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Autore: MrStank    08/08/2021    0 recensioni
[Crossover 9-1-1/9-1-1 Lone Star] - [20.175 parole]
[Evan "Buck" Buckley/TK Strand, Carlos Reyes/TK Strand, Evan "Buck" Buckley/Eddie Diaz, Evan "Buck" Buckley & TK Strand, Eddie Diaz & Carlos Reyes]
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La vita è fatta di scelte, o almeno è quello che continuiamo ostinatamente a ripeterci.
Ma cosa succederebbe se il proprio mondo venisse capovolto in pochi istanti? O meglio, in poche parole?
.
«Cosa è successo?»
Qualcuno gli stava chiedendo qualcosa, anche se non riusciva a capire esattamente di cosa si trattasse.
Qualcuno aveva cominciato a scuoterlo per le spalle.
Mise a fuoco colui che gli stava parlando con il volto accartocciato dal dolore.
Batté le palpebre.
Oh, lui non si è rassegnato, pensò.
«TK!»
Il suo nome, insieme alle vigorose scosse che stava ricevendo, lo fecero tornare violentemente alla realtà.
«Cosa cazzo è successo?!» ripeté l'uomo fuori di sé.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: AU, Cross-over, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera,
A voi l'ultimo capitolo!
Il titolo si riferisce all'omonima canzone del gruppo rock tedesco Scorpions "Sign of Hope".
La adoro e spero che la apprezzerete anche voi, soprattutto in relazione all'ultima parte del capitolo.


L’incendio nella Gila National Forest aveva ormai perso potenza e pian piano le squadre esterne venute in supporto di quelle locali venivano invitate a tornare nelle rispettive città.
La 126 di Austin era rientrata dopo dieci estenuanti giorni di lavoro e la squadra era distrutta.
Per la prima notte, TK chiese ospitalità al padre. Presentarsi nella casa che condivideva con Carlos senza averci prima parlato era fuori discussione.
Sarebbe stato decisamente fuori luogo.
Aveva passato la notte a preparare mentalmente un discorso degno del suo ragazzo (gli piaceva pensare che lo fosse ancora), ma era crollato dopo le prime frasi.

La mattina si era armato di tutte le migliori intenzioni e, dopo essersi fatto dare i turni di lavoro di Carlos, aveva deciso di scrivergli e chiedergli se potessero incontrarsi.
Le ore che passarono tra l’invio del messaggio e la risposta del poliziotto furono estenuanti, ma non poteva certo fargliene una colpa.
Si era comportato ingiustamente nei suoi confronti ed era naturale che Carlos volesse prendere del tempo per pensare a cosa fare. TK sperò nella gentilezza dell’anima del suo ragazzo, che difficilmente gli avrebbe negato la possibilità di spiegarsi.
A meno che tu non l’abbia ferito talmente tanto da far sì che non voglia avere più nulla a che fare con te, gli suggerì malefica la sua mente.

Un paio di ore più tardi, TK aveva l’orario e il luogo in cui Carlos voleva incontrarlo.
Il poliziotto aveva scelto un parco non lontano dalla stazione di polizia, un luogo che sapeva essere molto rilassante per lui.
TK si era vestito con calma, aveva coperto le sue parole con il solito orologio e si era diretto con la macchina verso il luogo prestabilito, andando poi a sedersi su una panchina dalla quale si aveva una bella vista del laghetto artificiale che era stato posizionato poco lontano.
Carlos arrivò con quaranta minuti di ritardo ancora in divisa, segno che il suo turno si era prolungato più del previsto.
Quei minuti non avevano fatto altro che aumentare l’ansia di TK, che aveva dovuto dar fondo a gran parte delle sue energie per non dare fuori di matto.

Quando si accorse dell’arrivo di Carlos, TK si alzò in piedi ma non osò avvicinarglisi.
Non diede il tempo al poliziotto di aprire bocca che subito cominciò a parlare, temendo quello che l’altro avrebbe potuto dire prima che riuscisse a spiegarsi, a chiedere perdono.

«Ti devo delle scuse», iniziò il paramedico, «il modo in cui mi sono comportato nei tuoi confronti è stato orribile. Il fatto che stessi male non giustifica nulla di quello che ho detto e fatto».

