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Autore: Rosmary    14/08/2021    7 recensioni
{Prima classificata al contest “Di prompt stilistici e figure retoriche – II edizione” indetto da Futeki sul forum di EFP.}
{Storia candidata agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce più la penna}
Era parsa una giornata come tante altre, non lo era.
E sorridi, malgrado tutto, quando ti sfiora un ricciolo sfuggito alle forcine e si cala a baciarti una volta ancora, come se voi non foste voi e fuori non infuriasse una guerra intestina.
“Perché sei qui?”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dorcas Meadowes, Evan Rosier
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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I personaggi presenti in questa storia sono proprietà di J.K. Rowling;
il racconto è stato scritto senza alcuno scopo di lucro.


 
Viandanti

 
10 agosto 1980 – notte

Voci, mani, sguardi – cosa?
Sollevi a fatica le palpebre, il caos che t’ha risvegliata si spegne improvviso e immersa nel silenzio buio capisci di averlo solo immaginato, incubo venefico o ricordo vivido.
A fatica tasti te stessa, il tuo corpo dolente, e t’accorgi di catene ai polsi, ferite fresche, ossa stanche.
Cosa?
La mente fatica a ricordare, mettere insieme tasselli, ripercorrere le ultime ore della tua vita.
Deve esserci stato uno scontro, l’ennesimo, e poi, poi qualcuno deve averti colpita, catturata, rinchiusa.
No.
Non ha senso, non può averne. I tuoi nemici estorcono informazioni sul campo di battaglia stesso e abbandonano il malcapitato al suo destino – non accumulano prigionieri, mai.
Allora?
Cos’è successo? E questo luogo cos’è, dov’è? Pur aguzzando lo sguardo non riesci a distinguere sagome né nulla, riesci però a percepire un orribile tanfo di umido – forse, ipotizzi, sei in una cantina o in un sotterraneo o in un rifugio scavato nella pietra o… non lo sai.
D’improvviso, irrompe nelle tue confuse riflessioni un echeggiare di passi rudi che rimbombano in quello che deve essere un corridoio vacante, dalle pareti ampie e il soffitto lontano.
Le catene ai polsi tremano non appena avverti una porta schiudersi e ancora rumoreggiano quando ti appiattisci istintiva contro la parete alle tue spalle nell’udire il tonfo di una porta richiusa.
Hai sempre creduto che in situazioni di pericolo estremo avresti sfoggiato un coraggio sconosciuto persino a te stessa, eppure i denti ora cozzano gli uni sugli altri e niente, niente, fuoriesce dalle tue labbra – dentro e intorno e ovunque il solo peso specifico che riconosci è quello dell’attesa più spietata.
“Dorcas.”

 
~
 
9 agosto 1980 – mattina

Se la tua vita fosse stata una vita qualunque, normale, ora saresti impegnata a godere di una meritata vacanza, invece saranno più di venti ore che sei rinchiusa in questo ufficio – tende a ombreggiare finestre spalancate, scrivanie ricolme di scartoffie e faldoni, odore di sudore misto a cancelleria.
Neanche sussulti quando la porta si spalanca, sei però costretta a sollevare perplessa lo sguardo dalle pergamene che hai tra le mani quando delle dita familiari ti stringono rudi la spalla.
Vattene è la prima cosa che pensi di dire, ma le sue labbra calano voraci sulle tue e ti ritrovi a stringere quei capelli nerissimi e a bramare sempre più vicinanza, protagonista di una trama che si ripete da anni e a oltranza.
Evan.
Mordi il suo nome incastrato nelle vostre bocche, mentre senti le sue braccia fasciarti, stringerti a lui, esigere ogni sprazzo di vicinanza possibile.
Separarvi, riprendere a respirare in autonomia, assume sempre le sembianze di una violenza, eppure siete costretti a sollevare le palpebre, ammorbidire le morse, allontanarvi e riprendere contatto con quanto vi circonda.
E sorridi, malgrado tutto, quando ti sfiora un ricciolo sfuggito alle forcine e si cala a baciarti una volta ancora, come se voi non foste voi e fuori non infuriasse una guerra intestina.
“Perché sei qui?”
Evan distoglie gli occhi da te e la terra trema e la bolla esplode.
“Evan.”

