Sweet home Baker Street
Capitolo 10
Due giorni dopo, Lestrade ne aveva avuto abbastanza.
"Hai un aspetto davvero orrendo, – disse al suo unico e solo
consultante investigativo, mentre guardavano Donovan che faceva salire con
attenzione il loro ultimo bottino nel retro di un'auto della polizia – Quando è
stata l'ultima volta che hai dormito un po'?"
"Non lo so. Potrei aver dormito più o meno per un'ora
ieri?"
"Risposta sbagliata. – dichiarò il DI – E riguardo al
cibo? Hai mangiato? Potresti tagliare qualcuno con quei tuoi zigomi affilati."
"Solo se mi schiaffeggiano. – ribatté Sherlock – In tal caso sono un meccanismo di difesa perfettamente funzionale."
"Di nuovo risposta sbagliata. Andiamo, ti porto a
cena."
Afferrò Sherlock per un braccio, fece un cenno a Donovan e
riuscì a comunicare con un qualche piccolo gesto che avrebbe portato il loro geniale ospite
al più vicino pub. Lei rispose con un pollice in alto e ricambiò il saluto.
"Non puoi andartene, – cercò di protestare Sherlock, perfino mentre si lasciava trascinare via – Ci sono le scartoffie."
"Domani saranno ancora lì, – disse Lestrade – Ho fatto
gli straordinari, il mio turno è terminato. E comunque non te ne importa niente
delle scartoffie. Ora stai zitto e lascia che qualcuno si prenda cura di te per
una volta, per l'amor del cielo."
Sherlock non disse un'altra parola finché non furono arrivati
al pub e non trovarono un angolo tranquillo nel retro, lontano dai pochi
clienti. Stavano suonando della musica, ma con così poche persone ad ascoltarla, per fortuna
era tranquillo e potevano parlare a bassa voce, senza doversi
sforzare per sentirsi l’un l’altro.
Greg prese una pinta per sé e un sidro per Sherlock,
perché poteva non essere un genio, ma prestava attenzione alle persone. Si
sedette e mise il menu davanti al viso di Sherlock: "Ecco, scegli
qualcosa. Ti è consentito un antipasto o un dessert solo se prendi anche un
piatto principale."
Sherlock tentò di guardarlo torvo, ma era davvero troppo stanco
e finì per assomigliare più a un gattino infangato che a qualcosa di veramente
minaccioso. Il Signore sapeva che avrebbe potuto essere spaventoso, se avesse
voluto, addirittura terrificante. In quei giorni, minacciava solo di svenire
sul colpo.
Alla fine ordinò un'enorme patata al cartoccio con fagioli,
che Lestrade considerò una vittoria.
"Bene, – esordì non appena Sherlock tornò dal bar e gli
restituì la carta di credito – Adesso dimmi che cosa sta succedendo."
"Non sta succedendo niente," mentì Sherlock.
Lestrade inarcò un sopracciglio: "Davvero? Allora perché
ha l’aria di un cadavere? Non dormi, devo usare la forza per alimentarti e
francamente mi sembri qualcuno cui abbiano appena investito il cane."
"Io non ho un ca…"
"Cristo, è solo un modo di dire, – lo interruppe
Lestrade – Ascolta, potrò non essere brillante come te, ma io so dire quando
qualcosa non va. Non sei stato bene da quando sei tornato da ovunque diavolo
tu sia stato in questi due anni, ma ora sta peggiorando. Avevo sperato che il tuo sfuggente
marito potesse migliorare le cose, ma comincio a pensare che il problema qui sia
lui."
Notò come Sherlock si era irrigidito alla parola
'marito' e il suo stomaco si rivoltò.
Ammorbidì la voce: "Sherlock... ti sta... ti sta trattando
bene, vero? Tu, uh, lo sai che se lui facesse mai qualcosa che ti ferisse, puoi
semplicemente andartene, giusto? Hai degli amici. Se lui è in qualche modo… – esitò,
non volendo dire 'abusante'. La gente tendeva a rifuggire la parola, perché
questo genere di cose succedeva solo alle altre persone.
Sherlock sbatté le palpebre e aggrottò la fronte "Tu...
pensi che mio marito sia abusante," disse in modo lento.
"Avrei dovuto
sapere che non ci avrebbe girato intorno" pensò Lestrade. "Beh,
sì. Che altro vuoi aspettarti che pensi? Un marito misterioso che nessuno di
noi ha mai visto, non vuoi dirci il suo nome, non vuoi mostrarci una foto, non vuoi
dirci altro che lui esiste e ora eccoti qui, con l'aspetto di uno che in realtà non ha
un marito premuroso che si prende cura di lui. Con il mio tipo di lavoro, certo che
presumo che il problema sia tuo marito."
