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Autore: Najara    10/08/2021    2 recensioni
Prima bambine, poi ragazze infine adulte, la storia di due donne le cui storie si intrecciano d'estate a Greenwood, tra passeggiate, gatti e una casa bianca.
La storia è stata scritta per l’iniziativa “Le fasi lunari” del gruppo LongLiveToTheFemslash
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Le loro estati a Greenwood
 
La sua bicicletta cigolava un poco mentre lei pedalava velocemente inerpicandosi lungo la collina. L’aria calda era ricca di pollini e di profumi, le cicale cantavano nei prati riempiendo l’aria di suoni. Beth sorrise quando vide sbucare la grande casa bianca, l’edificio antico con le sue bianche colonne e il trionfale viale alberato era senza ombra di dubbio il più bello della regione. Un tempo era appartenuto a qualche baronetto, ma ora ad abitarci vi era frau Ilse, una gentile signora tedesca con uno spassionato amore per le rose e i libri. Beth pedalò gli ultimi metri poi lasciò cadere la bici su di un fianco e corse verso la porta. Non ebbe neanche il tempo di bussare che la porta si aprì. Ann, i capelli rossi raccolti in una treccia, gli occhi verdi che brillavano la guardò con un grande sorriso.
“Hallo Beth!” Disse, pronunciando il suo nome con il particolare accento del suo paese. “Ti ho visto arrivare dalle finestre!” Confessò candidamente. “Viene!” Aggiunse poi spalancandole la porta di casa.
La bambina era stata mandata dai genitori a passare l’estate dalla nonna, esattamente come succedeva a lei ogni estate, sua nonna era amica con frau Ilse e le due bambine erano state presentate. Era stata amicizia al primo sguardo.
“Elard ora possiamo avere la merenda?” Chiese Ann nel veder passare il maggiordomo della casa.
“Certo, fräulein Ann.” L’uomo sparì in cucina, loro invece corsero verso il salotto.
“Oma, Beth ist da!” Esclamò la bambina.
“In inglese Ann.” La rimproverò con un sorriso la donna. “Avete già chiesto a Elard la merenda?” Chiese poi, elargendo anche a Beth un sorriso, mentre passava la mano con gentilezza sulla testa della nipote.
“Sì!” Esclamò la bambina. Poi prese la mano ad Ann e le indicò il giardino sul quale il salotto si affacciava. “Vieni! Devo farti vedere una cosa!”
Corsero via ridendo e la donna sorrise, mentre tornava al suo libro.
Il giardino era uno dei loro posti preferiti, era enorme, nulla a che vedere con il giardino del cottage della nonna di Beth che era molto curato, sì, ma era piccolo e non nascondeva segreti. Il giardino della casa bianca invece ne era pieno. Beth seguì Ann che le teneva ancora la mano, oltre i cespugli di rose, oltre le siepi e la grande fontana, fino ad arrivare al vecchio capanno degli attrezzi, anche lui, come il resto della casa, dipinto di bianco.
Ann si fermò, poi la guardò, gli occhi che brillavano e si portò la mano alla bocca in un chiaro invito al silenzio. Beth sentì l’eccitazione salire, Ann doveva aver trovato qualcosa di davvero interessante! La bambina aprì la porta con estrema attenzione e poi scivolò nel capanno. Beth la seguì, i suoi occhi ci misero qualche istante ad abituarsi al cambiamento di luce, a confronto con la brillante luce del pomeriggio estivo il capanno era buio, l’aria era ferma e calda e persino il rumore delle cicale sembrava lontano. Ann le strinse la mano, poi la condusse lentamente verso un angolo del capanno in legno, lì, tra gli attrezzi vi era qualcosa. Beth sgranò gli occhi mentre i suoi occhi riconoscevano, finalmente, quello che Ann voleva mostrarle: un gatto! Ma vi era di più, gli occhi dell’animale era fissi su di loro, ma Beth capì subito perché non andava via, accanto alla gatta vi era un gattino! Era piccolo, probabilmente nato quel mattino stesso. Le sue mani formicolarono dal desiderio di accarezzare quel piccolo esserino, ma la presenza della mamma la fece desistere. Ann si sdraiò a terra e lei la imitò, rimasero così immobili a fissare quel piccolo tesoro fino a quando non sentirono la voce della nonna chiamare Ann. Prima di uscire, però, Beth si allungò verso Ann e le diede un bacio sulla guancia.
“Grazie.” Mormorò, mentre le due bambine si guardavano felici.
 
 
Sua nonna non stava più benissimo e Beth, malgrado adesso avrebbe anche potuto farne a meno, continuò a presentarsi da lei quando finiva la scuola e iniziavano le vacanze estive. Aveva diciassette anni e rinunciava alle serate estive con gli amici per stare lì nel vecchio cottage, ma era felice di farlo per la nonna che aveva bisogno di compagnia e di una mano. Mentre passeggiava lentamente con l’anziana donna accanto, respirò l’aria fresca di quella bella mattina estiva e non rimpianse la città.
“Dovresti prendere un gatto.” Le disse la donna anziana. “I cani sono troppo noiosi, abbaiano e vogliono attenzione, mentre un gatto si fa i fattacci suoi.”
“Frau Ilse sta cercando di rifilarti uno dei suoi gatti?” Le chiese allora lei, divertita.
“Sì.” Ammise la donna. “Ma non sarebbe una brutta idea, andrai al college e un gatto potrebbe farti compagnia, senza pretendere troppo.”
“Non avrò tempo di occuparmi di molto più che me stessa, nonna.” Aveva esitato a lungo tra veterinaria e medicina, alla fine, però aveva scelto quest’ultima. Un percorso che sicuramente avrebbe mostrato sfide e richiesto grande impegno.
