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Autore: Legar    06/08/2021    12 recensioni
Quando Hermione Granger finisce in infermeria per un banale mal di testa e ci trova Draco Malfoy, si domanda il motivo per il quale il ragazzo sembra non riprendersi, nonostante alcuni giorni di attente cure da parte di Madama Chips. È solo l'ennesimo degli interrogativi che si pone sul suo conto dall'inizio dell'anno scolastico e non esiste mistero che lei non abbia voglia di risolvere.
Hermione gli prese il polso sinistro; lui guardò le sue dita con occhi allucinati e lei fu certa che le sarebbe sfuggito, se i polpastrelli si fossero spinti sulla pelle più sopra. «Non potevi pensare di nasconderti a lungo da ciò che ti insegue.»
«Volevo solo più tempo» esclamò, frustrato.
«Quello che hai già fatto non sarà mai abbastanza per qualcuno. E tu non vuoi fare niente di più.»
«Cosa ne sai tu di quello che voglio?» sbottò, compiendo un passo indietro.

[Seconda classificata al contest “Di prompt stilistici e figure retoriche – II edizione” indetto da Futeki sul forum di EFP.]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Infrangere il silenzio

 

 

Tutt’intorno, rosso silenzio.

L’infermeria di Hogwarts l’aveva accolta con qualche sussurro di apprensione e conforto, l’odore squillante delle pozioni curative, la vista pungente del sangue di un altro – era sopravvissuta solo quella, impressa dietro le palpebre chiuse.

«Gli effetti passeranno da soli, ma voglio tenerti d’occhio. La prossima volta ci penserai bene prima di fare senza chiedere a me.» Madama Chips l’aveva redarguita e le aveva assegnato un letto, per poi tornare alle proprie incombenze: Hermione non era il suo paziente più esigente.

«Noi andiamo da Hagrid, non l’abbiamo ancora visto da quando è tornato dall’Asia. Gli porteremo i tuoi saluti.» Harry e Ron l’avevano accompagnata ed erano stati istruiti sugli appunti da prendere per le lezioni successive, nel caso in cui avesse dovuto assentarsi, poi l’avevano lasciata a rimproverarsi mentalmente.

Hermione non poteva più fidarsi delle proprie sensazioni e non aveva nessuno da incolpare se non se stessa. Sosteneva ogni forma di tolleranza, ma c’erano parti dei suoi due mondi che era bene non mischiare: se fosse prudente o meno assumere antidolorifici Babbani in associazione a una pozione dal medesimo effetto, aveva avuto ogni intenzione di scoprirlo, con l’auspicio di potenziarne l’efficacia. I programmi scolastici del sesto anno erano più articolati e impegnativi: stare dietro a tutti i corsi che frequentava le aveva garantito i voti desiderati nelle ultime verifiche mensili e un mal di testa molesto che si trascinava da giorni e l’aveva condotta all’esasperazione.

Non sentiva più dolore, grazie a una fiala ricevuta da Madama Chips qualche ora prima e una compressa proveniente da casa ingerita con acqua; tuttavia non percepiva niente più di reale. Le sensazioni erano divenute inaffidabili, in certi frangenti impossibili da prevedere, per un’interazione farmacologica di cui non era a conoscenza. C’erano sofferenze in grado di spingere a gesti sconsiderati; per lei non documentarsi prima di agire lo era, se il risultato era giacere in infermeria di domenica pomeriggio, alla vigilia di una nuova settimana scolastica.

Non c’erano molti studenti alle cure dell’infermiera quel giorno, una tregua quieta per le sue orecchie confuse. Qualcuno sarebbe giunto più tardi, per infortuni causati da qualche modo creativo e incosciente di passare in compagnia le ore libere. E lei che voleva solo trascorrerle ad anticipare un paio di argomenti, vincendo le necessità del corpo che imponeva una pausa al cervello, aveva fallito.

Per Hermione era inconcepibile non potersi fidare della propria mente.

Aprire gli occhi significava scorgere il succo di zucca sul comodino con la gola inspiegabilmente rovente, annusarlo mentre fischi acuti le ferivano i timpani. Allungò un braccio per scaraventare il bicchiere lontano, infrangendo il liquido fresco in macchie informi sul pavimento. Non udì il rumore dei cocci di vetro, ma due lampi luminosi. Il trambusto richiamò però l’attenzione di un altro paziente.

Aprire gli occhi significava scorgere le macchie scarlatte sul cuscino di fianco al proprio, e quelle erano inconfondibili. Il sangue non mentiva e quello di Draco Malfoy era, a detta sua, così puro che versarlo doveva essere un crimine atroce.

«Granger, che diavolo fai?» si lamentò strascicando la voce.

Hermione rimediò alla propria irruenza facendo Evanescere ciò che rimaneva della bevanda, poi si voltò a sinistra.

