Vento Siberiano
L’assordante coro
d’incitamento ruggì fra le tribune del campo sportivo avvolto nell’accecante
ultimo sfolgorio dell’imbrunire. Decine di fari accesi lungo il perimetro fecero
risaltare i colori sbandierati nell’aria fin dal mattino.
L’aria afosa e umidiccia dell’estate alle porte si unì al calore delle fiamme
avvolte attorno ai blader sulle pedane. Piume rossastre volteggiarono sull’incendio
attizzato dalla folata tempestosa del maestoso drago avviluppato attorno alla
fenice.
«Dragoon ora!»
«Forza Dranzer!»
Boris fu costretto a
riparare gli occhi dietro le braccia al forte boato della collisione, urlando
il nome del suo beyblade nel frastuono seguente. D’istinto al dissiparsi parziale
della polvere scansionò freneticamente ogni centimetro del semidistrutto
beyblade stadium. Ansia e sollievo mescolatesi insieme gli schiacciarono il
petto alla vista di Falborg ancora traballane incastrato fra due pesanti
blocchi inchiodati al centro della conca, un tempo parte integrante delle
pareti dell’arena allestita nel mezzo della distesa d’erba sintetica.
«Incredibile signori e
signore! La cupola di ghiaccio eretta da Wolborg è riuscita a deviare l’attacco
combinato di Takao e Kei!»
La massiccia coda bianca
del lupo ondeggiò a ritmo con i pesanti sospiri di Yuri accasciato a terra dinanzi
a lui. Un ginocchio premuto sul duro cemento, l’altro piegato a sostegno del
busto. Bit power e padrone avevano protetto entrambi il loro compagno di
squadra. All’imperioso cenno della mano appena sollevata Boris desistette dal
chiedergli come stesse riportando l’attenzione al centro dove le due trottole
avversarie ruotavano frenetiche.
«Ancora intenzionati a
combattere?»
Boris non seppe se ritenere
più irritante la logora sciarpa svolazzante con i trenta gradi all’ombra o il
sorrisetto sfacciato sul volto ricoperto da piccoli graffi inflitti dal
precedente attacco fallito di Falborg. Dranzer ruotava indisturbato in cerchi
concentrici sul bordo più esterno scontrandosi di tanto in tanto in rapidi
attacchi diretti esclusivamente contro Falborg.
«Falborg resisti!» urlò
incoraggiante trattenendo il fiato all’attrito.
Falborg aveva subito
danni più di quanto fosse disposto ad ammettere ed Hiwatari approfittava
appieno del suo punto debole. Il vento sprigionato da Dragoon era stato più
potente del suo, nell’offensiva a tenaglia avvenuta a metà incontro una lama
del suo disco d’attacco era saltata costringendolo in perenne stato precario.
In una posizione di
difesa che non gli apparteneva.
L’angolazione mal
calcolata o lo spostamento troppo pendente avrebbero messo fine alla sua
rotazione di per sé sbilanciata.
«Vuoi giocare al gatto
col topo?» lo sbeffeggiò Kei spostandosi leggiadramente di lato al volo di
alcuni detriti «Ti avverto, la preda sarai tu»
La fredda lucidità
acquisita negli anni d’addestramento in pratiche poco leali lo salvarono dalla
disfatta. Sfruttando il suo stesso difetto fece saltare un pezzo di stadio
usandolo come scudo. Dranzer implacabile si schiantò a ridosso di esso e i
frammenti di pietra schizzati all’impatto non travolsero il suo beyblade per un
soffio. Il tempestivo percorso ghiacciato di volute semitrasparenti creato alla
base di Falborg fu infine la sua ancora salvezza, la via per scivolare fuori
portata d’attacco.
«Non ci contare troppo
Hiwatari»
La punta d’acciaio scavò la
superfice gelata in una serie di volteggi a spirale acquisendo velocità.
Falborg stridette lama contro lama con Dranzer prima di essere scagliato in
direzione opposta rispetto all’avversario.
Yuri aveva anticipato e
continuava ad anticipare ogni sua mossa con una precisione maniacale in
piccolissimi accorgimenti ben lontani però da un gioco di squadra. Lui studiava
e analizzava i movimenti avversari conscio di poter sfruttare appieno il tratto
migliore di Wolborg: la resistenza. La prontezza di Yuri era più un
istinto di sopravvivenza cumulato alla pericolosità della sua formazione. Se
c’era una persona che Boris non avrebbe mai voluto fronteggiare in uno scontro
ufficiale per la vittoria, quello, era il suo capitano.
«Non male per un dilettante»
i lembi della sciarpa ondeggiarono insieme alle braccia incrociate davanti al
petto «Facciamo sul serio adesso»
Boris inclinò il capo
lateralmente con fare insolente.
Un difetto o un tic che Kei aveva ammesso di trovare irritante in una serata
alcolica come tante altre. Sfruttare le debolezze altrui era il suo punto
forte. Al pari del suo compagno dall’aria contrita considerava un incontro una vera
e propria guerra da dover vincere ad ogni costo.
Lui e Yuri non avevano mai
combattuto insieme – se non si contava il tre contro tre contro i dilettanti
della Bega – nemmeno negli allenamenti dopo la disfatta del progetto Borg. Il
gioco di squadra era una pratica troppo obsoleta e fuori dalle loro corde anche
solo per iniziare a praticarla.
Nonostante ciò, Boris insieme
a lui sentiva di poter distruggere chiunque osasse intralciare la loro strada. Era
diverso dal collaborare con Sergej o Ivan.
Yuri l’aveva sempre capito al volo.