“Sei troppo seria.” La rimproverò la nonna con un buffetto al suo braccio. “Io alla tua età pensavo solo a come rimorchiare i ragazzi!” Ridacchiò nel vedere il suo sguardo scioccato. “Se non ricordo male neanche tua mamma era molto diversa…”
“Nonna!” La interruppe lei ridendo.
Continuarono a camminare fino a quando non raggiunsero la strada che saliva la collina verso la grande casa bianca.
“Anche se non vuoi un gatto, potremmo andare a vedere la cucciolata di Ilse.” Propose l’anziana donna e Beth che osservava la strada con un sorriso e una punta di nostalgia, annuì.
La casa era elegante e ordinata, così come l’aveva sempre trovata quando era tornata nelle diverse estati.
Bussarono e ad aprire fu Elard, l’uomo aveva ancora la perfetta postura di dieci anni prima, ma i capelli ormai erano tutti grigi e sul naso portava un paio di eleganti occhiali.
“Buongiorno frau Eleanor, fräulein Beth.” Le salutò non rinunciando all’appellativo tedesco che tanto amava. “Prego.” Le accompagnò direttamente nel giardino dove Ilse, un ampio cappello sulla testa e dei guanti, stava lavorando alle sue rose.
“Che piacevole sorpresa!” Esclamò nel vederla. Le due anziane signore si vedevano spesso per un thè al cottage o una partita a carte dopo una passeggiata, ma era raro che Beth e la donna si vedessero e l’ultima volta era stato l’estate prima. “Come stai? Sei bellissima!” Arrossì un poco al complimento della donna che sorrise. “Sempre timida, vedo.” Rise. “Ricordo Ann che ti tirava di qua e di là senza lasciarti il tempo di dire di no alle sue folli idee o scoperte.” Al pensiero della nipote gli occhi della donna si addolcirono ancora e per qualche ragione il suo accento si fece più marcato.
“Stavo cercando di convincere Beth a prendere un gatto.” Intervenne sua nonna, togliendola dall’imbarazzo. Ilse annuì contenta e le portò al capanno, un grosso gatto grigio le osservò passare, comodamente sdraiato tra i fiori.
Dopo la visita ai gattini la donna le invitò per la seconda colazione, dopo tutto avevano appena fatto una lunga passeggiata e se la meritavano, assicurò, facendo portare al maggiordomo una ricca colazione salata. Mentre stavano affrontando un tema caro alle due donne: l’assenza di un ambulatorio medico fisso a Greenwood, sentirono arrivare un’auto. Elard non ebbe neanche il tempo di avvicinarsi alla porta quando questa fu spalancata e davanti a loro apparve una ragazza dai burrascosi capelli rossi e dall’ampio sorriso.
“Oma!” Chiamò, posando a terra una sacca.
Beth si ritrovò a sgranare gli occhi, la ragazza davanti a lei non aveva più sette anni, era più alta, il suo viso non era più rotondo, ma quei capelli rossi, quegli occhi verdi e quel sorriso…
“Ann!” Disse Ilse alzandosi in piedi e aprendo le braccia verso la nipote che le corse incontro parlando velocemente in tedesco. Le due donne si abbracciarono, poi la più anziana fece un passo indietro guardando la nipote con occhi che brillavano.
“Sei cresciuta così tanto!”
“Ci siamo viste a Natale!” La prese in giro lei ridendo. Aveva un accento molto più marcato rispetto a quello della nonna, lo stesso che aveva avuto da bambina. “Ma sono sgarbata, ho interrotto la colazione con i tuoi ospiti…” Si interruppe perché i suoi occhi si fermarono per la prima volta su di lei. “Beth?” Chiese e nel vederla annuire la ragazza esplose. “Beth!!!” Urlò e la raggiunse per stringerla con forza. “Non ci vediamo da… beh, da quell’estate! Quanti anni avevamo? Otto?”
“Sette.” Intervenne sua nonna con un sorriso.
“Nonna Eleanor!” Disse allora la giovane e strinse anche lei. “Non ho mai dimenticato i vostri biscotti.” Dichiarò con enfasi.
“Ora siediti e mangia con noi, così mi racconti come mai sei qua, non che mi lamenti, bada bene.” Ilse le indicò una sedia, mentre Elard pronto come sempre stava già apparecchiando il tavolo.
“Grazie Elard, sono contenta di vedere anche te.” Affermò. “Ho una cosa in valigia, quando spacchetto te la porto.” Gli fece l’occhiolino e l’uomo, sorprendentemente, arrossì.
“Grazie, fräulein Ann.”
Ann si sedette e iniziò a raccontare di come avesse deciso di andare a studiare negli Stati Uniti e perciò necessitasse di dare una spolverata al suo inglese e dove poteva farlo meglio se non passando l’estate dalla sua adorata nonna a Greenwood?
E così la tranquilla estate programmata cambiò drasticamente. Ann era tornata e aveva tutta l’intenzione di passare il suo tempo a divertirsi con la sua amica d’infanzia. Beth passeggiava ancora al mattino con sua nonna, ma erano spesso raggiunte da una Ann in tenuta da jogging che vulcanica come sempre iniziava a raccontare le sue avventure portandole a ridere fino alle lacrime. E poi vi erano i pomeriggi, un tempo avevano giocato, ora invece esplorarono, fermandosi per ore a chiacchierare in una fresca radura o facendo il bagno in qualche pozza d’acqua. Ridendo e scambiandosi idee e sogni. Era bastato un attimo per tornare alla vecchia complicità, per risaldare un rapporto spezzato molti anni prima alla fine dell’estate.
“Beth…” Erano sdraiate nell’erba, la casa bianca era poco distante, ruotando la testa Beth avrebbe potuto vederla. Un gatto passò rapido tra gli steli d’erba a caccia di chissà che cosa.
“Sì?” Chiese, perplessa nel sentire il tono incerto, Ann non era mai incerta.
