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Autore: moira78    08/08/2021    6 recensioni
Il carillon della felicità di Stair smette di funzionare all'improvviso e Candy ne soffre come se il suo caro amico fosse di nuovo morto. Sarà l'amore della sua vita, colui che sta per sposare che lo riparerà. Ecco come ho immaginato che il "lui" di Candy le restituisca il sorriso, ancora una volta...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), William Albert Andrew
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Missing Moments'
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Nel romanzo CCFS, Candy ci comunica che un giorno il carillon della felicità di Stair si è rotto. "Ero così abbattuta, e mi sembrava quasi di aver perso l'ultima cosa che mi teneva legata al mio amico, ma qualche tempo dopo il mio lui è riuscito finalmente a ripararlo". Partendo da questo momento così intenso e delicato, ho immaginato come Albert abbia riparato il carillon, ed è nata questa piccola storia che è la mia personale interpretazione. Spero vi piaccia, mi ha emozionata tanto scriverla!
Grazie mille a Sonietta74 per avermi fatto da beta!
 
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Mi lascio cadere sul letto, sfinita.

Sento il cigolio delle molle del materasso e persino lo scricchiolio del legno, tanto mi sono gettata di peso. A pancia in giù, con la guancia che sprofonda sul cuscino che profuma di lavanda, chiudo gli occhi sentendomi quasi sull'orlo delle lacrime.

Sono felice, eppure tanto stanca che una sfugge al mio controllo. No, non è corretto: non può essere solo la stanchezza, ma qualcosa di più.

Da quando lui mi ha chiesto di sposarlo sento come se stessi vivendo in una dimensione diversa, dentro una bolla che volteggia sul resto del mondo mentre io sono al suo interno come una semplice spettatrice. Se cammino ho l'impressione di stare sospesa da terra di parecchi pollici e la mia testa a volte è talmente leggera che se non fosse attaccata al collo volerebbe via tra le nuvole come un palloncino.

Insomma, credo di vibrare di gioia pura come se il corpo fosse fatto di corde che entrano in risonanza col minimo soffio di vento. E che cominciano a vibrare ancor più impazzite ogni volta che sento di nuovo il suono della sua voce. Quella voce che ormai dovrei conoscere così bene e che ora associo a colui che diventerà mio maritò, l'uomo con cui condividerò il resto della mia vita tra poco più di un mese.

Fino a poche settimane fa era tutto idilliaco: la scelta del vestito da sposa, delle portate per il ricevimento, i colori delle tende nel salone principale, la musica... e il ciarlare continuo della prozia Elroy che si raccomanda affinché tutto sia all'altezza: dai fiori al mio corredo e persino quelle maledette scarpe che oggi ho scoperto essere troppo grandi!

"È ovvio, Candice! Se la prima volta che le hai indossate avevi i piedi gonfi e ora hai quelle belle calze di seta è normale che ti sfuggano a ogni passo.
Dovresti sapere che prima di acquistare delle scarpe occorre scegliere anzitutto le calze. Possibile che io non ti abbia insegnato nulla in questi mesi?".

No! Avrei voluto urlarle. Mi hai ribadito cose che già sapevo: su come stare composta e diritta a tavola, come muovermi con il mio splendido abito, neanche fossi incapace di camminare e persino quanti volant fosse decente che avesse il mio corsetto per la prima notte di nozze, come se non fossi già abbastanza nervosa al pensiero!

Sbuffo sonoramente nel cuscino, una lacrima è scivolata lungo il naso e, con il gesto nervoso di due dita, la tolgo. Passo da un pianto di gioia a uno di frustrazione perché sono io quella che vuole che tutto sia perfetto, ma per motivi molto diversi da quelli della zia. Certo, so bene che anche se fossimo solo noi due nella chiesetta della Casa di Pony non cambierebbe nulla, alla fine la cosa importante è che coroniamo il nostro sogno.

Eppure, un po' sarà l'ansia che riesce a trasmettermi la prozia Elroy, un po' la mia che desidero apparire impeccabile per lui... alla fine tutta questa tensione e attenzione ai particolari mi sta facendo ancorare a cose senza alcun peso reale. Ho davvero bisogno di ridimensionare tutto, a cominciare dal fatto che domani dovrò ritornare al negozio di scarpe con la zia perché ormai non si fida più di me, quando invece vorrei tanto andarci con Annie.

Ho sempre fatto buon viso a cattivo gioco in situazioni anche tragiche della mia vita, e ora che sto finalmente per sposare l'uomo dei miei sogni, crollo per così poco? Mi siedo con le gambe un po' piegate di lato, tirando su col naso, sentendomi sciocca ma anche tanto innamorata: lui appare così perfetto ai miei occhi che, anche se mi conosce bene, non sopporterei di sbagliare qualcosa proprio quel giorno. Voglio stupirlo, dimostrargli che, oltre a essere la Candy spensierata e divertente che conosce, posso anche essere una donna matura degna di diventare la moglie di William Albert Ardlay.

Mi sporgo un po' verso il comodino, apro un cassetto e comincio a rovistare; intanto penso che lui riderebbe di me oppure mi intimerebbe di rimanere sempre e solo me stessa. So che lo farebbe. Ma so anche che sto per ricoprire un ruolo importante e alle volte sento una responsabilità enorme sulle spalle, pur se sono ben felice di farmene carico: Dio mi perdoni, qualche volta ho quasi desiderato che la zia si fosse impuntata contro di me al punto da costringere me e Albert a fuggire per sposarci lontani da tutto e tutti. Ma questo avrebbe significato che rinunciasse al suo nome per me.

Nonostante io sappia che lo avrebbe accettato persino con sollievo, mi rendo conto che non è un bel pensiero da fare e infatti sono solo momenti passeggeri, che attraverso in giorni come questi, quando inizio la giornata la mattina presto alla Clinica e mi ritrovo all'ora di cena con il solo desiderio di dormire per lo sfinimento.

Da domani, comunque, questo perlomeno cambierà perché inizia il mio periodo di ferie che durerà almeno fino al nostro ritorno dalla luna di miele.

La luna di miele...

Le mie labbra s'incurvano in un sorriso e sento il calore salirmi alle guance, tanto che sono costretta a portarmi una mano sul viso per sentire quanto scottano. Intanto, con l'altra ho trovato quello che cercavo nel cassetto.

Ho cominciato a sorridere quando ho toccato il carillon di Stair o quando ho pensato al viaggio di nozze? Beh, forse entrambe le cose... Comunque sia lo apro e la sua melodia mi rilassa all'istante, tanto che mi distendo di nuovo sul letto, poggiandolo sul ventre e chiudendo piano le palpebre.

So che i mobili verde menta di questa stanza sono stati creati dall'uomo che amo, mi sento circondata dal suo amore anche se sono sola, come se fossero le sue stesse braccia. Quelle braccia e quelle mani che hanno lavorato duramente per quel comodino da cui ho appena preso il carillon, per l'armadio che ho di fronte e persino per questo bel letto così comodo. Se lui mi ha scelta e mi ama è per quello che sono, non per quello che vorrei essere: sono tutte cose che conosco da tempo eppure è bastato ascoltare questa dolce melodia perché mi soffermassi a pensarci adesso.

La dolce melodia creata da Stair.

Le lacrime rischiano di nuovo di pungermi gli occhi, perché penso che il mio caro amico inventore, che un giorno è venuto a darmi questa piccola scatola della felicità, non sarà con noi alla cerimonia. Così come non ci sarà Anthony.

D'istinto, stringo un po' di più il carillon, come se potessi toccare entrambi e far sapere loro quanto vorrei che mi fossero accanto in questo momento fondamentale della vita. Anzi, delle nostre vite. Il mio umore altalenante deve essere contagioso perché il carillon, all'improvviso, si ferma.

Asciugandomi di nuovo gli occhi me lo porto davanti al viso per dargli la carica, anche se ero certa di averlo fatto fino in fondo. La rotella, infatti, gira fino a un certo punto e arriva a fine corsa ma il suono continua a non uscire.

"Oh no... no...". Mi siedo di scatto, tenendolo tra le mie mani come se potessi donargli ancora una scintilla di vita. Lo scuoto leggermente, batto piano il dito indice su un lato, ma ottengo solo un piccolo rumore che sembra una nota distorta ed è come se Stair fosse morto un'altra volta.
 
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Ho appena alzato il braccio per bussare quando la sento piangere come se le fosse caduto il mondo addosso.