Sherlock scosse la testa: "No, no, lui... non lo farebbe
mai. – Si fermò, esalò un respiro tremante – Non lo farebbe mai."
Nel profondo, Lestrade pensò che fosse una bugia, ma quasi
certamente una che Sherlock diceva a se
stesso. Nessuno voleva credere che il proprio partner fosse capace di matrattamenti,
eppure accadeva troppo spesso. Il Signore sapeva che aveva visto la sua giusta parte
di risultati.
Prima che potesse interrogare Sherlock più a fondo, arrivò il cibo: "Dacci dentro, –disse
Lestrade – Il resto può aspettare un po’, ma sembra che tu stia per
svenire."
Per una volta, Sherlock fece come gli era stato detto. Non
gli ci volle molto per spazzolare la maggior parte del proprio piatto e Lestrade lo
osservò con un curioso miscuglio di soddisfazione e crescente preoccupazione.
Sherlock era un tipo schizzinoso, lo sapeva da anni di osservazione. Di solito
non ci dava dentro a meno che non avesse raggiunto un punto in cui il corpo
aveva avuto la meglio su quel suo grande cervello.
Alla fine, aveva raccattato l'ultimo dei fagioli e anche
ripulito il resto della salsa con un pezzo di pane e sembrava un po' meno
morto rispetto a venti minuti prima.
"Non era poi così male adesso, vero? – chiese Lestrade,
cercando di sembrare più allegro di quanto si sentisse – Adesso dimmi… se mi
sbaglio e sei così tanto felice nel tuo matrimonio, che cosa sta
succedendo?"
"Non felice," ribatté Sherlock a bassa voce,
fissando il piatto.
Lestrade sbatté le palpebre: "Che cosa? Hai appena
detto..."
"Ho detto che lui non era abusante. Non ho detto che io
ero felice," precisò Sherlock, il che non chiarì molto le cose.
"Allora cosa...?"
Ma Sherlock scosse la testa e rimase in silenzio, fissando il
tavolo con lo sguardo di qualcuno che stesse lottando per trovare le parole per
qualcosa con cui non aveva alcuna esperienza. Lestrade decise di lascialo
stare.
Arrivò un barista e portò via i piatti e loro restarono
ancora seduti in silenzio. Il DI bevve un sorso di birra. Sherlock avrebbe parlato
quando fosse stato pronto.
Lestrade era oltre la metà della sua pinta e stava valutando
se fosse il caso di ordinarne un’altra o per quella sera fermarsi ad una, quando
Sherlock parlò.
"Lo sto perdendo."
"Scusa?"
"Lo sto perdendo, – ripeté Sherlock – Me lo sento scivolare
tra le dita, sempre più distante, e non c'è niente che io possa fare per
trattenerlo."
Lestrade sbatté le palpebre, osservando l'espressione di
Sherlock. Sembrava... perso. Perso e triste, che era il modo più vulnerabile in
cui Lestrade lo avesse mai visto. Anche sotto l’effetto di qualche sostanza o in
astinenza rimaneva sempre ferocemente ostinato e contrario. Adesso non c'era più
niente di quello in lui.
"Sherlock, questo è... non so cosa dire."
"Non c’è niente che tu possa dire, – Sherlock scrollò le
spalle – Niente che tu possa fare, anche. Nemmeno tu hai i migliori precedenti
con i matrimoni."
Non lo aveva detto in modo pungente e aveva ragione, quindi
Lestrade scelse di non commentare: "Ho ottenuto anche un po' di esperienza nel cercare di
far funzionare le cose," disse invece.
"Mph."
Rimasero di nuovo in silenzio per un po', ma questo era stato
il massimo che avesse mai sentito dire a Sherlock riguardo al suo elusivo marito
(o riguardo a qualsiasi altra cosa relativa alla sua vita privata) ed era
curioso.
"Allora che cosa ti fa pensare che si stia allontanando?
Forse sta pianificando una sorpresa, cercando di tenertela nascosta? Dio sa quanto
sia difficile nasconderti qualsiasi cosa."
Sherlock scosse la testa, gli angoli della bocca si piegarono
ancora più in basso. Sembrava un cucciolo preso a calci e ciò ferì Lestrade da
qualche parte nel profondo dell'anima. Dio sapeva che Sherlock Holmes non fosse
un uomo facile da conoscere, ma di sicuro non meritava di sentirsi così, in una
delle rare occasioni in cui si era abbassato a provare qualcosa in primo luogo.