“Ti ricordi il giorno in cui ti ho portato nel capanno?”
“A vedere il gattino, certo. Da allora tua nonna ha accumulato un bel numero di gatti e gattini.”
“Già…” Disse solo Ann, Beth si voltò a guardarla. La ragazza aveva gli occhi fissi su di lei.
“C’è qualcosa che non va?” Le chiese, perplessa, Ann distolse lo sguardo e si posò il braccio sugli occhi a nascondere il volto.
“No, è solo che di quel momento mi è rimasta impressa un’altra cosa.”
“Cosa?” Chiese lei, perplessa.
La ragazza tornò a guardarla, i suoi capelli sembravano ancora più rossi illuminati dal sole estivo e i suoi occhi verdi risaltavano grazie all’abbronzatura dovuta alle loro lunghe giornate passate al sole. Era molto bella.
“Nulla, andiamo.” Si alzò veloce. “La prima che arriva a casa vince!” Urlò mentre già risaliva la collina di corsa. Beth la seguì senza speranza di vittorie, Ann era decisamente troppo atletica.
Quella sera, però, mentre si rigirava nel letto ripensò al tono di Ann, alle sue parole e i suoi occhi si sgranarono mentre ricordava cos’era successo esattamente nel capanno quel giorno di tanti anni prima.
Il giorno dopo quando lei e sua nonna incontrarono Ann mentre passeggiavano non poté fare a meno di vederla sotto una luce diversa e il suo cuore accelerò ogni volta che la giovane posava lo sguardo su di lei o le sorrideva.
Non fece nulla, l’estate continuò placida e le loro scampagnate non cambiarono, vi era solo una nuova intimità, ora non era strano che si ritrovassero molto più vicine mentre erano sdraiate a terra, le braccia che quasi si sfioravano, oppure era diventato una routine intrecciare una i capelli dell’altra, ridendo e scherzando mentre ideavano le acconciature più assurde. Il cambiamento era stato leggero, eppure, Beth ne era acutamente consapevole, così come sentiva che era profondamente naturale, non vi era nessuna forzatura, nessun disagio. Fino a quando, un giorno, non scoppiò un temporale proprio mentre stavano passeggiando nel giardino della casa bianca. Corsero ridendo sotto la pioggia battente infilandosi veloci nel capanno degli attrezzi. Attorno a loro vi erano numerosi gatti al riparo anche loro da quella torrenziale pioggia.
“Te lo avevo detto che avrebbe piovuto!” Esclamò lei, cercando di riprendere fiato dopo la corsa. Ann rideva.
“Andiamo che estate è se non ti prendi almeno una volta la pioggia sulla testa? Oppure voi signorine inglesi avete ancora la tendenza delle vostre illustri antenate dei romanzi e dopo una piaggia vi prendete qualche brutta malattia e vi ammalate?”
“Non c’è nulla di divertente nelle malattie polmonari!” Ribatté lei, ma Ann continuava a ridere.
“Su, vieni qua, fragile fanciulla inglese!” La prese in giro, poi sfilò la maglietta che indossava e la passò attorno al suo collo avvolgendola come una sciarpa. Stavano ridendo, ma erano vicine, molto vicine. Beth ricordò quel giorno nel capanno di molti anni prima, quel bacio sulla guancia dato con tanta semplicità. La pioggia risuonava sul tetto in legno, i gatti si aggiravano attorno a loro e lei si sentì felice, come tanti anni prima. Così, senza riflettere, guardò negli occhi di Ann e le diede un bacio, sulle labbra questa volta.
La ragazza sgranò gli occhi, rimase immobile per un lungo istante, poi la baciò a sua volta.
Fu strano, fu un po’ un pasticcio, non era ben sicura di cosa dovesse fare con le labbra, con le mani, con il corpo, ma fu lo stesso magico. Quando aprì gli occhi, perché Ann si era tirata indietro, sorrideva, ma il suo sorriso si congelò quando vide l’espressione spaventata nello sguardo della giovane. Un istante e la ragazza fuggì via, correndo veloce sotto alla pioggia.
Beth rimase nel capanno tra i gatti che la fissavano indifferenti.
 
Percorse la stretta strada della collina fino ad arrivare in cima e parcheggiare nell’ampio spiazzo davanti alla casa bianca. Quanti anni erano passati? Non aveva più percorso quella strada, non era più entrata in quella casa da quanto tempo? L’università aveva avuto la meglio, diventare medico non era stato un piccolo sforzo e non aveva più potuto passare un’intera estate da sua nonna, ma solo pochi giorni, giorni che aveva dedicato come sempre a passeggiate divenute sempre più corte mentre la donna faceva sempre più fatica a muoversi. Non avevano più affrontato la strada sulla collina verso la casa bianca, malgrado le due anziane signore fossero ancora amiche e continuassero a vedersi, aiutate dal vecchio, ma ancora arzillo maggiordomo.
Scese dall’auto e afferrò la sua borsa, per poi dirigersi ad ampi passi verso l’entrata. Prima ancora che potesse bussare l’uomo le aprì la porta.
“Frau Ilse la sta aspettando.” Le comunicò il maggiordomo, poi la guidò verso l’ampio salotto, illuminato dal sole grazie alle ampie finestre.
“Grazie Elard.” Disse allora l’anziana signora seduta su una delle poltrone. “Beth, grazie di essere venuta così in fretta.”
“Come ti senti, Ilse?” Le chiese subito lei, avvicinandosi.
“Quello che sto affrontando è decisamente un problema di cuore.” Dichiarò la donna.
Beth aprì la borsa e afferrò lo stetoscopio, preoccupata.
“Oma...?” La voce alle sue spalle si spense, lei si voltò e si ritrovò a guardare una donna diversa dalla ragazza che tanti anni prima le aveva spezzato il cuore, ma, allo stesso tempo, era ancora lei, stessi capelli rosso scuro, stessi brillanti occhi verdi, stesse labbra sottili.
