Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    12/08/2021    0 recensioni
Rideva il suo Shin, ma lei sapeva cosa c’era dietro quel sorriso, l’aveva sempre saputo, anche se c’era stato un tempo in cui l’aveva negato a se stessa o, forse, stava semplicemente troppo male per prendersene carico. E per questo motivo si sarebbe rimproverata a vita.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fanfic scritta per la challenge “Inchiostro di stelle” del gruppo FB Stardustway
Fandom: Yoroiden Samurai Troopers
Titolo: Proteggere la felicità
Personaggi: I cinque samurai e Minami, la mamma di Shin
Autrice: Perseo e Andromeda – Heatherchan
Rating: Verde
Prompt: “A volte indosso la maschera della felicità Non per proteggere me stesso, ma per proteggere la felicità di chi mi vuole bene”.
 
 
PROTEGGERE LA FELICITÀ
 
“A volte indosso la maschera della felicità
non per proteggere me stesso,
ma per proteggere la felicità di chi mi vuole bene.
Anonimo
 
Minami osservava il suo ragazzo, che rideva e scherzava con quei nakama che la sorte gli aveva donato e per la quale lei avrebbe sempre ringraziato tutti i kami dell’universo.
Rideva il suo Shin, ma lei sapeva cosa c’era dietro quel sorriso, l’aveva sempre saputo, anche se c’era stato un tempo in cui l’aveva negato a se stessa o, forse, stava semplicemente troppo male per prendersene carico. E per questo motivo si sarebbe rimproverata a vita.
Lei e Sayoko, a turno, avevano dato libero sfogo ai propri stati d’animo in quegli anni immediatamente successivi alla dipartita di suo marito.
Shin no…
Non aveva mai mostrato un crollo davanti a loro: accoglieva la loro disperazione, le abbracciava, prometteva che ci sarebbe sempre stato lui a proteggerle e lo aveva fatto, si era sempre preso cura di loro, quel ragazzino di dieci anni, come avrebbe fatto un uomo.
Poi la yoroi ritrovata, Shin che si allontanava da casa sempre più spesso, Shin che le rassicurava, ma sempre più triste ad ogni ritorno…
Continuava a sorridere, eppure quell’ombra negli occhi limpidi e belli non sfuggiva alle attenzioni di una madre.
Aveva provato a chiedergli perdono, perché non si era accorta di nulla, non si era resa conto, fin dall’inizio, di quanto soffrisse e di quanto si imponesse una forza che avrebbe finito per logorarlo.
Shin aveva sempre sminuito, non si era mai arreso all’evidenza davanti a loro, non aveva mai concesso a se stesso un briciolo di fragilità in loro presenza.
Il suo piccolo Shin…
«Se solo fossi stata più forte io…» mormorò, gli occhi che si nutrivano della scena che si svolgeva poco distante.
Shin stava mostrando ai nakama alcune ceramiche fatte da lui anni prima, quand’era ancora bambino e loro, ammirati, lo riempivano di complimenti.
La signora Mori era felice quando Shin scendeva ad Hagi insieme a quei ragazzi che erano diventati i suoi conviventi, riempivano la casa di risate, di giovinezza e, perché no? Anche di bellezza…
E di amore…
Perché ciò che li legava era impossibile, ormai, da fraintendere.
Non le importava, non era un problema per lei: il suo Shin aveva trovato la propria dimensione, quei ragazzi erano per lui la forza che lei non sarebbe mai riuscita ad essere e, se esisteva al mondo qualcuno in grado di curare l’anima ferita del suo ragazzo, non c’era niente che lei desiderasse di più.
 
Anche in quel momento di apparente serenità, tuttavia, qualcosa le suggeriva che gli occhi di Shin non sarebbero mai più stati quelli di un tempo: una ferita si era aperta il giorno in cui il padre era morto in un letto d'ospedale e non si era mai più rimarginata, si era anzi allargata un po’, nel momento in cui la yoroi era comparsa nella sua vita.
Minami si era mostrata orgogliosa quando la leggenda della famiglia Mori si era concretizzata, scegliendo proprio suo figlio. Lei stessa non sapeva cosa avrebbe significato una tale scoperta, dal suo punto di vista si era trattato della conferma che il piccolo Shin era quel ragazzo dal cuore nobile che lei aveva sempre pensato.
Invece si trattava di qualcosa che Shin non le aveva mai rivelato, ma che lei percepiva tanto grande, molto più grande di tutti loro.
Era stato difficile lasciarlo andare per una strada che lei avvertiva pericolosa, pur senza capire, ma si era resa conto ben presto che non avrebbe potuto farci nulla.
Il cuore di una madre sa e lei sapeva che qualcosa di superiore si era impadronito del destino di Shin e nessuno avrebbe potuto impedirlo, soprattutto perché lo stesso Shin non sembrava intenzionato a rifiutare un ruolo che aveva interiorizzato come un dovere sacro.
Ciò che maggiormente feriva il cuore di Minami e la faceva sentire inutile nella sua essenza di madre era il timore che Shin sarebbe stato sempre solo da quel momento in poi, sempre più solo nelle sue sofferenze.
Adesso era consapevole che quei quattro nakama condividevano l'universo nel quale il suo bambino si era trovato immerso e questo serviva a colmare la solitudine di tutti loro. Erano cinque ragazzi feriti, erano fragili, ma uniti e questo aveva protetto e salvato la loro mente e il loro cuore.
 