Carlos aprì la bocca per dire qualcosa ma TK lo fermò prima che potesse farlo.

«Ti prego, fammi finire», chiese. 

Carlos annuì e lo lasciò parlare.

«Io… avevi ragione, su tutto. Ho visto Buck il giorno in cui sei tornato ad Austin, abbiamo parlato e… Non importa, ho realizzato qualcosa che in cuor mio già sapevo: tu sei la mia priorità. Nessun paio di occhi azzurri possono valere i tuoi», affermò TK.

Gli occhi di Carlos, che per un momento si erano riempiti di paura e si erano induriti, si ammorbidirono di colpo.   

«TK...» iniziò, ma venne interrotto di nuovo.

«Io amo te. Sono innamorato di te e qualsiasi cosa possa dire l’universo, questo non lo si può cambiare. Io… So che a parole non bastano. Vorrei potertelo dimostrare», concluse quasi disperato.

«Finito?» chiese Carlos.

TK annuì mordendosi nervosamente il labbro.

«Mi ha ferito molto il tuo comportamento, non posso negarlo. Ho avuto paura di perderti perché lui ha qualcosa che io non potrò mai avere, lui è qualcosa che io non potrò mai essere», disse il poliziotto. 

«Non sei stato l'unico a riflettere in questi giorni», continuò, «e TK, io preferirei accantonare la vicenda. Non perché non sia importante, ma perché non riuscirei a capirla. Non ce la farei ad ascoltarti parlare di un altro uomo, di come ti senti vicino a lui, di come sia diverso. Tu lo diresti senza cattiveria, magari solo per aiutarmi a comprendere qualcosa che mi è estraneo, ma io lo percepirei sempre come un modo per dirmi di non essere abbastanza». 

Carlos, nonostante cercasse di nasconderlo, appariva così vulnerabile in quel momento...
Quella rivelazione permise al giovane paramedico di vedere sotto una luce diversa il loro litigio.
Il suo ragazzo non aveva voluto fretta di chiudere l’argomento per superficialità, perché non capisse l’importanza che aveva per lui o perché non gli interessasse. Semplicemente, dopo averlo sentito parlare di tutto quello che la “morte” di Buck aveva scatenato in lui, aveva, in realtà, chiesto pietà. Probabilmente ogni sua parola lo aveva ferito e lui, invece di accorgersene di e accettare la proposta di Carlos di superarla insieme, aveva rincarato la dose. 

Non sono solo un paio di occhi azzurri.

TK si vergognò di sé stesso. Non tanto perché in quell’affermazione ci fosse ben più di un fondo di verità, ma perché era stato così meschino nei confronti del suo ragazzo.
E poi aveva rifiutato il suo aiuto nel momento in cui era stato preda del panico, affidandosi completamente al padre, a qualcun altro.

«Io non… non ne avevo idea…» rispose TK scuotendo leggermente il capo. 

Poi alzò gli occhi per incrociare quelli caldi e marroni di Carlos, si avvicinò e gli prese esitante una mano.

«Babe, tu sei tutto per me. Probabilmente, anzi, sicuramente molto più di quello che mi meriterei», affermò deciso. «Ti prometto che non dirò una parola sull’argomento e che la supereremo insieme. Sempre che tu voglia avere ancora a che fare con me».

Carlos gli strinse la mano che il ragazzo aveva fra preso fra le sue. Come poteva TK dubitare che lo volesse ancora con sé?
Gli sorrise e lo abbracciò stretto, felice di sentire le braccia di TK stringerlo questa volta senza esitazione.

«Torniamo a casa», gli sussurrò nell’orecchio.

TK si asciugò gli occhi umidi sulla divisa di Calos, felice di aver fatto pace con il suo ragazzo.
Non si illudeva che sarebbe tornato tutto come prima, ma si sarebbe impegnato per essere all’altezza del poliziotto e del suo buon cuore.
Certo, il modo in cui si era sentito mentre veniva stretto da Buck era diverso rispetto alla sensazione che provava tra le braccia di Carlos, ma non gli importava. Era a casa adesso.

