Un’altra notte
passata fuori, cercando di dimenticare, di tenere alla larga i suoi
demoni ed i
fantasmi del suo passato, lottando contro il desiderio di fuggire,
mettere
quanta più distanza possibile tra il proprio cuore e quello
di lei.
Un’altra notte
passata a cercare di sfuggire al desiderio che si faceva ogni notte
più
impellente e selvaggio, anelando la fugace e vuota distrazione di
conturbanti
corpi femminili compiacenti o di qualche bicchiere di troppo.
Un altro
fallimento: quando era ormai quasi mattino, Ryo era tornato a casa,
come tutte
le volte, come tutte le notti. Sobrio come ormai capitava da alcuni
mesi a
quella parte (da quando l’aveva stretta a sé nel
proprio letto prima di affrontare
l’uomo che aveva visto come un padre), dopo aver passato la
serata da solo,
negandosi con scuse o sguardi freddi e letali alle donne che lo
approcciavano,
desiderose di conoscere il grande City Hunter.
Ma quella notte,
c’era qualcosa di diverso; l’aria era carica di
elettricità, e appena fece
scattare la chiave nella serratura, Ryo avvertì come un
presentimento sinistro,
quasi l’intero appartamento fosse avvolto da una cappa di
oscurità e
negatività.
Trepidante e con
brividi freddi che gli scorrevano lungo tutta la schiena, Ryo
aprì lentamente
la porta, come al rallentatore, e
le vide, alla sua destra.
Valigie.
Un singhiozzo ruppe
quel silenzio innaturale; lo sweeper alzò lo sguardo ed
incontrò quello della
socia, che stava in piedi davanti a lui, nella semi-oscurità
dell’appartamento.
Luci spente, il lato sinistro del suo viso era illuminato dai neon del
quartiere di Shinjuku.
E poi, qualcosa
colse l’attenzione di Ryo - un oggetto che brillò
nelle tenebre, in mano alla
donna.
Cristallo. Ma non
uno qualunque, bensì quello di una delle bottiglie di
liquore più pregiate
della collezione di Ryo, quella che lui non aveva mai aperto,
aspettando un
vero momento da celebrare per farlo.
“Kaori…” Chiudendo
gli occhi e gettando sul tavolo le chiavi, Ryo si pizzicò il
naso, grugnendo,
fingendo rancore, cercando di alleggerire la tensione e scherzare, come
era suo
solito, come la loro pantomima richiedeva. “Si può
sapere cosa ti è venuto in
mente di bere quel whisky? Non sopporti l’alcool
tu!”
L’uomo attese una
replica della donna - specie nella forma di una sonora martellata da
parte
della sua bella socia - ma quando non arrivò, Ryo
spalancò gli occhi, guardando
stupito davanti a sé.
Kaori era immobile,
e lo fissava, ma quello che lo turbò, lasciandolo senza
parole, ma con il cuore
in tumulto, in preda a mille pensieri e paure, fu vedere gli occhi
lucidi - e
non certo per il liquore, bensì, lo sweeper ne era certo,
per il pianto.
Alzò una mano come
per sfiorarla, ma poi la abbassò, gli occhi fissi sui suoi
stessi piedi. Si
sentiva colpevole; sapeva di esserlo. Dopotutto, per cosa altro Kaori
aveva
pianto negli anni?
Non per il fratello
morto, facendosi forza e reagendo, prendendo in mano le redini della
sua vita.
Non per il rischio
costante di morire, le minacce, perché Kaori aveva sempre
riso in faccia al
pericolo, lo aveva affrontato senza remore, dimostrando di avere un
coraggio
come poche altre donne.
Il non sapere nulla
di lui, la consapevolezza che Ryo le avesse volutamente nascosto una
parte
della sua vita le aveva fatto versare lacrime dolorose.
Il temere di essere
rimpiazzata, oppure l’essere messa dinanzi alla
mortalità di Ryo.
Quando aveva
temuto, tante, troppe volte, di non essere alla sua altezza, una degna
partner.
Di non avere la sua piena fiducia. Quando lo aveva visto rischiare la
vita.
Ma soprattutto,
quando dopo un casto bacio attraverso un vetro, lui non aveva tentato
di farle
rammentare cosa fosse avvenuto tra di loro - le parole, le promesse,
gli sguardi
rubati mentre il loro mondo andava in cenere.
Quella volta, Kaori
lo aveva lasciato- fatto le valigie e si era trasferita
nell’appartamento
dall’altra parte della strada. Ma poi Ryo era stato in grado
di riconquistarla,
lei aveva sentito quando lui aveva ammesso di amarla con Mick, ma di
non essere
ancora pronto per vivere appieno quell’amore.
Lei era tornata,
allora.
Lei se ne stava
andando, adesso.
Lo sweeper strinse
i denti mentre il suo cuore iniziava a battere sempre più
lento, perdendo
colpi; alzò lo sguardo, e si trovò sempre, ancora
lei, in piedi, come una dea
greca, gli occhi colmi di lacrime, colmi di sofferenza.
Ne era certo: lui
era il responsabile di quella sofferenza.