Nei mesi precedenti aveva osservato quanto Malfoy fosse dimagrito in una divisa scolastica informe, come le occhiaie scurissero in lunghe tracce di dramma un volto sempre più pallido. Del Serpeverde sdraiato su un letto dell’infermeria poteva intuire il rilievo dell’arcata costale sotto uno strato di vestiti, sottile come le braccia sul materasso. Le torce alle pareti rischiaravano la piega insicura delle labbra, le iridi spente.

«Che hai da guardare?»

Malfoy le sembrava assente e angosciato e, considerata la vicinanza della sua famiglia con una fazione di Voldemort sempre più cospicua, non poteva smettere di domandarsi le ragioni. Il suo atteggiamento sospetto a Diagon Alley a inizio anno; voti scolastici, fino a quel momento accettabili, in declino; le assenze dal Quidditch, persino quelle aveva notato. Harry e Ron, soprattutto, non condividevano i suoi interrogativi, perché un ragazzo di sedici anni non poteva davvero essere un’arma nelle mani di Voldemort; ma loro erano stati ancora più giovani, la prima volta che si erano trovati di fronte al nemico. L’orrore di una guerra stava anche nel coinvolgimento collaterale di attori giovanissimi, comparse su una scena di decadenza.

Hermione gli indicò due gocce secche a lato del collo.

Il ragazzo le ripulì rapidamente con la bacchetta. «Allora? Non hai mai visto del sangue così pregiato?»

Anche le sue usuali provocazioni avevano meno forza, se pronunciate col tono disinteressato di una mente proiettata su turbamenti affogati in uno sguardo vuoto.

«Ho sentito che sei stato attaccato da un vampiro sulla riva del Lago Nero.»

Malfoy sbuffò. «Non sono affari tuoi.»

«Lo sono di tutti, se un vampiro impazzito si avvicina alla scuola» puntualizzò. Ma nessun altro incidente era stato segnalato negli ultimi due giorni, gli insegnanti dovevano aver già provveduto ad allontanare qualunque minaccia.

«Se ce ne fosse uno, potrebbe farci il favore di colpire qualcuno come te.»

«Io saprei difendermi» ribatté. Ma anche lui, senza dubbio: i vampiri non erano le minacce più serie del Mondo Magico.

Un lampo d’ira – qualcosa di più vivido, infine – saettò nel suo sguardo. «Tu credi di essere superiore? Non sai quello che sono capace di fare.» Le dita si irrigidirono attorno alla bacchetta usata prima.

«Sei stato attaccato da un vampiro, Malfoy?»

«Quando chiudi un po’ la bocca, Granger?»

«Cosa ci facevi da solo intorno al Lago Nero durante la cena?»

«Noi non siamo amici. Non sono affari tuoi.»

Malfoy si mise a sedere al centro del letto e quel movimento brusco gli costò un capogiro. «Stai bene?» gli domandò, abbandonando il tono esigente.

Per tutta risposta, lui chiuse con la magia le tende attorno al proprio letto.

Quella notte Hermione accolse con gratitudine il buio delle candele spente per il riposo dei pazienti – nessuna luce stridula. Con il timore di cedere al sonno e a sogni ancora più confusi della realtà, riprese a rimuginare a occhi chiusi sulla condizione di Malfoy. Non riusciva a credere alle voci di corridoio che lo volevano in infermeria a causa di un banale vampiro e non capiva perché non si fosse ancora ristabilito abbastanza da lasciarla, dopo alcuni giorni dal presunto attacco. E non esisteva mistero che lei non avesse voglia di risolvere, soprattutto se riguardava uno studente su cui si era interrogata dall’inizio dell’anno scolastico.

Uno strofinio di lenzuola, un fruscio di carta le comunicarono che non era l’unica sveglia. Un profumo di mandorle tostate mise in discussione la durata degli effetti collaterali imprevisti. Se stavano scemando, i pesanti sospiri provenienti dal letto accanto erano un’evidenza tangibile di un tormento di cui doveva sapere di più.

Cercò di fare piano, mentre scostava le coperte e si metteva in piedi. Si avvicinò con la bacchetta tra le dita alle tende che delimitavano la sua postazione per quella notte.

Nel momento in cui quelle scomparvero, Hermione non ebbe il tempo di farsi trovare a letto, dove ci si aspettava che fosse. Malfoy la vide alla periferia del proprio spazio, più vicina di quanto non si fosse mai azzardata a essere; era sempre lui ad avvicinarsi con intenti bellicosi, prima che smettesse di avvicinare chiunque – lei l’aveva notato.

Il ragazzo reggeva ancora la bacchetta con cui aveva colpito lo strato di tessuto spesso tra loro, mostrando padronanza dell’incantesimo non verbale. Non c’erano tracce di lacrime sulle guance ruvide e le iridi lucenti potevano essere un inganno della luna. Il suo sussurro serpeggiò tra loro come una minaccia: «Potter ti ha raccontato dello spettacolo di un Purosangue dissanguato e tu non vuoi perderti il seguito?»

