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Autore: All_I_Need    11/08/2021    3 recensioni
Vi ricordate di quel mercoledì che John ha dimenticato perché Sherlock gli ha messo qualcosa nel té? John non lo ricorda. Però torna a sconvolgere la sua vita.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: AU, Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11

Baker Street, dolce casa

Capitolo 11

John doveva ammettere che andare al museo con Sherlock era stata un'idea un po' istintiva, ma una che aveva dato i suoi frutti. Il viso del suo amico si era illuminato al suggerimento ed era rimasto così durante la loro intera gita. Non aveva visto Sherlock così felice e spensierato da... beh, da prima che lui morisse.

Avevano cercato tra gli insetti nomi altrettanto divertenti e ne avevano trovati diversi, ma niente poteva competere con la suprema ilarità di Sherlock Holmes che gli mostrava una roccia chiamata 'Cummingtonite'. Non era affatto il solito tipo di umorismo di Sherlock, il che lo rendeva ancora più divertente agli occhi di John.

E nel frattempo, Sherlock aveva riso, parlato e sorriso più di quanto John lo avesse mai visto. Gli aveva ricordato il loro primo caso insieme e il suo post sul blog sulla sua prima impressione di Sherlock. ‘Era affascinante.’

Lo era ancora, illuminato dall'interno dalla gioia per la loro uscita, fornendo ulteriori informazioni sulla maggior parte dei pezzi esposti e ridendo così forte che dovette sedersi quando John gli raccontò di una gita scolastica al museo che si era conclusa con lui che aveva fatto scattare per errore l'allarme antincendio e provocato l’evacuazione dell'intero edificio.

Solo guardarlo in quel modo rendeva John automaticamente felice e non riusciva a ricordare quando fosse stata l'ultima volta che aveva trascorso una giornata così piacevole.

Cenarono fuori dopo il museo, in un piccolo ristorante vietnamita che avevano scoperto durante uno dei loro casi e in cui non erano andati da un po'. Il cibo era delizioso come John ricordava ed era contento di vedere Sherlock mangiare davvero dando prova di godersi il pasto.

Prima che se ne rendesse conto, il sole era tramontato e si stava facendo tardi. Tornarono a Baker Street e si fermarono davanti alla porta di casa, non ancora del tutto disposti a mettere fine alla giornata. John si sentiva in modo ridicolo come un adolescente ad un appuntamento con la sua prima cotta.

Sherlock si morse il labbro e la mossa lo fece sembrare come se non avesse più di quindici anni: "Vuoi venire su? Prendiamo una tazza di tè, guardiamo un po' di tv spazzatura?”

John esitò. Dio, lo voleva. Lo voleva sul serio. Amava guardare la tv spazzatura con Sherlock. Ma erano già quasi le nove di sera.

"Non posso – disse con rammarico – Si sta facendo tardi e devo tornare a casa. Domani devo lavorare. – E poi si ricordò della sua fidanzata – E Mary sarà preoccupata, naturalmente."

"Certo," ribatté Sherlock, in un tono un po' più freddo. All'improvviso, l'atmosfera amichevole tra di loro sembrava essersi trasformata in qualcosa di imbarazzante e scomodo.

"Bene, allora è meglio che tu vada – ribadí Sherlock, voltandosi verso la porta – Mi mandi un messaggio quando arrivi a casa?"

"Sì, certo, – mormorò John, colto alla sprovvista dal brusco cambiamento di umore di Sherlock – Ehi, sono stato benissimo oggi, va bene? E spero che potremo farlo di nuovo, presto."

Sherlock si ammorbidì visibilmente: "Ogni volta che vuoi, John. Basta solo che lo dici. Buona notte."

"Buonanotte," mormorò John e guardò Sherlock scomparire all'interno. Sospirando, si voltò e iniziò a camminare verso la metropolitana.

Non poté fare a meno di fermarsi di nuovo, però, e voltarsi ancora una volta verso quella casa familiare. Nel profondo, non voleva andarsene. Questa era casa, era sempre stata casa, e ogni parte di lui gridava contro la decisione di allontanarsi da lì.

Le finestre al piano di sopra erano ancora buie: Sherlock non si era preso la briga di accendere una luce? Forse John avrebbe dovuto tornare indietro, controllare se stava bene, assicurarsi che quel pazzo bastardo non fosse caduto dalle scale al buio.

Non essere sciocco, Watson.’ Scosse la testa e si voltò risolutamente verso la stazione di Baker Street. Sherlock sarebbe stato bene.

Una volta che fu sulla metropolitana e diretto verso casa, John si concesse di rilassarsi e ripensare alla giornata. Tutto sommato era andata abbastanza bene. Si erano divertiti molto e avevano condiviso un buon pasto e fino a quando erano arrivati davanti alla porta, tutto era stato perfetto. ‘Almeno finché non ci siamo ricordati che non vivo più lì,’ pensò John e poi si sentì immediatamente in colpa per questo.