"Sta spingendo per il divorzio."
"Oh. – Greg si appoggiò allo schienale. Era stato
piuttosto inaspettato – Ha detto perché? Hai fatto qualcosa? Ha lasciato degli
esperimenti nella vasca da bagno o altro?"
Sherlock scosse la testa: "Di quello non gliene è mai importato. No,
lui... vuole sposare qualcun altro." Voltò la testa verso il muro,
sbattendo in fretta le palpebre. Lestrade sentì un bisogno improvviso e
intenso di trovare suo marito e inculcargli un po' di buon senso.
"Mi dispiace, amico, – mormorò – Questo è duro."
Sherlock sospirò: "Il fatto è che... non credo che lo
voglia davvero. Dice di sì, ma penso che lo voglia fare perché crede di doverlo
fare, non perché lo desidera sul serio. Quindi mi sono tirato indietro."
"Ti sei tirato indietro? – fece eco Lestrade – Come fai...
a tirarti indietro riguardo a questo?"
"Mi sono rifiutato di firmare i documenti. – A suo
merito, sembrava sentirsi in colpa per questo – Speravo che, se avesse dovuto frequentarmi
di più, si sarebbe accorto di avere già tutto ciò che poteva desiderare."
“Vorrei che funzionasse così, – mormorò Greg – Dovrai
lasciarlo andare alla fine, Sherlock. È chiaro che non sta funzionando. Vuoi
davvero stare con qualcuno che vorrebbe essere altrove? Questo non è giusto per
nessuno dei due. E comunque, pensavo che ti amasse? Certo suonava così, quando
ho parlato con la tua infermiera."
Sherlock sbatté le palpebre: "Quale infermiera?"
"In ospedale, quando ci hai spaventato tutti l'altra settimana.
Ha detto che tuo marito aveva appena lasciato il tuo fianco, che era restato
sveglio tutta la notte accanto al letto per farti compagnia. Ha detto che era
molto preoccupato."
Un'emozione indescrivibile balenò sul viso di Sherlock a
quella notizia, qualcosa di simile alla speranza, che veniva rapidamente
schiacciata. Le sue spalle si abbassarono e dopo un altro
momento il detective si ricompose in modo visibile: "Non cambia niente. Non mi odia,
Lestrade. Semplicemente... non vuole essere sposato con me."
"Mi chiedo perché ti abbia sposato in primo luogo, –
ribattè Lestrade – Voglio dire, non fraintendermi, ma non sei davvero la prima
scelta di molte persone, giusto? Quindi deve aver visto qualcosa in te per
fargli desiderare di fare quel passo, giusto? Ed è chiaro che tu abbia provato lo stesso, se hai accettato di farlo. Non riesco davvero a vederti mentre fai la proposta a qualcuno, ad essere sincero."
"No, – concordò Sherlock – Nemmeno io. È stata tutta una
sua idea, in realtà. L'ha suggerito, un giorno all’improvviso."
"Ma tu lo volevi," sondò Lestrade in modo gentile.
Alla fine Sherlock incontrò il suo sguardo con assoluta
onestà: "Più di qualsiasi altra cosa."
E non importò quanto Lestrade si sforzasse, non riuscì a
ottenere un'altra parola sull'argomento.
*****
Parlare con Lestrade era stato liberatorio in modo bizzarro,
se non altro perché Sherlock aveva bisogno di un orecchio amico. Il DI era
molte cose ed essere un buon ascoltatore era con sorpresa in cima alla lista. Di
fatto non lo aveva aiutato in modo misurabile e di certo non aveva cambiato
nulla della sua situazione, ma Sherlock si sentiva ancora un po' più leggero. Forse
c'era qualcosa in questo condividere le esperienze, dopotutto.
Era riuscito a dormire davvero tutta la notte successiva,
anche se sarebbe potuto essere per la piacevole sonnolenza indotta dal primo
pasto completo di quella settimana.
Per la prima volta dalla visita di John, Sherlock sentì di
poter affrontare di nuovo il mondo. Guardando indietro, poteva ammettere di
essersi lasciato un po' andare dall'ultima volta che John se n'era andato. Ma
chi avrebbe potuto biasimarlo?
John aveva finalmente chiesto il perché e, quando Sherlock
aveva risposto, se ne era soltanto andato, senza dare alcuna indicazione se sarebbe
tornato o che cosa pensava della sua risposta. Quando avrebbe
finalmente chiesto che cosa fosse successo? La risposta di Sherlock era stata
sufficiente per farglielo capire? Era per questo che da allora John non l'aveva
più contattato?