«Harry non avrebbe mai dovuto usare quell’incantesimo» considerò Hermione a bassa voce, scuotendo la testa. «Ma lui non c’entra con il motivo per cui adesso sei qui, e io voglio solo capire.»

Malfoy batté un palmo sulle coperte, la sua irritazione affondò nel materasso. «Trovati qualcos’altro da studiare.»

«Hai delle macchie sulla manica» notò. Avanzò di qualche passo e indirizzò un’occhiata alla parte del corpo che non poteva ispezionare, coperta dalle lenzuola. «Stai sanguinando? Vado a svegliare Madama Chips.»

Lui le bloccò il polso in una stretta sorprendentemente vigorosa per uno a riposo da alcuni giorni. «No.»

«Malfoy, se stai…» iniziò, ma si interruppe in un piccolo gemito, quando lui strinse più forte.

«Non c’è bisogno di chiamare nessuno. E tu terrai tutto per te.»

Era evidente che Malfoy fosse risoluto a non farsi aiutare, qualunque fosse la condizione che le stava tacendo – sotto le lenzuola dell’infermeria, e soprattutto fuori di lì. Delle due volte in cui il Serpeverde aveva perso del sangue, negli ultimi tempi, solo la prima le era chiara: Harry l’aveva seguito nel bagno di Mirtilla Malcontenta, con l’intenzione di dimostrarle che aveva torto e porre fine ai dubbi. Accortosi di essere pedinato, Malfoy aveva reagito e Harry aveva risposto all’attacco con una mossa incosciente. Ma non avrebbe osato un incantesimo contro di lei sotto la vigilanza di Madama Chips, perciò gli puntò con sicurezza la bacchetta sui vestiti e mormorò: «Tergeo

Tornò a guardarlo negli occhi. «Posso aiutarti in qualche altro modo?» domandò, cauta.

Una smorfia contrasse il volto di Malfoy, poi si voltò su un fianco, negandole qualcosa di più della vista della schiena. La risposta, tardiva, fu un sussurro così lieve che lei temette fosse ancora un inganno nella sua testa. «Nessuno può aiutarmi.»

Al mattino l’infermiera della scuola la dichiarò, dopo un esame fisico, perfettamente in salute.

Mentre si preparava a uscire, Hermione la udì spostarsi verso il letto di fianco al proprio.

«Signor Malfoy, lei continua ad avere livelli ematici troppo bassi. Un’altra dose di Pozione Rimpolpasangue.»

«L’ultima» intervenne la voce severa del professor Silente.

Hermione sollevò di scatto la chioma dall’interno della borsa. Non era una visione comune, quella del preside al capezzale di uno studente.

Senza dare segno di averla notata, il mago chiese all’infermiera di lasciarli soli. «Temo sia giunto il momento di tornare nel dormitorio di Serpeverde, ma prima discuteremo del motivo per cui sei rimasto qui.» Protese la bacchetta verso le tende attorno al letto. «A te auguro una buona giornata, signorina Granger.» L’ultima cosa che vide di quella situazione singolare fu il sorriso enigmatico del preside, a comunicarle che era stato sempre cosciente del fatto che poteva perfettamente sentirli.

Gli incantesimi non verbali con cui lui tirò le tende e le insonorizzò imprigionarono la sua curiosità in limiti soffocanti. Lasciava l’infermeria con più interrogativi che risposte: sui lineamenti scavati di Malfoy, intrappolati nel groviglio dei pensieri frenetici di Hermione, una smorfia taceva le sue angosce e una smorfia gridava una brama impossibile di evasione.

 

 

Tutt’intorno, grigio silenzio.

Il corridoio del settimo piano era poco frequentato, la pietra delle mura e qualche statua secolare spettatrici dell’incerta, ma determinata, ricerca di Hermione. Se Harry e Ron continuavano a sminuire i suoi quesiti, ci avrebbe pensato da sola a trovare delle risposte.

«L’avete visto? È sempre più magro.»

«Hermione, cosa vuoi che ce ne importi se Malfoy non è in forma?»

«Piuttosto è importante quando lo è in campo!»

Tenendolo d’occhio sulla Mappa del Malandrino prestatale da Harry, aveva notato spesso la sua assenza all’interno dei confini della scuola. Per alcuni giorni il puntino contrassegnato con il suo nome non si era mosso dall’infermeria e poi era tornato alle misteriose consuetudini delle settimane precedenti. Era stato nel momento in cui Draco Malfoy era sparito proprio sotto i suoi occhi, nel mezzo di un corridoio del settimo piano, che Hermione aveva compreso.

