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Autore: elenabastet    13/08/2021    3 recensioni
Dopo i fatti dell'episodio Un innamorato respinto, André fugge e si trova in mezzo ad una comunità di donne che presentano vari aspetti delle famose rose e lillà a lui tanto care. Oscar lo cercherà.
Genere: Angst, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Bernard Chatelet, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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LA CONGREGA

 

Rating: toni adulti, temi delicati, AU.

Fandom: Lady Oscar.

Note: questa storia parte dal famoso episodio Un innamorato respinto (quello della camicia strappata) per raccontare sviluppi diversi della vicenda. Ci sono elementi che ho preso liberamente dalla serie Netflix Luna nera, ma non è un cross over.

Per il volto di Margot io penso a Judi Dench, per Liliane a Lily Rush di Cold case, per Tara e Viviane a Tara e Willow di Buffy, per Geneviève a Jessica di True blood, per Olympie a Xena, per Diane a Scully di The X-Files con Guillaume simile a Mulder. Ma non è un cross-over, quelli verranno poi.

 

1.

Un mostro, un essere spregevole, un infame, un criminale della peggiore specie.

Mentre scendeva le scale di casa Jarjayes, allontanandosi dalla stanza di lei, dove aveva perpetrato l’atto più vile, infame e ignobile commesso nella sua vita, André Grandier tremava dal rimorso per quello che aveva fatto.

Che pena poteva esserci per lui? Niente gli sembrava commisurato, galera a vita a remare, in una cella a marcire in mezzo ai topi, tortura, morte. Era stato ignobile, si sentiva marchiato d’infamia, chissà se c’era un marchio per quelli come lui, sarebbe cominciato sempre con la V come quello di Jeanne, ma non voleva dire voleuse, ladra, ma qualcosa di molto più orribile. Un violatore, e questo era quello che aveva fatto.

André arrivò in camera sua, la nonna era andata a letto e per fortuna, dato che era un po’ sorda, non aveva sentito niente di quella cosa orribile che lui aveva fatto, le voci concitate, i rumori di lotta, il pianto di lei, che l’aveva straziato più di ogni cosa.

Non meritava di vivere, voleva morire e doveva andarsene. Perché era una minaccia, perché quella sera si era trattenuto per miracolo da fare l’ultimo passo, il più criminale, ma sapeva che un giorno l’avrebbe fatto, e doveva scappare, perché comunque le aveva fatto del male, del male irreparabile.

Accese una candela in camera sua, prese dei fogli di carta, delle buste e l’inchiostro e iniziò a scrivere tre lettere d’addio.

La prima era per sua nonna.

Cara nonna

ti chiedo perdono se in questi anni non sono stato il nipote che volevi che fossi, ti ho dato tanti dispiaceri, ma ora me ne vado, basta gravare su di te.

Non cercarmi mai, è bene che io mi allontani, ti ringrazio di essere stata l’unica famiglia che ho avuto.

La seconda lettera era per il generale Jarjayes.

Egregio padrone,

preferisco lasciare per sempre il servizio presso casa vostra, non sono più degno della vostra famiglia. Vi ringrazio per avermi dato questo onore, vi prego di dare un tetto a mia nonna finché vivrà, non dovrete più preoccuparvi per me.

La terza lettera, più difficile, era per Oscar, e non riuscì a mettere l’introduzione, cara gli sembrava l’ennesimo affronto dopo quello che le aveva fatto.

Hai ragione tu, come sempre, Oscar. Tu devi farti la tua vita, è bene che io sparisca. Non cercarmi mai più, è chiaro che è meglio che non ci vediamo più, quello che ti ho fatto è talmente orrendo da non meritare perdono. Ti auguro di riuscire un giorno ad essere felice e di dimenticarmi. Non merito di esistere.

Fece asciugare le lettere e le mise in buste sigillate. Poi, pian piano, prese un lume e andò alla stalla, dove saltò su Alexander, il suo bellissimo stallone nero, non dopo aver accarezzato la bellissima Neve, per una volta sola, temeva di sporcare anche lei con l’orrore che aveva dentro, quel desiderio perverso e criminale.