Tornò a voltarsi verso la donna anziana cercando di ignorare il rumore del proprio cuore e concentrarsi su quello della sua paziente.
“Cosa sta succedendo?” Chiese Ann e aveva ancora quell’accento tedesco che tanti anni prima aveva trovato così adorabile, ma non vi era in lei quell’esuberante energia che l’aveva sempre caratterizzata.
“Un problema di cuore.” Dichiarò la donna, eppure, ora che Beth aveva posato lo stetoscopio sul cuore della donna, di problemi non ne sentiva proprio. Allontanò lo strumento e guardò l’anziana signora negli occhi.
“Descrivimi quello che hai provato.” Chiese, cercando di essere professionale. Non sapeva Ann fosse a Greenwood, ma non voleva che quell’informazione la distraesse dalla sua paziente.
“Credo di stare meglio ora, forse ho solo mangiato troppo in fretta.”
“Non mi hai detto che stavi male.” Intervenne preoccupata Ann, avvicinandosi all’anziana donna e appoggiandole una mano sulla spalla, preoccupata.
“Non è niente, mi sento perfettamente bene ora.” I suoi occhi passarono da una donna all’altra. “Ann, perché non offri a Beth un thè? Io starò qui tranquilla, voi potete prenderlo nel guardino. Elard, puoi…”
Ann parlò veloce, in tedesco, il suo tono era accusatorio. La donna più anziana scosse la testa, decisa. Beth si alzò, si tolse i guanti che aveva indossato per la visita e ripose lo stetoscopio.
“Grazie per l’invito, ma devo andare a visitare un altro paziente e…”
“Sai Ann, Beth ha aperto un ambulatorio a Greenwood, lo gestisce da sola, il miglior medico che questa cittadina abbia mai avuto. Eleanor mi ha detto che ha ricevuto offerte dai più grandi ospedali, ma ha voluto tornare qua.”
Ann sembrava incapace di guardarla, sorrise e annuì alle parole della nonna, ma vi era una tensione in lei, chiaramente vi erano altre cose che quel breve dialogo in tedesco stava nascondendo.
“Ann resterà con me questa estate, tu ed Eleanor potreste venire a cena, magari domani sera?”
“Io… credo di avere del lavoro e…”
“Chiederò a Eleanor.” Chiuse la discussione Ilse con un sorriso.
Beth le diede una serie di istruzioni da seguire nel caso avesse di nuovo provato dolore al petto, poi uscì, mentre scambiava ancora alcune parole con Elder sentì alle sue spalle riprendere il precedente acceso scambio in tedesco e decise che non si sarebbe presentata a cena, poco importa cosa avesse detto sua nonna.
Non aveva perso l’abitudine di passeggiare, malgrado ora lavorasse e sua nonna non potesse più accompagnarla. Percorreva la stessa strada tutte le mattine, le piaceva iniziare la giornata così, costeggiava il fiume fino al boschetto di betulle, attraversava il ponticello di pietra, superava la grande quercia e arrivava fino alla fila di pioppi, poi tornava indietro. Non era un percorso lungo, ma le permetteva di riflettere e combattere lo stress del suo lavoro. Mentre tornava indietro vide una figura correre verso di lei, non le servì vedere i capelli rosso scuro per capire di chi si trattasse. Era passata una settimana dal loro precedente incontro e malgrado l’insistenza di sua nonna non era andata alla cena organizzata da Ilse, era sicura di poter evitare di vederla per quei pochi mesi, ma evidentemente la ragazza non aveva perso l’abitudine del jogging e aveva scelto proprio quella stessa strada.
Nel vederla Ann si fermò.
“Hallo.” Le disse.
“Ciao.” Rispose lei, cercando di ricordarsi che erano adulte ora, niente drammi, erano passati anni, una vita praticamente.
“Oma mi ha suggerito di venire a correre qua, ho sentito che parlottava con tua nonna dopo cena, ora capisco di cosa.” Confessò la donna, sembrava un pochino meno tesa. Le sorrise, anche se non capiva bene perché le stesse dicendo quello, perché le due anziane donne volessero mettersi in mezzo a qualcosa che non capivano neanche. “L’ho fatta preoccupare.” Ammise allora Ann, distogliendo lo sguardo.  “Sa quanto ero felice qua con te e pensa di potermi aiutare nel riallacciare una vecchia amicizia.”
Beth guardò per la prima volta per davvero la donna, non era solo meno vivace era… spenta. Niente occhi brillanti, niente sorriso smagliante, quello che albergava sulle sue labbra era solo un pallido ricordo del sorriso di un tempo. Era solo stato il tempo a punirla o vi era dell’altro?
“Non stai bene?” Le chiese allora e la donna scosse la testa.
“Niente che richieda la tua professione, non ti preoccupare!” Assicurò e sembrò imbarazzata dalla precedente ammissione. Rimasero in silenzio, tanto che Beth iniziò a chiedersi con quale frase fosse meglio congedarsi, poi la donna parlò ancora. “Ti andrebbe di passeggiare con me? Come i vecchi tempi?” Beth rimase muta per un istante, Ann sorrise in imbarazzo, poi scosse la testa. “Immagino che sarai impegnata, scusami, era una cosa sciocca…”
“Faccio questa strada tutte le mattine.” La interruppe lei e Ann alzò gli occhi su di lei.
“Sì?” Chiese e lei annuì.
Il giorno dopo Ann la aspettava all’imbocco del sentiero, i capelli raccolti in una treccia. Camminarono in silenzio per un lungo tratto, poi un gatto attraversò loro la strada.