Non aveva scelta:
se voleva anche solo immaginare di essere degno di lei, doveva fare
qualcosa,
cercare una spiegazione - e poi, Ryo lo sapeva: era abbastanza geloso
ed
egoista da essere pronto a qualunque cosa pur di tenerla al proprio
fianco,
nonostante una parte di lui - lo sciocco, lo stupido, il donnaiolo, il
pervertito - desiderasse assaporare nuovamente la libertà,
nonostante il buon
amico potesse desiderare qualcosa di meglio per lei - un lavoro
normale, otto
ore da passare dietro una scrivania, una casetta a due piani con una
staccionata bianca ed un giardino con un cagnolino che scorrazza
rincorso da un
bambino dai capelli riccioluti e da un marito che non rischia
costantemente la
vita né il cui passato metteva in pericolo lei.
Ma l’uomo
innamorato - l’egoista- aveva la meglio.
“Sai, Kaori…” le
disse, con un sorriso sghembo, sornione, avvicinandosi a lei e
prendendole la
bottiglia di mano senza che quasi lei reagisse. “Non
bisognerebbe mai bere da
soli. Dopotutto, come direbbe Mick… misery
loves company.”
Prese due bicchieri
dal mobile bar, un’altra bottiglia, e riempì il
balloon del liquido ambrato
prima di gettarsi sul divano, assaporando in una maniera quasi
peccaminosa,
lussuriosa, l’alcool, che gli bruciava la gola in quella
maniera così dolce,
che lo faceva sentire vivo e lo accendeva come poche altre cose al
mondo,
secondo solo alla conturbante visione di lei, strizzata in costume o in
una
tutina, ed il sentire il peso della sua Python nella mano, il prendere
la mira,
sparare - uno, due, tre, quattro, cinque, sei colpi, uno di fila
all’altro,
precisi e letali, l’One Shot Hole.
Alzò il capo verso
Kaori, sfidandola ad accettare, e la donna, con il respiro che le
moriva in
gola, acconsentì; gli afferrò dalla mano l'altro
bicchiere, facendo cadere
alcune gocce nella foga. Si sedette sul divano, rigida, a denti
stretti,
rimanendo però lontana da lui, che la squadrava curioso, ma
al contempo… interessato.
“Allora, Kaori…
ammesso e non concesso che qualsiasi decisione presa in preda ai fumi
dell’alcol finisce col dimostrarsi una colossale
idiozia… ti andrebbe di dirmi
come mai hai sentito il bisogno di scolarti la mia bottiglia
preferita?” Le
domandò, con un tono quasi canzonatorio che la fece
imbestialire.
Kaori, digrignando
i denti, afferrò dalla tasca del comodo jeans un foglio, ed
appallottolandolo
lo lanciò in faccia a Ryo, che lo distese, e lesse
attentamente ogni parola, i
sudori che aumentano ad ogni riga, la salivazione che gli diminuiva,
fino quasi
ad azzerarsi.
Era una lettera
indirizzata a Kaori… da parte di Sayuri.
Cara
sorella mia,
negli
anni, da quando ci siamo incontrate, a lungo mi
sono chiesta quale fosse la cosa migliore per te, e come mi dovessi
comportare.
Ricordo come, quando stavo per partire, feci promettere a Ryo di
prendersi cura
di te ed essere onesto, dal momento che la vita, e la mia stessa
coscienza, mi
impedivano di rivestire il ruolo di tuo guardiano e importi scelte di
alcun
tipo.
Tuttavia,
sono ormai passati anni, e a malincuore ho
scoperto che tu ed il tuo partner siete entrambi ancora prigionieri dei
vostri
rispettivi ruoli. Avevo chiesto a Ryo un cambiamento, perché
tu potessi, un
giorno, scegliere di tua volontà, senza rimpianto alcuno, ma
se lui si rifiuta
di aprirti gli occhi, allora quel malaugurato compito spetta a me.
Siamo
sorelle, Kaori - non di cuore come credevi tu, ma
di sangue. L’anello che porti al dito apparteneva a nostra
madre, ed io stessa
ne ho uno identico. Dopo il divorzio, nostro padre ti rapì
per vendicarsi
dell’affronto subito, e per anni perdemmo ogni traccia di
entrambi. Fino al
giorno in cui non ti ho incontrata di nuovo.
Questa
è la verità, Kaori, che sentivo il bisogno di
farti conoscere…
“Kaori…”
l’uomo
iniziò. “Posso spiegarti…”
“Sei solo un
bugiardo…” lei sussurrò, la voce
impastata dalla sbornia che si era presa, di
cui certamente avrebbe avvertito le ripercussioni solo nei giorni a
seguire. “Mi
hai mentito… tu lo sapevi…”
Ryo abbassò lo
sguardo: cosa avrebbe dovuto fare? Dopotutto, era vero, lui le aveva
mentito
sulle sue origini, e su Sayuri. Ma di una cosa era certo, che lei non
comprendesse il motivo dietro a quella scelta, quella bugia bianca.
