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Autore: Batckas    13/08/2021    1 recensioni
Alfredo, amico di Antonio, ricorda il caro compagno di scuola e di avventure dopo la sua drammatica scomparsa.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Beh, esaminando le cose a distanza di qualche anno tutto risulta più chiaro. Ma quanto è vero Dio, allora non mi accorsi di niente. Vorrei essere stato più attento, vorrei aver potuto cogliere quei sintomi che, solo dopo, diventano così chiari e palesi. 
Antonio era sempre stato un tipo strano, non che fosse un depravato o cose del genere, semplicemente era difficile da inquadrare, ma non per questo non aveva amici o non era socievole, anzi al contrario. Poteva restare chiuso in casa per tutto l’anno, ma quando c’era un’occasione sociale a cui era costretto a partecipare non aveva alcun problema a parlare, con chiunque di qualsiasi cosa. Il suo fisico non era dei migliori, era chiaramente sovrappeso e la cosa lo faceva sentire a disagio, indossava maglie di due volte la sua grandezza. Il volto, però, era magro, la barba mai curata e i capelli sempre in disordine. 
I genitori si erano conosciuti casualmente quando il padre di Antonio, Patrizio, aveva assaggiato uno dei muffin della futura moglie, Giulia, che aveva dieci anni in meno di lui. Pongo l’attenzione sul muffin perché ad Antonio così piaceva raccontare la storia dei suoi. Antonio nacque il 25 gennaio, era figlio unico. Crebbe come un qualsiasi ragazzo, non aveva problemi a scuola, i genitori erano un po’ iperprotettivi. Conobbi Antonio alle elementari e da allora non ci siamo mai praticamente separati. Scuole elementari, medie e liceo insieme, ero il fratello che non aveva mai avuto e per me lui era lo stesso. Dopo il liceo, in cui Antonio aveva continuato con il suo stile di vita: labora et gioca, decise di iscriversi all’università. 
E da lì le cose hanno preso una brutta piega. Io non sono andato all’università, mio padre aveva un negozio che, ringraziando Dio, va ancora bene, quindi cominciai a lavorare con lui.
Antonio iniziò ad avere problemi con alcuni colleghi del suo corso. Era sempre stato un tipo tranquillo, mai in una rissa, mai un litigio particolarmente grave. Per usare un’espressione che non mi piace, ma che rende bene l’idea: Antonio era facilmente dimenticabile quando non lo conoscevi. Le persone che, invece, superavano la scorza di asocialità con cui si difendeva, lo descrivevano come un ragazzo cordiale, simpatico e interessante. All’università, però, le cose non andavano bene. Non riusciva a superare gli esami anche se prima di quel momento non aveva mai avuto problemi con lo studio. Il lavoro al negozio mi teneva particolarmente impegnato, quindi i nostri rapporti scemarono lentamente, ma ci tenevamo sempre in contatto. Mi fidanzai. Anche questo ha portato ad un ulteriore allontanamento tra noi. 
Comunque, lo rividi ad una festa di paese, era con una ragazza che non conoscevo. Chiariamoci, il nostro comune conta poche anime, quindi è difficile che ci sia qualcuno che, almeno di vista, non si conosca. 
Io ero con la mia ragazza, Emma, e mi avvicinai per un saluto. Antonio fu cordiale e gentile, nei suoi occhi leggevo una luce diversa da quella di qualche settimana prima. Ci presentò Clara, così si chiamava la sua fidanzata. Passammo una serata piacevole insieme. Da quel giorno le cose andarono meglio. Iniziammo a messaggiarci di più, mi informò che all’università le cose finalmente andavano nel verso giusto. 
Poi il disastro. 