“Ormai hanno invaso il paese.” Si ritrovò ad osservare e fu come rompere un incantesimo, Ann iniziò a raccontarle dei gatti alla casa bianca, poi del gatto che le aveva regalato la nonna anni prima e che aveva portato con sé negli Stati Uniti e poi non si era più fermata come un fiume in piena le aveva raccontato gli ultimi quindici anni della sua vita, la scuola, il lavoro come architetto, il matrimonio con un uomo, il divorzio. Beth aveva ascoltato in silenzio, lasciando che la donna si liberasse, fino a quando non erano tornate indietro.
“Mi dispiace, ho parlato solo io.” Si rese conto Ann quando tornarono al punto di partenza.
“Domani sarà il mio turno.” Le disse allora Beth e la donna sorrise, sorrise per davvero.
E così riprese la loro amicizia, non era più come quando erano bambine e neppure come quando erano ragazze, Beth lavorava e Ann combatteva con un dolore che non era ancora stato nominato, ma avevano le loro passeggiate e la complicità fu presto ritrovata, la naturalezza tra di loro, il modo semplice e sincero che avevano di comunicare, ma alcune cose furono taciute.
“Quindi dopo la scuola sei venuta qua? Perché?” Le chiese una mattina Ann.
“Eleanor stava sempre peggio, non voleva che prendessimo un aiuto per lei, è troppo orgogliosa, così mi è sembrata la cosa più giusta da fare. Le nostre nonne si lamentano da anni per l’assenza di un ambulatorio permanente ed effettivamente ce n’era bisogno.”
“Sempre altruista vedo.” Commentò la donna. “Io ho studiato architettura e ora tutto ciò che faccio è trovare modi per spillare più soldi possibili ai miei clienti, tu salvi persone lontano dalla gloria e dal denaro. Siamo sempre state così diverse.”
Il commento le fece alzare un sopracciglio.
“Perché dici che siamo sempre state diverse?”
“Oh, andiamo, tu eri quella timida e riservata che parlava poco e ascoltava tanto, quella saggia e posata, mentre io… riuscivo a combinare disastri prima ancora di aver fatto colazione!” Rise, poi si fece seria. “Ho sempre parlato troppo, ma di certo non ho mai avuto il tuo coraggio.”
“Coraggio?” Beth scosse la testa. “Chi è che è andata a studiare all’estero? Chi è che ha fondato il proprio studio due giorni dopo la laurea e ora ha decine di architetti che lavorano per lei? Andiamo, sei sempre stata la più forte e…”
“Eppure l’ho perso.” Beth la guardò, mentre un orrendo sospetto si faceva largo nella sua mente, una risposta al dolore che aveva spento la donna. Ann fece ancora un passo poi si voltò a guardarla aveva gli occhi pieni di lacrime. “Sono qui perché ho perso il mio bambino.” Ammise, calde lacrime ora scendevano lungo le sue guance. Beth rimase immobile ancora un secondo, poi fece due passi avanti e la strinse tra le braccia, lasciando che la donna piangesse.
L’ambulatorio era vuoto e Beth ne fu felice, aprì le porte e fece accomodare Ann nel suo piccolo studio, mettendo su dell’acqua per il thè. La donna sembrava ancora scossa, ma almeno non piangeva più.
“Mi dispiace.” Le disse alla fine.
“Non ti devi dispiacere. Anzi, dispiace a me, avrei voluto poterci essere, per te, invece…” Ann scosse la testa, ma Beth insistette, inginocchiandosi davanti a lei e prendendole le mani. “Ti ho lasciata sola, sono stata una stupida, mi dispiace tanto.”
“No…” Mormorò Ann e con delicatezza le accarezzò il volto. “Eravamo solo bambine.”
Beth scosse la testa ma non la contraddisse. Diciassette anni, erano bambine, ma avrebbe voluto essere migliore, avrebbe voluto andare a salutare Ann, accettare la sua amicizia e non respingerla solo perché per lei quel bacio era stato importante. Avrebbe potuto rispondere alle sue lettere e forse sarebbero rimaste amiche.
Il bollitore iniziò a fischiare e lei si tirò in piedi occupandosi di quel compito abituale e semplice. Solo mentre bevevano il loro thè Ann iniziò a raccontare di come, una sera, si fosse lasciata andare con un uomo, per poi poco dopo scoprirsi incinta, lei una donna adulta e informata che cadeva in una gravidanza indesiderata… non lo aveva voluto, lo aveva detestato, era un intralcio, per lei, per la sua carriera, per la sua immagine. E poi lo aveva perso e ne era rimasta distrutta.
“Ma sto già meglio, qua dalla nonna ho passato i momenti più belli della mia infanzia e sto guarendo.” Le assicurò.
“Tra gatti, rose e libri è difficile non avere qualcosa da fare alla casa bianca.” Rimarcò lei.
“E le nostre passeggiate.” Aggiunse Ann. “Ti ringrazio per non avermi rifiutato la tua amicizia.”
Beth si sentì di nuovo in colpa per aver pensato di volerle restare lontano questa estate.
Una coppia entrò nell’ambulatorio e Ann si alzò.
“Devo lasciarti lavorare.” Affermò cercando con un sorriso di rassicurarla. Beth esitò, lanciò uno sguardo alla coppia che si stava sedendo sulle poltroncine della sala d’attesa e poi l’orologio nel suo studio.
“Ceniamo assieme questa sera?” Le sfuggì dalle labbra. “Devo pur farti vedere dove abito.” Aggiunse.
“Va bene.” Accettò la donna e le sorrise, poi le si avvicinò e la strinse tra le braccia un istante più del necessario.
Beth la guardò andare via.
Puntuale Ann si presentò alla sua porta con una bottiglia di vino. Mangiarono e chiacchierarono fino a quando non finirono la prima bottiglia e ne iniziarono una seconda.
“Vorresti avere dei figli?” Le chiese Ann, era notte inoltrata, erano sdraiate una accanto all’altra, sull’ampio terrazzo e osservavano il cielo.