Mary – ricordò in modo severo a se stesso – Vado a casa da Mary, il posto a cui appartengo.’

Ma il dolore profondo nel petto non si attenuò nemmeno un po’.

*****

Sherlock chiuse la porta d'ingresso dietro di sé e vi si accasciò contro. Sollevò una mano tremante al viso e non fu affatto sorpreso quando lo trovò leggermente sudato. Un respiro tremante e un altro e un altro.

Respira – ricordò a se stesso – Respira.'

Ma non ci riusciva. Il petto era troppo stretto e sembrava che tutta l'aria fosse stata risucchiata fuori dal corridoio e che non ci fosse abbastanza ossigeno e prima che se ne rendesse conto il mondo gli stava girando intorno, macchie nere gli danzavano davanti agli occhi e le gambe si rifiutavano di sostenere il suo peso.

Ormai conosceva i segnali e così si lasciò scivolare sul pavimento e abbassò la testa tra le ginocchia, sperando che l'attacco di panico passasse.

Si permise di passarci attraverso, tremante, cercando di rimuovere la propria mente cosciente da ciò che accadeva e concentrandosi solo sul respiro, nel tentativo di ottenere abbastanza ossigeno nei polmoni.

Ci vollero dieci minuti interi prima che sentisse di poter sollevare la testa e altri sette prima di riuscire a rialzarsi con l'aiuto del pomello della porta.

Fu proprio in quel momento che notò la signora Hudson in piedi sulla porta del suo appartamento.

"Oh, povero caro, – proferì – Un altro?"

 Lui scrollò le spalle: "Sembra così, signora Hudson."

"Che cosa lo ha causato questa volta? Oh, no, non rispondere. Dimentica persino che lo abbia chiesto. Che stupida."

Fece un passo in avanti e gli prese il viso tra le mani: "Oh, mio caro ragazzo. Dai, ti faccio una tazza di tè. Non osare discutere."

Sherlock non aveva né l'energia né la volontà per fare una cosa del genere, quindi si limitò a seguire la padrona di casa nel suo appartamento e le permise di guidarlo verso una sedia al tavolo della cucina.

Bastò una leggera spinta per farlo sedere in modo pesante e appoggiò i gomiti sul tavolo e si nascose il viso tra le mani, ascoltando i suoni rassicuranti della signora Hudson che preparava una decente tazza di tè mentre lui aspettava che il suo corpo smettesse di tremare.

Non era la prima volta che la signora Hudson lo coglieva nel bel mezzo di un attacco di panico e lei aveva avuto solo bisogno di essere avvisata un'unica volta che toccarlo mentre era nel mezzo di un attacco non era una buona idea. I suoi riflessi, affinati da due anni di fuga da varie organizzazioni criminali, non erano adatti per un tocco casuale mentre la sua mente era spenta. Si sentiva ancora in colpa ogni volta che pensava a quanto fosse livido il polso di lei nel punto in cui l'aveva afferrata.

Il leggero tintinnio della porcellana sul legno lo distolse dai suoi pensieri mentre la signora Hudson gli metteva davanti una tazza di tè fumante: "Ecco qua, mio caro. Due cucchiaini di zucchero, proprio come piace a te."

Riuscì ad alzare la testa e a farle un debole sorriso: "Grazie, signora Hudson. A volte davvero non so che cosa farei senza di lei."

Lei sorrise e gli accarezzò la mano: "Bazzecole. Adesso bevi il tuo tè e calmati un po'. E poi puoi raccontarmi che cosa è successo. Non pensare che io non abbia notato che John è passato di qua prima e che voi due siete saliti su un taxi."

Sherlock sorrise di nuovo: "Non avrei mai pensato una cosa del genere. Se lei non l'avesse visto di persona, sono sicuro che la signora Turner le avrebbe raccontato tutto. Ha preso un nuovo cuscino per il davanzale? Senza di quello le farebbero male le braccia."

"È per il suo gatto, quante volte te lo devo dire?" protestò la signora Hudson senza troppa convinzione.

Sherlock la guardò: "Oh, per favore. Non ho mai visto il suo gatto sedersi su quel cuscino da quando lei lo ha messo lì. È lì solo perché così può appoggiarci le braccia mentre guarda che cosa succeda in strada. E inoltre, il suo gatto è morto due mesi fa."

La signora Hudson non poteva ribattere su questo. Invece, si limitò a spingere un piatto di biscotti verso di lui e bevve un sorso di tè. I suoi occhi erano gentili e pazienti mentre lo osservava e Sherlock si rilassò sotto il suo sguardo fermo.

Alla fine, quando la tazza fu mezza vuota, lui riuscì a raccontarle tutto del viaggio suo e di John al museo e della cena.

"Oh, che bello! – batté le mani deliziata lei – Sono così felice che andiate di nuovo d'accordo, è stato terribile non averlo qui e vederti così giù."