 
~

“Sono ferita.”
Avresti voluto pronunciare un interrogativo in cerca di certezze – e smentite –, ma le tue labbra non disegnano che un’affermazione, a seguito della quale trascorrono lenti attimi in cui a rimbombare non sono che respiri sempre più vicini, e sai pur senza vederlo che lui s’è calato a un soffio da te.
Improvvise avverti delle dita sfiorarti il viso e poi una bocca cercare la tua in una carezza effimera che sa di ferro e sudore.
Abbandoni la fronte contro la sua con una stanchezza che ti è aliena e dentro di te inizia ad agitarsi furioso il dubbio di essere una vittima senza futuro.
“Dove siamo?”
“Non ha importanza.”
Perché?
Vorresti chiederglielo, ma un vuoto ti sorprende a tradimento e ti induce a capire che s’è sollevato e allontanato da te – ti chiedi allora se lui riesca a distinguere sagome in questo buio, se i suoi occhi siano aiutati da incantesimi rivelatori, e ti chiedi anche perché non ti spieghi cosa stia accadendo, perché non ti liberi.
È fulmineo il terrore che abbia compiuto quella scelta rifiutata per anni, ignorata a ogni costo, confinata negli angoli più remoti della mente.

 
Perché me l’hai detto?”
L’avresti capito.”
E adesso?”
Non lo so, Dorcas, non lo so.”

Neanche ricordi quand’è stata l’ultima volta che l’onestà ti ha sfiorata, sono memorie che appartengono a una ragazza con la valigia ricolma di sogni e il cuore invaghito dell’amore.
Poi.
Poi altri hanno eretto mura fortificate, distinto noi e loro, tramutato il sangue in peccato e diffuso nenie mortifere in lungo e in largo con la pretesa di rivendicare dei privilegi perduti e una supremazia innata in pericolo.
Credi che quella ragazza di un tempo lontano sia morta il giorno in cui ha scoperto che i sentimenti totalizzanti, quelli incorruttibili e viscerali, resistono persino alle intemperie fatte di sangue e morte – e diventano incubi, desiderati e voluti e cercati con folle determinazione.
“Mi hai tradita?”
Lo chiedi con voce ferma, forse arrochita dal silenzio teso, e lo chiedi consapevole di non volere una risposta.
“Sì.”

 
~
 
9 agosto 1980 – pomeriggio

Le lenzuola hanno sempre un odore invasivo quando stropicciate da te, lui, corpi sudati e labbra impudenti.
Neanche ricordi da quante ore hai abbandonato il Ministero né quale fandonia hai rifilato ai sottoposti per giustificare l’improvvisa assenza di Dorcas Meadowes, la più stacanovista tra gli Auror, la strega con le cicatrici sulla schiena e la bacchetta allacciata alle dita, la donna volitiva che s’è tinta di gelo lo sguardo e rinchiusa nei silenzi – sorda al vociare dei giusti impegnato a rimproverarti di avere le mani sudicie di un amore indegno.
Né ricordi quand’è stata l’ultima volta che hai tentato invano di strapparti via Evan o di trascinarlo dalla tua parte – non hai accumulato che fallimenti, e lui assieme a te, che t’avrebbe voluta al suo fianco anziché nemica.

 
Mi stai chiedendo di tradire?”
Ti sto chiedendo di capire.”
Le ragioni di un assassino?”
Dorcas, io ti amo.”

“Io ti amo.”
Sussulti al sibilo di Evan, un sibilo che ti accarezza suadente l’orecchio e poi si ripete lungo la guancia e muore sulle labbra.
Ti stringi a lui una volta ancora, l’ultima ti dici, prima che le ore si rincorrano troppo in fretta e dobbiate dirvi un nuovo addio nella speranza di riuscire a trafugare altro tempo prima che la morte sorprenda te, lui, entrambi.
“Cosa devi dirmi?”
Lo vedi sospirare alla domanda e negarti per brevi istanti lo sguardo – e ti stringe, più di quanto non abbia fatto tu, e di nuovo ti bacia e carezza, mentre sembra imprimersi dentro tutto il vostro calore.
“Sapete dell’agguato,” dice improvviso. “Quello in programma tra qualche ora.”
“Sa che noi sappiamo,” deduci. “Moriremo in molti, questa sera.”
“Forse, o forse no. Ha cambiato i piani, non vuole uno scontro frontale, non adesso.”
“Non troveremo nessuno, quindi.”
“No, a meno che un informatore anonimo non ti dia le coordinate giuste.”
“Cosa stai dicendo?”
“Mi ami?”
“Evan.”
“Mi ami? Sì o no, solo questo.”
“Sì.”