“Non lo so.” Ammise Beth. “Non ci ho mai pensato, non ho mai pensato di poterne avere.”
Ann si voltò a guardarla.
“Sei un medico dovresti sapere che ci sono metodi anche per…” Beth le diede una gomitata e lei rise.
“Non in quel senso.” Sbottò. “Non perché vedo il mio futuro con una donna e non con un uomo!” Ann rise ancora ed era bello sentirla ridere di nuovo veramente.
“Saresti una mamma fantastica.” Assicurò alla fine Ann e Beth si voltò a guardarla.
“Sarai una mamma fantastica.” Le rispose e la donna allungò la mano stringendo la sua, senza risponderle.
L’estate era quasi finita, le prime foglie iniziavano ad ingiallire e Ann aveva ripreso a lavorare da casa, ma presto avrebbe dovuto tornare in Germania dai suoi doveri ai quali si era sottratta troppo a lungo.
“Starai bene?” Le chiese Beth, una mattina, mentre passeggiavano assieme per l’ultima volta quell’estate.
“Credo di sì.” Affermò la donna e vi era una nuova serenità nei suoi occhi. Il dolore non era sparito, ma in qualche modo era riuscita ad andare avanti. “Oma mi ha regalato un altro gatto.” Le riferì. “Dice che in una casa grande come la mia serve un gatto. Vorrebbe regalarne uno anche a te, mi ha chiesto di insistere.” Sorrise nel vedere Beth scuotere la testa decisa. “Lo immaginavo.”
“Mi mancherai.” Le disse Ann prima di lasciarla andare a lavorare.
Beth la guardò, sapeva di essersi innamorata di nuovo, ma non era più una bambina, sapeva che era un amore unilaterale e poteva accettarlo. Le sorrise.
“Mi mancheranno le nostre passeggiate.” Assicurò sfuggendo i suoi occhi.
“Vieni qua.” Ordinò Ann e con un sorriso la strinse tra le braccia. “Grazie.” Mormorò, poi le diede un bacio sulla guancia. Sorrise ancora e poi si allontanò, aveva un aereo da prendere.
 
Erano passati quattro mesi, la neve aveva avvolto Greenwood e Beth aveva preferito lasciare la macchina in fondo alla collina e salire a piedi verso la grande casa bianca. Sua nonna era mancata durante l’autunno e così toccava a lei portare a frau Ilse il regalo di Natale che le due donne si erano scambiate per anni. Con i due pacchetti, uno, immancabile, per Elder, salì il sentiero avvolta nel silenzio e nel bianco. All’esterno dell’edificio la neve era immacolata, segno che nessuno aveva fatto visita ai due anziani abitanti dopo l’abbondante nevicata notturna. Suonò alla porta e aspettò paziente che Elder venisse ad aprire, il maggiordomo non era più reattivo come un tempo, ma la accolse con il consueto sorriso.
“Buongiorno, fräulein Beth.”
“Buongiorno, Elder.”
Il caminetto era acceso e la casa era accogliente come sempre, nell’ampio salotto la vista sul giardino era magnifica, la neve aveva decorato le piante prive di fiori e foglie rendendo la vista magica.
“Ciao cara.” La salutò Ilse, non era più l’anziana arzilla di un tempo, ma i suoi occhi chiari brillavano ancora di vivacità. “Come stai?” Le chiese gentile indicandole di sedersi.
“Bene, ho pensato di farvi visita oggi visto che la neve terrà bloccati a casa i miei pazienti abituali.” La donna sorrise.
“Mi fa molto piacere, anche perché io e Elder abbiamo appena finito di impacchettare il regalo per te.”
“Oh, non dovevate!” Affermò allora lei in imbarazzo.
“Pensi davvero che non avrei mantenuto la tradizione?” Le chiese. “Eleanor è stata la prima ad accogliermi a Greenwood e le volevo molto bene, lo sai che sei come una nipotina per me, adoravo quando da piccola mi chiamavi Oma, come Ann.”
“Pensavo fosse il tuo nome di battesimo.” Ammise e la donna rise. Beth lanciò uno sguardo alle foto posate sul caminetto. “Come sta?” Chiese allora e gli occhi della donna brillarono.
“Sta meglio, grazie a te.”
“Non ho fatto nulla.” Si schermì lei. Aveva sentito Ann durante l’autunno, la donna era stata avvisata della morte di Eleanor e l’aveva chiamata più volte durante il mese per chiacchierare con lei, ma era strano, essere così distanti, le loro vite erano così diverse e alla fine avevano di nuovo smesso di sentirsi.
Ilse le posò una mano sul braccio e strinse, un sorriso dolce sulle labbra.
“Sei importante per lei.” Assicurò.
Elder arrivò con l’immancabile thè e tutti e tre assieme lo bevvero, scambiandosi i regali. Ilse provò ancora una volta a donarle un gattino della nuova cucciolata, ma Beth resistette. Si salutarono e lei riprese il sentiero innevato.
La neve era quasi sciolta quando due giorni dopo sentì la porta dell’ambulatorio aprirsi, infilò il camice e andò ad accogliere il nuovo paziente quando si ritrovò davanti Ann.
“Buon Natale!” Esclamò la donna, poi in due passi la raggiunse e la strinse tra le braccia.
“Cosa ci fai qua?” Le chiese lei, spaesata.
“Bell’accoglienza.” La sgridò Ann, l’accento marcato di quando era appena arrivata, il sorriso allegro che aveva posseduto un tempo.
“Perdonami, sono contenta di vederti, ma sei sempre venuta d’estate e…”
“Avrei dovuto venire questo autunno, ma la situazione era davvero complicata, ora ho sistemato le cose e sono qua.” Affermò allora la donna. Sembrava di nuovo la ragazza vivace di un tempo. “Sono qua.” Ripeté.