«Hiwatari attento a non
volare troppo in alto» la lingua scivolò provocatoriamente sulle labbra inarcate
in un ghigno sfacciato «L’atterraggio può esserti fatale»
Falborg aumentò
vertiginosamente la propria velocità caricando la sfuggente trottola blu
elettrico. Dranzer sfrecciò all’indietro risalendo la curvatura disseminata di macerie
tallonato dalla perseveranza di Boris non intenzionato a cedere.
«Quello con un piede
nella fossa della sconfitta sei tu, Kuznestov»
La luce violacea attorno
al bit si illuminò pronta alla fuoriuscita dell’imponente falco senza concluderne
il processo. Una feroce tempesta d’aria scagliata dal drago azzurro giunse
inaspettata cogliendolo in pieno. Falborg traballò sulla breccia fine senza
però mollare l’inseguimento ormai labirintico in cui erano finiti lui e il suo
avversario, lotta ardita in cui Dragoon non si sarebbe mai intrufolato. Takao
aveva la smania per gli attacchi eccelsi, quelli che ti sorprendevano e
lasciavano con il fiato sospeso per la potenza d’urto. Tempeste impulsive e
dirompenti per nulla concilianti con stretti passaggi in cui calibrare ogni
singolo spiffero d’aria.
«Non ci sperare troppo
Hiwatari» lo punzecchiò nuovamente stando ben attento a non perdere di vista
l’andatura zizzagante del suo beyblade prossimo ad andare fuori rotta alla
minima distrazione «Il tuo problema è non vedere il quadro generale»
Kei scrutò con sospetto
il moscovita sollecitando Dranzer a lasciare un’infuocata scia lungo il
tragitto percorso. Le fiamme avvilupparono il beyblade del falco – divenuto un predatore
inferocito alle calcagna – nella morsa bollente dello splendente animale
sfavillante sulle loro teste.
Il fuoco della fenice era
forte, rovente, pericoloso come la lava vulcanica.
La scocca lilla di
Falborg non abituata alle alte temperature risentì la potenza del feroce calore
subendone il drastico contraccolpo nella rotazione. Il beyblade si abbatté
contro una delle rocce estetiche del terreno di gioco bloccando per una
frazione di secondo il suo vorticare a mezz’aria.
La placca superiore parzialmente
combusta mostrò le estremità ripiegate verso il basso di alcuni millimetri.
«Dicevi mio caro
Kuznestov?»
Boris era il perfetto
giocatore di poker clandestinamente finito in un ambito totalmente diverso. In
sconfitta o in vittoria non era chiaro cosa passasse nella sua mente enigmatica
e calcolatrice. Era arduo prevedere la prossima mossa o l’effettiva valenza di
una debolezza scovata, persino quando era messo alle strette.
Anche poco prima, quando Falborg aveva perso un pezzo in mezzo al campo. Boris
aveva contratto la mascella, una smorfia malcontenta, un ben chiaro dispiacere.
Tanto parte integrante di un piano suicida, tanto un semplice e sfortunato
incidente di percorso. Le spalle ancora tese in una rigida linea orizzontale
erano state l’unico accenno di disagio persistente.
Boris era fastidioso quanto
un calcio nei genitali.
«Do svidaniya*»
mormorò serafico la fonte dei suoi crucci mentali.
Dranzer schivò l’ennesimo
tentativo di abbordaggio sfuggendo dal raggio d’azione nemico. La base sfrigolò
allo strofinio con il beyblade stadium svincolandosi oltre la massa di pietre
in cui invece restò intrappolato Falborg.
Nonostante il vantaggio
schiacciante, la preoccupazione di Kei crebbe.
Boris non ciarlava a vuoto, tendeva a sproloquiare soltanto in presenza di
certezze.
A rallentatore si ritrovò
a piantare i suoi occhi ametista in quelli irriverenti difronte a lui. Il
frastagliato scenario non l’aveva bloccato, Falborg aveva volutamente
rallentato la sua corsa.
Un lampo argenteo
sfrecciò fra loro sminuzzando l’estremità della sua frangia. Fra sottili brandelli
grigiastri si ritrovò a boccheggiare alla violenta sferzata d’aria diretta allo
sterno. Dragoon atterrato con violenza disarmentante su Dranzer lo ribaltò in
aria per svariati metri insieme alle sue fiamme.
«Te l’ho detto, non vedi
il quadro generale» lo derise il moscovita aprendo platealmente le braccia in
un sogghigno accattivante «Quanto mi dispiace moya lyubov'**»
Wolborg inchiodò
prepotentemente a centro arena fra schizzi d’acqua sollevati da pozzanghere
precedentemente poderose stalattiti di ghiaccio create dal lupo. Yuri aveva
approfittato della potenza di fuoco nemica per ritorcerla al mittente. Il
ghiaccio disciolto dalla furia della fenice aveva fatto perdere il controllo a
Dragoon non abituato a percorsi altamente scivolosi. Il beyblade padrone indiscusso
del vento aveva sbandato sulla base bagnata dirottandosi contro il suo stesso
compagno alla spinta laterale ben assestata.
«Yuri questo è
scorretto!» brontolò Takao massaggiandosi la fronte sbattuta contro il bordo
dello stadio, dura lastra su cui insieme al beyblade era scivolato anche lui.
«No, è sapere usare la
testa»
«Saggiamente»
aggiunse derisorio Boris guadagnandosi un borbottio ancor più insoddisfatto del
giapponese che in ogni caso se la rideva sotto i baffi «Usare saggiamente
la testa Takao»
Dranzer atterrò
miracolosamente sul bordo dello stadio fra le urla euforiche del pubblico che
dimostrò chiaramente tutto il suo patriottismo. Giunti agli sgoccioli il tifo
favoriva distintamente i padroni di casa.