Mi congelo per un istante in quella posizione e, in quell'istante, la mia mente viene attraversata da mille pensieri. Beh, non mille, in realtà è uno solo ma non voglio nemmeno portarlo a livello cosciente, tanto è illogico e irreale.

So bene quali siano i sentimenti di Candy, non è ora di tirare fuori ragnatele inesistenti dalla cantina, forse la stanchezza di lavorare il doppio per sistemare le cose prima del matrimonio non mi fa essere abbastanza lucido.

Oggi però ho terminato con largo anticipo e voglio farle sapere che potremo cenare insieme, ma questo suo pianto mi ha momentaneamente bloccato. Mi decido a bussare: "Candy, sono io! Posso entrare?", le dico con tono urgente, pronto a muovere mari e monti per farle tornare il sorriso.

La sento smettere di colpo e soffocare un'esclamazione di sorpresa. Mentre ho già la mano sul pomello, sento i passi dei suoi piedi nudi e un attimo dopo ho davanti a me il bel viso colmo di lacrime che sembrano rugiada su foglie di ninfea: gli occhi scintillanti mi incatenano e d'istinto la chiudo tra le mie braccia, stringendomela forte al petto.

Ogni volta è come la prima volta e il cuore accelera i battiti all'istante. Perché lei è qui, con me. Perché sono felice e al contempo straziato dalla sua sofferenza. Perché darei questo mio stesso cuore per far placare il suo pianto.

"Che cosa è successo? Perché piangi?", le domando facendo qualche passo nella stanza senza allontanarla dal mio abbraccio. Con un piede chiudo la porta dietro di noi: non voglio che qualcuno entri e ci disturbi.

Lei è rannicchiata sul mio petto, le mani strette tra noi e si allontana un po' per mostrarmi un piccolo carillon. Il carillon di Stair.

"Non suona più, ha smesso di funzionare! Oh, Albert, è colpa mia!", comincia a dire con voce rotta e tono accorato. "Se solo non avessi sbagliato la misura di quelle scarpe e non avessi dato alla zia un altro motivo per arrabbiarsi, e... e se solo non avessi desiderato ancora una volta di scappare con te in Africa invece di dovermi concentrare sui canapè di paté o di caviale... forse... forse i miei pensieri negativi non avrebbero...".

Lo ammetto, una parte di me è sollevata, ma mi sta guardando con cipiglio severo per aver anche solo sfiorato l'idea che dietro al suo pianto ci fosse dell'altro, ma l'altra... oddio, l'altra sta facendo uno sforzo sovrumano per non scoppiare a ridere!

Approfittando dei suoi forti singhiozzi dopo le frasi sconclusionate di poco fa, la stringo di nuovo al petto, mordendomi quasi a sangue l'interno delle guance.

Scarpe. Africa. Canapè.

Per non sbagliare, mi mordo anche il labbro inferiore, ripiegandolo all'interno della bocca e affondando gli incisivi con discreta forza.

Quando sono certo che non riderò, facendola di sicuro sentire peggio, le parlo con voce calma e controllata: "Adesso ci sediamo un attimo e vediamo come aggiustare tutto, va bene?".

So che siamo in camera della mia fidanzata, con la porta chiusa e ci stiamo sedendo sul letto che io stesso ho costruito, ma mi auguro comunque che non arrivino la cameriera di Candy o la zia Elroy per vedere che fine abbiamo fatto, magari mettendosi in testa strane idee che scatenerebbero un putiferio senza un motivo reale.

Tiro fuori dalla tasca della giacca un fazzoletto pulito e le asciugo il viso, mentre le sue spalle sussultano ancora per i singhiozzi.

"Allora, posso capire che il fatto che il carillon si sia rotto ti renda triste, ma non accetto che la mia bella fidanzata pianga così per tutto il resto. Piuttosto, ti sposo scalza, nel bel mezzo del Masai-Mara e al ricevimento faccio servire banane!".

Candy spalanca gli occhi quasi asciutti e apre un po' la bocca in un'espressione di stupore che mi fa venire solo voglia di baciarla subito. Resta così per un momento interminabile durante il quale mi chiedo se dovrei farlo e se si sta solo arrabbiando di più, invece incredibilmente scoppia a ridere.

E io che mi sono quasi maciullato la bocca per non farlo!

La imito, trascinato dall'ilarità del momento ma la voglia di baciarla non è scomparsa così mi chino un po' per farlo con discrezione. Sul suo letto, nella sua stanza, con la porta chiusa dietro la quale potrebbe apparire chiunque lanciando un grido scandalizzato.

Ma non me ne importa un accidenti, pensassero ciò che vogliono: fra poche settimane Candy sarà mia moglie e io non devo rendere conto a nessuno.
"Banane al ricevimento! Oh, Albert, tu sì che sai come farmi ridere!" dice divertita, scostandosi per darsi delle pacche sulla gamba. Non si è neanche accorta che stavo per baciarla e ci rimango un po' male. Ma sono così felice di vederla sollevata, che non ci faccio più caso e sospiro di sollievo anche io, prima che si ricomponga guardando l'oggetto che ha tra le mani.

Con delicatezza lo prendo, studiandolo con attenzione: è così piccolo che per guardarci dentro dovrò usare una lente. Intanto, sotto al suo sguardo attento e nel completo silenzio che è caduto nella stanza, faccio delle prove: giro piano, da un lato e dall'altro, la rotella che dovrebbe caricare la musica ma sembra bloccata.

"Forse si tratta di un ingranaggio che è saltato, ma devo aprirlo e studiarlo con cura per appurarlo", le dico socchiudendo gli occhi. "Ti fidi di lasciarmelo per un po'?".

Il sorriso che mi regala sembra illuminare tutto l'ambiente e mi sento appagato quasi come se l'avessi baciata poco fa. Quasi...

"Non mi fiderei di nessun altro, Albert!", dice abbracciandomi con trasporto.

Respiro a fondo e nelle narici mi penetra il profumo di rose che proviene dai suoi capelli: "E per quanto riguarda gli altri problemi? Posso fare qualcosa? Candy, non voglio che ti stanchi troppo per i preparativi...". Ho sentito parlare di donne sottoposte a forte pressione durante l'organizzazione del proprio matrimonio e avevo dato per scontato che a lei non sarebbe mai accaduto. Ma la tensione e la zia Elroy insieme, anche se è abituata da tempo alle sue sfuriate, possono diventare insostenibili per chiunque.

Si scosta un po' da me, inclinando la testa da un lato con un mezzo sorriso che non ha nulla a che vedere con la risata aperta di poco fa: "Devi scusarmi, credo di essere solo molto stanca. Ci sono tante cose a cui pensare e... insomma, come futura matriarca ho una responsabilità davvero grande. La zia ha ragione quando dice...".

D'improvviso tutti i pezzi del puzzle vanno al loro posto: le scarpe, l'Africa e i canapè. Ma non mi viene più da ridere. Al contrario, provo un moto di rabbia e ribellione e mi ritrovo a interromperla: "Ehi, guardami, Candy", le intimo con dolce fermezza, sollevandole il capo con due dita sotto al mento.

Cercando di non perdermi dentro al verde dei suoi occhi, l'angolo di natura che più amo in assoluto, né di farmi tentare da quelle labbra rosse appena dischiuse in un silenzioso invito, proseguo: "Prima di essere la matriarca tu sarai mia moglie, la donna che voglio al mio fianco per il resto della mia vita. Colei che ho conosciuto quando era una bambina, che ho visto diventare donna e che una volta mi ha salvato da un destino oscuro e incerto. Sei colei che adoro per la sua spontaneità, per la capacità di salire su un albero con l'agilità di uno scoiattolo ma anche di fare un'ottima fasciatura con la bravura di un'infermiera professionista quale sei. Colei che fa bruciare l'arrosto ma solo con il suo sorriso riesce a scaldare la cucina anche in pieno inverno. Io ti amo così come sei, ti amo perché sei Candy. E sai una cosa? Anche io, a volte, ho voglia di mollare tutto e portarti in Africa...". Mi interrompo, perché scorgo di nuovo le lacrime, anche se sono certo che ora siano di gioia.

Stavolta le braccia me le getta al collo e la sento singhiozzare il mio nome all'altezza della scapola. La mia mano va tra i suoi capelli dove poso baci leggeri, inebriandomi ancor più del loro profumo.