“Lo vedo!” Esclamò allora Beth. “E io non ho un regalo per te…”
Nel vederla corrucciarsi Ann scoppiò a ridere.
“Questa è la prima cosa che ti viene in mente?” Le chiese e rise ancora. Beth la guardò e scosse la testa, era bella da togliere il fiato. Forse era il lungo e severo cappotto verde bottiglia, forse i capelli raccolti in uno chignon, forse gli occhi che brillavano di nuovo, ma la donna davanti a lei era semplicemente capace di toglierle il fiato.
“Terra chiama Beth.” La richiamò la donna con un ampio sorriso sulle labbra.
“Scusa, sono solo terribilmente sorpresa di vederti e… felice!” Ammise e Ann la strinse di nuovo tra le braccia.
“Così va meglio.” Affermò lasciandola andare. “So che stai lavorando, ma dovevo passare da te prima di andare a casa. Ci vediamo questa sera?”
Beth sorpresa di sapere che era stata la sua prima visita, annuì al suo invito.
“Alla casa bianca o da me?” Le chiese e la donna sorrise.
“Da noi, dopo tutto ho lanciato io l’invito e oma sarà felice di vederti, sei sempre stata la sua preferita.” Con quelle parole la lasciò. Beth la accompagnò sulla porta e la guardò andare via.
Quella sera salì la collina in macchina, la strada era stata pulita dalla poca neve rimasta e lei non ebbe difficoltà a raggiungere lo spiazzo davanti alla casa bianca. Scese e la porta si aprì, come un tempo su di una sorridente Ann.
“Eccoti! Ti aspettavamo.” Assicurò, spalancando la porta per lei. Per un istante sembrò porgerle la mano, poi Beth capì, arrossendo, che le chiedeva il cappotto.
“Elder mi ha istruita.” Le spiegò la donna. “Non sai che lotta per poterti aprire io la porta.” Sorrise ancora, mentre sistemava la sua giacca nell’armadio dell’entrata. “Vieni.” Le disse poi e allora le tese la mano e Beth seppe che non si stava sbagliando. Le loro mani si strinsero e la donna la guidò verso la sala da pranzo. Il caminetto era acceso, così come numerose candele che decoravano il tavolo. Ilse era già al suo posto, mentre Elder stava portando i vassoi dalla cucina.
“Sedetevi, su!” Le incitò la donna. “Elder ci mette molto meno tempo a introdurre i miei ospiti.” Il sorriso sulle labbra, come sempre stemperava il rimprovero. “Sono molto felice di averti a cena.” Affermò poi la donna posando la propria mano su quella di Beth. “Di avervi entrambe a cena.” Si corresse e questa volta la sua mano si posò su quella di Ann.
La cena fu come sempre impeccabile, Elder era un abile cuoco e si era superato, la compagnia poi era delle migliori, persino il maggiordomo si lasciò andare raccontando alcune dei disastri combinati da Ann durante l’estate che aveva passato lì quando aveva sette anni, ma alla fine i due anziani si ritirarono e lei e Ann rimasero sole.
“Mi dispiace molto per tua nonna.” Le disse la ragazza, mentre osservavano in sereno silenzio le fiamme del caminetto spegnersi lentamente.
“Dispiace anche a me, ma era stanca ed è stato un sollievo per lei andarsene quando possedeva ancora il suo orgoglio, era terrorizzata di perderlo a causa della vecchiaia.”
“Posso capirla.” Annuì Ann. Rimasero di nuovo in silenzio, poi Ann allungò la mano a sfiorare la sua, Beth la guardò, interrogativa.
“Ann…” Si ritrovò a dire.
“Sì, Beth?” Le chiese la donna e i suoi occhi brillavano, un sorriso appena nascosto sulle labbra.
“Non giocare con me.” Il sorriso svanì sulle labbra della donna alle sue parole.
“Non sto giocando.” Mormorò. Rimasero in silenzio, alla fine Ann ritirò la mano, girando il volto verso il fuoco morente.
Beth sospirò e si alzò dal divano.
“È stata una bella serata, ma ora devo andare a casa.”
Ann si alzò e scosse la testa.
“Possiamo ancora… posso aprire una bottiglia e…”
“È tardi.” Affermò allora lei.
“Domani è Natale!” Obiettò Ann.
“Buona notte, Ann.” Oltrepassò la donna e raggiunse la porta d’entrata, recuperò la sua giacca e la infilò a quel punto la donna comparve dal salotto.
“Passeggi anche d’inverno?” Le domandò sorprendendola.
“Sì.” Rispose.
“Solito posto?”
“Sì.”
Ann annuì, poi le aprì la porta.
“A domani allora.” Sulle sue labbra vi era un sorriso.
E come promesso, l’indomani, la trovò ad attenderla, una giacca calda, un paio di guanti e un cappellino in testa.
“Buon Natale!” La accolse, sorridente.
“Buon Natale.” Rispose lei. Non aveva dormito molto bene, torturata da quello che temeva stesse per succedere, aveva paura di ritrovarsi incapace di opporsi e finire per farsi del male.
La camminata iniziò come al solito, Ann le raccontò di quello che aveva fatto gli ultimi mesi, dei cambiamenti e dei preparativi, fino a quando Beth non si fermò tra la neve quasi sciolta e la guardò perplessa.
“Hai lasciato lo studio che hai fondato?” Le chiese, come a confermare che avesse sentito bene.
“È quello che ti sto dicendo da quando abbiamo iniziato a camminare!” La prese in giro lei.
“E cosa farai adesso?”
“Non lo so, pensavo di darmi all’allevamento di gatti.”
“Ann!” La donna rise nel sentirsi riprendere.
“Ho sentito che Greenwood manca crudelmente di architetti.”
“Non prendermi in giro.” Ritorse lei, ma la donna la fissò.