 
~

Sì.
Credi che qualcosa dentro di te si sia spezzato senza neanche prima incrinarsi, maciullato da una realtà orrifica, sempre temuta e mai realmente considerata – tu, lui, traditori.
Lo siete sempre stati, in fondo, lui proteggendoti dai suoi alleati tuoi nemici, tu proteggendolo dai tuoi alleati suoi nemici – mai l’una dell’altro, però.
Mai tu la sua traditrice, lui il tuo traditore.
Ma ora.
Ora sono i tuoi pensieri ad annerirsi, loro a calare nel buio pece, loro a incatenarsi gli uni sugli altri, loro a ridurti in ginocchio.
È un istante e ti sembra di rifletterti in uno specchio: da un lato la donna che sei diventata, dall’altro la ragazza che sei stata – disillusioni e illusioni, stanchezza e vitalità, frantumi e amore.
Le scelte compiute in passato e ripetute nel tempo pesano come non mai e ti mostrano tutta l’amara ironia di una vita trascorsa con le mani ficcate in sangue e morte in nome di una pace futura, di una società idilliaca modellata su equità e uguaglianza. E ti mostrano ancora l’ipocrisia in cui hai sguazzato ogni volta che hai giurato fedeltà a Silente, al Ministero, ai vostri ideali, rea di non avere intenzione alcuna di rinunciare a Evan.

 
A volte vorrei fuggire con te.”
A volte sei codarda, amore mio.”
Altre vorrei ucciderti prima che lo facciano altri.”
Perché sei un soldato, come me.”

“Sei un soldato.”
Pur senza vederlo, sai che un sussulto l’ha sorpreso al tuo sibilo rabbioso – lo conosci.
“Come te.”
È una risposta priva di enfasi, una constatazione senza sapore, e tu reagisci istintiva quando tenti di scattare in piedi, sono le catene ai polsi a frenarti e a ricordarti di essere prigioniera.
“Mi ucciderai prima che lo facciano altri, dunque.”
“Prima che tu uccida me?”

 
~
 
9 agosto 1980 – sera

Infuria.
No, non infuria nulla.
Non c’è nulla intorno a te, se non case di babbani ignari ed echi di pneumatici che calcano l’asfalto.
Che qualcosa non vada sarebbe evidente persino a una recluta, ma hai una sensazione addosso che ti vieta di costruire ipotesi sulle poche certezze che possiedi – altri la chiamerebbero speranza illusa.
Ripeti a te stessa le parole che poche ore fa Evan ti ha confidato e di nuovo ti assalta la rabbia di combattere un male che è sempre un passo avanti, dalle troppe forme, dalle risorse in apparenza infinite – Tom è sempre stato oltre persino tra i banchi di scuola, eppure all’epoca non avresti mai immaginato che l’enigmatico compagno di Casa sarebbe divenuto tuo aguzzino: colui che tenta di oscurare il mondo che abiti, colui che t’ha strappato il cuore quando ha dato a Evan un motivo per seguirlo.

 
Lui parla di libertà, Dorcas, la libertà di noi maghi.”
Lui vuole un mondo di servi, come fai a non capirlo?”
Sono i babbani ad averci costretti ai margini del mondo, ad averci reso clandestini.”
Tu parli di ideali, Evan, ma usi parole d’odio.”