Sherlock si girò l'anello intorno al dito, chiedendosi quanto
tempo gli fosse rimasto prima che John gli chiedesse di firmare infine i
documenti e di toglierlo per sempre. Beh, se John voleva che lui si levasse
quell’anello, avrebbe dovuto toglierglielo lui stesso dal dito e Sherlock lo
avrebbe combattuto fino alla fine.
Rabbrividì e cercò di allontanare il pensiero. John non gli avrebbe
mai fatto questo. Erano amici.
Come a un segnale, sentì il rumore della porta d'ingresso che si apriva, seguito da quello
dagli inconfondibili passi di John sulle scale. Sherlock si raddrizzò e cercò
di fingere di non essere preoccupato. Ma poi John fece irruzione nella stanza,
un po' senza fiato e sorridendo e Sherlock si rilassò.
"Ehi, – esordì John in tono allegro – Speravo che fossi
qui. Ascolta, Mary è andata a trovare alcuni dei suoi amici per il fine
settimana e ho visto questo annuncio sulla metropolitana. Il Museo della
Scienza ha allestito una nuova mostra e ho pensato che potremmo vederla. Vuoi
venire?"
Sherlock sbatté le palpebre. Non era quello che si era aspettato e gli ci volle un momento per il cambio marcia mentale: "Io… sì,
certo, John."
John gli sorrise raggiante: "Grande."
Si fermò, grattandosi la nuca e sembrando piuttosto
dispiaciuto: “Scusa se non mi sono fatto sentire questa settimana. Cercherò di
mandare più messaggi… è solo che sono stato molto impegnato in clinica."
Sembrava tormentato e ora che Sherlock si prendeva il tempo per
guardarlo davvero, poteva vedere i segni dello stress e dei lunghi turni in
clinica. John stava dicendo la verità.
Sherlock si rilassò un po' di più e gli sorrise in risposta:
"Va tutto bene, John. Non mi devi delle spiegazioni."
Riuscì persino a trattenere l'amarezza dalla voce e si alzò
prima che potesse sfuggirgli qualcosa: "Fammi vestire e possiamo
andare."
Scomparve nella propria camera da letto e si cambiò il più
in fretta possibile, sentendosi non poco eccitato all'idea di poter alfine
passare un po' di tempo da solo con John. Beh, fuori in pubblico, ma comunque. Avrebbe
potuto quasi essere considerato un appuntamento.
Scuotendo la testa, Sherlock represse il pensiero. No. Non
sarebbe andato su quella strada. John aveva a malapena cominciato a parlargli
di nuovo e non dava segno di voler voltare le spalle alla strada su cui stava sfrecciando, quella che si allontanava sempre di più da Sherlock stesso.
Sapeva che oggi avrebbe dovuto procedere con cautela. Non
poteva stare troppo vicino o dire la cosa sbagliata o anche dare l'impressione
sbagliata (o meglio: giusta). Se qualcuno avesse fatto un commento e li avesse scambiati per
per una coppia, sapeva che John avrebbe negato con veemenza l'ipotesi e poi si
sarebbe rintanato così in fondo nel suo guscio che ci sarebbero volute settimane
per tirarlo fuori di nuovo. E Sherlock sapeva di non avere settimane.
Non si erano dati una data di scadenza, forse in modo
consapevole. Nessuno dei due voleva mettere ulteriore pressione sulla loro
amicizia. Lo sforzo era già troppo per loro da sopportare con facilità. L'ultima
cosa che entrambi volevano era stabilire una tabella di marcia. ‘Entro martedì della prossima settimana
dobbiamo essere di nuovo amici. Due settimane dopo dovremmo poterci definire a vicenda di
nuovo il nostro migliore amico senza dover mentire. E poi Sherlock firmerà i
documenti del divorzio.'
Sherlock rabbrividì. Anche questa ridicola sequenza temporale
immaginaria non conteneva alcun punto etichettato come ‘qui è dove Sherlock si rifiuta di firmare di nuovo e John perde la
pazienza e alla fine chiede di sapere il vero motivo di tutto ciò.'
Il solo pensiero lo fece sentire un po' male e fuggì in bagno
per guadagnare un'altra manciata di minuti, così da potersi rimettere in sesto
prima di dover affrontare di nuovo John.
Quando finalmente tornò in salotto, John stava solo
esaminando Billy sulla mensola con quella che Sherlock pensava fosse
un'espressione un po' malinconica. Tuttavia si voltò quando lo sentì
entrare e gli sorrise, il che allontanò subito l’ansia da Sherlock.