"Anche io ti amo, ti amo tanto, Albert! Sapevo che mi avresti detto queste cose, ma sentirle da te... sentirti dire così... sono così felice adesso! Sono stata una sciocca!".

"No, non sei una sciocca, ma rallenta il ritmo, voglio che tu ti goda questo momento", le dico scostandola un po' da me per guardarla. Con delicatezza le passo le dita sulle gote per asciugarle, "anche se sono l'ultima persona che dovrebbe dirtelo, perché io stesso trovo a malapena tempo per riposare", concludo con aria contrita.

Lei mi fissa per un attimo con un velo di tristezza: "Mi dispiace, immagino che tu stia lavorando molto per organizzare le cose per... dopo".

Annuisco e le bacio la fronte: "Sì, ma anche tu stai lavorando, se non sbaglio. Candy, perché non ci prendiamo qualche giorno di pausa per riposarci e io possa dedicarmi al carillon?".

"Ma... non posso, domani devo passare in Clinica per sistemare il lavoro, in modo che l’infermiera che mi sostituirà trovi tutto organizzato. E poi devo tornare in città con la zia Elroy...".

"Allora dopodomani. Solo due o tre giorni, neanche io posso fermarmi a lungo. Ti direi di andarcene in fuga in mezzo alla natura, magari a Lakewood, ma so che non puoi muoverti senza la dama di compagnia che ti segue da quando ci siamo fidanzati", dico con una smorfia. "Però, possiamo vederci qui a pranzo e a cena, andare nel parco e parlare dei nostri progetti".

Candy sembra soppesare con piacere questa proposta e alla fine accetta abbracciandomi ancora una volta. Senza poter resistere oltre, le circondo la schiena e avvicino le labbra al suo orecchio affinché mi senta anche se sussurro: "Ora posso avere quel bacio che mi hai così sdegnosamente negato qualche minuto fa, persa nella tua ilarità?".

Lei si allontana di colpo, ma senza togliere le mani intrecciate sulla mia nuca: "E quando...?".

Non la lascio finire, sono stanco di aspettare. Chiudo la distanza tra noi e mi perdo nel suo sapore di frutta e libertà.
 
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Apro gli occhi nella semi oscurità e lancio un'occhiata all'orologio di legno sul comodino: sono quasi le undici di sera ed è l'orario giusto per muovermi.

Getto le gambe dall'altro lato e poggio i piedi nudi a terra, indecisa se usare o meno le pantofole: non faranno certo rumore come le scarpe, ma decido di portarle in mano per sicurezza. Quando apro la porta della mia stanza, sembra che cigoli e faccia un rumore infernale, ma in realtà si ode solo una specie di sussurro, così mi impongo di calmare i battiti impazziti del mio cuore.

Lo sguardo cade inevitabilmente sulla porta accanto, dietro la quale dorme la mia dama di compagnia, come la chiama la zia Elroy, che mi segue quasi sempre, soprattutto quando sto con Albert. Allie è una brava donna di mezza età, che non si è mai sposata ma ha avuto un solo grande amore nella vita. Mi ha sempre detto che è rimasta abbagliata dalla nostra storia: sospira e si entusiasma come se si stesse per sposare lei e non io. Ma è davvero ligia al suo compito e quando è presente concede al mio fidanzato solo dei casti baciamano.

In questi tre giorni di vacanza, siamo riusciti a baciarci veramente solo una volta, di nascosto, e la cosa sta diventando frustrante. Oggi pomeriggio, mentre si congedava da me prima di cena, gli ho raccomandato sorridendo di non lavorare troppo e scendere puntuale in sala da pranzo. Lui, mentre era ancora chinato per sfiorarmi la mano con le labbra, ha alzato su di me i suoi magnetici occhi azzurri come un lago calmo.

"Non tarderò, amore mio, piuttosto preferisco finire di lavorare dopo cena. Anzi, credo che farò proprio così". Non mi ha fatto l'occhiolino, ma il suo sguardo ha indugiato nel mio per interminabili istanti e un lato della bocca si è incurvato in un mezzo sorriso.

"Insisto comunque che tu non vada a dormire troppo tardi", ho aggiunto con quei modi affettati che ci tocca usare in società e sui quali abbiamo spesso scherzato per lettera. Ho sperato che cogliesse anche il mio, di segnale.

Lo ha fatto subito, rispondendomi: "Tranquilla, ti giuro che prima di mezzanotte sarò tra le braccia di Morfeo a sognare di te".

Quella frase deve essere suonata così ardita ad Allie, che si è schiarita la gola con le labbra increspate in una smorfia di avvertimento. Nelle sue intenzioni, forse voleva risultare scherzosa, ma ha strappato comunque un gemito di disappunto ad Albert.

Ho ridacchiato, a disagio, impedendomi per l'ennesima volta di saltargli al collo e parlargli come facciamo di solito: se solo Allie sapesse che fino a qualche anno fa condividevamo persino un letto a castello penso che avrebbe un attacco di tachicardia!

Se ho colto bene il suggerimento di Albert abbiamo circa un'ora per darci la buonanotte come facevamo a quel tempo, parlando liberamente della nostra giornata e, come invece facciamo più di recente, baciandoci...

Mi fermo nel bel mezzo delle scale, sospirando al ricordo dei baci divenuti così appassionati che alle volte mi tremano le gambe e sono costretta ad aggrapparmi a lui per non cadere. E le braccia forti di Albert mi sostengono, in una stretta così calda e avvolgente che non somiglia a nessuno dei nostri abbracci amichevoli di una volta...

Sono così persa nei miei pensieri romantici, che scivolo sugli ultimi due scalini e sbatto il fondoschiena a terra con un tonfo, le pantofole mi cadono dalle mani e devo stringere i denti per non lamentarmi ad alta voce. Il pavimento non è affatto morbido come l'erba.

Mi guardo intorno frenetica, temendo che possano avermi sentita, ma pare che non ci sia nessuno, anche se le luci di servizio sono accese. Decido di rimettermi le pantofole e procedo lungo il corridoio dove c'è lo studio di Albert, con il cuore che accelera in maniera deliziosa nel petto. Tra poche settimane sarà mio marito e non dovremo più vederci di nascosto per scambiarci il bacio della buonanotte.

Busso piano, per non allertare nessuno, ma non odo risposta, così accosto l'orecchio alla porta e mi risponde il silenzio. La colpisco un po' più forte senza spostarmi, sussultando quando il rumore sordo si trasmette al mio orecchio.

"Possibile che Albert sia già andato a dormire? Non sono ancora le undici!", mi dico delusa. Se così fosse, dovrei arrischiarmi fino in camera sua e non credo affatto sia una buona idea. Se davvero qualcuno ci scoprisse potrebbe essere problematico spiegare le nostre buone intenzioni...

Frustrata, decido di socchiudere la porta per guardare dentro e per un attimo sono davvero convinta che lui non ci sia. Poi vedo i suoi capelli biondi sulla scrivania, in una posizione che mi fa accorrere. Mentre mi sto chiedendo se si sia sentito male, mi rendo conto poco a poco che si è solo addormentato seduto sulla poltrona, col capo reclinato su un braccio, proteso sul piano di lavoro. In mano, stringe il carillon di Stair, mezzo smontato, e sulla scrivania ci sono una lente, un piccolo cacciavite e alcuni strumenti che non ho mai visto.

Mentre lo guardo, un sorriso nasce spontaneo sulle mie labbra e un moto di tenerezza mi riempie il cuore. Doveva essere sfinito ma si è messo comunque a lavorare sul carillon per tentare di aggiustarlo!

Mi chino un po' per apprezzare il suo viso che, nel sonno, sembra ancora più giovane di quanto non appaia quando è sveglio. Le lunghe ciglia proiettano un'ombra sugli zigomi alti e la bocca è semiaperta, posso sentire persino il suo respiro regolare.

Commossa fino alle lacrime, allungo una mano per carezzargli i capelli che ricadono sulla fronte, anche se so che potrebbe svegliarsi: d'altronde se rimanesse così tutta la notte, in questa postura innaturale, domani non sarebbe certo in forma.

Mentre le mie dita scivolano tra le ciocche, lui chiude la bocca di scatto ed emette un verso infastidito, aggrottando le sopracciglia. "Li ho firmati, George... possiamo passare oltre...", borbotta.

Una risata mi sfugge dal naso anche se cerco di trattenerla e smetto all'istante di piangere. Albert apre gli occhi con un'espressione così smarrita e assonnata che adesso sembra davvero un bambino risvegliato in malo modo.