Tre anni dopo, Antonio aveva finito tutti gli esami, aveva chiesto la tesi ad un professore che gli aveva garantito la laurea nel giro di qualche mese, il tempo necessario soltanto per portare a termine il lavoro che si era prefissato. A qualche settimana dalla laurea, però, il professore, Baresi si chiamava, gli annunciò che non si sarebbe potuto laureare perché il suo lavoro di tesi, che fino a qualche giorno prima era perfetto, non era più adeguato ad una triennale. Antonio, per la prima volta in vita sua, prese a pugni qualcuno. Fu denunciato. Lui a sua volta portò la situazione al rettore dell’università e stava cercando il modo di fare causa al professore Baresi per il danno che gli aveva procurato. Ma tutto ciò che Antonio ottenne fu l’impossibilità di laurearsi in quell’università, la fedina penale sporca e tre anni di università buttati nel cesso. 
Cadde in depressione. 
Per cercare di dargli una mano gli chiesi di venire a lavorare al negozio con me, accettò. Fu un'ottima aggiunta, preciso e puntuale, man mano che mio padre lasciava sempre a me gli oneri principali, avere Antonio come spalla fu davvero essenziale. Ci divertivamo, sembravano andare bene le cose. 
Clara lo lasciò. 
Antonio ne uscì distrutto, era la sua prima fidanzata e, quando parlava di lei, anche se scherzando e con imbarazzo, faceva l’ipotesi di un matrimonio, di poter continuare con lei una vita. Tutti i suoi piani andarono in fumo e, da quel giorno, per lui Clara fu come morta. 
Dopo di allora, Antonio cadde in una terribile spirale di paranoia e tanatofobia. Sistemò delle telecamere nella casa dei genitori dopo che si fu trasferito in uno squallido monolocale poco lontano dal negozio. Era ossessionato dalla possibilità che i genitori si ammalassero e potessero morire. Iniziò ad applicare pressione anche a me ed Emma, prenotava visite mediche senza dirmelo, era completamente fuori di testa. Affrontai la questione con lui, gli dissi che doveva vedere uno specialista per cercare di stare meglio. Antonio si era sempre fidato di me, e infatti andò da uno psicologo. 
Dopo otto mesi sembrava essere finalmente tornato in sé. 
Anzi, diventò la versione migliore di se stesso. 
Il negozio andava a gonfie vele, diventammo soci, lo rinnovammo e il nostro nome raggiunse anche le orecchie di provincia, i soldi entravano come un fiume in piena. Antonio iniziò a frequentare la parrocchia locale dove io già andavo da anni, lo introdussi al gruppo che c’era e il parroco, padre Felice, colse subito la ricchezza interiore di Antonio che, riguardo la fede, non aveva mai espresso un parere convinto. La fede in Dio e l’impegno in chiesa come catechista diventarono per Antonio una fonte di vita e di speranza. Sebbene all’inizio titubante, alla fine ne rimase completamente e piacevolmente coinvolto. Il servizio in chiesa era ciò che preferiva. Per un anno fummo catechisti insieme. Ricordo la passione e il fervore che ci metteva in ogni cosa che faceva o diceva. Soprattutto, dava una visione talmente moderna delle Sacre Scritture, che persino gli adulti avevano piacere a parlare con lui, e non con padre Felice, portatore dei valori, per carità giusti, ma ormai arretrati della chiesa. 
Per qualche tempo Antonio pensò di diventare sacerdote, ma come mi diceva sempre sorridendo: “Non posso, Alfredo, non posso, mi piacciono le donne.” 
Durante gli anni in parrocchia, Antonio conobbe diverse ragazze, molte di queste gli fecero anche la corte, ma lui rifiutò sempre gentilmente, finché un giorno non conobbe Laura, di cui si innamorò perdutamente. Tentò di corteggiarla in ogni modo possibile e dopo un anno di dolori amorosi, finalmente ottenne da lei un primo bacio, a cui seguì un altro e un altro ancora finché non si misero, ufficialmente, insieme. 
Quello stesso anno il padre si ammalò di tumore. Antonio aveva ventisei anni. 
L’anno successivo fu devastante per Antonio e la madre, ma, fortunatamente, il padre sconfisse, almeno momentaneamente, il male che lo affliggeva. Fu in grado di tornare a lavoro, era segretario di un avvocato, e, anche se costantemente sotto controllo, tornò ad una vita normale. 