Boris non si lasciò intimidire dallo scoppio d’esultanza. Lui non combatteva
certo per gli altri o per accontentare desideri di vittoria altrui. Certo,
elevare il nome della sua nazione era senz’altro importante ma prima di questo
c’era qualcosa di più rilevante da ottenere. Qualcosa che un estraneo avrebbe
ben presto dimenticato.
Giunti alla finale non
restava che vincere per la gloria personale.
Era stanco di essere l’eterno
secondo.
Lui e Yuri avevano una
sintonia innata, l’avevano appena dimostrato. Non avevano bisogno di parole o
di grandi gesti per coordinarsi, si capivano senza aprire bocca. Bastava uno
sguardo o un semplice pensiero.
Conoscere il proprio nemico era sempre stata la miglior strategia, anche per
lavorare in squadra.
Vorkov li aveva messi uno contro l’altro, il meticoloso studio per conquistare
il ruolo di capitano li aveva accesi di rivalità. Non c’era miglior compagno di
un avversario per uno scontro di squadra. Il nemico avrebbe conosciuto tutto; i
punti di forza, gli attacchi migliori, ma soprattutto le debolezze.
Questo lo sapevano anche i Bladebrekers per aver scelto una tale formazione ma,
la sola rivalità non bastava per una vittoria. Per essere perfettamente connessi
c’era bisogno d’altro, un qualcosa che Boris riteneva di avere a differenza del
team nipponico.
Yuri non era solo un rivale,
era il suo capitano. Aveva valutato al meglio ogni caratteristica della
squadra prima di scegliere quegli abbinamenti, lui era l’unica persona sulla
faccia della terra a cui avrebbe sempre concesso il proprio totale rispetto sul
campo.
Yuri era un suo amico, il dizionario l’aveva aiutato definendolo tale, anche
a distanza e silenziosamente l’avrebbe sempre supportato. Ma, innanzitutto,
Yuri era il fratello che il fato gli aveva regalato all’antitetico inferno
gelato. Nessun altro legame al modo avrebbe potuto conferirgli quella totale e
piena fiducia reciproca.
No, Boris non era
disposto a perdere contro Hiwatari.
Non di nuovo.
Non insieme a Yuri.
«La tensione è alle
stelle fra queste due squadre! È incredibile il mix di emozioni che questi
ragazzi riescono a farci vivere!» l’urlo scalmanato di dj man fomentò la folla
incoraggiante che i quattro davanti a lui non captarono, immersi ognuno nel
proprio mondo di pensieri «Lo scontro perdura da un’ora, siamo ormai agli
sgoccioli! La sfida è stata combattutissima, quale sarà la prossima mossa di
questi fantastici blader?! Ma…attenzione! Sembra che Takao e Kei vogliano
tentare un nuovo attacco combinato!»
Un verso stizzito
abbandonò la bocca di Yuri accovacciato in una posizione non dissimile dal lupo
alleggiante sui due beyblade della propria squadra. Le zampe animalesche possenti
inchiodarono l’aria sottostante generata da Dragoon, accompagnate altresì da un
braccio a fatica issato sulla pedana di lancio.
Boris osservò il tessuto
della divisa bianca e arancio tremolare con una certa apprensione. Yuri nel suo
stato scarmigliato provato anche dal caldo aveva aperto l’ultimo bottone della
giacca rinunciando ad alzarsi. Il suo fiero amico tra grevi spasimi era rimasto
accovacciato in un auspicio per niente buono. Boris lo sapeva, nemmeno ad un
passo dal coma Yuri aveva rinunciato a combattere faccia a faccia con il suo
avversario. Ora, aveva raggiunto lo stremo – o il blocco di pietra che l’aveva
colpito alla gamba non era stato così indolore come gli aveva fatto
credere il capitano – in quello scontro fra titani.
Aria e fuoco, contro,
aria e ghiaccio.
L’antitesi per eccellenza.
Erano tutti esausti. La
mano di Takao volteggiava spesso alla fronte sudata e persino Kei in
quell’ultima frazione aveva tolto la sciarpa problematica quanto lui
lasciandola schiantare al suolo. Yuri resisteva per orgoglio e Boris avvertì il
proprio mal di testa aumentare al cospicuo numero di calcoli fisici immediati elaborati
per il giro obliquo effettuato da Falborg. Distrutto e al limite serrò la
mascella consapevole di dover aiutare a tutti i costi il suo compagno
sacrificatosi per lui.
Yuri non poteva essere il
primo a cedere.
Falborg era un beyblade
di tipo offensivo, Wolborg bilanciava invece egregiamente attacco e difesa.
Senza di lui era spacciato, non avrebbe mai potuto contrastare da solo Dranzer
e Dragoon. Aveva bisogno della forza del lupo.
Yuri scrutò con la coda
dell’occhio la mano di Boris premuta sulla clavicola inspirando a fondo. Un
gesto innocuo e inosservato se non per la forza con cui il suo amico lo stava
stringendo. Le vene in tensione visibili sul dorso risaltavano come il calore e
il sudore trapelati e scivolati lungo il lato del collo.
Quello era il massimo
della vicinanza e del supporto concessi in pubblico.
«Kei! Questa è la nostra
occasione!»
L’avvio dell’attacco
finale era l’avvio dell'attacco finale.
Non c’era un modo corretto per descriverlo, il suo arrivo era annunciato da un
implicito codice astratto, incolore e inodore. Era la sensazione di chiusura
alla bocca dello stomaco, la scarica d’adrenalina pompata a livelli
incommensurabili nelle vene. La raffica di endorfine che inebetivano gli arti
allievando il dolore dello sforzo in un udito improvvisamente più acuto e una
vista decisamente più nitida. L’intorpidimento e l’acido lattico nei muscoli
svanivano. Le gambe continuavano a sorreggere il peso crescente mentre il suono
circostante scompariva.
