando il buio si era fatto più denso come reazione all’imminenza dell’alba, il tocco molto umano di una mano sulla fronte bendata lo riscosse come se fosse stato fulminato.
Alzò gli occhi pesti, l’azzurro delle iridi trasparente per le lacrime, per incontrare il volto in penombra della persona che gli aveva fatto doni tanto inestimabili da non poterli mai ricambiare pienamente.
-Karma? Cosa ci fai qui?-
-Korosensei è venuto a chiamarmi. Ha detto che solo io potevo aiutarti. Mi vuoi dire cosa è successo?-
Nagisa non sapeva cosa avesse avuto in mente quell’essere tentacolare che avevano per insegnante, ma doveva ammettere che la presenza del rosso non gli era del tutto sgradita.
Certo, non gli faceva piacere essere visto tanto vulnerabile dal ragazzo che lo interessava, ma si sentiva ferito nel profondo e la sua vicinanza era proprio ciò che gli serviva per tenere insieme i lembi spaccati di se stesso.
Voleva rispondere a Karma, sentiva che se non gli avesse confessato la verità proprio in quel momento non l’avrebbe più fatto. Con quale forza però sarebbe riuscito a esporre il suo cuore una volta ancora?
Poi gli venne in mente una volta in cui Karma aveva vinto una rissa, l’anno precedente, e il rosso gli aveva chiesto se avesse mai combattuto.
Ricordava ancora come gli avesse risposto che aveva troppa paura di farlo, che probabilmente non l’avrebbe mai fatto in vita sua. Ma poi aveva continuato dichiarando che se da questo fosse dipeso la sua vita, allora sarebbe stata una storia diversa.
Era stata l’ultima volta che lui e Karma erano usciti da soli, prima che il rosso si annoiasse della sua debole compagnia.
Nel suo cuore, sperò che anche il ragazzo tenesse cara nella memoria quel giorno.
-Ho combattuto per la mia vita, Karma. Ho vinto, perché ho dichiarato chi sono e ho preso posizione. Ma per questo ho perso mia madre.-
Il rosso e l’azzurro rimasero incatenati insieme, mentre i loro cuori si sincronizzavano. Karma si sedette al suo fianco, stringendolo a sé con un braccio attraverso lo spesso strato della coperta. Gli carezzò delicatamente la fasciatura, studiandolo in cerca di altre ferite.
Non chiese spiegazioni, non lo guardò con pietà né con tristezza.
Al contrario, sembrava… orgoglioso? Possibile?
-Sapevo che avevi problemi in casa. Non ho mai sollevato la questione perché sembrava che tu facessi di tutto per evitare l’argomento, specialmente quando agli inizi ti chiedevo della tua famiglia. Ma mi sono fatto un’idea piuttosto precisa di cosa stessi passando, e mi dispiace davvero di non esserti stato vicino. Avevo troppa paura di te e del talento che avevo intravisto.-
Fece una pausa per prendere un profondo respiro, cercando di nascondere il leggero rossore che gli era salito alle gote. Continuò in fretta a parlare, forse per evitare a Nagisa di commentare il suo imbarazzo.
-Sai, mi sono pentito di averti allontanato, e sono felice di essere con te a vivere questa follia di dover uccidere Korosensei e tutto il resto. Non credere che non l’abbia notato, ora tieni le spalle dritte e guardi negli occhi le persone. Per quello che vale, non sono mai stato più fiero di te e del tuo coraggio di questa sera, che hai affrontato i tuoi problemi in casa e ti sei rifiutato di ritrattare la tua posizione.-
Nagisa sgranò gli occhi, e annegò nel sentimento di prepotente affetto che gli sorse dentro a quelle parole.
Sentì che tutto il dolore di quella sera ne era davvero valso la pena.
Specialmente perché nel giro di un istante la ferita aperta che erano le sue labbra fu chiusa da quelle dell’altro ragazzo, tutto il dolore che lo attendeva al di fuori di quella stanza venne espulso dalla sua mente e lasciato al domani.
Il bacio aveva creato una bolla di felicità nel cuore di Nagisa, che per la prima volta dopo tanto tempo sentì nascere dentro di sé la speranza.
 
Non staccare le labbra neanche un solo secondo e non farti distrarre dal rumore di fondo, perché alla fine ogni volta è l’amore che ci salva dalla ferita del mondo.

-Cosa ne dici, Aguri? I nostri studenti stanno crescendo per diventare persone straordinarie. Mi chiedo se sto davvero adempiendo al destino che hai scelto per me...Quello che è certo, è che i nostri ragazzi sono davvero straordinari.-
Seduto sul tetto della scuola, Korosensei parlava con Aguri Yukimura, certo che in quel luogo potesse ascoltarlo davvero.
Vedendo sorgere l’alba, l’assassino trovò la sua risposta e con essa la speranza che tutto sarebbe andato bene.

  
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