Chi non ne uscì fu proprio Antonio. Non ha senso che sia io a spiegare cosa succedeva nella sua testa. Antonio aveva sempre amato la scrittura, affidò a delle lettere senza destinatario i suoi pensieri. Ve ne leggo alcune.
Questa risale a qualche settimana dopo che al padre fu diagnosticato il tumore: “Caro Dio, ho sempre pregato per la salute dei miei genitori e delle persone a cui tengo, ma a quanto pare la vita ha deciso di pormi davanti questa sfida. Lo so, dalle mie parole potrebbe sembrare che ti ritengo colpevole, ma non sono una vecchia di ottant’anni, anzi, prego in Te e confido affinché papà possa stare meglio e riprendersi.”
Un anno dopo scriveva: “Caro Dio, lo so, è strano che mi rivolgo a Te dopo anni di silenzio. Non Ti ho parlato, non Ti ho ringraziato, mi sono allontanato da te, dalla Chiesa, da tutto ciò che era al centro della mia esistenza. Mi dispiace. Ma non tollero la mia ipocrisia. Temo, Signore, che la mia fede in Te sia stata dettata soltanto dalla paura disperata che ho di perdere le persone a me care. Lo scudo della fede mi ha sempre sostenuto e sempre mi sosterrà. Ti ringrazio, anche se molto in ritardo.” 
Antonio smise di venire in chiesa, qualsiasi progetto parallelo al negozio lo abbandonò senza pensarci due volte. Era spento, vuoto, ma quando parlavo con lui, anche di Laura per esempio, tornava quello di sempre. Mi sposai ed ebbi un figlio. 
La sua relazione con Laura sembrava continuare, ma non lo vedevo felice, qualcosa lo turbava, anzi, qualcosa gli dava profondamente fastidio, ma non con Laura, con se stesso. 
Antonio aveva un diario sul suo smartphone, non leggerò niente da là se non lo stretto necessario perché vi è davvero impressa la sua anima, ogni suo segreto e, alcune cose, non credo si debbano sapere, le terrò per me. Comunque, in una nota, l’unica che vi leggerò oggi. Era scritto: “Non ho scudo, non ho armi, sono indifeso in questa vita che altro non è che un tiro di dadi.” 
Antonio lasciò Laura, Lei ne uscì devastata. Antonio aveva preso quella decisione improvvisamente e neanche Laura riusciva a capire. Volevo… volevo capirci qualcosa, ma mio figlio si ammalò e dovetti concentrarmi su di lui. Mi viene da ridere al pensiero che… mi sento così in colpa per non essergli stato vicino, ma lui sarebbe il primo a dirmi che non era compito mio perché avevo altro a cui badare. So, in cuor mio, che lui non mi sta giudicando. Se ci ripenso, però, forse avrei potuto cambiare le cose, essere lì per lui, anche se sarebbe stato l’opposto di ciò che voleva. 
Nei suoi ultimi mesi di vita Antonio allontanò tutti, chiunque provasse ad avvicinarsi a lui era cacciato in malo modo, persino con i genitori chiuse ogni contatto. Le motivazioni ci erano oscure e, ripeto, non ero in grado di concentrarmi molto su di lui per mio figlio. In quel periodo in cui fui assente Antonio gestì anche il negozio in modo impeccabile. Eppure riteneva la sua vita un impiccio per gli altri... e per se stesso. 
Fui io a trovare il cadavere. 
Nella sua stanza, sul suo letto, un miscuglio di pillole sul comodino e una lunga lettera tra le mani in cui si scusava per tutto il male che aveva causato alle persone che voleva bene. In cui pregava di essere perdonato da coloro a cui aveva fatto un torto. E si pentiva di non essere stato in grado di dimostrare l’affetto che aveva sempre covato nel cuore. 
Per il suo funerale c’erano tantissime persone, in prima fila Laura e i suoi genitori. 