Dalla gola gli sale una specie di lamento interrogativo, quindi sbatte le palpebre e pare mettermi a fuoco: "Ma tu sei molto meglio di George", biascica cercando di raddrizzarsi.

"Oh, ma George è un bell'uomo, potrebbe offendersi!", ribatto scherzando, mentre Albert si stira muovendo il braccio con cautela. Di certo gli formicola in modo fastidioso, dalla smorfia che fa.

Mi fissa con un sopracciglio inarcato, non ancora del tutto sveglio: "Quindi ora devo anche essere geloso di George? E comunque preferisco te a lui, giusto perché tu lo sappia".

Il tono è ironico, ma sembra così serio che scoppio a ridere di nuovo: "Oh, santa pazienza, Albert! Non puoi pensarlo davvero! Però sono contenta che tu preferisca me", gli confesso con un occhiolino, sporgendomi sulla scrivania.

Lui mi fa cenno di fare il giro e si alza dalla poltrona. Posa le sue grandi mani sulle mie guance e mi scosta i capelli all'indietro passando con le dita dietro le orecchie. Si china su di me finché non sento il suo respiro sulle labbra e, finalmente, ricevo il mio bacio della buonanotte.

Me lo godo mentre da lento diventa più veloce ed esigente, le mani mi scivolano sul collo e dietro la schiena, quindi mi stringono proprio come ho immaginato quando sono caduta dalle scale poco fa. Imito i suoi gesti, ma le mie braccia salgono dietro alle scapole fin quasi alle spalle, in un percorso speculare e inverso.

Quando senza fretta si stacca da me per riprendere fiato, emetto un sospiro soddisfatto con gli occhi ancora chiusi e lo sento ridacchiare: "Sì, sono d'accordo", dice senza che io abbia espresso alcun concetto. Ma ci siamo capiti. Era proprio quello che volevamo, ed è stato esattamente come lo abbiamo desiderato.

Apro gli occhi e gli accarezzo il viso stanco: "Devi andare a riposare, sei sfinito. Apprezzo molto che tu stia cercando di aggiustare il carillon, ma puoi farlo in un altro momento".

Albert poggia la fronte sulla mia, continuando a giocherellare con i miei capelli sciolti dietro al collo, mandandomi brividi gradevoli lungo tutta la schiena: "Non ti preoccupare. Lo sai che mi fa piacere, ci tengo anche io a farlo funzionare di nuovo. Solo che devo essermi addormentato a causa del troppo lavoro".

Mi scosto un po' da lui per guardarlo seria: "Albert, se continui così rischi di ammalarti. Non puoi sostenere ritmi tanto serrati", lo rimprovero.
Il suo sorriso si allarga: "Mia bella infermiera, nonché futura moglie, le prometto che farò del mio meglio per passare ad Archie le consegne quanto prima, così da alleggerire il carico di lavoro. Almeno non rischierò più di scambiarla per George".

"Albert! Pensavi davvero che fosse lui ad accarezzarti il viso?!", chiedo fingendo di essere scandalizzata.

Scoppia a ridere, gettando la testa all'indietro: "Ma no, Candy! Stavo sognando! Ho passato tutto il pomeriggio con lui a firmare documenti e ho continuato a farlo persino mentre ero in dormiveglia".

"Uhm, sicuro?", lo derido stringendo gli occhi.

"Certo", fa lui alzando le spalle, il tono diventa carezzevole, "anche perché tu hai qualcosa che ti distingue decisamente da George".

Non so perché, ma arrossisco mentre gli domando: "C-cosa?".

"Non hai i baffi". Lo dichiara con una solennità e una serietà tali che scoppiamo a ridere un istante dopo.

"Stupido!", lo rimprovero colpendolo sul petto.

Lui mi afferra le mani e me le bacia con dolcezza infinita: "Ti prometto che, prima di portarti all'altare, riavrai il carillon, va bene?".

Rilascio un sospiro, un senso di beatitudine mi riscalda il cuore e le membra: "Va bene, amore mio, grazie. Ma giurami che non ti strapazzerai".

"Te lo giuro", ribatte sancendo la promessa con un altro bacio della buonanotte. Stavolta, ce la prendiamo un po' più comoda. D'altronde, a mezzanotte manca ancora una buona mezz'ora e io non ho carrozze che mi attendono fuori e che rischiano di trasformarsi in zucche.
 
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Un rivolo di sudore mi scende lungo la tempia mentre, con estrema attenzione, riposiziono l'ultima, minuscola vite con un movimento rotatorio preciso di due dita sul piccolo cacciavite. Alla fine, stringo un po' finché sento che non c'è più gioco e lascio cadere la lente d'ingrandimento dall'occhio con un sospiro di sollievo: ho tutti i muscoli tesi e ancora devo fare la prova del nove.

Mi riavvio i capelli dalla fronte con l'avambraccio e questo mi ricorda che devo accorciarli prima di sposarmi... beh, entro tre giorni al massimo.

Prendo aria profondamente e carico il carillon: "Ho fatto tutto quello che era scritto nelle tue istruzioni, Stair. Spero abbia guidato la mia mano, ovunque tu sia", mormoro arrivando a fine corsa. Apro la scatolina e...

...la musica, dolce e delicata, mi fa sorgere un sorriso spontaneo sulle labbra.

Ce l'ho fatta, ma stavolta non sono io il fautore della felicità di Candy, anche se sono riuscito ad aggiustarlo. In questo caso è stato Stair a creare un piccolo capolavoro. Un giorno, questo ragazzo eccezionale che è riuscito a costruire delle invenzioni tanto bizzarre da farci sorridere mentre eravamo alla Casa della Magnolia, poco prima di andare incontro al suo ultimo viaggio ha avuto l'ispirazione per realizzare un oggetto così delicato e perfetto.

E solo per far sorridere la mia Candy.

Non ho mai avuto modo di parlare a lungo con Stair, lui e Anthony sono state due meteore luminose ma tragicamente brevi nella mia vita. Eppure, sono certo che nel suo cuore si celasse un animo romantico e nobile che avrebbe continuato a portare solo gioia alle persone intorno a lui.

Accarezzo il carillon con un dito, un'opera d'arte in miniatura di cui ho individuato il progetto nel piccolo studio che è stato suo e che i signori Cornwell, con molta gentilezza, mi hanno consentito di visitare proprio allo scopo di trovarlo.

Quando ho spiegato loro il motivo avevano le lacrime agli occhi: ancora dopo tanto tempo, sapere che il loro amato figliolo vive attraverso le sue invenzioni glielo fa di certo sentire più vicino.

La musica finisce e mi domando se anche quella l'abbia composta lui, quindi mi alzo e raccolgo con cura tutti i piccoli attrezzi e il progetto perché voglio riportarli esattamente dove li ho presi, quando tornerò da loro.

Guardo fuori dalla finestra e mi accorgo che è notte e che adesso non posso restituirlo a Candy, anche se dorme al piano di sopra. Le avevo promesso che avrei riposato, ma la verità è che non mi sono risparmiato poi molto e tutti i ritagli di tempo li ho dedicati a riparare il carillon con attenzione: è sorprendente quante piccole parti ci fossero e solo dopo che l'ho smontato mi sono reso conto che avevo bisogno di una guida.

Un viaggio improvviso durato quasi dieci giorni, degli affari che dovevo sistemare in prima persona, le riunioni con Archie e George per le consegne... tutto questo ha contribuito a farmi impiegare più tempo del previsto ma, a quanto pare, manterrò la mia promessa.

L'orologio segna le due del mattino e mi accorgo che da domani... anzi, da oggi mancano solo due giorni, quindi è la mia ultima occasione per ridarlo a Candy. Dopodomani la rapiranno perché lo sposo non può vederla il giorno prima del matrimonio.

Il cuore, prima malinconico al ricordo di Stair, accelera i battiti e chiudo gli occhi immaginandola nel suo abito da sposa che avanza verso di me per unire la vita alla mia per sempre. Un'emozione potente m'invade il petto e, nello stesso istante, un paio di note riecheggiano dal carillon facendomi aprire gli occhi di scatto.

Ero certo che la musica fosse terminata più di un minuto fa.

Sbatto le palpebre, fissandolo, e sorrido di nuovo: "Grazie Stair, so che sei felice anche tu per noi. È come se ci fossi, a modo tuo, vero?". Richiudo il minuscolo coperchio e lo porto in camera con me.

