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Autore: DanceLikeAnHippogriff    10/08/2021    1 recensioni
"Quello era uno di quegli stupidi momenti in cui sentiva di far parte di qualcosa di più grande di lui. Qualcosa di misterioso e glorioso, e lui era solo un ragazzo con una chitarra e la passione di complicarsi la vita."
O di come un povero Leo capisce perché ha sempre un certo fiorista baciato dal sole nella mente.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I like you more than pizza'
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Note dell'autrice: Giusto per dare un po' di contesto (e perché amo troppo la dinamica di questi due personaggi per fermarmi dall'inserirli in qualunque universo immaginario disponibile), in questa OneShot Andrew (OC di CrispyGarden) e Leo si muovono nell'inflazionatissima Florist/TattooArtistAU.

La storia originale l'avevo scritta di getto in inglese, ma in un raro momento di libertà ho pensato che sarebbe stato carino tradurla e quindi eccola qui. A volte è strano passare da una lingua all'altra perché ci sono certi sentimenti che alcune parole incapsulano meglio di altre... Ai lettori l'ardua sentenza! Per i curiosi e gli amanti della lingua inglese, ho caricato anche l'originale.

P.S. So bene che Birds degli Imagine Dragons è stata rilasciata nel 2018 e che non è così vecchia, ma era il mood che mi serviva per questa storia ahaha

Beccatevi l'ennesima OneShot che dovrebbe essere parte di un progetto più grande che ultimerò nel duemilamai, e buona lettura <3


 

Quel dolce tepore che dal petto si spandeva a tingerli le guance era una sensazione terribilmente familiare. Si fermò.

Ciò che stava facendo non aveva più importanza. Doveva inseguire quella sensazione, tenerla stretta, analizzarla, assaporarla. Era passato così tanto tempo. Le sue labbra si piegarono in un sorriso, di quelli che riservi ai vecchi amici che rivedi dopo troppi anni notando con piacere come né tu né loro siete cambiati. Era ancora lì, quindi; bene. Fu un sollievo. Non stava facendo finta, quindi, la sentiva davvero. A volte, aveva paura di inventarsi le cose, quindi controllava sempre. Perfino i suoi sentimenti.

Sfiorò con delicatezza le corde della chitarra e un arpeggio imparato chissà quando riemerse dalla memoria, un poco sbrindellato, ma vivo. Come i miei sentimenti… Canticchiò a labbra strette seguendo la musica; non ricordava più le parole a eccezione del ritornello. Patetico.

Everything is temporary
everything will slide

Le piaceva quella canzone, giusto? Piaceva anche a lui, ma era fin troppo timido per confessarle che l’aveva imparata solo per sentirla cantare. Pizzicò la corda sbagliata, un suono stonato che rifiutò di amalgamarsi alla melodia che stava prendendo forma, ma continuò a suonare, le dita che si muovevano seguendo schemi a lui ignoti. L’aveva scazzata anche allora, quell’estate alla festa sulla spiaggia. Voleva fare colpo, stupido timido ragazzino che non era altro, ma non era mai riuscito a mettere le mani su quella chitarra. Quel maledetto di Marco era il musicista più bravo della compagnia quindi era ovvio che avrebbe suonato lui tutta la sera. Gli era stata passata solo quando il falò pulsava delle ultime braci. Eppure, lei era rimasta con lui, aveva ascoltato e aveva cantato. L’aveva baciata. Lei si era messa a ridere e poi gli aveva chiesto di suonare ancora un poco, accoccolandosi a lui tremante per la fredda brezza del mare. Se solo non avesse rovinato tutto. Com'era strana la vita. Si sentiva vecchio, antico, quando la sua mente lo accompagnava verso quei pensieri. Però gli piaceva comunque crogiolarsi nei ricordi di ciò che era stato e di ciò che “poteva” essere stato. Quella era la parola magica, la formula che sbloccava le porte del Tempo. Era stato tutto e niente. Un amante e un bugiardo. Un bravo figlio e un amico sincero. Uno studente ligio e un sognatore. Aveva amato, che era tutte quelle cose insieme all’ennesima potenza. Aveva sempre amato. Amava troppo.

Amore. Una parola così piccola e irriducibile. Innocua finché non ci si accorge che riempie i polmoni e la mente, soffocandoti piano fino a farti morire. Si era annullato per amore. Amando, aveva ferito.

Sunsets, sunrises
Livin’ the dream, watchin’ the leaves
Changin’ the seasons

Strinse le labbra al pizzicore delle dita, lì dove si stavano riformando delle soffici vesciche sui polpastrelli; non avrebbe smesso di suonare comunque. Non importava, non aveva importanza. Finalmente lo sentiva di nuovo. Agrodolce. Ma voleva prendersi del tempo per sé. Una vocina nella sua testa gli urlò che non avevano tempo da perdere dietro a fioristi carini dalle sfumature pastello e la pelle cotta dal sole. Le diede ragione, ma senza grande convinzione, solo per farla tacere, e aumentò di poco la velocità dell’arpeggio. Ma potremmo essere qualcosa…! Potremmo?

Life will make you grow
Dream will make you cry, cry, cry

Era proprio stato un ragazzino drammatico al tempo, guarda che canzoni gli piacevano. Le parole avevano ripreso lentamente a scorrere nella sua memoria, riversandosi sulla lingua, racchiudendo cosa provava il suo cuore. La musica era la più affascinante delle magie. Stava volando, lontano da tutto, lontano da sé, libero. Avrebbe potuto essere una persona completamente diversa. Nascere donna. Amare un ragazzo. Amare una ragazza. Vivere ancora e ancora in corpi diversi, in menti diverse, in cuori diversi. Quello era uno di quegli stupidi momenti in cui sentiva di far parte di qualcosa di più grande di lui. Qualcosa di misterioso e glorioso, e lui era solo un ragazzo con una chitarra e la passione di complicarsi la vita.

Some nights I think of you
Relivin’ the past, wishin’ it’d last
Wishin’ and dreamin’

Lei non sarebbe tornata indietro. Neanche lui lo voleva. I giochi erano fatti. Riservò un vaffanculo mentale con tanto di medio alla vocina. Quella scemò, risentita, mandandolo a cagare di nuovo. Niente di nuovo. Quella volta, non voleva complicare le cose. Perdonami, Diana. Posso provare anch’io a voltare pagina…?

I know that ooh, birds fly in different directions
Ooh, I hope to see you again

Si fermò, l’ultimo accordo che vibrava nell’aria. Quella maledetta canzone aveva ragione. Non poteva farci niente; era tornato per lui, alla fine. Non poteva scappare.

Incrociò le braccia sulla cassa della chitarra e ci si poggiò di peso, abbandonando la testa lì. Era fregato. Sussurrò tra sé, quasi ridendo all’ironia della cosa: “Mi piace quello stupido fiorista…”

  
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