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Autore: Nirvana_04    05/08/2021    4 recensioni
La musica, per Adele, è come l'aria. Invisibile. Piena di profumi. Necessaria. Nella musica, Adele ha trovato uno scopo, una voce... anche l'amore, pensa. Un amore che la fa sentire al sicuro, che le dà coraggio, forte come un Dio.
Ma non ha ancora capito che Dio, come l'aria, come la musica, prima di esistere nel mondo deve vivere dentro di noi. E Adele, nella musica, ha ancora un'ultima cosa da trovare: se stessa e tutto il suo valore.
“Se hai paura, guarda me. Se sbagli, guarda me. Guardami, e continua a suonare.”
Prima classificata al contest "No, honey, you don't love me" indetto da Earth sul forum di efp
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Suona ancora un po’ con me
 


 
Non esisteva nulla al di fuori delle cinque corde, della cassa armonica e delle sue dita quando suonava. Nulla eccetto lui. All’inizio c’era stata anche la paura – paura di sbagliare, paura di non riuscire a emozionare – ma lui l’aveva scacciata fino a prenderne il posto.
“Se hai paura, guarda me. Se sbagli, guarda me. Guardami, e continua a suonare.”
Esisteva soltanto lei, il contrabbasso e lui. In una sala vuota, e forse neppure quella. Quando Adele suonava, non esisteva più parete né pavimento costruiti da mano umana, lei andava altrove. Lui diceva che quando suonava, doveva farlo al cospetto di Dio. Lui era il suo Dio.
Il cuore di Adele era un puledro scalpitante. Poteva quasi vederlo correre, galoppare, scagliarsi fuori dal petto. Il cuore, Adele lo faceva strusciare su quelle cinque corde. Sarebbe stata pronta a consumarlo lì, fino a ridurlo sanguinante, se lui fosse rimasto a guardarla per sempre.
«Sei stata eccezionale.»
«Grazie a te, maestro.»
«È stato un privilegio suonare con te.»
«Per me… è stato come morire.»
 
 
Suonare significava cancellarsi e riscriversi sui polpastrelli delle dita, dissolversi nel silenzio e riscoprirsi musica. O almeno lo era stato. Adesso quella stessa sospensione tanto amata le dava un senso di vertigine che le attanagliava le viscere. Non era lei a volare, ma il mondo che le vorticava attorno.
“Non pizzicare le corde dello strumento, ma dell’anima. Quando suoni, devi fare male. Devi fare male per poter guarire.”
Ma l’unica che soffriva era lei, e il solo che poteva guarirla la guardava corrucciato, indispettito, persino frustrato. L'amore che lei provava lo aveva deluso
? Quell’idea la faceva arrabbiare. L’aveva tenuta per mano mentre volava, e adesso che si era abbandonata tra le sue braccia, lui l’aveva lasciata cadere.
«Non sento più la musica… io lascio.»
«Non sprecare il tuo talento, Adele.»
«Cosa t’importa? Mi hai detto che servono un cuore e un’anima per poter suonare davanti a Dio. E tu non ti sei fatto scrupoli a strapparmi entrambi.»
«Tu non capisci… Vieni, suona ancora un po’ con me.»
 
 
La stanza era piccola e buia, e del buio Adele aveva paura. Là dentro non riusciva a vedere, sentiva solo il proprio respiro e quello di lui. Nel buio, quel respiro le faceva paura. Così calmo, così regolare, mentre invece lei ansimava. Un felino e la sua preda.
“Suona, e io suonerò con te. Quando sei pronta, suona.”
Adele non era affatto pronta. Ma non poteva parlare, e lui restava in silenzio. E il silenzio le faceva ancora più paura del buio. Sembrava inghiottirla, soffocarla, stava scomparendo… Le sue dita trovarono le corde, si aggrapparono disperatamente a esse. Le fecero vibrare, e nel silenzio un altro suono sussurrò in risposta.
Mentre le loro dita parlavano, Adele chiuse gli occhi. Era già altrove.
«Ho sentito il tuo cuore, Adele. È un cuore forte.»
«È un cuore sciocco. Stasera ho visto Dio. Ero io, la musica che suonavamo.»
«Sei stata eccezionale.»
«Sì… Suoni ancora un po’ con me, maestro?»
 
 
   
 
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