 

⋄◉⋄

 

Una volta tornato a Los Angeles, Buck aveva dovuto aspettare un po’ prima di poter tornare pienamente operativo. Lo avevano costretto a casa per un paio di settimane, in modo da dare tempo ai suoi polmoni di stabilizzarsi e alla sua mano di guarire.
Eddie ed Hen avevano invece ripreso subito e questo aveva permesso a Buck di passare un po’ di tempo da solo con sé stesso.

Nonostante i giorni passati, ogni volta che i suoi occhi catturavano la scritta nera sul suo polso, Buck rimaneva come rapito. Gli tornavano in mente le sensazioni provate in compagnia del giovane dagli occhi muschiati e rimpiangeva di averne avuto così poco a disposizione.
La compagnia di TK era bella e il ragazzo gli mancava.
Sarà un effetto collaterale di questa faccenda delle anime gemelle, pensò Buck.
Per evitare di distrarsi ogni pochi movimenti, il pompiere aveva deciso di mettersi alla ricerca di un qualcosa che potesse coprire quelle parole incantatrici.

Dopo aver girato diversi negozi, aveva finalmente trovato un bracciale in pelle che faceva al caso suo, abbastanza nel suo stile da non suscitare troppe domande.
Quelle parole erano sue, non gli andava di condividerle o di dare spiegazioni ad altri.
Adesso capiva perché l’infermiera che si era occupata di lui in ospedale si era preoccupata di distogliere lo sguardo e perché il protocollo dell’ospedale lo imponesse.
In realtà, l’unico che le aveva viste era stato Eddie.

Eddie.
Buck aveva da tempo ammesso, almeno a sé stesso, di provare qualcosa in più per l’amico e ogni tanto gli sembrava di non essere l’unico.
La serata cinema promessa a Christopher era andata alla grande, i tre avevano mangiato una pizza formato gigante sul divano di casa Diaz e quando il bambino era andato a dormire, lui ed Eddie erano rimasti a parlare per diverso tempo.
Quando il padrone di casa gli aveva offerto una birra, seguita poi da un altro paio, le loro dita si erano sfiorate e Buck aveva visto qualcosa negli occhi dell’altro.
Peccato che poi Eddie aveva fatto di tutto per evitare qualsiasi contatto, almeno fino al momento in cui si erano salutati.
Buck aveva urtato un mobile e il rumore aveva svegliato Christopher che si era alzato per andare a salutarlo. Aveva abbracciato il bambino e poi Eddie, ricevendo da entrambi un sorriso dolcissimo che lo aveva fatto sperare.

Peccato che poi il giorno dopo, durante il turno in caserma, Eddie si fosse comportato come durante i primi tempi della loro conoscenza, stupendo non solo Buck ma anche tutta la squadra.
Per quanto si sforzasse, Buck non riusciva a capire il motivo di quel comportamento altalenante.
Stanco di quell’atteggiamento, una sera aspettò che lui ed Eddie fossero soli nella caserma e lo mise all’angolo, determinato ad ottenere delle risposte.

«Vuoi dirmi cosa diavolo hai?» chiese Buck improvvisamente.

Eddie sollevò lo sguardo dal borsone che stava riempiendo e gli rivolse uno sguardo interrogativo.

«Andiamo amico, non fare quella faccia, sai benissimo di cosa sto parlando», aggiunse. «È da quando siamo tornati dal New Mexico che ti comporti come un fottuto idiota».

L’altro vigile del fuoco sospirò. Aveva sperato di riuscire ad evitare quella conversazione ancora per un po’, ma quando Buck si metteva in testa una cosa, niente e nessuno erano in grado di farlo mollare prima che l’avesse ottenuta.

«Le cose sono cambiate Buck»

«Grazie tante, è il verso in cui lo hanno fatto che mi sfugge», rispose il biondo.

Di fronte al silenzio di Eddie, Buck commentò: «Pensavo di meritarmi almeno una risposta...» 

«Potrei provare qualcosa per te», sussurrò Eddie.

«Cosa?» chiese l’altro colto totalmente di sorpresa.