C’è stato un tempo in cui avresti voluto salvarlo, in cui hai addirittura creduto di doverlo fare, poi hai compreso che ogni soldato sceglie un esercito e che ognuno sceglie per se stesso.
Forse, forse sei solo stata troppo debole – ipocrita? – per accettare la solitudine, scegliere il niente se dall’altra parte c’è un idealista affogato in un mostro.
Non lo sai.
E non ha neanche importanza saperlo, qualcosa ti suggerisce che non ne ha mai avuta.
Basta.
Ti tiri via a forza dai pensieri e riprendi a guardarti intorno, la bacchetta stretta nelle dita e il cappuccio calato sul capo.
Quello che sai, quello che Evan ha messo in fila, è che l’agguato ai fratelli Prewett è stato annullato – “Lui sa che Silente ha saputo e che sarete lì ad aspettarci” – e che per dare una prova di forza Voldemort ha deciso per questa notte degli attacchi vigliacchi a dei quartieri babbani.
Ed eccoti qui – eccovi qui.
Sparpagliati in anonime strade, affidati alla tua parola di possedere informazioni certe, in attesa dello schieramento avverso.
E poi esplode, esplode tutto.
Non capisci, non capisci davvero cosa sia accaduto e stia accadendo intorno a te. Hai sentito un rombo e poi hai visto scintille scoppiettare ovunque e poi hai sentito una debolezza invasiva e un dolore acuto e poi… E poi buio.

Buio.

E ore che di certo trascorrono e ti trovano inerme, priva di sensi, schiacciata su un pavimento.
Tanfo di umido.
È tra le prime cose che hai captato da sveglia – tanfo di umido e catene ai polsi e passi in avvicinamento ed Evan.
Evan.
Che ti ha mentito mordendo baci sulle labbra – tradita tra le lenzuola del vostro letto di fortuna.
Sbatacchi le ciglia quando una luce inattesa illumina la piccola cella e un incantesimo ti libera da quella che non è stata altro che un’illusione: lo comprendi tastandoti i polsi e il viso e il corpo e avvedendoti dell’assenza di ferite.
Ti alzi in piedi confusa, barcollante, e cerchi e trovi la bacchetta che tuttavia non punti contro Evan – l’aguzzino? –, che in piedi dinanzi a te ha in viso un’espressione colpevole contraddetta da un’appariscente gioia che gli illumina lo sguardo.
“Che hai fatto?”
“Ti ho tradita,” ripete. “Ma tradirti era il solo modo che avevo per salvarti.”
Prima che possa sorprenderti un capogiro, che la comprensione di quanto accaduto possa assalirti, le sue mani reclamano le tue e un bacio esigente, che non fatichi a giudicare disperato, ti strappa via respiro e pensieri.
No.
Combatti, contro lui e te stessa, e lo allontani furiosa e incroci occhi in cui rivedi ogni singolo errore commesso e la promessa di commetterne ancora.
L’agguato c’era, c’è stato – non hai bisogno di chiedere per sapere, e l’improvviso bisogno di rigettare qualsiasi cosa tu abbia mangiato nell’arco della vita pressa prepotente per impadronirsi di te.
“Mi hai resa tua complice.”
“Ti ho salvato la vita,” ribatte. “E l’ho salvata anche agli inetti che hai portato con te.”
Non posso perdonarti, non voglio è quello che vorresti dirgli, che senti di dover dire, per tentare di scacciare un brandello, piccolo e inconsistente, di colpa – ma.
Ma ti stringi in te stessa, lo oltrepassi senza sfiorarlo e ti incammini nel lungo corridoio che immagini conduca all’esterno di questa fortezza abbandonata.
Tuttavia non riesci a mettere più di una decina di passi in fila prima che Evan ti raggiunga e ti afferri le braccia per indurti ad arrestare la fuga e poggiarti a lui.
Trascorrono istanti col peso di ore in cui ad annientarvi è un silenzio che sembra conoscere ogni crepa di te, lui, voi due insieme, e che forse della vostra tragedia conosce anche lo scadere del tempo.
“Mi ami?”
“Dorcas.”
“Mi ami? Sì o no, solo questo.”
Lo senti trattenere il respiro, ingoiare un terrore che s’è affacciato improvviso e stringerti con più forza – se sia lui a sostenere te o tu a sostenere lui è impossibile capirlo.
“Sì.”
Un mormorio arrochito che s’abbatte sulla tua guancia. Sorridi come non dovresti e ti volti a guardarlo una volta ancora e a baciarlo di nuovo e a svanire in uno dei vostri abbracci.
“Vivere in guerra non è vivere, ci hai mai pensato?”
“È l’unica vita che conosco, ormai.”
Annuisci a queste sue parole e gli baci le labbra con una tenerezza che è estranea a entrambi, ridendo dello stupore che gli tende il viso.
“Ci siamo incontrati nel tempo sbagliato.”
“È l’unico che abbiamo.”
“È l’unico che abbiamo avuto.”