Nessun grido, nessuna
incitazione, nessun bisbiglio.
Alla fortissima ventata
usata come attizzatoio per le indomabili fiamme quella associazione fu
inevitabile. La potenza del tornado esplosa a piena potenza racchiuse in una
morsa letale non solo la trottola argentea sua proprietaria ma l’intera area di
combattimento. Il microfono di dj man fischiò in uno stridulo acuto e le parole
del commentatore si dispersero nella corrente. La forte compressione costrinse
Boris a scaricare il peso sulle ginocchia per restare piantonato sul posto. Accecato
dai lembi di fiamme incandescenti intrecciati fra loro in incroci
perpendicolari atti a ricreare l’intelaiatura di una gabbia.
Boris sentì l’irrefrenabile
furia lottare contro l’ultimo baluardo di una ragione messa a dura prova. La
rabbia grondava da ogni poro esposto a quello scontro, bruciava sottopelle per
quel riprovevole atto.
Le nocche serrate
prudevano dalla voglia di incontrare le guance tatuate.
Era passato un anno, la
situazione era diversa, l’avversario non era lo stesso. Eppure, non avrebbe mai
pensato ad un gesto tanto subdolo da parte di un ex compagno di squadra. Un
colpo così infimo a livello psicologico nella finale di un torneo di
beneficenza.
Boris non poteva negarlo.
Tutto era lecito, in posizione inverse avrebbe fatto lo stesso.
Quello però era troppo personale, troppo vivido.
La pelle di Yuri era
diventata gelida al tocco delle dita ancora serrate attorno alla t-shirt nera.
Lui c’era già stato in una gabbia che impediva di perdere con un fuorigioco, aveva
già combattuto come un animale per aggiudicarsi la vittoria, aveva già miseramente
fallito una volta in quelle circostanze.
Kei non avrebbe esagerato spingendo il suo ex capitano in ospedale, almeno su
quello Boris era disposto a giurare sul fuoco indemoniato scoppiettante. Yuri
non sarebbe finito nuovamente in coma ma questo non avrebbe fermato Hiwatari.
Nessun colpo sarebbe stato risparmiato.
«Yuri»
«Sto bene»
I tendini vibrarono sotto
al suo tocco ma Boris evitò di contraddire il ringhio gutturale sviscerato con
foga. Era inutile aspettare un’ammissione di paura o la richiesta di un aiuto.
Yuri non avrebbe chinato il capo difronte a tante persone.
«Dragoon!»
La forza del drago
azzurro ricadde sui due beyblade a centro arena sollevando una corona di
fiamme. Falborg scricchiolò pericolosamente sulle crepe seghettate del campo assorbendo
l’impatto nel ciclone generato a sua volta, urtando fuori controllo le pareti
della conca da una parte all’altra.
«Sei un idiota»
Boris ignorò l’insulto
acido del suo capitano sputato fra i denti dopo aver ripreso apparentemente il
controllo. Il beyblade dapprima barcollante impercettibilmente ora oscillava sempre
più frequentemente a causa dell’implacabile vento. Falborg avrebbe dovuto
spostarsi e sguisciare fuori traiettoria per sperare di giocare a lungo anziché
buttarsi in avanti contro Dragoon per incassare la portata d’attacco.
Con quell’azzardo aveva avviato il proprio countdown.
Era stato stupido? Sicuro.
Se ne pentiva? No.
Wolborg sarebbe stato
sbalzato fuori dall’arena senza la sua intromissione. L’iniziale spostamento d’uscita
era venuto meno quando il fuoco della gabbia si era accentuato. Yuri aveva
esitato. Immobilizzato da reminiscenze del passato aveva concesso
all’avversario di prendere terreno. Un secondo di distrazione avrebbe sancito
la sorte di quell’incontro e Boris non avrebbe accettato di perdere a causa di
un bieco mezzuccio psicologico. Yuri era più forte, loro erano migliori
dei due giapponesi.
«Kuznestov, non ti facevo
così kamikaze»
«Vai all’inferno
Hiwatari»
«Ti accontento»
Dranzer ripartì
all’attacco. In un lampo fu alla destra di Falborg metallo contro metallo in un
testa a testa ingannevole. Le fiamme divamparono per allontanarlo, spingendolo
nella difensiva sbagliata. Boris sgranò gli occhi allo stridore del suo
beyblade avvolto dal fuoco riflesso nelle iridi violacee divertite. Era cascato
nella trappola di Hiwatari. Preparato al contrattacco aveva stabilizzato
Falborg per il fuoco, non per il vento.
Kei lo aveva usato come diversivo, non sarebbe stato lui il suo obiettivo.
«Dranzer! Tempesta di
fuoco!»
La ali della fenice frustarono
l’aria scagliando centinaia di piume rossastre acuminate contro l’emblematico
animale suo opposto. Sottili lame taglienti quanto il vento sferzante esploso
nell’ incontro parallelo si conficcarono nel terreno, fra le crepe dell’arena,
nel prato, accanto al beyblade argenteo sfuggente come un lupo fra le selve. La
scia infuocata sfiorò la lama, il lupo latrò adirato scagliandosi in avanti. Le
fauci spalancate si chiusero intorno alla massa concentrica di calore
affondando nell’agglomerato incandescente. La fenice planò in picchiata arretrando
a metà strada alla seconda palla infuocata rigettata in difesa.
Il lupo aveva rispedito l’attacco al mittente, aggiungendoci il suo tocco
personale.