La Stanza delle Necessità era vincolata a proteggere l’interno, se la richiesta veniva formulata correttamente. Hermione ci aveva provato, ma non era riuscita a far apparire la porta. Così, sotto lo sguardo muto di Barnaba il Babbeo nell’arazzo sulla parete di fronte, poggiò la schiena al muro e attese.

Quando Malfoy comparve nel corridoio, notò subito la sua presenza. Reagì con un’espressione di allarme; misteriosa ansia scavava nel profondo cerchi scuri sotto gli occhi di grigia tempesta.

«Cosa stavi facendo nella Stanza delle Necessità?»

Non si aspettava davvero una risposta. Malfoy accelerò il passo e il mantello svolazzò attorno alla sua figura sottile. «Non sono qui per soddisfare le tue curiosità da saputella» replicò, quando era già distante e le mostrava solo la nuca.

Hermione decise che quello era il luogo migliore in cui scoprire qualcosa di più su di lui. Tuttavia, quando lui era dentro, non poteva chiedere alla stanza di raggiungerlo: prese ad attenderlo fuori sempre più spesso.

La prima volta che lui si fermò qualche istante di più in sua compagnia, accadde perché era visibilmente troppo stanco persino per scappare. Hermione non gli pose la domanda che le balenò nella mente, perché lui non le avrebbe rivelato cosa gli toglieva il sonno. Una rapida dose di zuccheri era qualcos’altro che sembrava mancargli, perciò gli offrì una delle Cioccorane sequestrate a due giovani Tassorosso intenti a farle saltellare in giro invece di mangiarle. «Tieni. Non ti farà del male, neanche se viene dalla mia mano.» Fu la prima volta che Draco Malfoy le disse “grazie”.

Per l’occasione successiva Hermione prese dal dormitorio dei ragazzi, giacché lei era ligia agli insegnamenti dei genitori dentisti, una manciata di Gelatine Tuttigusti+1. Lui non rifiutò e si lamentò del gusto spiacevole di peperoncino. «Passerà, non brucerà per sempre.» Malfoy non le parlava dei suoi segreti, ma apriva la bocca per i dolci magici; però, dopo quella rassicurazione, divenne persino più pallido e non accettò altre caramelle.

Il ragazzo passava ore intere all’interno della stanza nascosta e lei, nel frattempo, si accomodava all’ingresso con un libro tra le mani. Non le disse più di lasciarlo stare, ma non esibì mai un sorriso nel vederla.

Un giorno uscì reggendo anche lui un volume della biblioteca – Hermione lo riconobbe perché l’aveva utilizzato per apprendere l’Incanto Proteus per i Galeoni dell’Esercito di Silente. Malfoy lo ripose in borsa, prima di considerare la sua posizione e, con un profondo sospiro, lasciarsi scivolare per terra accanto a lei. Le lunghe gambe distese, di fianco alle sue, non diedero segno di voler fuggire. Reclinò il capo all’indietro, poggiandolo alla parete, e socchiuse gli occhi, offrendole un minuscolo e prezioso istante di cedimento. Hermione gli ripeté allora la più innocua delle proprie domande: «Sei stato attaccato da un vampiro?» Lui non ruppe il silenzio, ma scosse il capo in modo lievissimo, confermando i suoi dubbi.

In seguito lui prese a lasciarsi andare in analoghe pose esauste sempre più vicino al suo corpo, rendendola acutamente consapevole della vuota sensazione di non toccarlo. Arrischiò un secondo quesito, più significativo: perché fosse sulla riva del Lago Nero durante l’orario di cena. Volevo stare da solo, le rispose, e lei non si azzardò a notare a voce alta che in quel momento sembrava invece che non lo volesse. Draco accettava la compagnia di lei, che era rispettosa del suo mutismo.

Qualcosa poteva dire con convinzione, di Malfoy in quella situazione: aveva bisogno di supporto, non ne aveva altro. Perciò non si negò in discussioni approfondite su argomenti che esulavano dal programma scolastico del sesto anno, pur lungi dal considerarle innocue. Mentre rispondeva sulla base di conoscenze derivanti da letture personali, Hermione non smetteva di rimuginare sulle motivazioni che potessero spiegare il suo interesse per incantesimi di livello M.A.G.O. e per le diverse modalità di trasporto dei maghi.

Non sentì più profumo di mandorle su di lui, anche nell’occasione in cui si avvicinò tanto da non poterle nascondere il sentore intimo della pelle, buono in modo sorprendente. «Vuoi ancora stare da solo?» gli domandò infine, ma l’assenza di una fuga fu una risposta sufficiente e Hermione strinse le braccia attorno al suo torace. Non sapeva per cosa lo stava confortando, ma era certa che lui ne avesse bisogno.