 
*
 
Dorcas era contraddizioni, ideali, emozioni, aveva dita macchiate di amore, occhi svaniti nella colpa, parole taciute in segreto – dicevano fosse morta di superbia.
Dorcas era amore furioso, viscerale, eterno, aveva lottato, cercato la pace nella guerra, perduto – dicevano amasse un nemico.

~

Evan Rosier, o la resa o la morte.”
Che sia la morte.”

*

Evan era dita rudi, occhi feroci, labbra serrate, aveva contraddizioni sottopelle, ideali imbrattati, emozioni burrascose – dicevano fosse morto di superbia.
Evan era amore furioso, egoista, eterno, aveva tramato, cercato i sotterfugi nella guerra, perduto – dicevano amasse una nemica.

~

Evan, credi esista un’altra vita?”
Lo spero.”
Per rinascere?”
Per ritrovarti.”

 





 
Note dell’autrice: questo racconto è un vero e proprio esperimento stilistico, scritto tra l’altro in poco tempo, quindi non so quanto possa dirsi riuscito, ma ci tenevo a partecipare al contest che ha ispirato queste pagine e che mi ha permesso di ragionare su una struttura stilistica che non avevo mai considerato.
Il contest in questione è Di prompt stilistici e figure retoriche II edizione indetto da Futeki e i pacchetti scelti da me sono i seguenti: «4. La storia deve svolgersi su due piani temporali diversi (uno precedente all’altro) che a un certo punto si incontrano: la linea temporale “precedente” deve necessariamente raggiungere l’altra, concludendosi nel momento in cui arriva a narrare l’inizio della linea temporale “successiva”. Quest’ultima può interrompersi nello stesso momento, o procedere brevemente dopo il ricongiungimento. Attenzione a non rendere una delle due linee temporali subordinata rispetto all’altra: il rischio è quello di scrivere di una linea narrativa principale e di una secondaria basata su flashback o flashforward, mentre l’obiettivo del prompt è quello di definire due linee narrative in tempi diversi che siano assolutamente bilanciate. (Molti esempi di questa tipologia di narrazione sono dati da serie tv come “Le regole del delitto perfetto” o “The Wilds”.) | B. Asindeto». Il prompt stilistico mi ha indotta a riflettere molto, mi sono chiesta come incastrare queste due linee narrative in un racconto sviluppato in un solo capitolo senza dare l’idea di scrivere un racconto strutturato sui flashback, ho così deciso di optare per un presente del racconto (il 10 agosto) e una linea narrativa antecedente di un solo giorno che si è poi incontrata con il presente del racconto (Dorcas viene catturata, scocca la mezzanotte, arriviamo alla notte del 10 agosto). L’ultima parte (in corsivo, centrata, in terza persona e al passato) è da intendersi come atemporale rispetto al racconto stesso, motivo per cui la scelta stilistica legata a tempo e persona narrante qui cambia.
Le caratterizzazioni di Evan e Dorcas sono modellate sui miei headcanon, mentre i riferimenti alle loro morti rispecchiano le informazioni contenute nei libri (sappiamo che Dorcas viene uccisa da Voldemort ed Evan combatte sino alla morte anziché arrendersi).
Il titolo è un riferimento al continuo errare metaforico di Dorcas ed Evan alla ricerca di un equilibrio tra schieramenti avversi e amore.
Non mi dilungo oltre e ringrazio chiunque sia giunto sin qui, spero che la lettura abbia meritato il vostro tempo.
Un abbraccio!
   
 
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