Partì a cavallo nella notte, lasciando la tenuta Jarjayes: doveva andare lontano, dove nessuno lo avrebbe mai più cercato, poteva essere il Nuovo Mondo, da Brest, l’Inghilterra, da Calais, o meglio ancora rivolgersi verso il Mediterraneo e andare a combattere contro i barbareschi. L’importante era che la sua vita finisse al più presto.

 

2.

Senza una mappa era facile perdersi, e dopo oltre un giorno di cammino, André non sapeva più dove fosse. O meglio, era nella foresta di Fontainebleau, nella zona del bellissimo castello di Francesco I, ma la foresta era impenetrabile e selvaggia, e dopo un po’ i sentieri si perdevano. Aveva mangiato pane e formaggio in una taverna la sera prima, con tanto, troppo vino, si era messo a dormire nella stalla per qualche ora, poi era ripartito, aveva trovato una fonte a cui bere un po’ d’acqua, ma ora erano ore che avanzava nella foresta, sempre più buia e fredda, con la pancia vuota, senza cibo né acqua, con l’alcool ancora in circolo che lo faceva stare male e con Alexander esausto. Il suo destino sarebbe stato di morire di inedia o divorato dalle belve feroci, ma era quello che si meritava, nemmeno il suo corpo impuro doveva rimanere.

La strada era in salita, ormai era esausto e arrivò in cima ad un pendio, dove di colpo, in una radura in mezzo alla foresta, c’era un castello dei tempi antichi, con torri e torrioni, cupo e vuoto all’apparenza. André cadde quasi da Alexander, si rotolò per terra, su terriccio, erba e fango, e chiuse gli occhi. Era meglio morire, allora, sperando che almeno Alexander si sarebbe salvato.

 

3.

C’erano dei rumori intorno a lui, delle voci.

“Poveraccio”, disse la voce di una donna più anziana, passandogli una mano sul volto per vedere come stesse.

“Dobbiamo portarlo dentro”, disse un’altra.

Si sentì sollevare e mettere su una lettiga che strusciava per terra e trascinare via: aprì un attimo gli occhi e vide delle donne, un’anziana, tre ragazze, due con i capelli rossi e una bionda, una donna bruna più giovane e una bionda che gli sembrò per un attimo lei.

Delle donne lo stavano salvando, lui che le donne le aveva offese e maltrattate, partendo da quella che amava più della sua vita e che avrebbe dovuto proteggere. Cercò di divincolarsi e alzarsi ma era troppo debole.

Dormì senza sogni per un tempo indefinito: il freddo e l’umido della pioggia che l’avevano avvolto erano spariti, ora sentiva di stare meglio. Ad un tratto, un corpo caldo e peloso, accompagnato da un miagolio, gli saltò addosso.

Una voce di donna, che forse aveva già sentito, disse:

“Dai, Merlino, lascia in pace il nostro ospite, anche se penso che la tua presenza possa fargli anche bene!”

André aprì leggermente gli occhi: non era più fuori, all’addiaccio, ma su un letto, in una stanza dove c’erano un camino, un armadio aperto con alambicchi e erbe secche, un altro con dei libri e una finestra. Vide Merlino, un bel gattone nero e bianco che gli fece un miagolio di saluto e iniziò a impastare con le zampine.

“Ah, ma il nostro ospite si è svegliato!” André girò la testa e vide una donna anziana, non come sua nonna ma quasi, che lo guardava sorridendo.

“Chi siete?”, mormorò.

“Margot, ora chiamo le altre”.

André si girò nel letto, era comodo e al caldo, e si sentiva meglio, anche se non lo meritava.

“Eri quasi congelato, affamato e mezzo stordito dal vino che devi aver bevuto. Ma adesso ti ho ricucito”.

Un tramestio di passi arrivò sulla porta: André si tirò su e vide entrare due bambine, tre ragazze e tre donne, riconoscendo in una di loro quel volto che si era chinato su di lui, che gli ricordava Oscar.