Successivamente a una lettura di Cura delle Creature Magiche e una visita a Hagrid, che per conto di Silente viaggiava in cerca di sostegno contro Voldemort, ebbe la conferma di un’ipotesi creativa – ma non doveva temere di pensare fuori dai confini sicuri, se l’oggetto delle riflessioni era un Purosangue che l’aveva sempre disprezzata e che, se nell’ultimo periodo non la rifiutava apertamente, era solo perché aveva preoccupazioni maggiori della sua ascendenza. Così, quando Malfoy cercò di nuovo il suo abbraccio, lei sfiorò con due dita leggere le punte dei capelli e scese sul collo, dove un battito vitale scandiva i passi di un cammino arduo. La cute era liscia, non c’erano le impronte dei denti di un vampiro – ma erano ben pochi, i segni che Madama Chips non era in grado di cancellare, e lei non poteva permettersi di scoprirgli l’avambraccio.

«Non c’era nessun vampiro nei dintorni di Hogwarts» affermò, sicura.

Malfoy respirò tra i suoi capelli. «Io questo non lo so.»

Hermione annuì. «I Kappa hanno il loro habitat naturale in Giappone, ma a quanto pare anche le acque del Lago Nero sembrano piacergli.»

Lui sollevò il capo, stizzito. «Quella maledetta creatura stava per strangolarmi!»

Hagrid non era nuovo a considerare gli animali come dei souvenir e Draco Malfoy si era trovato accidentalmente troppo vicino al suo più recente acquisto. Gli esseri che si nutrivano di sangue umano non erano molti ed era stato immediato restringere il campo di ricerca, quando le era tornata in mente l’ultima destinazione del Custode.

«Ma perché la Pozione Rimpolpasangue non aveva effetto? Perché sei rimasto in infermeria più del necessario?»

«Aveva effetto.»

Hermione inspirò a fondo, ma qualcosa – solo in quel momento realizzò cosa – nell’aria mancava. «Torrone Sanguinolento!» Da Prefetto, erano più le confezioni che le sfuggivano che quelle che riusciva a confiscare e ogni volta il profumo di mandorle tostate le ricordava l’analogo dolce Babbano dell’infanzia.

Essere ricorso a una delle popolari invenzioni dei gemelli Weasley doveva essere un’ammissione scomoda per lui, che si liberò da una vicinanza complessa e tornò a preferirle il sostegno del muro.

«L’hai mangiato per perdere sangue, così Madama Chips non poteva dimetterti. Pur di non lasciare l’infermeria ti sei fatto del male!»

Malfoy sospirò. «Mi sembra di non avere smesso» sussurrò. Il suo sguardo contemplò l’ingresso nascosto della Stanza delle Necessità.

Hermione gli toccò il mento per costringerlo a voltarsi. «Ma perché?»

Non ebbe più risposte per quel giorno: lui sfuggì alla sua presa e alla sua compagnia, risoluto.

Malfoy non concedeva niente se non ne ricavava qualcosa. Sulla base di quella constatazione Hermione tornò ancora al settimo piano, con un libro che lui aveva richiesto invano in biblioteca. «L’avevo preso in prestito io.»

Nei suoi occhi passò un lampo di trionfo prima della gratitudine e Hermione seppe di aver contribuito in maniera tangibile al suo obiettivo. Si stava muovendo ai margini della propria salda morale e perciò non aveva rivelato agli amici di quella indagine: era come accordare una dose minore di un veleno con l’obiettivo di curare una dipendenza, offrirgli supporto nel tentativo di scoprire cosa combattere. Ciò di cui era sicura era che nessuno contento del proprio compito poteva avere quella faccia.

In cambio del volume ottenne una risposta preziosa, consegnata con voce lenta e controllata: «Se restavo in infermeria, alcune pressioni esterne dovevano allentarsi per forza.»

Le era chiaro che la genesi del suo schiacciante obbligo si trovava fuori da Hogwarts. «Ho visto Nott» azzardò.

«Mi ha fatto il favore di spedire una lettera a casa per informarli delle mie condizioni.»

Hermione gli prese il polso sinistro; lui guardò le sue dita con occhi allucinati e lei fu certa che le sarebbe sfuggito, se i polpastrelli si fossero spinti sulla pelle più sopra. «Non potevi pensare di nasconderti a lungo da ciò che ti insegue.»

«Volevo solo più tempo» esclamò, frustrato.

«Quello che hai già fatto non sarà mai abbastanza per qualcuno. E tu non vuoi fare niente di più.»

«Cosa ne sai tu di quello che voglio?» sbottò, compiendo un passo indietro.

Lo vedo. Le sue azioni e il suo volto parlavano per lui, infrangendo con la forza della disperazione un silenzio imposto. Un dovere indesiderato, più scomodo della gloria facile che lui si sarebbe figurato, azzannava con maggiore violenza di qualsiasi creatura magica.

«Cosa devi fare per Voldemort, Draco

Lui le dimostrò di non avere nemmeno il coraggio di ascoltare quel nome senza timore: una mano corse a coprirle la bocca e lei non ripeté la domanda.