Domattina, ridarlo alla mia futura moglie sarà la prima cosa che farò.
 
- § -
 
"La valigia per il viaggio di nozze è pronta, signorina White, e la signora Ardlay l'attende nella sua stanza per discutere degli ultimi dettagli". Prendo un respiro tremulo: sentirsi chiamare signorina White è qualcosa cui è stato strano abituarmi, però ho dovuto farlo da quanto Albert ha smesso di essere il mio tutore. Ma andare dalla zia Elroy per discutere ancora della musica per la cerimonia o dell'esatto ordine di uscita delle portate, non riesco proprio a mandarlo giù.

Non posso solo godermi il momento, il mio momento, sognando l'avvicinarsi del fatidico "sì" che mi unirà per sempre all'uomo che amo? Immaginare i nostri volti emozionati durante lo scambio degli anelli, il primo ballo da marito e moglie, il taglio di quella magnifica torta che abbiamo voluto ricca di fragole e panna montata, la nostra luna di miele... la prima notte di nozze...

"Signorina...?". Mi rendo conto che ho chiuso gli occhi e ho le guance che stanno andando a fuoco.

"S-scusami Nancy, puoi dire alla zia che scendo subito", rispondo in fretta, voltandomi con la scusa di cercare qualcosa in un cassetto del comodino per non mostrare il rossore. Ma temo sia troppo tardi...

Sono finalmente sola e alzo lo sguardo alla finestra: c'è un bel sole, chissà se Albert è ancora in ufficio o è lì fuori e chissà se oggi riuscirò a vederlo! A volte vorrei che mi lasciassero tutti in pace, così che possa svegliarmi la mattina del matrimonio ed evitare questa preparazione eccessiva, trovandomi proiettata subito nell'attimo giusto.

I pensieri mi riportano di nuovo lontano e se non mi sbrigo la zia diventerà ancora più intrattabile. Sì, è vero, sono stanca e a volte attraverso momenti davvero sfibranti a livello sia fisico che mentale, ma se penso che il fine ultimo sarà la felicità più grande che abbia mai provato... beh, posso anche affrontare la zia Elroy e persino tutto il resto del clan per altre quarantotto ore!

Mi sono appena messa a contare ore e minuti?

Sì, l'ho fatto, però devo anche accelerare il passo. Se la zia non mi trattiene troppo posso andare a cercare Albert e magari fare una passeggiata con lui insieme ad Allie.

Busso alla porta e capisco, dalla postura e dalla poltrona posizionata al suo fianco con cura, nonché dal servizio da tè con il quale sta armeggiando la sua cameriera personale, che questa conversazione non sarà solo molto lunga. Forse durerà fino al tramonto...

Mi viene da piangere. So che devo ascoltarla perché mi parlerà della mia posizione in famiglia ed è una questione con la quale sono venuta a patti molto tempo fa. Le mie insicurezze rimarranno sempre, su questo non posso farci molto, ma sono anche certa che facendo un passo alla volta, con Albert accanto, potrò essere la nuova matriarca a testa alta e a cuore più leggero.

Per farlo, però, devo essere più che preparata e se il prezzo da pagare è un giorno in più con la zia Elroy e qualche ora in meno con lui... beh, è necessario che io sia forte.

Mi preparo al suo discorso sedendo composta come si conviene a una vera signora e, mentre la sua voce altera passa dall'albero genealogico degli Ardlay alle incombenze di cui si deve occupare una matriarca che si rispetti, do addio alla passeggiata e comincio a sperare nella buonanotte data di nascosto nello studio.

All'ora di cena si presenta alla porta una cameriera assieme ad Allie e d'istinto chiedo loro se a tavola ci sarà anche William. Essendo stata tutto il pomeriggio accanto alla zia mi viene più semplice chiamarlo così invece di Albert.

Ma so che lui preferisce che lo chiami Albert e non mi comporti da matriarca ma da Candy, almeno quando siamo da soli.

"Certo, signorina", mi risponde la cameriera facendomi sorgere il primo sorriso sincero da ore.

Possibile che vederlo anche solo seduto a tavola mi faccia ancora battere il cuore così forte? E che sentire le sue labbra sulla pelle della mia mano mentre si alza per salutarmi nella maniera imposta dall'etichetta mi mandi brividi lungo la schiena?

Il suo sorriso è simile al mio ed è sempre la voce della zia Elroy che ci interrompe quando i nostri sguardi fissi ci fanno rimanere altrettanto immobili, come se stessimo intrattenendo una muta conversazione raccontandoci i fatti del giorno.

Se il pomeriggio passato con la zia Elroy è apparso interminabile, la cena accanto ad Albert sembra durare solo pochi minuti. Non so nemmeno bene cosa stiamo mangiando di preciso perché sono concentrata solo su di lui, anche quando non si rivolge a me in modo diretto.

A come si aprono le sue labbra quando parla o ride, persino quando mastica con discrezione. A come muove le mani sulle posate o nel momento in cui gesticola. E non parliamo di quando mi fissa con quegli occhi il cui colore dovrei ormai conoscere a memoria!

È come se lo conoscessi da una vita ma lo vedessi in modo del tutto diverso, in queste ore che ci separano dal matrimonio.

Lui è mio. Il mio uomo.

Quella consapevolezza mi colpisce all'improvviso con una potenza tale che l'emozione mi accende l'ennesimo sorriso e mi fa bruciare gli occhi di lacrime.

"Candy, che ti succede?". Ora la sua espressione è allarmata e mi do della sciocca.

Mi passo il tovagliolo agli angoli degli occhi, mentre la zia Elroy inarca un sopracciglio in modo interrogativo e Allie mi chiede se sto bene: "Scusatemi, sono solo felice. Tanto felice".

Sento la mano di Allie sulla spalla, mi sta dicendo qualcosa per comunicarmi che può immaginarlo, è più che normale, ma non è il caso di far colare il trucco per così poco, no? Avverto il sospiro discreto ed esasperato della zia, ma è la mano di Albert che mi sfiora il viso mentre sorride con tenerezza per trasmettermi il calore più ardente in assoluto.

"Bene, visto che avete avuto modo di stare un po' insieme a cena, possiamo continuare la conversazione che abbiamo interrotto poco fa, Candice". Sulla guancia c'è ancora il tocco di Albert come un raggio di sole tiepido, ma dal petto in giù sento le stilettate ghiacciate della delusione trafiggermi il cuore e gli arti. "Ti aspetto fra cinque minuti nella mia stanza".

Mi concede cinque minuti. Con Albert e con Allie.

Persino l'espressione del mio futuro marito muta e diventa più dura mentre abbassa la mano: "Mi dispiace, Candy, avrei voluto...". S'interrompe, forse non può o non vuole parlare davanti alla mia dama di compagnia.

"Lo so, anche io", termino per lui, con voce malferma. Tutto questo sta diventato assurdo, davvero assurdo.

Rimaniamo seduti ai nostri posti e i camerieri sparecchiano. Ci guardiamo e le dita della mia mano destra restano fermamente intrecciate con quelle della sua sinistra, appoggiate sul tavolo. Di nuovo, parliamo con gli occhi: devo lottare per non piangere e, anzi, mi sforzo di sorridere.

"Sei più carina quando ridi che quando piangi", soffia a bassa voce, commuovendomi fino alle lacrime.

"Albert...", sussurro con voce rotta.

Dietro di me sento il rumore di una sedia che si sposta come se l'occupante si sia mosso troppo in fretta e mi ricordo di Allie. Ho dimenticato per un attimo che la mia dama di compagnia è ancora qui!

Allarmata, mi volto a guardarla e Albert fa lo stesso, ma lei sta sorridendo con gli occhi lucidi: "Oh, penso che me ne andrò a quella finestra laggiù a guardare le stelle che stanno cominciando ad accendersi! Signorina Candice, cerchi di essere puntuale con sua zia, potrei essere... distratta e incorrere io stessa nelle sue ire!".

Le rivolgo uno sguardo così colmo di gratitudine per questo gesto tanto delicato, anche se maldestro, che lei mi liquida sventolando una mano come se le avessi urlato un enorme "grazie!" e le avessi gettato le braccia al collo. In effetti, era quello che avrei voluto fare.

Come promesso, si allontana e io e Albert abbiamo un minimo di privacy. Il tempo però è breve, troppo breve. Non possiamo baciarci come vorremmo, ma scambiare due parole sì.