“Sono Lilian, a capo di questa congrega di Figlie della dea Diana”, disse proprio quella donna, osservandolo con degli occhi penetranti azzurri che sembravano scrutarlo. Le altre due donne erano una con i capelli neri come l’ebano, Olympie, e l’altra rossa, Diane e annuirono dandogli il benvenuto. Le ragazze erano una rossa, Vivian, una bionda, Tara, e una terza di nuovo rossiccia, Geneviève. Le due bambine, rosse scuro di capelli, si chiamavano Marianne e Flore.

“Io mi chiamo André, ero in viaggio per Marsiglia dove devo imbarcarmi, ma ho perso la strada”.

“Direi proprio di sì”, rispose Liliane, “e visto che siete ancora debole, sarete nostro gradito ospite. Noi siamo una comunità di sole donne, ma ospitiamo anche uomini, a volte, se sono gentili e compassionevoli, in cambio di qualche lavoro. Ma voi dovete riguardarvi”.

Se avessero saputo che persona era lui… ma André era ancora troppo debole. Chiese solo:

“Il mio cavallo Alexander?”

“Sta bene”, disse Geneviève, “è nella stalla con i nostri, le mucche e le capre”.

Margot arrivò con un brodo con dentro tozzi di pane, pezzi di quel tubero chiamato patata e un po’ di formaggio e lo sforzò a mangiare.

“Eri mal ridotto… scusami se ti do del tu ma potresti essere mio nipote. Per fortuna che hai smaltito la sbornia, avevi bevuto tanto”.

“Sì, stavo poco bene, ho fatto male”. André si sentì meglio mangiando, ma poi dovette chiedere dove era il bagno.

“Qui dietro”, disse Margot, indicandogli una porta che portava in un piccolo torrione, dove secoli prima avevano costruito un gabinetto. Meglio che a Versailles, per certi aspetti, era più intimo e più discreto. Margot fece per aiutarlo, ma lui si rifiutò, nessuna donna era al sicuro in sua presenza. André faticò ad alzarsi, ma poi si diresse sulle gambe malferme verso la stanzetta. Non voleva dare altri spettacoli disgustosi a delle donne, non era proprio il caso.

Mentre camminava, avvolto in un camicione con cui l’avevano rivestito che in certi punti lo lasciava scoperto, sentì chiaramente Geneviève, la ragazza rossa con le labbra color dei mirtilli e le curve sotto un abitino semplice bianco, dire: “Quanto è bello, quanto vorrei che fosse lui a rendermi mamma!”

Quella frase lo inquietò ma gli creò anche una strana sensazione di eccitazione: quella ragazza avrebbe potuto essere quasi sua figlia, in un’altra vita e con altre scelte.

Quando rientrò a letto, Margot gli disse:

“Questa è l’infermeria, ognuna di noi ha la sua stanza, ma io veglierò anche stanotte su di te, come le ultime due notti.”

“Cosa siete?”

“Una comunità di donne, come puoi vedere. Ci sono anche i gatti con noi, hai conosciuto Merlino, ma ne abbiamo altri cinque, più due cani fuori. Ti racconterà meglio Liliane di noi, ora dormi di nuovo un po’. Se hai bisogno, sai dov’è il gabinetto. Ora buona notte!”

André pensava che non si sarebbe addormentato per un po’, ma crollò quasi subito, con Merlino che si mise ancora più comodo accanto a lui.

Margot uscì un attimo dalla sala e si consigliò con Liliane, Olympie e Diane.

“Cosa ne pensate? Sembra una brava persona e non potevamo lasciarlo morire”.

“Certo”, disse Diane, “io sento in lui tanta tristezza, quasi sicuramente è vero che voleva andare a Marsiglia, ma ha un tormento senza fine per qualcosa che ha fatto o è convinto di aver fatto. Mi ricorda Guillaume quando l’ho conosciuto”, aggiunse sorridendo.

“Tu non sbagli mai Diane”, rispose Liliane, “e anch’io ho avuto quell’impressione. Tanto resterà con noi credo a lungo, sta arrivando l’inverno, sarà che potrà mettersi in viaggio”.