Le sue dita tremavano in maniera impercettibile, mentre sfiorava il contorno del labbro superiore prima di ritrarle. Hermione trattenne un sospiro e continuò a guardarlo, ma lui aveva gli occhi bassi, fissi ancora sulla sua bocca e poi sull’arto che l’aveva toccata senza disgusto. Fino a qualche tempo prima, se fosse stato obbligato a violentare a quel modo il senso del tatto, si sarebbe pulito platealmente la mano sui pantaloni. Ma non era stato costretto a toccarla; si sentì arrossire a quella considerazione, nata da un interesse insistente che aveva preferito ignorare.

«Non ti piacerebbe saperlo» rispose infine.

«Non sei definito dalle tue peggiori azioni.» Non c’erano macchie oscure tra i capelli di un biondo pallido, né a sporcare iridi più espressive delle sue parole: lui era troppo chiaro perché meritasse di essere definitivamente infangato da qualcosa da cui non gli era consentito ritrarsi. Inspirò per farsi coraggio e gli prese il viso tra i palmi. «E non sei obbligato a fare niente.»

Il ragazzo scosse la testa in segno di diniego. Serrò le palpebre. «Io devo» singhiozzò.

Hermione non era pronta alla visione che le si palesò dinanzi quando il cancello di carne posto a protezione dei suoi occhi si spalancò di fronte a lei, che non aveva realizzato di averne conquistato le chiavi: lucido, il grigio del suo sguardo, come la pietra secolare attorno a loro. Aprì la bocca in un sospiro sorpreso.

Con un gesto rapido lui sciolse il nodo della cravatta di Grifondoro e la strinse nel pugno. Le diede le spalle e sparì tra le ombre del corridoio, la mano insistette all’altezza del viso prima di riempire una tasca.

Hermione restò a domandarsi, sgomenta, se la stoffa potesse assorbire un’ammissione bagnata di fragilità. In una cornice di ciglia lunghe, una lacrima taceva un ordine deprecabile e una lacrima gridava una ribellione inarrivabile.

 

 

Tutt’intorno, verde silenzio.

I corridoi di Hogwarts erano divenuti insolitamente quieti, dopo che una luce magica aveva tracciato tra le torri del castello il simbolo oscuro di Voldemort. Aveva lo stesso colore di un Avada Kedavra e incuteva la medesima paura.

La scuola, in assenza del preside, era stata violata dai Mangiamorte. I professori avevano messo al sicuro gli studenti, ma Hermione aveva la Mappa del Malandrino e la fiducia di poter ancora fare qualcosa per tirare via dall’oscurità quel ragazzo dalla volontà troppo debole pure per scappare.

Sulla pergamena Malfoy stava procedendo da solo e Hermione prese a correre più veloce, inseguendo la fortuna di trovarlo per prima. Lo raggiunse ai piedi della rampa di scale proiettata verso il punto più alto del castello. Proprio nella torre di Astronomia lei aveva adocchiato la ricomparsa dei punti contrassegnati come “Albus Silente” e “Harry Potter”.

«Draco!»

Lui non l’aveva vista arrivare, ma udì la sua voce e si fermò. Si voltò, la bacchetta salda in una mano. Dalla tasca dei pantaloni della divisa si intravedeva un frammento di tessuto rosso e oro – lui l’aveva conservato.

Si precipitò verso di lui. «Che cosa hai fatto?»

Un’espressione trionfante gli deturpò i lineamenti – lui era candido solo nelle fragilità. «Quello che dovevo. E tu sei stata utilissima, Hermione.» C’era un tono derisorio che lei aveva amato dimenticare, la prima volta che la chiamò per nome.

Lo prese per il maglione e ripeté la domanda, alzando la voce. Lui sembrò sorpreso dall’impeto che gliel’aveva portata così vicina, ma non si ritrasse. Arrotolò un riccio sul dito, ma tirò e le fece male. Sorrideva senza allegria. «Ho riparato una coppia di Armadi Svanitori, uno era da Magie Sinister e l’altro nella Stanza delle Cose Nascoste. Ho portato io i Mangiamorte a Hogwarts!»

Le loro conversazioni acquisirono un senso e lei comprese precisamente la misura in cui l’aveva aiutato, con l’offerta di un libro e nelle volte precedenti. Malfoy infine le parlava, nel momento orribile in cui i suoi disegni stavano per compiersi. Rompeva il silenzio come la tregua che lei aveva fabbricato tra loro. Hermione temette che fosse troppo tardi per ripristinarla.

«Qual è l’obiettivo dei Mangiamorte?»

Lui si rabbuiò. «Il mio obiettivo.» Guardò le scale che conducevano alla torre, poi lei. «Lo vedrai. Ti pentirai di avermi aiutato.»