“Perché pensi sempre che mi stia prendendo gioco di te? Ieri sera e adesso di nuovo.” Beth la guardò sorpresa nel vederla così seria.
“Andiamo, sei… Ann! Greenwood non è adatto a te, ti annoieresti dopo una settimana.”
La donna riprese a camminare, rimanendo silenziosa per un po’.
“Non ero felice, non sono mai stata felice come lo sono stata qua, perché non dovrei rimanerci per sempre?” Fu il turno di Beth di rimanere in silenzio, non sapeva cosa rispondere. “Tu sei qua.” Aggiunse allora la donna.
“Io non sono te, Greewood è sufficientemente calmo e facile da essere adatto ad una persona noiosa quanto lo sono io.” Cercò di scherzare.
“Beth…” Mormorò allora la donna, ma lei scosse la testa e Ann rimase in silenzio per il resto della passeggiata.
A quanto pare la donna, però, era stata seria, perché passate le vacanze di Natale non se ne andò, invece comprò uno degli edifici in città e aprì uno studio di architettura, prendendo subito con sé come apprendisti due ragazzi del posto che si erano appena laureati, nel giro di pochi mesi il suo studio era il più indaffarato della regione.
Si incrociarono qualche volta, ma scambiarono solo poche frasi, Beth si ritrovò incapace di superare le sue paure, malgrado tutto, e Ann non sembrava più intenzionata a portare avanti il discorso che sembrava voler fare a Natale.
Arrivò la primavera e poi l’estate, Beth continuò le sue passeggiate solitarie, le sue visite e il suo lavoro in ambulatorio. Poi un giorno all’ambulatorio arrivarono dei fiori, tra di essi un biglietto con un chiaro invito: era firmato Ann. Il cuore di Beth fece qualche capriola e la ragazza seppe che non avrebbe resistito così, come molte volte prima, salì la strada verso la casa bianca.
Quando arrivò trovò Ann ad aprirle.
“Hallo.” Le disse, come aveva fatto così spesso in passato, malgrado il suo accento fosse quasi scomparso dopo i molti mesi passati a parlare solo inglese. “Sono contenta tu sia venuta, non ne ero sicura.” Ammise la donna. La condusse dentro casa, nel salotto e poi in giardino.
“Hai scritto che dovevi mostrarmi qualcosa.” Le ricordò e la donna annuì, poi le tese la mano. Beth esitò per un istante, poi la prese.
“Facciamo una passeggiata.” Le chiese la donna e lei annuì mentre si addentravano nel giardino, era parso così grande e magico quando erano bambine, ma ora era solo un elegante giardino curato con amore e attenzione. Ann la condusse oltre i cespugli di rose, oltre le siepi, oltre la fontana fino al capanno degli attrezzi, poi si voltò a guardarla e si portò un dito alle labbra.
Beth la guardò, mentre il suo cuore batteva veloce e la donna sorrideva e apriva piano la porta del capanno.
Non era cambiato negli anni, eppure non entrava lì dentro da quel giorno, da quel temporale. L’interno era buio e caldo, vi era un leggero profumo di erba tagliata e di terra. Ann le indicò un angolo, dietro a degli attrezzi una gatta stava allattando tre micetti. Beth sorrise, si voltò per dire qualcosa ad Ann e trovò la donna che la stava guardando, attenti occhi verdi, limpidi e seri.
“So che questa volta tocca a me fare il primo passo. So che scappando, tanti anni fa, ho fatto un terribile errore e so che ci vorrà del tempo perché tu ti convinca di poterti lasciar andare. Ho capito, spero non troppo tardi, che la felicità che provo qua non è legata a Greenwood, ma a te, tu sei l’elemento che mi rende felice. Mi hai salvato la scorsa estate e…” Scosse la testa. “Sei una donna terribilmente sicura e fedele, sei ferma e solida e se prendi una decisione non cambi più idea. Ma spero che questa volta, che questa singola volta, tu riesca a permettermi di dimostrarti quanto io desideri far parte della tua vita in ogni modo possibile.” Mormorò le parole piano, temendo forse che lei si rifiutasse di ascoltare, temendo forse che nel pronunciarle ad alta voce perdessero senso. Beth osservò la donna davanti a sé. Poteva essere vero? Poteva lasciarsi andare?
“Credo che prenderò uno di questi gatti.” Disse e Ann sbatté le palpebre sorpresa. “Credo di poter cambiare idea, qualche volta.” Aggiunse e un ampio sorriso si aprì sulle labbra della donna.
“Sì?” Le chiese per poi avvicinarsi. Sapeva di dover fare lei il primo passo questa volta, lo aveva detto. “Posso baciarti?” Chiese piano e il cuore di Beth accelerò. Annuì, mentre la donna alzava le mani e le sistemava una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio. Poi chiuse gli occhi e la baciò.
Fu confuso quasi quanto la prima volta, non era più il primo bacio, Beth forse non aveva mai trovato l’amore, ma questo non significava che non avesse avuto le sue prime volte e l’esuberante Ann di certo non aveva mancato di incontri di molti tipi. Ma, questa volta, nessuna delle due seppe fare altro che spingere le labbra contro l’altra e sperare di non ritrovarsi sola in quel piccolo capanno bianco.
Quando riaprirono gli occhi si guardarono e poi scoppiarono a ridere entrambe.
“Possiamo fare di meglio.” Assicurò Ann e Beth rise nel vedere il bagliore di sfida negli occhi della donna. “Possiamo.” Assicurò e il secondo bacio andò molto meglio.
E così, finalmente, dopo tanti anni, fu il momento giusto per loro due di stare assieme, tra passeggiate, gatti e una casa bianca.
 
 
Note: La storia è stata scritta per l’iniziativa “Le fasi lunari” del gruppo LongLiveToTheFemslash
Il prompt che mi è stato assegnato era: “Mettersi assieme: passeggiata, gatto, casa bianca”.
  
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