Kei ghignò soddisfatto
rigirando fra le dita una splendida piuma fulva racchiusa in uno spesso strato
di ghiaccio. Inaspettato, il suo avversario era stato più attento e
calmo del previsto, almeno apparentemente. Durante il campionato giocato
con la Neoborg aveva imparato una cosa: tutti avevano il loro tallone d’Achille,
anche se ben celato. Yuri tendeva ad essere impulsivo soltanto quando la sua
pazienza si esauriva, cosa utopistica da ottenere ma non del tutto impossibile.
L’odio di Boris ne era stato la conferma, aveva fatto centro.
Sfortunatamente
Yuri si era mostrato più caparbio delle aspettative. La bocca famelica fumante
e il manto bruciacchiato non avevano fermato il lupo alato, gli animaleschi
oggi di giada gelavano più di quelli del padrone. Yuri si era rialzato,
traballante e sfiancato ma ancora in piedi, orgoglioso. Ancora pronto a
combattere, ancora lontano dal volersi arrendere malgrado il divario di forza
presente fra loro.
Kei considerava Yuri sì
forte ma non sufficientemente in grado di batterlo.
«Wolborg!» le orecchie
bianche si rizzarono all’istante insieme alle zampe anteriori sollevate verso
il cielo in un ululato perforante «Evita il contatto frontale, vira a destra e
scatena la tua bufera di neve!»
Kei corrugò la fronte
incatenando lo sguardo con quello ceruleo duro come le parole appena
pronunciate. Non c’era stata la famosa goccia tanto attesa dell’impazienza,
qualcosa stonava in quell’impeto. Yuri non era mai stato così preciso nelle
indicazioni verso il suo bey, era già tanto sentirgli pronunciare il proprio
nome durante un incontro.
Così…preciso.
«Takao allontanati da
Falborg!»
Il giapponese sussultò
all’urlo assecondando d’istinto il suggerimento, improvvisamente impossibilitato
a guardare in faccia l’amico in cerca di conferme. Il vorticare poderoso della
neve divampato all’urto metallico gli aveva attanagliato lo sterno
appesantendogli il respiro. La bufera di neve esplosa a centro arena l’aveva
costretto a usare gli avambracci come scudo, più potente e asfissiante di
quella della prima finale mondiale. I fiocchi di neve si infiltravano sotto la
maglietta scostata dalle violente raffiche, il freddo intenso gli ghiacciava le
ossa.
Il gelo e la neve
potevano non essere il vero problema quando il vento amico l’alimentava.
«Kei!! Cosa dovr-… etcì!» Takao balbettò
parole sconnesse saltellando sul posto per non diventare una scultura di
ghiaccio «Ohi Yuri! Non siamo in Siberia! Domani avrò la polmonite se continui
di questo passo!»
«Takao cosa stai
farneticando?! Secondo te ascolta quello che dici?!»
«Ma io ho freddo…»
mormorò affranto il giapponese facendo scattare le sopracciglia argentee
all’insù «Non sono un ghiacciolo come te»
Boris scambiò un’occhiata
d’intesa con Yuri poggiato sulle ginocchia, aveva passato tutta la sua vita
attorniato dalle tempeste da non scomporsi più in mezzo ad esse. L’attacco era
stato estremo, prosciugante e nemmeno abbastanza efficace, Wolborg aveva dato
fondo a buona parte delle sue energie gelando l’intera superfice dello stadio
ora divenuta una scoppiettante pista di pattinaggio. Dragoon trasformatosi in
un flipper della morte impazzito sfrecciava in irregolari percorsi colpendo
accidentalmente non solo i loro beyblade ma anche quello del suo compagno di
squadra. Ma, il tornado di Dragoon perdurava nel cerchio più esterno e il vento
di Falborg purtroppo non lo eguagliava.
«Siamo alla fine Boris»
«Lo so»
Boris lo sapeva eccome.
La bufera non li avrebbe trattenuti a lungo, era una legge fisica, il fuoco
batteva il ghiaccio. Gli spuntoni gelati posti a barricata avevano già
superato la soglia di resistenza, il calore avrebbe fatto soccombere le loro
difese.
La squadra giapponese aveva l’alleato più temibile di tutti, la natura.
Uno scontro in piena estate.
Squadrò il suo capitano
dagli appariscenti capelli agitati nella corrente. Altero e indomabile,
incurante del caos da lui stesso generato. Una copertura, la sua armatura
innevata. La gabbia di fuoco non era svanita, era stata solo oscurata dalla
neve.
Forse Yuri nemmeno
l’aveva voluta davvero la sua superflua intromissione.
Si era difeso da solo dai suoi demoni interiori.
«Dranzer! Attacco
fiammeggiante! Tempesta di fuoco!»
«Dragoon! Attacco
revolution storm!»
Il drago brillò di luce
proprio nella scintillante aura azzurra esplodendo in tutta la sua forza. I
calcinacci sollevati allo scoppio divennero polvere dispersa nell’aria
rischiarata dal cocente bagliore della fenice. La temperatura salì
vertiginosamente, le sbarre infuocate ridussero la distanza aumentando la
propagazione di calore.
«Falborg!» l’urlo
disumano sfibrò le corde vocali in quella supplica estesa al rapace decollato a
tutta velocità «Lamine di vento!»
Boris premette le mani
attorno alla gola dolorante in completo affanno. L’epidermide bruciava,
l’interno del suo stesso corpo andava a fuoco. Faceva caldo, no, era
finito direttamente all’inferno decantato dal nemico in pochissimi secondi. La
forza di Hiwatari e Takao permaneva ufficialmente su un livello diverso dal suo.