La prese per mano e le percorsero insieme, verso il luogo delle lezioni di Astronomia. Lui aveva passi più lunghi, lei gli stava dietro per pura determinazione.

Sulla soglia la lasciò andare. Irruppe all’interno e gridò: «Expelliarmus

Hermione varcò l’ingresso un attimo dopo. Telescopi e mappe celesti, nell’aula, non preannunciavano niente di insolito; ma in un angolo erano depositati due manici di scopa. Il professor Silente le apparve stanco come non era mai stato, privato della bacchetta. Harry non si vedeva da nessuna parte.

«Buonasera, signor Malfoy. Signorina Granger.»

«L’ho vista arrivare in volo da Hogsmeade» annunciò Malfoy, senza sprecarsi in convenevoli.

Il preside annuì. «Naturalmente. E come hai fatto entrare i Mangiamorte nella mia scuola?»

Il ragazzo si vantò di quanto aveva già confessato a Hermione.

«Molto bene, Draco. Non resta che una cosa da fare, adesso, mi sbaglio?»

Malfoy tremava, ma alzò la bacchetta contro l’altro mago. «Io sto per ucciderla.»

«No!» Hermione corse verso il ragazzo, ma l’Incantesimo di Disarmo di Harry, che si era liberato del Mantello dell’Invisibilità, lo raggiunse prima. Lei lo bloccò tra le braccia con tutta la forza che aveva.

«Hermione!» esclamò Harry, sorpreso.

«Noto che hai dato corso alla tua curiosità, signorina Granger.» Era stato lo stesso preside in infermeria a non permettere che si estinguesse. «Harry, sono sicuro che la tua amica ti spiegherà tutto. Adesso vai a chiamare il professor Piton. Digli che ho bisogno di lui, sa già cosa fare.»

L’amico non le sembrava propenso a uscire. «Ricorda che hai promesso di ubbidirmi» insisté il preside, e lui si arrese all’autorità del mago più anziano.

La bacchetta di Malfoy era finita sul pavimento, ma Hermione non si arrischiò a lasciarlo andare. Aveva la sciocca speranza che quella vicinanza potesse sortire qualche effetto; rafforzò la stretta, ma lui era più forte. Le sfuggì prima che potesse liberare una mano per bloccarlo con la magia, scattò e recuperò l’arma. Hermione sollevò la propria per tenerlo sotto tiro. Silente non si era mai mosso per riprendere quella sottrattagli.

Malfoy guardò lei e poi il preside, gli occhi angosciati e terrorizzati.

«Signorina Granger, abbassa la bacchetta.»

«Ma, signore, lei…»

Fu costretta a cedere, come Harry un attimo prima. Pure disarmato, il professore manteneva la sicurezza incrollabile di chi aveva tutto sotto controllo. Però lui era stato appena minacciato e i Mangiamorte erano penetrati a Hogwarts, e la responsabilità era unicamente del ragazzo che lei aveva abbracciato.

«Hai riflettuto sulla mia offerta, signor Malfoy?»

«Non ho bisogno delle alternative che lei ha da offrirmi! Sono qui con una bacchetta, sto per ucciderla.»

«Mio caro ragazzo, smettiamo di prenderci in giro. Se fossi in grado di uccidermi, l’avresti fatto subito dopo avermi Disarmato, non ti saresti fermato a fare questa piacevole chiacchierata.»

«Io non ho alternative!» esclamò Malfoy. Non era mai stato così pallido. «Devo farlo. Lui mi ucciderà, ucciderà tutta la mia famiglia!»

«Io posso aiutarti, Draco, come altri prima di te.»

«Non può, invece» ribatté Malfoy. La sua bacchetta si agitava senza posa. «Nessuno può più aiutarmi. Mi ha detto che se non lo faccio mi ucciderà. Non ho scelta.» C’era disperazione nella sua voce, la resa di fronte a un’imposizione che non sapeva come combattere.

Hermione lo afferrò, attenta a tenersi lontana dall’avambraccio sinistro, che gli avrebbe rammentato la minaccia che lo teneva prigioniero. «Certo che hai scelta!»

«Ti proteggeremo, ti nasconderemo. Anche la tua famiglia» offrì Silente. «Passa dalla parte giusta.»

Hermione si fece più vicina per guardarlo negli occhi e lui spostò la bacchetta affinché non le puntasse contro. «Draco, tu non sei un assassino.»

«Tu, tutti voi, mi sottovalutate! Sono arrivato fin qui, no?»

«Quello che hai già fatto non sarà mai abbastanza per lui. E tu non vuoi fare niente di più» insisté, con le stesse parole di alcuni giorni prima. Capì che, nonostante l’esperienza magica decennale del preside, era lei ad avere più potere.

Poggiò le dita sul polso che teneva la bacchetta.

Fu lui ad abbassarla. Muto, non evocò il lampo verde che toglieva la vita.