"Mi dispiace, tesoro. È tutto il giorno che cerco di liberarmi, ma quando ci sono riuscito tu eri dalla zia Elroy", dice a bassa voce, riprendendo ad accarezzarmi il viso con le nocche.

Chiudo gli occhi al suo tocco tenero: "Mi sembra così assurdo che non riusciamo a vederci proprio ora, poco prima di sposarci! E domani sarò impegnata tutto il giorno con le prove per il vestito e il resto e...".

Le lacrime minacciano di nuovo di traboccare dai miei occhi e lui mi porta al viso anche l'altra mano: "Shhh... lo so, Candy, lo so. Anche io domani devo fare qualche prova con il mio abito, più un milione di altre cose e sono frustrato, ma dopodomani...". Si interrompe, come assaporando il suono di quella parola, prendendo un profondo respiro e chiudendo le palpebre.

Imito quel gesto e ripeto: "Dopodomani".

"Ho qualcosa da darti nella mia stanza. Volevo farlo stasera, ma...". D'improvviso si blocca, come se si rendesse conto di aver detto qualcosa di sbagliato e vedo persino le sue guance colorarsi un po'. "Intendo dire... si tratta di un oggetto, qualcosa che...".

Resto lì, con la bocca aperta, cercando di comprendere cosa voglia comunicarmi in mezzo a quello che mi sembra quasi imbarazzo: mi è parso che inciampasse nelle sue stesse parole; ma prima che possa emettere anche solo un suono, la voce della cameriera personale della zia Elroy ci interrompe.

Sono già passati i cinque minuti? Davvero?!

"Accidenti!", mormoriamo tra i denti, a una sola voce. Ridacchiamo, con uno sguardo complice, e Albert mi riserva un baciamano lungo e intenso, come se mi stesse baciando le labbra. Da quel contatto assorbo tutto il suo amore e mi concedo di guardarlo con la medesima intensità.

"A dopodomani, amore mio", gli soffio allontanandomi a malincuore da lui, cercando di inghiottire il nodo che ho in gola. La sua espressione contrita e contrariata esprime solo in parte ciò che sento anche io.
 
- § -
 
Non ci credo, è ridicolo, assolutamente ridicolo! Io, William Albert Ardlay, patriarca della famiglia, con potere decisionale persino superiore a quello della zia Elroy, non riesco a rimanere da solo con la mia fidanzata per il tempo necessario a darle la buonanotte?!

Che io sia dannato se capisco queste abitudini ridicole di tenere lontani i fidanzati prima del loro matrimonio per adempiere a doveri di dubbia utilità, come se stando insieme potessero dare chissà quale scandalo!

Abbiamo vissuto insieme, da soli, per più di due anni e ho sempre portato il massimo rispetto a Candy, anche se le voci ci sono state, non posso negarlo.
Mi porto le mani al viso, ricordando come, per la fretta di comunicarle qualcosa d'importante, stasera le abbia detto una frase così sibillina che sto ancora ringraziando il Cielo che Allie non ci abbia sentiti. Penso che, qualora fosse accaduto, non sarebbe stata ingenua quanto la mia dolce Candy e avrebbe quantomeno gridato.

"Ho qualcosa da darti nella mia stanza. Volevo farlo stasera, ma...".

"Idiota, idiota, idiota!", mormoro a me stesso, senza riuscire a trattenere un risolino nervoso. Per fortuna che Candy ha un animo puro e semplice e non ha colto alcun doppio senso sconveniente o penso che mi sarei sotterrato all'istante.

Sospiro in modo pesante, voltandomi per guardarlo, quell'oggetto, appoggiato sul ripiano del mio comodino. Rotolo sul fianco dalla posizione distesa e mi siedo sul letto per prenderlo, lo apro e ne ascolto la musica delicata: sarà anche il carillon della felicità di Candy, ma strappa un sorriso anche a me. E, inevitabilmente, anche una dolorosa fitta di malinconia.

Mio caro Stair, se fossi qui avresti creato un'altra invenzione per farci incontrare di nascosto, stasera, lo so.

Richiudo il coperchio, riponendolo in un cassetto al sicuro e mi sdraio di nuovo con le braccia dietro la nuca. Scocco un'occhiata all'orologio e mi domando per un istante se sia il caso di scendere in studio con la speranza che lei mi raggiunga lì: ma, anche se avesse terminato con la zia, Candy sarà di certo sfinita.

E, a dirla tutta, lo sono anche io.

Muoio dalla voglia di baciarla prima di dormire, perdermi nel suo sapore fruttato, sentirla contro di me in quell'abbraccio morbido di cui non posso più fare a meno...

Dopodomani ci sarà questo... e molto altro... oh, mia Candy, mi ubriacherò nel profumo della tua pelle... finalmente...

Un lieve gemito di soddisfazione si fa strada nella mia gola e mi rendo conto che è la reazione di un adolescente romantico che sogna la sua fidanzata.
Perso nei miei pensieri persino dolcemente arditi, sento comunque l'urgenza di risolvere la questione del carillon: se domani non posso vederla come faccio a darglielo? Questa consapevolezza mi fa scattare in piedi come una molla e comincio a passeggiare per la stanza.

Torno all'inizio del mio ragionamento, ripetendomi di nuovo quanto sia assurda questa situazione. Chi mi impedisce di andare a bussare alla sua porta, adesso? O di reclamare la sua compagnia, da soli, per un paio d'ore domani? Non è che stia rompendo la tradizione di guardare il suo abito da sposa o la stia compromettendo, voglio solo mantenere la mia promessa di restituirle il carillon riparato prima di sposarci!

Domattina mi farò sentire, oh se mi farò sentire! Sono il capofamiglia, no? Bene, discuterò anche con la zia se necessario!

Forte di questa decisione appena presa, mi getto di nuovo sul letto. Sono stanco, lo ammetto. Domani devo portare a termine alcune faccende, ma nulla di così faticoso da non consentirmi di riposare un poco prima del grande evento e, soprattutto, di vedere Candy.

"Candy", è l'ultima cosa che mormoro prima che le palpebre diventino così pesanti che scivolo nel sonno quasi senza accorgermene.

Quando riapro gli occhi la luce del sole mi acceca e capisco subito che ho dormito in modo tanto profondo da svegliarmi più tardi del solito. Sono persino nella medesima posizione di ieri sera, supino e con la testa girata di lato. Mi muovo piano, sentendo una fitta al collo, i muscoli intorpiditi e doloranti, e mi trascino sotto la doccia: l'acqua calda rigenera tutto il mio corpo e quando scendo mi viene subito chiesto se voglio fare colazione.

Opto per un toast e del caffè, non voglio perdere troppo tempo. La faccia della cameriera che mi vede addentare il pane e prendere un sorso dalla tazza mentre cammino verso lo studio, senza neanche sedermi a tavola, è così sconvolta che per poco non le scoppio a ridere in faccia.

Sono ansioso di portare a termine la mia missione ma allo stesso tempo cammino a tre metri da terra.

Domani!

Quando entro in studio, con il toast in una mano e la tazza nell'altra, sto persino canticchiando e George e Archie, che si trovano alla mia scrivania, smettono di parlare di colpo e mi guardano con gli occhi sgranati: "Buongiorno! Scusate il ritardo!", esordisco, ficcando in bocca il resto del panino e mandandolo giù con il caffè rimasto, non strozzandomi per un pelo.

So di non essere un esempio di buona creanza, ma non mi formalizzerò davanti al mio braccio destro che è come un padre per me, o a mio nipote.
"Beh, direi che non c'è bisogno di chiederti come stai. A malapena ti trattieni dal metterti a ballare!", mi apostrofa Archie ridacchiando.

"Posso anche farlo, ma sfortunatamente ho delle cose da sistemare, quindi mi tocca rimandare a domani". Come se avessi pronunciato delle parole magiche, anzi, una parola magica, i miei occhi si chiudono e sospiro come una ragazzina. Lo so, sono senza speranza.

Sento persino la risata composta di George: "Mi perdoni, ma la sua gioia è contagiosa, signorino William. E comunque qui mancano solo un paio di firme da parte sua, dopodiché può andare con il sarto a fare le prove per l'abito e tutto ciò che è necessario per la giornata di... domani", conclude calcando sull'ultimo termine.

"Oh, no, hai detto di nuovo 'domani', ora farà un'altra volta quella faccia...", si lamenta Archie mentre, in effetti, la mia espressione inizia a mutare.