Kaori si alzò, lo
scatto fece rotolare a terra il bicchiere, svuotandone il contenuto sul
soffice
tappeto, e corse via, verso la sua stanza - quella che lo sarebbe stata
ancora
per poco - desiderosa di mettersi tutto quello alle spalle, di non
vederlo più,
dimenticare. Calde lacrime le rigavano le gote, bagnando il delicato
tessuto
della sua camicetta.
“Kaori, no!” la
voce di Ryo uscì dalla sua gola come un suono primordiale,
che lui non
riconobbe come suo. Con uno scatto degno dello sweeper che era, la
afferrò per
un polso, obbligandola a fermarsi, e la trascinò contro di
sé.
Non poteva finire
così.
“Lasciami! Sei solo
un bugiardo!” Lei gli urlò in risposta. Si
voltò nel suo abbraccio, e prese a
colpirlo con i pugni chiusi, incurante di dove i colpi potessero
cadere,
stringendo i denti, maledicendolo tra le lacrime, rinfacciandogli tutte
le sue
colpe e le sue mancanze.
Gli insulti. Le
bugie. La verità negata sulla sua vita, le sue origini. Il
desiderio provato
per lei. La serata passata insieme, con lui che fingeva di non averla
riconosciuta. Sayuri. Mick. Il bacio.
La confessione
nella radura.
Ryo incassò ogni
colpo, ogni parola. Ancora, e ancora, e ancora. Passarono i minuti.
Cinque.
Dieci. Quindici. Nessuno di loro due lo comprendeva appieno, ma ad un
certo
punto le grida e i pianti di Kaori divennero poco più di
flebili sussurri,
timidi singhiozzi che la camicia di lui attutiva. Caddero entrambi in
ginocchio, esausti più per il peso emotivo di quel momento
che per la fatica
fatta, e Ryo prese ad accarezzarle i capelli, dolcemente, senza mai
distogliere
lo sguardo dal volto della donna. Avvertiva nel cuore un calore ben
noto, un
incendio che gli bruciava l’animo, scatenato dal bisogno di
proteggere quella
piccola, grande donna.
“Kaori… non hai
pensato che…” le disse, mentre con i pollici
ruvidi le cancellava i solchi
lasciati dalle lacrime versate a causa sua - che io l’abbia
fatto perché non
volevo perderti?”
Gli occhi della
donna scintillarono mentre la bocca le si apriva in
un’espressione di
meraviglia, e sorridendole, Ryo ne approfittò, calando su di
lei come un
implacabile predatore, facendo sue quelle labbra a lungo bramate, ma
lei,
posando le mani sul suo solido torace, lo allontanò,
distogliendo lo sguardo.
“No!” Gli gridò
contro. “Poi sarà come tutte le altre volte, e
io… io non voglio!”
Ryo, inginocchiato
a terra, la guardò, e Kaori avvertì come se, in
quel momento, ella stessa
avesse il suo cuore - la sua stessa vita - nel palmo della sua mano. Si
sentiva
rivestita di un potere che la terrorizzava e la eccitava allo stesso
tempo,
quasi avesse potuto, con un solo gesto, schiacciarlo,
distruggerlo…
E forse era davvero
così.
Come la notte
precedente il loro scontro con Kaibara, Ryo la prese tra le braccia e
le baciò
la fronte, affondando il naso nei corti capelli ramati, le labbra
distese in un
lieve accenno di sorriso, e alla donna mancò il fiato.
Socchiuse gli occhi,
lasciandosi cullare dal battito del cuore di Ryo, tenendo saldamente
nei pugni
il tessuto di cotone della camicia di lui, inalando quel profumo che
ormai
conosceva come se fosse suo, le appartenesse, quell’aroma
unico che associava a
lui e lui solo- e così avrebbe fatto fino alla fine dei
tempi.
Polvere da sparo.
Cuoio. Alcool. Il suo dopobarba. Caffè.
Tentativamente, ad
occhi chiusi, si allungò leggermente, cercando le labbra
dell’uomo, ma fu la
folta di Ryo di porre un freno a quello slancio; con delicatezza
estrema la
fermò, allontanandola, le mani sulle spalle di lei.
“No, Kaori,” le
disse, la sua voce dolce, la cosa più bella e delicata che
lei avesse mai udito
fino ad allora, un suono che le scaldò il cuore nonostante
il rifiuto, perché
una semplice occhiata le disse tutto.
Non era un no…
lui, semplicemente, non voleva che
fosse così, il loro primo bacio.
Alzandosi, la prese
tra le braccia, e con le braccia di lei al collo, e Kaori che gli si
stringeva
al petto come un cucciolo bagnato bisognoso di affetto, si diresse
nella sua
stanza, posandola dolcemente sul letto. Ryo posò la fondina,
si tolse la
giacca, e poi, ancora vestito, si coricò accanto a lei,
trascinandola ancora
contro di sé, cuore contro cuore, nemmeno un respiro tra i
loro corpi, e
cullati da quei battiti regolari e dai loro respiri, nel silenzio
riempito dal
loro amore, si addormentarono, con una certezza data non dalle parole o
dalle
azioni, ma dai sentimenti.
Il giorno dopo,
tutto sarebbe cambiato, e nulla sarebbe stato più come prima.