Hermione lo abbracciò per il tempo di un sospiro. Fuori dalla porta c’erano voci e passi pesanti in avvicinamento, così decise in fretta: lo condusse verso le scope usate da Harry e dal professor Silente. Lui ne impugnò una senza esitazione, lei mise da parte ogni ritrosia di fronte alla minaccia incombente.

«Andate dalla professoressa McGranitt» ordinò Silente. «L’Ordine della Fenice lo proteggerà, hanno mie istruzioni.»

Volarono fuori dalla finestra e atterrarono poco dopo, intorno alle mura profanate. Le vecchie Nimbus caddero tra l’erba.

«E adesso?»

Lui pareva smarrito in un modo mai sperimentato, privo di punti di riferimento. Le afferrò la mano, come a sincerarsi che non lo lasciasse.

«Adesso sei libero, Draco.»

Le rispose con un sorriso incerto, poi tornò serio. «Io non volevo fare niente.»

Hermione gli passò le dita libere tra i capelli, dello stesso colore della luna nel cielo violato di Hogwarts. «Lo so. Non dovrai fare più niente.»

Lui non era come lei, che avrebbe combattuto qualunque battaglia si fosse prospettata. Il mondo non era fatto di soli eroi e lui aveva il diritto di compiere un passo indietro, soprattutto se lo portava più vicino al lato giusto. A lei.

«Non dovrò fare più niente» considerò anche lui, ritrovando una serenità perduta. Le sue labbra si atteggiarono nuovamente in un sorriso, più largo del precedente. Avvolse un dito nel riccio che le sfiorava la guancia. Ripeté le stesse parole, e anche gli occhi vennero raggiunti da quell’espressione di leggerezza.

Fu il suo sorriso a baciarla, mentre le braccia se la schiacciavano sul torace. Le sue labbra ad assaggiarla, per un istante che era giocosa celebrazione e altro su cui non era il tempo di rimuginare. Hermione glielo concesse, perché in guerra il futuro era incerto e il presente garantiva l’unico piacere a cui aggrapparsi. Glielo concesse perché era ciò che lei voleva, per quel momento.

C’erano prospettive su cui non aveva controllo, impegni presi con un amico di fronte a una minaccia più potente che mai. Ma Draco Malfoy la stringeva, la guardava, sorrideva: nella piega delle labbra, un sorriso taceva la possibilità concreta di un nuovo contatto e un sorriso gridava l’apertura a un futuro diverso.

 

 

«Vedo che hai avuto la buona idea di non farti ammazzare.»

«E tu la buona idea di aspettarmi.»

«Non avevo molto altro da fare, mi pare, mentre tu te ne andavi a salvare il mondo in compagnia e io ero nascosto qui.»

«A settembre potremmo andarcene in giro per Hogwarts insieme, che ne pensi?»

«Mi diplomerò con un anno di ritardo per colpa tua?»

«Malfoy, non ti sembra di stare parlando troppo?»

«Tu baciami, Hermione.»

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Gli effetti causati dall’associazione tra antidolorifici Babbani e pozioni magiche non sono descritti da J.K. Rowling e perciò li ho immaginati.

I vampiri non sono considerati una minaccia troppo seria nel Mondo Magico e un mago con discrete capacità è in grado di cavarsela.

In Harry Potter il Principe Mezzosangue è Harry a porsi domande insistenti sulla situazione di Draco Malfoy, in questa storia ho dato il suo ruolo a Hermione.

I Kappa sono descritti da Newt Scamander come creature acquatiche che si trovano in Giappone e si nutrono di sangue umano.

Alcune delle battute del dialogo nella Torre di Astronomia sono tratte dal sesto libro della saga.

Nel penultimo paragrafo Draco ha disarmato Silente ed è stato disarmato da Harry, affinché quest’ultimo diventi padrone della Bacchetta di Sambuco. Anche se questa one-shot non la racconta, ovviamente ci sarà una guerra e questo passaggio è fondamentale perché Voldemort sia sconfitto nel duello finale nella Sala Grande.

Il dialogo in conclusione viene dal momento in cui Hermione e Draco si ricongiungono dopo la battaglia finale. Dopo qualche settimana insieme tra la morte di Silente e il matrimonio di Bill e Fleur (come in Harry Potter e i Doni della Morte), lei non rinuncia a partire alla ricerca degli Horcrux. In quei mesi Draco non frequenta Hogwarts perché sarebbe troppo pericoloso mandarlo in una scuola controllata da Voldemort, dopo che si è tirato fuori da quella fazione, e quindi è rimasto nascosto.

Ogni volta tornare da Draco e Hermione è un piacere: la Dramione è la mia prima ship in questo fandom, da più di dieci anni.

Vi ringrazio se siete arrivati fin qui e sarò ben felice di sapere cosa pensate di questo racconto, come sempre qui o su Instagram o su Facebook.

Alla prossima!

   
 
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