Trattenendomi, lo scruto con gli occhi socchiusi: "E dimmi un po', tu che parli tanto: che espressione avevi il giorno prima del tuo, di matrimonio? Se non ricordo male ti ho persino trovato sciolto in lacrime nel giardino".  

La sua faccia diventa rossa come un pomodoro e sembra arrabbiato: "Non ero in lacrime! Ero solo... commosso", mormora con tono imbarazzato, strappando un altro sorriso a George, un vero record per lui. "E comunque aspetta di vedere Candy nel suo abito da sposa, ti sfido a rimanere impassibile e a non emozionarti", conclude in tono di sfida.

Sfida che non raccolgo: "Impossibile", rispondo in modo trasparente, senza negare ciò che sono sicuro accadrà.

Alza gli occhi al soffitto e mi porge i documenti da firmare. Quando mi congedo da entrambi ho un solo obiettivo, cammino a testa bassa e grandi passi fino a bussare alla porta di zia Elroy. Quando entro, la delusione deve essere evidente sul mio viso perché lei mi fissa con piglio severo e mi dice: "Candice non è qui, sta facendo le prove del suo abito da sposa al piano di sopra e anche tu dovresti essere con il sarto".

"Capisco, ma devo vederla", dico senza preamboli.

Gli occhi le si spalancano tanto che ho quasi l'impressione che stiano per traboccarle dalle orbite: "Non è assolutamente possibile!", ribatte come se le avessi appena chiesto di partire di nuovo per l'Africa per sposarmi lì.

Cosa che ho il desiderio ardente di fare, da qualche tempo a questa parte.

"Lo vedremo!", ribatto con un tono quasi minaccioso, richiudendo la porta. Trasalgo, rendendomi conto di cosa ho appena fatto: devo essere davvero stanco e sconvolto. La riapro senza bussare e aggiungo, a mo' di scuse: "Buon proseguimento di giornata, zia Elroy, ci vediamo a pranzo", concludo con un cenno della testa.

Lo sguardo che vedo non mi comunica in maniera molto chiara se abbia perdonato la mia maleducazione, però spero abbia compreso il mio particolare stato d'animo, così come hanno fatto Archie e George.

Visto che Candy sta provando l'abito da sposa mi limito a sognarla, ma non oso salire: l'unica tradizione cui sarò ligio sarà quella di non vederlo prima che attraversi la navata della Chiesa. Ne approfitto per lasciare che il sarto termini di prendere le misure e di fare aggiustamenti alle maniche della giacca, all'orlo dei pantaloni, suggerendomi persino il papillon giusto da abbinare alla camicia.

Stare fermo come una specie di manichino, soprattutto considerando che subito dopo la cerimonia indosserò il kilt, a farmi puntare spilli e misurare con il metro mi frustra oltre i limiti della sopportazione. D'altronde, anche io voglio essere perfetto per lei, molto più che per la società che avrà gli occhi puntati solo addosso a noi.

Quando alla fine riesco a liberarmi da quella specie di tortura è quasi ora di pranzo e per me rappresenta una specie di 'ora X'. Non so descrivere la mia delusione quando, nella sala principale, trovo solo Archie con sua moglie Annie e George, con i camerieri che stanno servendo le prime portate.

"Finalmente!", esordisce mio nipote, "pensavamo ti fossi messo a dieta perché l'abito ti andava stretto".

"Dov'è Candy?", vado subito al punto.

Mi risponde Annie: "Sta pranzando in camera della zia Elroy. Le sta dando... le ultime indicazioni", mi confessa con quella che sembra una punta d'imbarazzo. Il che mi conferma che tutti si sono resi conto di quanto mia zia si stia adoperando per tenere lontana Candy da me, nonché per farla arrivare al limite della sopportazione con le sue presunte lezioni di buone maniere.

Aggrotto le sopracciglia e marcio, di nuovo e senza esitazioni, verso la sua stanza, ma la voce urgente di George ferma i miei passi: "Perché non mangia un boccone con noi e poi prova a vedere se la signora la lascia parlare con la sua fidanzata? Di certo anche loro stanno pranzando, ora".

"Ma la tradizione vuole...". Sono di spalle ma vorrei piantare uno sguardo assassino su Archie.

"Lascia stare la tradizione, Archie!". Meno male che Annie ha più giudizio...

Cerco di ritrovarne un briciolo anche io e, prendendo respiri profondi per calmarmi, mormorando tra me e me ancora una volta quanto tutto questo sia ridicolo, mi metto a tavola e mi sforzo di mangiare qualcosa, visto che la mia colazione è stata pressoché inesistente.

Non riesco a smettere di muovere un piede sotto al tavolo, però, e quando finalmente il pranzo termina mi alzo, mi congedo come si conviene e fingo di non udire le risatine e le parole di scherno di Archie. Ma, alla prima occasione, mi riprometto di insistere sulle reazioni molto poco virili a ridosso del suo matrimonio.

Mi scioglierò in lacrime anche io, quando la vedrò domani, temo sarà ineluttabile...

Busso alla porta della stanza della prozia con decisione e quasi non attendo la sua risposta, che arriva dopo qualche istante come se non aspettasse visite. All'inizio, i miei occhi sono calamitati dalla figura di Candy, china su un libro con i riccioli che le coprono parte del viso. E, quando alza quel viso per guardarmi, le sorrido dal profondo del cuore.

"Albert!", esclama perdendo la concentrazione in un istante, cosa che mi riempie d'orgoglio.

"Candice!", la redarguisce la zia Elroy, forse per non avermi chiamato col nome giusto. "E anche tu, William, che ti salta in mente? Non lo sai che la sposa...".

"La sposa non può essere vista prima del matrimonio, e mi pare che manchino ancora più di venti ore. Inoltre, non mi sembra stia indossando il suo abito, quindi non ci porterà male", taglio corto.

"Questo è inaudito!", protesta alzandosi di scatto dalla sedia, ma la vedo con la coda dell'occhio perché sto sorridendo a Candy che mi ricambia con gioia pura nello sguardo.

"Sai cos'è inaudito, zia?", continuo entrando nella stanza e tendendole la mano perché mi segua, "che io, che sono il capofamiglia, non abbia il diritto di starmene un po' in pace con la mia fidanzata prima di sposarla. Avete mai pensato che potremmo aver necessità di discutere tra noi?".

"Ma... ma...". La zia Elroy è senza fiato, sembra davvero non credere alle sue orecchie.

Candy sembra indecisa e scocca occhiate ansiose a lei e a me, mentre si alza per fare il giro della scrivania alla quale era seduta, afferrando la mia mano. In realtà ha già deciso, lo so.

"La prego, ci lasci solo qualche minuto, le prometto...", comincia titubante.

La tiro verso di me, ponendole una mano sulla spalla come rivendicandone il possesso, anche se è un termine improprio. La interrompo con dolcezza: "Avremo un paio d'ore di tempo e staremo in giardino, alla luce del sole. Senza Allie".

"Senza Allie!", ribatte la zia stravolta. Per fortuna che, all'ultimo istante, ho optato per il giardino desistendo dal chiedere a Candy di salire nella mia stanza, o sarebbe svenuta direttamente.

"Sì, senza Allie, e per l'amor del Cielo, non fare quella faccia! Hai davvero così poca fiducia nel nipote e nella sua futura moglie che tu stessa hai contribuito a educare?", aggiungo sapendo di cogliere nel segno.

Le sue labbra si stringono: sì, in effetti ho colto nel segno. "Avete un'ora, non di più. Devo terminare di spiegare a Candice...".

"Un'ora e mezza", patteggio stringendole la mano mentre la sento quasi tremare al mio tocco.

Gli occhi della zia ci scrutano per lunghi istanti. Sostengo il suo sguardo con serietà, e comprendo all'improvviso che questa è la prima, piccola battaglia di una lunga serie che ci attende: devo uscirne vittorioso se voglio che il nostro futuro sia davvero radioso e libero da stupide imposizioni.

"E sia", si arrende la zia, abbassando gli occhi per prima, facendomi rilasciare un sospiro. Sento la tensione allentarsi persino in Candy. "Ma mi raccomando...".

"Certo zia, puoi stare tranquilla", dico senza ascoltare il resto, sorridendo alla mia fidanzata mentre lei mi rimanda il medesimo sorriso, tirandola via da quella specie di stanza-prigione e correndo fuori mentre odo da lontano il mio nome dalla voce altera della zia.