“Geneviève l’ha già adocchiato, e devo dire che è bello, imponente, senza un’oncia di grasso addosso, muscoloso”, disse Olympie.

“Ah, è bene che si dia una calmata”, rispose Liliane, “ma ci sarà modo di conoscerlo meglio e chissà”.

 

4.

Oscar era caduta addormentata non appena si era messa a letto, nonostante le emozioni dell’ultima parte della giornata. Nel sonno riviveva quei momenti concitati, il suo dire ad André che non aveva più bisogno di lui, una cosa che aveva fatto in maniera sofferta, perché lei a lui teneva da sempre, e che aveva cercato di fargli passare come un messaggio rapido e indolore, certo, avrebbe dovuto essere meno dura, più accomodante, dopo tutto quello che aveva fatto per lei, forse non avrebbe perso la testa in quel modo. E poi lui era entrato nella stanza dietro di lei, le aveva detto quella frase Una rosa è sempre una rosa, non sarà mai un lillà, lei l’aveva schiaffeggiato e lo aveva afferrato per il bavero e a quel punto… lui aveva davvero perso la testa, per la prima e unica volta in tanti anni, facendole un qualcosa che l’aveva disturbata e la turbava. Nel sonno lo sentiva ancora sopra di sé, ma non era una sensazione spiacevole, ma non doveva succedere.

Alla fine aprì gli occhi quando ormai l’alba era già iniziata da un pezzo, si alzò dal letto e andò verso lo specchio: c’erano ancora le tracce delle lacrime che aveva versato, le lacrime per aver perso un amico in quel modo, anzi un fratello, le lacrime per l’umiliazione subita, da parte di qualcuno che per lei era la persona più importante al mondo, e per qualcosa che la sconvolgeva dentro senza che lei capisse cosa. Le sue labbra erano ancora gonfie e lei sapeva benissimo perché, quella cosa, quel bacio era stato qualcosa che non si aspettava e non sapeva come capire, ma l’aveva segnata non solo dentro ma anche fuori. La camicia era rovinata, e lui aveva visto quello che voleva vedere, tutto quanto, anche se dopo si era fermato.

Aveva di nuovo voglia di piangere, sapendo che non avrebbe più potuto contare su di lui, era tutto rovinato, e quello che le aveva detto dopo era talmente sconvolgente che era rimasta senza fiato. La amava, era pazzo di lei, e non aveva mai visto in lei un’amica, una compagna d’armi, una sorella, ma una donna da desiderare con follia e passione, come le aveva dimostrato.

Si tolse la camicia, buttandola in fondo all’armadio, quasi a cancellare il tutto e se ne infilò un’altra, cercando di non tremare troppo.

Alcuni passi concitati per le scale la scossero, le sembrò di sentire la voce di Marie, la nonna di André, ecco a lei non avrebbe mai raccontato niente, e non solo per non darle un dispiacere.

Qualcuno bussò alla sua porta:

“Madamigella, madamigella”, era Marie.

Oscar le andrò ad aprire, con una certa apprensione.

“Madamigella, è terribile, André è sparito, non c’è nemmeno più il suo cavallo, ha lasciato una lettera a me, una a vostro padre e una a voi”.

Le porse la lettera e Oscar la lesse, sbiancando. No, non doveva fare così, non doveva andarsene, e poi quelle parole erano un annuncio di morte. Lui non meritava di morire, lei voleva che fosse felice, che trovasse un modo per esserlo, perché era stato la sua roccia per anni per lei e anche se aveva rovinato tutto non meritava il peggio.

“Ma quando è partito?”

“Credo nel cuore della notte, ormai sarà lontano”, rispose Marie disperata, “cosa possiamo fare?”

“Cercarlo”, disse Oscar, “al più presto”.

Non doveva andarsene, non così, malgrado quello che era successo c’erano altri modi per risolvere la questione.

“Per caso è successo qualcosa con voi, madamigella?”, chiese la povera Marie.

“No”, rispose Oscar, cercando di essere sicura come voce. Cosa dovevo dirle? Che il suo nipote le era saltato addosso per baciarla e stringerla come un amante? Che tutto era degenerato, rovinando un rapporto di oltre vent’anni?