I capelli appiccicati sulla fronte e il bagno corporeo non richiesto finirono
in sordina nel putiferio ovattato prodotto dal ciclone. L’aria era bollente,
opprimeva la cassa toracica. L’udito faticava a percepire altri suoni al di
fuori del persistente fruscio sbattuto contro le orecchie.
Il gilet percossa gli avrebbe donato sollievo se la corrente non fosse stata rovente.
La totale confusione perdurava
nella sua mente insieme all’agghiacciante certezza.
Yuri non aveva reagito
insieme a lui.
La voce del suo capitano
non era arrivata, non nello stesso momento almeno.
«Wolborg!»
Il tempo non cambiava
dimensione, scorreva sempre allo stesso modo. Erano le emozioni a cambiarne la
percezione, la resa dei conti finale si stava svolgendo senza distorsioni
spazio-temporali. I dieci secondi erano rimasti tali, non erano diventati trenta
o cinquanta anche se la familiare e sinuosa scia gelida era risalita lungo la
schiena dopo quelli sembrati minuti interminabili.
Boris era stanco, gli
occhi strizzavano a più riprese una messa a fuoco inconcludente negli spruzzi
di vapore acqueo. Il nevischio prepotentemente imposto al centro del trambusto
svolazzava sui brandelli di fiamme in un suggestivo e paradossale spettacolo.
Neve e fuoco non coesistevano al di fuori di quei momenti fiabeschi che
traevano in inganno. La stanchezza aveva trasformato il fiero lupo dalle ali di
ghiaccio nelle sembianze di una splendida donna in abito bianco fasciata da
spirali ghiacciate scintillanti. Era stato un attimo, un fugace smarrimento
d’incanto, la neve tramutata in ghiaccio durissimo lo aveva riscosso dal sogno
ad occhi aperti imprigionando i due beyblade avversari nella propria morsa.
«Dranzer!»
«Dragoon!»
Il fascio di luce
accecante filtrò attraverso la spessa consistenza traslucida, le schegge taglienti
frantumate esplosero con forza scagliandosi in ogni dove. Il taglio bruciò sul
braccio oltre lo strato di stoffa. Boris leccò il sangue fuoriuscito dal labbro
spaccato incurante del rivolo sottile scivolato fra le dita.
Dranzer e Dragoon si
erano scagliati contro di loro, l’ultimo e definitivo slancio che avrebbe
sancito il vincitore. Una tecnica studiata, frutto di fatica, sudore e
passione. Ore ed ore passate a bilanciare due caratteri opposti pronti a
primeggiare in ogni competizione. Takao e Kei non si rendevano conto di quanto
erano stati affiatati rispetto al campione e Daichi dello scorso anno, c’erano
stati passi da gigante.
«Tornado infernale!»
Boris socchiuse le
palpebre all’imminente impatto.
Yuri, non sono stato alla
tua altezza.
L’impossibile non era
bastato, tutto l’allenamento extra eseguito in solitudine allo stremo delle
forze alla fine non aveva dato gli esiti sperati. La mescolanza infelice di
diverse sensazioni gorgogliava nel petto, l’amarezza faceva a pugni con
l’orgoglio.
L’ulteriore sconfitta li
avrebbe ridicolizzati.
Mi dispiace.
Yuri avrebbe perso per la
sua mancanza di non tenere il passo e il minimo che poteva fare era rendere decorosa
la loro ultima resistenza. Il suo capitano aveva riposto in lui la sua fiducia
e lui non l’avrebbe gettata via senza dare il tutto per tutto.
La parola resa non
esisteva nel suo vocabolario.
La fenice aggredì il
falco, il lupo addentò la coda del drago.
Il vento squarciante si
insinuò fra le fiamme, la bufera di neve venne dissipata.
Non c’era stato accordo,
nessuna strategia, nessuna prova.
Il ghiaccio divenne un
tutt’uno con la folata ascendente.
«Vento siberiano!»
Il grido liberatorio si
mescolò al boato dell’esplosione abbagliante.
La schiena sfregò per diversi metri contro il cemento della pedana all’onda
d’urto, la massa corporea aggiuntiva atterrata sullo stomaco gli tolse il
respiro. Yuri, incapace di resistere ulteriormente al vigore dell’uragano gli
era volato praticamente addosso al limite delle forze.
Le avevano urlate, insieme.
Parole mai pensate o
messe in mezzo ai loro discorsi, il nome per il loro attacco messo a punto sul
momento. Non c’era stata indecisione o l’attesa di partenza da parte dell’altro,
avevano scelto in contemporanea gli stessi termini per rappresentare al meglio la
loro nuovissima mossa. Si erano letti nel pensiero, ancora una volta.
«Incredibile match
carissimi spettatori!» il microfono gracchiò fra le mani di un Dj Man reduce di
una lotta da fare invidia ad un veterano della guerra civile «L’ultimo attacco
ha praticamente devastato l’intero campo sportivo!»
Kei tossicchiò debolmente
accucciato sui talloni alla ricerca istantanea del proprio beyblade nella nube
polverosa. Dubitava che il possessore del centro sportivo provasse lo stesso
entusiasmo per quello sfacelo, il commentatore con gli occhiali incrinati avrebbe
dovuto rivedere le proprie priorità.
Takao disteso accanto a
lui con braccia e gambe divaricate sorrideva incurante indicandogli deliziato il
cielo.
Le bestie sacre erano
sparite, restavano solo i quattro beyblade sospesi.
Puntini sbrilluccicanti
invasero il campo visivo di Yuri scompostamente seduto sulle gambe di Boris e
prossimo a naufragare come una barca per mare. L’intera area circostante
ruotava in un frenetico girotondo dal repentino scatto della testa verso la
conca crepata. I soli beyblade risultavano nitidi nella loro discesa frenata.