Ridiamo come ragazzini che stanno commettendo una marachella, affrettando il passo fino ad arrivare in giardino col fiatone, le risa divenute quasi un singulto convulso che ci fa chinare con le mani sulla pancia. Senza perdere altro tempo la bacio, la bacio come avrei voluto fare da giorni e lei ricambia con tanto entusiasmo che quasi mi dimentico il motivo principale per cui l'ho trascinata via a forza.

Le sue labbra si dischiudono quasi subito e la nostra deliziosa esplorazione continua con una certa urgenza, esacerbata dalla lunga attesa.

Domani... domani questa attesa si concluderà per sempre...

Prima di perdere il lume della ragione, mi stacco da lei con gentilezza e le dico: "Candy, aspettami qui due minuti, va bene? Devo andare a prendere una cosa in camera mia ma non voglio portarti con me rischiando di attirare l'attenzione di mezza casa", dico piano alzando le labbra per piantarle un ultimo bacio sulla fronte.

Nelle sue iridi, di quel verde che tanto ho imparato ad amare, si accende un lume di consapevolezza e Candy annuisce, non prima di avermi risposto: "Non metterci troppo, però".

"Volo!", ribatto correndo via. E mi sembra davvero di volare.
 
- § -
 
Ho ancora il cuore che mi batte nel petto come un tamburo e vi poggio le mani con un sorriso mentre mi siedo sull'erba. Mi sento come l'eroina di un libro che sia stata rapita, ma dal suo principe.

Dal mio Principe della Collina.

Ero rassegnata a non vederlo fino a domani, invece abbiamo finalmente un po' di spazio per noi. Per parlarci come ci sentiamo liberi di fare, per abbracciarci... per baciarci. Dio, come mi mancavano i suoi baci! So che non dovrei fare pensieri poco casti, ma la zia Elroy può guidarmi a comportarmi come una signora di fronte alla società, non imporre a me o ad Albert di non fare ciò che desideriamo quando siamo soli.

La nostra sfera privata non riguarda nessun altro se non noi due e questo è ineluttabile. Si tratta di un aspetto che ho visto difendere con le unghie e con i denti da Albert poco fa e ho intenzione di farlo anche io.

Facciamo parte di quella che forse è la famiglia più in vista di Chicago, una delle più influenti degli Stati Uniti ed è un dato di fatto che la nostra presenza in società sarà molto richiesta. Ma avremo i nostri spazi, ne abbiamo parlato spesso: seguirò mio marito in viaggio e fuggiremo per delle vacanze in mezzo alla natura od ovunque ci detterà il cuore ogni volta si renda possibile.

Forse ci fermeremo un poco solo quando nasceranno i nostri figli, ma insegneremo loro la stessa libertà che pretendiamo noi. Il pensiero di avere figli da Albert mi fa di nuovo accelerare il battito cardiaco: portare in grembo una nuova vita, cercare negli occhi il colore dei suoi o dei miei, provare l'emozione di stringerlo a me mentre lui circonda entrambi in un abbraccio...

"Cosa sta pensando la mia fidanzata per avere le guance più rosse delle rose che le ho mandato la settimana scorsa?". La sua voce, dolce e gentile, vicina al mio orecchio, mi fa sussultare e mi volto a guardarlo, il mio sorriso che si allarga.

"Stavo pensando ai bambini che avremo", rispondo con sincerità, mentre lui si siede sull'erba accanto a me.

Lo sguardo ridente diventa serio e profondo e le sue mani cercano le mie. Le stringono, le accarezzano con un gesto leggero dei pollici, trasmettendomi piacevoli brividi. Le iridi celesti sembrano brillare alla luce del sole: "È un pensiero meraviglioso, amore mio. Lo faccio spesso anche io, sai? E quanti ne vorresti?".

Un nodo di emozione mi stringe la gola: "Tutti quelli che Dio ci concederà, purché somiglino a te", rispondo con voce incrinata, cercando di non rovinare questo momento con lacrime di gioia. Le sento già bruciare negli occhi e faccio uno sforzo infinito per trattenerle.

"Io invece sogno che somiglino a te", ribatte lui e capisco, dal tono commosso, che quello che brillava prima nei suoi occhi non era solo il sole.

Rido piano alla sua affermazione, ma perdo la mia battaglia con le lacrime e lui si affretta ad asciugarmele con le dita. Il suo tocco mi fa prendere un respiro tremulo e vedo che deglutisce un paio di volte sbattendo le palpebre: l'ho visto così emozionato solo quando mi ha confessato di essere il mio Principe della Collina e quando mi ha parlato di George.

"Albert", dico il suo nome con dolcezza, toccata da questo lato sensibile che lo rende così speciale.

"Accidenti, e dire che avevo quasi scommesso con Archie che non mi sarei commosso prima di vederti entrare dalla porta della Chiesa", ribatte alzando lo sguardo al cielo con una punta di esasperazione.

Rido più apertamente e lo abbraccio di slancio: "E io, parlandoti dei bambini che avremo, ti ho fatto perdere la scommessa, vero?".

"Sì, ma non mi importa nulla. Non c'è niente di me che voglio nasconderti: il mio cuore, la mia anima e le mie emozioni sono tuoi. Così come tu li condividi con me", risponde con voce vibrante prima di avvicinarsi per un altro bacio. E per un altro ancora.

Non mi interessa se ci spiano dalle finestre. Non mi interessa se stiamo dando scandalo baciandoci nel giardino dove tutti possono vederci. Questo momento è solo nostro.

Albert si stacca da me con un sussulto, come se si fosse dimenticato di qualcosa. Mentre borbotta un "oh, già!" e si porta la mano alla tasca, so subito di che si tratta. In realtà, me n'ero quasi scordata anche io.

La vista del carillon di Stair mi porta una nuova ondata di emozione, come una giostra che non si è mai realmente fermata: lo prendo dalla sua mano e lo apro. La sua musica dolce arriva al mio cuore e stavolta piango di gioia.

"Ehi, non doveva essere il carillon della felicità? Stair non vorrebbe vederti così", mi rimprovera con dolcezza carezzandomi le guance.

"Lo so, hai ragione. Ma sono lacrime di felicità, so che lo capirà", ribatto alzando il viso su di lui. "Come hai fatto?", domando con genuina curiosità.

Lui sospira: "Beh, all'inizio avevo quasi paura di romperlo, tanto è piccolo e composto da pezzi minuscoli. Solo dopo averlo smontato ho capito che mi serviva l'aiuto del suo inventore. Così sono andato a casa di Archie e ho chiesto il permesso di entrare nel suo studio per cercare il progetto originale. Era così ben fatto, che il lavoro è stato solo manuale, alla fine: in un cassetto c'erano persino le viti di ricambio. Se non fosse stato per la mole di lavoro che ho avuto e per quel viaggio imprevisto, te lo avrei restituito molto prima. Mi dispiace".

Attendo a malapena che finisca di parlare, poi gli getto le braccia al collo e gli schiocco un bacio enorme sulle labbra. Ha appena il tempo di ricambiarmi.

"Grazie, amore mio. Questo è il regalo più bello che potessi ricevere prima di sposarti! Lo aprirò solo nelle occasioni importanti, d'ora in poi. Domani e... quando aspetteremo il nostro primo figlio". Chiudo gli occhi, sentendomi di nuovo invadere da tanti piccoli brividi nel petto, sulle braccia, fin dentro l'anima.

Albert mi circonda in un abbraccio mentre la musica rallenta fino a terminare. Quando accade, le nostre mani si sovrappongono per chiuderlo insieme.

"Fino alla prossima volta, allora", mormora lui.

"Fino alla prossima volta", ripeto appoggiando il capo al suo.

So che il nostro tempo insieme in giardino da soli sta per terminare e che devo tornare dalla zia Elroy. So che prima di stasera ho l'ultima prova dell'abito, nonché dell'acconciatura e che di certo qualcosa non sarà perfetto come lei vuole.

Ma non mi interessa più, perché domani a quest'ora saremo solo io e Albert, con il nostro amore e i nostri sogni, il futuro luminoso a portata di mano come il carillon che ora stringo nella mia.

Il calore delle braccia di Albert e il suo respiro sul mio viso mi avvolgono come una benedizione e rivolgo il mio pensiero a Stair. Sì, amico mio, il tuo carillon mi ha portato la felicità: ce l'avevo proprio a un soffio e ora sarà con me per sempre.

E tu ci accompagnerai, grazie a queste note delicate che un giorno hai pensato di creare per me.
   
 
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