Il suo ragazzo ora, circondato dai suoi nakama, sorrideva e scherzava, ma in quel sorriso lei intravedeva qualcosa di falso, di distorto, non del tutto sincero. Il suo Shin provava a fare ciò che aveva sempre fatto: fingere di essere forte, di essere sereno e di poter sostenere da solo tutta la sofferenza che portava dentro di sé.
Poi Shin si allontanò, pregando i nakama di attenderlo e li lasciò soli ad ammirare le ceramiche.
Minami approfittò di quel momento per avvicinarsi.
«Allora» disse «vi piacciono le ceramiche di Hagi?».
I quattro ragazzi chinarono il capo in segno di rispetto: ormai avevano una certa confidenza con la signora Mori, ma le buone maniere erano sempre d'obbligo.
Le sorrisero tutti e quattro, ma fu Seiji a rispondere, con tono rispettoso e gentile: «Siete degli autentici artisti voi della famiglia Mori».
«Ma il migliore di tutti è Shin» si intromise Shu, con più foga di quanto l'etichetta avrebbe permesso.
Seiji arrossì di vergogna, mentre Touma e Ryo, ai lati di Shu, diedero un calcetto alle sue caviglie.
Nell’assistere a quello scambio, Minami sorrise intenerita.
«Io credo che Shu abbia perfettamente ragione».
«Ecco, visto?» ribatté il ragazzo di Yokohama con una linguaccia. 
«È proprio vero» riprese Minami. «Fin da bambino, Shin si è dimostrato pieno di talenti, lo abbiamo sempre pensato tutti in famiglia: non c'era cosa che non gli venisse bene, soprattutto in ambito artistico».
«Perché è sensibile e fa le cose con il cuore».
La spontanea osservazione di Ryo riempì di tenerezza il cuore della signora Mori: due cuori sensibili non potevano fare altro che capirsi.
Subito dopo, in lei scese un velo di malinconia, che la spinse ad abbassare il capo.
«Io devo ringraziarvi, ragazzi».
Quattro paia di occhi si levarono su di lei, in preda alla curiosità.
«Voi siete riusciti a capirlo più di quanto sia mai riuscita a capirlo io nel corso di tanti anni».
«Oh, no» Seiji scosse il capo. «Shin non ha mai smesso di trasmetterci, con tutta la passione di cui è capace, l’immenso amore da cui è sempre stato circondato».
Minami sorrise.
«È così da lui non trovare mai colpe in nessuno se non in se stesso. Eppure, Sayoko ed io abbiamo abusato della sua maturità precoce, della sua dolcezza… il modo in cui si è preso cura di noi dopo che…».
Siccome la voce le moriva in gola, Ryo corse in suo aiuto:
«Nel medesimo modo in cui si è sempre preso cura di noi, immagino».
Così Minami riuscì di nuovo a sorridere, mentre rispondeva con uno sguardo colmo di tenerezza nei confronti di quel ragazzo davanti a lei che, ormai lo sapeva, non aveva mai conosciuto il calore di una madre.
E si trovò a pensare che, forse, quel calore glielo stava donando il suo Shin.
Shin era sempre stato un ometto coraggioso, un giovane forte e, al tempo stesso, niente impediva di considerarlo materno; in fondo lo era stato persino con loro, con le donne della sua famiglia.
 
In quel momento Shin rientrò, seguito dalla sorella.
Tra le mani teneva un vaso di ceramica, all’interno del quale spiccava un bonsai di cedro.
La corteccia si piegava al centro in un sinuoso inchino e, intorno, le foglie erano disposte in una serie di nuvolette verdi che si innalzavano verso il cielo.
Si fermò davanti a Seiji e glielo porse, con un sorriso:
«Avevo chiesto a Sayoko-Neesan di averne cura per te in questi mesi… te lo volevo donare da tempo».
Seiji sgranò gli occhi, aprì le labbra, ma non riuscì subito a parlare. Sayoko gli venne in aiuto:
«Da quando ti conosce ha deciso di incaricarsi di questo bonsai: diceva che voleva farlo diventare perfetto per te».
Shin arrossì e abbassò un po’ il capo.
Intanto le mani di Seiji, che non riuscivano a mantenersi del tutto ferme, raggiunsero il vaso: quel movimento mise a contatto le loro dita, si sfiorarono, si attardarono le una sulle altre. Seiji cercava gli occhi di Shin che continuavano a fuggire, timidi.
Ma in qualche modo il guerriero dell’acqua ritrovò la voce, seppur flebile e tinta di imbarazzo:
«Non potrà mai raggiungere la perfezione che intendo, quindi… tanto vale che te lo dia adesso…».
«Come puoi dire che non è perfetto?» gli rispose Seiji, la voce che vibrava di commozione.
I nakama si erano raccolti attorno a loro e, a propria volta, sorridevano.
Anche il sorriso di Minami si era fatto più intenso, orgoglioso di quel ragazzo che si prendeva cura del cuore di ognuno, che in ogni suo gesto e pensiero era guidato dal bisogno di nutrire la felicità altrui e, dentro di sé, rivolse una preghiera a quei meravigliosi nakama che il destino gli aveva concesso:
“Proteggetelo… proteggete quel briciolo di felicità che siete riusciti a fargli ritrovare. È nelle vostre mani”.
   
 
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