Si ritrovò a ricambiare esitante il sorriso : "Pronto?"
"Pronto," disse John e si diressero insieme verso
le scale.
Sembrava come ai vecchi tempi, quando si precipitavano
insieme al piano di sotto per fermare un taxi e scivolare sul sedile
posteriore, deliziati dalla reciproca compagnia. Il viaggio in taxi verso il
museo fu troppo veloce e presto uscirono e si unirono alla fila di persone
desiderose di entrare alla mostra.
"Brulicante di turisti, ovvio, – sospirò John – Ma ho
pensato che sarebbe stato più facile entrare durante la settimana che nel weekend, quando avremmo anche metà di Londra e un po' di gente dalla campagna circostante che vogliono istruire i propri figli."
"Va tutto bene, – disse Sherlock, scrollando le spalle –
La coda si sta muovendo in fretta, a questo ritmo saremo dentro in meno di
dieci minuti."
Ce la fecero in sette, con sua compiaciuta sorpresa.
"Non c'è bisogno di comprare un biglietto, – affermò
Sherlock con noncuranza – Ho un abbonamento. E mi permette di fare entrare un
ospite alle mostre."
John sembrava sorpreso. "Davvero?"
"Ovvio, oggigiorno è una clausola standard nella maggior
parte degli abbonamenti che..."
Ma John stava scuotendo la testa: "No, volevo dire...
hai un abbonamento?"
Sherlock aggrottò la fronte: "Certo, John. È il Museo di
Storia Naturale e della Scienza. Certo che ho un abbonamento. Trascorrevo ore qui."
"Non l'hai mai detto."
Sherlock alzò le spalle: "Non è mai venuto fuori. Ma sì, ho un
abbonamento da circa un decennio. Penso che i miei genitori me lo abbiano
regalato una volta e dopo io ho continuato a rinnovarlo. Dobbiamo sostenere ovunque possiamo gli ultimi bastioni di conoscenza accessibile. Dio sa che i
media e Internet stanno facendo del loro meglio per abbassare il QI della
gente, il minimo che possiamo fare è assicurarci che i musei e le biblioteche
rimangano aperti in modo che le persone possano istruirsi almeno un po'."
John rise e passarono una buona mezz'ora a raccontarsi dei
musei che frequentavano da bambini. Sherlock fece piegare John in due dalle
risate con una storia di come si era fatto rinchiudere apposta nella British
Library e poi si era lamentato di essere stato trovato la mattina, quando lui
non aveva ancora finito con il suo libro.
"La mamma era mortificata, certo, ma anche piuttosto
orgogliosa, considerando la mia scelta del materiale da leggere. Era un
trattato sulla matematica antica."
"Certo che lo era," disse John, sogghignando.
Vagarono per la mostra, fermandosi a tutto ciò che sembrava interessante e attirando
l'attenzione reciproca sui nomi scientifici ridicoli. Una volta che lasciarono
la mostra ed entrarono nel museo principale, Sherlock, decidendo che dovesse
essere consentito scherzare un po', trascinò John alla sezione minerali.
"Se vuoi divertirti con i nomi scientifici, – affermò – controlla
insetti e rocce."
Tirò avanti John finché non trovò l'unico oggetto che stava cercando
e lo fece girare verso la vetrina: "Ti sfido a battere quello."
John impiegò un momento per identificare quale delle rocce in
mostra intendeva Sherlock e poi iniziò a ridere: "Cummingtonite? – ansimò –
Davvero?"
Sherlock sorrise: "Pensavo che l'avresti
apprezzato."
John stava ridacchiando, quella risatina acuta che faceva la sua comparsa
solo quando avevano fatto qualcosa di estremamente ridicolo. Il cuore di
Sherlock sussultò. Era la prima volta da anni e anni che sentiva quel suono e
lo lasciò stordito.
"Adagio,"
ricordò a se stesso e affidò alla memoria la vista e il suono di John perfino mentre si univa alla sua risata.
"Andiamo, – disse infine John – Ora voglio controllare
gli insetti perché sono del tutto sicuro che non riuscirò a trovare una roccia più
divertente."
Sherlock fece un sorrisetto, accettando la propria momentanea vittoria nel
gioco dei nomi: "Fai strada.”
NdT
Piccoli passi avanti. E i malintesi fanno sempre danni.
Grazie a chi stia leggendo e commentando.
A mercoledì prossimo.
Ciao ciao.