Nella lettera di addio Antonio sosteneva più volte che la sua morte non dipendeva da chi gli era stato vicino a cui, anzi, era estremamente grato. Dichiarava che non avrebbero potuto fare niente per cambiare la sua condizione perché era insita nella vita stessa, una vita, che diceva, non era in grado di affrontare e da cui si sarebbe ritirato a modo suo, impedendole di fargli ulteriormente del male. 
Vi leggo un passo che è indirizzato a me personalmente: “Mi dispiace perché so bene che ti verranno poste molte domande, a te e Laura. Innanzitutto ti devo chiedere di occuparti di Laura, la sua famiglia non sarà in grado di darle il sostegno psicologico di cui necessita, ti prego di pensarci tu, ovviamente ti ho lasciato i soldi necessari. Sono stanco di lottare la troia che scivola sempre nell’oscurità, che mi sussurra di notte, che ha così tanto potere su di me. Ogni legame che stringevo, ogni persona a cui volevo bene era più potere nelle sue mani, non ho sopportato più il suo giogo. Ho provato a chiudermi in un muro solitario in cui pensavo di essere al sicuro, ma non è stato sufficiente. Inetto alla vita, incapace di contrastare la paura della morte che è nella nostra natura, ho deciso di donarmi a lei nel gesto più egoistico che potessi compiere. Ho deciso di uccidermi per smettere di soffrire. Non ce la facevo più a considerare ogni saluto come se fosse l’ultimo, a controllare ogni minuto che Laura fosse viva al mio fianco, ad attendere inesorabile lo stroncamento di una vita. Non ce la facevo più ad immaginare ogni volta lo scenario peggiore, a sentire la morte che si prendeva gioco di me. La fede mi ha protetto per un po’, ma alla fine anche lei ha ceduto; come si può contrastare chi, letteralmente, è sempre ciò che resta quando tutto il resto scompare? Non volevo farvi soffrire, anche se dire così quando dovrete piangere la mia morte suona ridicolo. E forse sono ridicolo. La mia morte non è la fine. Anzi, vedetela come una liberazione. Non sopportavo più la vita. mi ha sopraffatto il terrore della morte, non potendola più combattere, ho deciso di donarmi a lei.  Alla puttana che ha influenzato la mia vita da sempre […]. Vi ho sempre voluto bene e vi sono grato di avermi donato gli anni più felici della mia esistenza, mi dispiace non essere stato in grado di godere della vita più di quanto mi sia lasciato terrorizzare dalla morte. Addio, piangetemi un po’, ma non troppo, non ne vale la pena. 
Mi dispiace, mamma e papà…” 
Poi passa agli addii, compreso quello a Laura in cui le prega di trovarsi un uomo che la ami e la rispetti nonché dandole diverse indicazioni su come dovrebbe risolvere i problemi che ha con i suoi genitori. 
Laura adesso è in cura presso uno psicologo, la sua condizione è talmente grave che ha dovuto iniziare a prendere dei farmaci, ha lasciato il suo lavoro come manager di un museo e non sa quando ci tornerà. Antonio ha avuto così tanta paura della morte… che non ce l’ha fatta più ad affrontarla. 
Le cose sarebbero potute andare diversamente? Credo di sì. Antonio ha lasciato tante cose incompiute, sul suo portatile c’erano numerose bozze per dei romanzi, diversi racconti iniziati e mai finiti. Ogni tanto mi sembra di poter sentire il suo commento su qualcosa che succede. Ho pianto giorni interi per la morte di Antonio, ma come lui stesso mi ha detto, non potrò piangere per sempre e non sarebbe nemmeno giusto. 
Il negozio è un po’ più vuoto senza di lui. 
E, in realtà, ancora non ci siamo ripresi dalla sua morte, come se fosse una qualche specie di scherzo. Ma non lo è. E lo vedo, ora, Antonio, che mi prende in giro per le cose che dico… 
Ovunque tu sia, Antonio, ci manchi. 
 
   
 
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