«Hai sentito», ribatté Eddie. 

«E hai pensato che passare dal farmi gli occhi dolci all’ignorarmi completamente fosse un buon modo per dimostrarlo?» chiese Buck incredulo.

«Non ti ho mai fatto gli occhi dolci», mormorò l’altro

«Non è questo il punto», concluse il biondo.

«Non sapevo come comportarmi, ok? Fra quello che è successo fra noi e la storia di TK...» ammise Eddie.

Ovviamente c’entrava la "storia di TK".
Buck scosse la testa. 

«Eddie, TK è un’altra cosa. Perché dovremmo lasciare che delle discutibili parole cambino la nostra relazione?» chiese.

L’altro pompiere lo guardò come se fosse stupido.

«Forse perché non sono solo delle discutibili parole Buck, indicano che lui è la tua fottuta anima gemella. Probabilmente potrebbe offrirti molto di più di quanto potrebbe fare chiunque altro e io… noi… Non so nemmeno se siamo effettivamente qualcosa o se lo potremo essere», disse leggermente frustrato.

L’incertezza di Eddie venne colta completamente da Buck che, nonostante avesse ottenuto più di quello che aveva pensato, ne rimase comunque un po’ ferito.
Decise di andargli incontro. 

«Eddie, tu e Christopher siete già la mia famiglia e se deve succedere qualcosa fra noi succederà», gli disse avvicinandosi leggermente. «Prendiamoci i nostri tempi, non ci corre dietro nessuno».

Il sorriso che sbocciò sul viso del moro fu sufficiente per Buck che gli sfiorò il braccio. Si avviarono verso l’uscita, l'uno a fianco all'altro, pronti a vedere dove quel qualcosa che c'era fra di loro li avrebbe portati. Era l’inizio di un nuovo percorso.

 

⋄◉⋄

 

I giorni passarono uno dopo l’altro, permettendo a Buck, Eddie, TK e Carlos di trovare un nuovo equilibrio e di scivolare in una nuova routine. Il New Mexico sembrò gradualmente diventare un ricordo fumoso.
Era successo tutto talmente velocemente che a volte sembrava fosse stato uno strano sogno, niente di reale. O forse era solo il desiderio che quanto successo non fosse irreparabile a renderlo tale.
Eppure, eppure esistevano parole, incise sulla pelle e nelle menti che non si potevano cancellare e che sarebbero rimaste costante monito che ci fosse uno sbaglio di fondo.

TK e Buck diminuirono drasticamente i contatti, limitandosi quasi a seguirsi su Instagram e a tenersi così aggiornati l’uno sull’altro. Impararono a comunicare in quel modo.
A volte era facile continuare a fingere che nulla fosse cambiato, eppure le loro vite erano state completamente capovolte.
C’erano stati momenti di difficoltà in cui la tentazione di confrontarsi e confortarsi era stata forte, ma avevano sempre evitato, sia per rispetto nei confronti di Eddie e Carlos, sia per l’istintivo timore che si sarebbero trovati troppo bene.
In qualche modo erano diversi e il loro cambiamento era stato notato un po’ da tutti.
 

Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non è più possibile descriverli come due sistemi distinti, perché in qualche modo sottile diventano un unico sistema.
In altre parole, quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti anni luce.


Equazione di Dirac, Paul Dirac, 1928


Dopotutto nella vita si tratta di scelte.
TK e Buck avevano scelto di scegliere altre persone rispetto a loro stessi, perché per quanto potessero cercare di negarlo anche a loro stessi, quello che avevano provato l’uno nelle braccia dell’altro era diverso. Era più che casa, più che l’inizio di un percorso. Era molto di più.

Ma sarebbe stato abbastanza? 

 


Bene, questa è la fine (😢).
È più breve degli altri capitoli, e l'elefante nella stanza è stato trattato (intenzionalmente) in modo approssimativo, ma è quello che è.

Spero davvero che la storia vi sia piaciuta. È stato un banco di prova per me e sono abbastanza soddisfatta del risultato.
Vorrei ringraziare coloro che hanno letto e tutti quelli che lo faranno in futuro.

Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate!

MrStank

   
 
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