Era finita.
I capelli cremisi
danzanti, sbattuti contro la sua faccia nella placida brezza non impedirono a
Boris di osservare combattuto gli eventi a sua volta.
L’assordante silenzio era
calato fra ogni persona presente all’evento, carico di attesa. La più piccola
chiacchiera scemata via insieme all’incitamento era stata sostituita da occhi
trepidanti e bocche dischiuse.
Il guscio cotonato di
pace illusoria scoppiò insieme allo sferragliare metallico degli ultimi istanti
di lotta. Il blu elettrico sbuffò roteante fra i granelli di terra, l’argento
incontrò il verde del prato arrestandosi all’arrivo. La punta acuminata del
terzo graffiò sulla pietra porosa disarcionandosi al rimbalzo collidente con
l’altro, il suono della rottura annunciò lo smembramento devastante dei lucenti
pezzi lilla completamente distrutti e irrecuperabili.
La lenta e malinconica
melodia della pioggia metallica sul terreno sottostante accompagnò
l’atterraggio dell’unico malridotto beyblade argenteo a centro arena, nel
cratere generato all’impatto in cui ruotò ancora alcuni istanti prima di
arrestarsi.
L’anidride carbonica fino
a quel momento trattenuta fuoriuscì in un alito generale, la conclusione ormai
giunta stentava a concretizzarsi dopo tutta quell’attesa.
Il petto di Boris continuò
ad alzarsi e abbassarsi in costanti dolorose emissioni mentre le dita
artigliavano il suolo. Il sorriso agrodolce trattenuto a mezza bocca vacillò
dinanzi alle atterrite iridi cerulee piantate improvvisamente su di lui.
Era secondo,
di nuovo.
«Incontro s-t-u-p-e-f-a-c-e-n-t-e
signori e signore!» il balbettio del commentatore proruppe nella folla
sbalordita, in uno strillo acuto difficilmente attribuibile ad un individuo di
sesso maschile «In un’improvvisa svolta sfinale Falborg è andato in mille pezzi
scontrandosi con Wolborg, permettendo così al lupo della steppa di atterrare
all’interno del campo! Yuri Ivanov si aggiudica l’incontro! La Neoborg è la
vincitrice di questo torneo!»
Il velo invisibile
attendente quell’unica conferma verbale si sbriciolò al coro esultante esploso sugli
spalti. Il frastuono riempì le orecchie, l’indescrivibile mix di emozioni
straripò oltre le grida di giubilo, i fischi e le ovazioni.
Un’infanzia negata e tre
anni di disfatte li avevano condotti fin lì. Avrebbero dovuto dare il colpo di
grazia a quello stadio, demolirlo nell’impeto della loro soddisfazione.
Dj Man ripeté il nome dei
vincitori sbracciandosi, chiaramente perplesso dall’immobilità cascata sui due
rappresentati a centrocampo.
Yuri non aveva recuperato
Wolborg, non aveva gettato nemmeno un’occhiata alla prova della sua riuscita.
Non aveva ghignato soddisfatto alla vittoria tanto agognata e finalmente
raggiunta.
Il limpido azzurro svettante sul suo volto contornato da sottili graffi guardava
nella direzione opposta, un mare magnetico nel quale Boris era annegato.
«Meritavi di esserci tu
lì»
Se non avesse visto le
labbra muoversi Boris non avrebbe creduto a quanto appena sussurrato. Se non
avesse osservato l’accentuarsi della fossetta avrebbe pensato di star sognando.
Se non avesse ammirato lo stanco sorriso curvare all’insu l’estremità della
bocca avrebbe considerato folle il solo pensare ad un sottinteso complimento.
«Gioco di squadra,
ricordi? Era questo l’obiettivo di Daitenji»
La Russia aveva vinto, loro
avevano trionfato.
Il suo secondo posto era diverso dai precedenti, essere un gradino sotto Yuri
era uno smacco che stranamente poteva tollerare.
Abitudine. Non era mai riuscito davvero a superarlo né a stupirlo
adeguatamente. La miccia della perenne sfida con Hiwatari non si era mai accesa
con lui una volta venuto meno l’obbligo imposto da Vorkov. La considerazione
per i blader di seconda categoria trovava quella sorte, era stato scelto
come compagno di sfida soltanto perché Kei era rientrato nei Bladebreker.
Ed in ogni caso, Falborg non avrebbe retto ugualmente all’atterraggio. Lo
sapevano entrambi.
«Sei migliorato tanto,
Boris»
Il ronzio dell’incapienza
tornò prepotentemente a farsi largo. L’invisibile pianista aveva sbagliato,
doveva per forza aver premuto la nota errata. Quella stonata, quella
involontariamente schiacciata dal mignolo accidentalmente scivolato tra i tasti
del sarcasmo e della derisione. Non era stata udita sul serio.
Il cuore di Boris ballonzolò come un budino nella lenta realizzazione.
Un elogio sincero, il primo
della sua intera carriera, era stato detto da Yuri.
Yuri che non si era mai abbassato a complimentarsi apertamente con nessuno.
«Abbiamo vinto!!»
La terra mancò sotto di
lui e il mondo ruotò velocemente in informi masse colorate. Le braccia possenti
di Sergej strette attorno al corpo bloccarono il respiro, il caldo dell’estate
ristagnò nell’abbraccio forzato in cui era stato racchiuso con il capitano. La
t-shirt si incollò addosso, la blanda rimostranza di Yuri di voler scendere
restò in ascoltata. Il sudore colò lungo la fronte attirando i coriandoli
sparati nell’aria, il delirio di sottofondo andò a tempo con i battiti
sovraeccitati rimbalzati in ogni parte del corpo.