“L’ho congedato, dicendogli che non ho più bisogno di lui, ma non c’erano problemi...”, aggiunse.

Marie la guardò a bocca aperta e non aggiunse altro. Oscar rimase in silenzio, capendo che forse aveva detto troppo.

“Comunque lo ritroverò”.

 

5.

André sembrava sparito nel nulla, non c’era traccia di lui, doveva essere partito che era notte e aveva fatto perdere le sue tracce.

Oscar andò fino al fiume e lo costeggiò, girò per tutta Versailles senza che nessuno le desse notizie: André aveva deciso di sparire.

E di colpo si disperò. Lei non avrebbe mai voluto che gli succedesse questo, lei voleva vivere la sua vita da uomo, era stato troppo doloroso quello che era successo con Fersen, e voleva lasciarlo libero. I fatti di quella sera l’avevano marchiata a fuoco dentro, non avrebbe più avuto il coraggio di guardare André negli occhi, ma pensava che anche lui avesse diritto ad una vita sua. Ma quella lettera le faceva temere il peggio: lo immaginò mentre si buttava nella Senna o mentre si puntava una pistola alla tempia e lei non voleva che morisse, anche se per un attimo lo aveva odiato come nessuno prima di allora, mentre distruggeva il loro rapporto di fiducia comportandosi come un amante geloso e possessivo, un qualcosa di cui lei non lo riteneva capace.

“André, dove sei?”

Di colpo si ricordò di Bernard Chatelet. Sapeva che era a Parigi, che era un giornalista e conosceva un po’ di gente, forse poteva darle una mano. Del resto, da chi si va quando una persona sparisce?

Aveva girato a vuoto per ore, e forse era il caso di andare a Parigi da Chatelet, sapeva che era da Rosalie, o almeno lei gli avrebbe detto dove trovarlo. Magari anche André era da Rosalie, e in quel caso sarebbe stata felice, era una ragazza dolce e un suo sogno nel cassetto era da sempre quello di vederli insieme. Rosalie sarebbe stata la persona giusta per lui, dolce ma energica, e felice di vivere da donna.

Arrivò a casa di Rosalie a Parigi che era notte ormai, faceva freddo, sperando di avere notizie.

Bussò. E fu Bernard Chatelet a venirle ad aprire, non avrebbe dovuto stupirsene, era lei che l’aveva mandato a casa della sua protetta.

“Oscar… ma che ci fate qui?”

“Dov’è Rosalie?”

“Sta già dormendo, che sorpresa vedervi.”

“André è qui da voi? Ha lasciato palazzo Jarjayes stamattina, lo sto cercando da allora”.

“No, non l’abbiamo visto, non sappiamo niente”.

In quel mentre, arrivò sull’uscio anche Rosalie, in abito da notte, stupita dal vedere Oscar.

“Oddio, dove può essere André?!”, chiese Rosalie, “madamigella Oscar, è tardi, fermatevi da noi”.

Da noi. Oscar capì subito che tra Bernard e Rosalie c’era del tenero, e le cose erano giunte ad un punto importante. Le trovarono un giaciglio abbastanza comodo nel soggiorno e poi si ritirarono in camera loro. Rosalie ormai era una donna, e per un attimo Oscar pensò a quella che per lei era stata più di una sorella minore tra le braccia dell’amato con una punta di quasi invidia. Poi pensò a se stessa, a quell’aggressione che l’aveva ferita nell’orgoglio, a quel bacio rubato che in un altro momento sarebbe stato di pura passione, a quell’abbraccio folle. No, non odiava André, ma non riusciva ancora a perdonarlo, ma non poteva lasciarlo chissà dove era, aveva dei doveri verso di lui, forse solo quello di assicurargli la felicità che lei non poteva dargli. Non l’aveva salvato dall’ira del re anni prima per vederlo cadere nel baratro della disperazione. E poi André aveva dei doveri verso sua nonna, a cui non doveva sottrarsi. Non avrebbe mai raccontato a nessuno cosa le aveva fatto, glielo doveva perché potesse ricostruirsi una vita.

  
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