Sherlock fissò la tazza, gli angoli della bocca si abbassarono: "Sì. È venuto qui più spesso e ci stiamo scambiando dei messaggi, quindi suppongo che sia qualcosa. È solo che... non è abbastanza, signora Hudson. Eravamo proprio fuori da questa porta e gli ho chiesto se volesse venire a prendere un tè e a guardare un po' di tv spazzatura, non mi guardi così, non lo intendevo come un eufemismo, potevo dire che lo voleva. E tutto quello che lui ha detto è stato che gli sarebbe piaciuto, ma che doveva tornare a casa da Mary."

La voce si spezzò su quel nome e lo detestò.

La signora Hudson sospirò e gli prese la mano: "Oh, Sherlock. Non gliel'hai ancora detto?"

Il detective rise e fu inorridito nel rendersi conto che suonava un po' umido: "E dire che cosa, esattamente? Lui non vuole sapere nulla di tutto ciò. L'altro giorno mi ha persino chiesto del nostro matrimonio . Voleva sapere perché ci siamo sposati e quando gli ho detto che era perché l'aveva voluto lui, ha annuito e se ne è andato e da allora non ne ha più parlato. È come se stesse evitando di proposito il problema e non so dire se lo faccia perché sa e non vuole che io lo dica ad alta voce, o perché non lo sa e ha paura di scoprire qualcosa che potrebbe mettere in crisi la sua idea ben precisa di chi siamo."

La signora Hudson gli strinse la mano: "Beh, è sempre stato davvero molto testardo, il nostro John. Ma io penso che dovresti dirglielo comunque."

"E poi cosa? – chiese Sherlock – Nel peggiore dei casi se ne andrà di nuovo e io non avrò nemmeno questo relitto di amicizia che è rimasto. Nella migliore delle ipotesi cercherà di deludermi in modo gentile e superfluo, e vederlo sarà assolutamente insopportabile. Dovrò firmare quei maledetti documenti e probabilmente anche partecipare al suo matrimonio perché se non lo facessi, tutti chiederebbero perché il suo presunto migliore amico non ha potuto farlo. Non che dovrebbero domandarselo, perché il numero di persone in questa città che potrebbero essere rimaste con un dubbio di alcun genere al riguardo si riduce esattamente ad uno. E quello è John stesso."

Fece un respiro tremante: "Non posso farlo, signora Hudson. Non posso dirglielo. Tutto quello che posso fare è prolungare il più possibile ciò che ho, fino a quando alla fine lui perderà la pazienza e mi costringerà a firmare i documenti. Poi si girerà subito e... e la sposerà come se questo non avesse importanza, perché non ne ha, per lui. E lui si aspetterà che io sia lì e io ci sarò. Ci sarò, al suo matrimonio, perché non posso dirgli che preferirei buttarmi giù dal St. Bart, questa volta sul serio, senza dirgli il perché."

Abbassò la testa e chiuse gli occhi. Dio, quanto faceva male. Solo il pensiero faceva male e lui non riusciva nemmeno a decidere quale di tutti questi scenari fosse il peggiore.

La signora Hudson si alzò, girò intorno al tavolo e lo abbracciò forte: "Oh, Sherlock. Mio povero, caro ragazzo. Non meriti di farti spezzare il cuore in questo modo."

Sherlock cercò di trarre un respiro, ma a metà si trasformò in un singhiozzo soffocato e rabbrividì tra le sue braccia, avvolgendole le proprie intorno alla vita e premendo il viso contro il suo stomaco, tentando in modo vano di nascondere le lacrime. Era così stanco di fingere che non gli facesse male.

"Non tornerà mai più indietro, – sussurrò una volta che riuscì a ritrovare la voce – Se n'è andato e non posso riportarlo a casa, qualunque cosa faccia."

"Shhh, – mormorò la signora Hudson, cullandolo come se fosse un ragazzino – Lo so che fa male, mio caro. Ma ti prometto che supererai tutto questo. E lui tornerà in sé. Potrà essere testardo come un mulo, ma non è un completo idiota. Non potresti mai amare un deficiente."

Sherlock ridacchiò e tirò su con il naso: "Sto cominciando a dubitarne, in realtà."

Tuttavia, si sentiva meglio; anche solo parlarne e sfogarsi un po’ e avere il conforto della signora Hudson l'aveva aiutato.

"Vedrai, – disse la signora Hudson, premendogli un bacio sulla sommità della testa – il nostro John tornerà a casa. Sa a quale luogo appartenga, anche se non lo ammetterà ancora, nemmeno a se stesso. Alla fine ci arriverà. E una volta che sarà a casa, avrai tutto il tempo del mondo."

 

 

NdT

E anche in questo capitolo, Sherlock dimostra tutta la propria disperazione alla persona sbagliata. La signora Hudson dà pure il consiglio giusto, ma i nostri sono due salami incorreggibili.

Spero di non avere fatti errori. Mi ero dimenticata che fosse mercoledì.

Grazie a chi stia leggendo e commentando.

A mercoledì prossimo.

Ciao ciao.

 

   
 
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