Avevano vinto.
Takao scorto tra uno
sbatacchiamento e l’altro era arretrato, la mano inizialmente tesa per
congratularsi era stata ritirata insieme alla sua persona per non essere
coinvolto dal roteare senza controllo. La gioia del più volte campione del
mondo era di quella sportività che tutti avrebbero voluto incontrare almeno una
volta nella vita durante le sfide. L’incontrastata soddisfazione di aver
giocato al meglio anche giungendo secondo, il braccio avvolto sulle spalle
dello scorbutico compagno che non sembrava pensarla allo stesso modo.
Avevano vinto!?
Lui doveva farsi una
doccia, tutti loro in realtà ne avevano bisogno. Il braccio ferito strusciava a
stretto contatto contro la fascia candida della giacca del capitano, il prurito
aumentava di pari passi con l’allargamento della macchia. La conclamata
esultanza di Sergej detta ovviamente in russo fracassò i loro timpani non
ottenendo alcun rimprovero. Boris non aveva mai visto un’espressione tanto
lieta sul volto contuso di Yuri. I tagli sulle guance e la sporcizia attorno ad
esse avevano sempre avuto tutt’altra reazione.
Avevano vinto!
Ivan aveva sradicato la
bandiera della loro nazione dalla panchina trascinandola con sé. Il tricolore
russo più grande della sua statura svettava sulle corte braccia innalzate al
cielo accompagnato dai borbottii del ragazzo sentitosi escluso. Dj Man non era
riuscito a fermalo, si era grattato la nuca in cenno di scuse al presidente
Daitenji sopraggiunto al centro della baraonda.
Da qualche parte nel giubilo la consapevolezza gli accese finalmente un
sorriso.
La Neoborg era la
vincitrice.
I piedi finalmente
toccarono terra. Ivan euforico immediatamente balzato accanto a loro aveva
gettato il mantello improvvisato in aria. Yuri aveva scosso la testa in un
ammonimento dal sapore di velata risata riconquistando a fatica il proprio precario
equilibrio.
Boris non era mai stato
bravo con le parole al di fuori di frecciatine e minacce, ancora meno nell’esprimere
gratitudine. Era appagato per quella vittoria, ma maggiormente riconoscente per
quell’elogio inaspettato.
Sergej aveva provato a
riafferrare la bandiera sospinta dal vento, Ivan aveva alzato le spalle
fregandosene altamente delle sue sorti. Yuri aveva soppresso la propria risata
nel colletto sganciato della giacca malconcia. I lucidi occhi azzurri avevano
incrociato i propri nel mero tentativo di riacquistare serietà.
Boris non l’aveva ancora
ringraziato.
Un battito di ciglia era
sempre bastato, uno sguardo di riconoscimento in grado di usurpare ogni futile
ed inutile parola del mondo. Il loro mondo, il loro legame non aveva mai
avuto bisogno di frivolezze. Erano quell’albero dalle forti radici nato
spontaneamente in mezzo alla foresta, una pianta divenuta imponente e maestosa
in cui trovare reciprocamente riparo dalla tempesta.
Non c’era bisogno di
ricercare affinità di sangue.
Non aveva bisogno di quella rivalità tanto invidiata ad Hiwatari.
Il rispetto di Yuri
l’aveva ottenuto senza rendersene conto.
«I vincitori siamo noi!»
La bandiera finì per
cascare rovinosamente sulle loro teste, una coperta termica nel periodo più
sbagliato dell’anno. L’urlo di Ivan si perse nella confusione del bisticcio con
Sergej mentre la mano di Boris attirava fermamente a sé la t-shirt nera ad un
passo da lui.
Le suole strusciarono alla tiratura improvvisa, la piega della bandiera si
afflosciò al centro. Le labbra incontrarono quelle del capitano in un umido e
piacevole contatto. Un casto bacio privo di malizia o secondi fini, la sua
personale espressione di condivisione gioiosa della vittoria. Troppo duro per
adagiare delicati baci sulla guancia, troppo infervorato per non dare retta all’istinto.
«Spasibo, Yuri» ***
Beyblade
Rising – Capitolo 18, Volume 4
Note finali
* Do
svidaniya = Arrivederci
** Moya lyubov' = Mio amore
*** Spasibo = Grazie
Le Olimpiadi mi fanno male, leggere le nuove pagine di Beyblade Rising
mi fa male, incontrare casualmente persone di questo fandom su Tumblr e
conoscere le loro opinioni sulle mie fanfiction fa male (Pachiderma Anarchico ❤️) ma anche il caldo mi fa tanto male. In sintesi, tutto
fa male ed ecco perché dovrete sopportarmi qui xD
Tra un accorgimento e l’altro ai precedenti capitoli di “E le stelle
stanno a guardare” e la stesura del nuovo, ho ultimato questa flash-fic
one-shot ispirata dal capitolo 18 di Beyblade Rising. Ho dovuto aspettare venti
anni per vedere Yuri e Boris combattere insieme ma ne è valsa la pena! *.*
Anche se… non ho mai descritto un incontro di beyblade, non so cosa ne sia
venuto fuori alla fine ahahahah, come al solito sono finita a concentrarmi sui
pensieri dei personaggi anziché sullo scontro.
Ah, prima che me ne
dimentichi ed onde evitare incomprensioni, anche se totalmente diverso nell’uso
e nel contesto il nome dell’attacco utilizzato da Yuri e Boris è tratto dalla
fanfiction “Sul tetto del mondo” di Blue13.
Passate una bellissima estate anche per me piccoli(grandi)
blader! ❤️
Aky
Questi personaggi non mi
appartengono, ma sono proprietà di Takao
Aoki, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.