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Autore: Dira_    14/08/2021    6 recensioni
[Seguito de "Nella Selva Oscura"]
Castiglioscuro non è più un problema per le Silvani. Lo è il bosco, e ciò che contiene.
Un mostro si è risvegliato tra gli alberi e una barista di paese si è resa conto che non più essere soltanto quello.
Rosi deve tornare nell'Altrove, un mondo popolato da spettri, criptidi e mostri; deve trovare il coraggio di affrontarli e forse affrontare sé stessa.
Nell'Altrove è facile smarrirsi: puoi dimenticare di essere un mostro per scoprire il primo amore, puoi cominciare a dubitare che obbedire agli ordini sia sempre giusto. Puoi scoprire che no, non lo è.
Perché nell'Altrove vi è una sola certezza: una volta che lasci il sentiero, è allora che la storia comincia davvero.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8.
 
 
“Beatrice e Lietta!” le saluta il parroco. La tonaca è nera, immacolata, come se la polvere sulla strada non lo toccasse. “Dove andate di bello figliole?”
 
Bice sa che quella non è una domanda innocente. “Nel bosco,” risponde comunque, forzando le labbra in un sorriso.
“Non vorrete incontrare il lupo, spero,” il prete lo dice ridendo, ma non vi è gioia in quel suono. Le odia, perché sono una macchia nella sua tonica immacolata, una minaccia al suo piccolo potere di vita e di morte. Se nel comunello c'è qualcuno che salva il corpo, lui non può vendere altrettanto bene la salvezza dell'anima … e alla fine dei salmi, nessuno vuole davvero morire.
“I lupi cacciano di notte,” ribatte Lietta con tono di sfida. Bice le afferra il polso e stringe, in silenzio, per farle capire. Il parroco ha scelto la strada maestra per interrogarle e non vi è occhio che non si sia posato su di loro, seppur fingendo di far altro.
Non ha prove che siamo streghe, ma oh, come vorrebbe averle …
“Non andiamo lontano e torneremo prima del tramonto, ma grazie per la vostra premura,” mormora Bice. Con un cenno della testa si accomiatano. Gli occhi del parroco e del resto del paese le seguono, bruciando loro addosso.
 
“Mica penserà che siamo noi il lupo?” esclama divertita Lietta mentre l'abbraccio smeraldo del bosco le accoglie, con i suoi profumi e la sua quiete. Le risate lontane dei folletti solleticano loro le orecchie e le invitano al gioco.
Quant'è che Bice non parla più con i folletti del bosco? Non se lo ricorda. “Non capisci? Cerca un pretesto per rivoltarci contro il paese,” risponde amara. “Non c'è riuscito con nostra madre, potrebbe riuscirci con noi … devi smetterla di incontrare Benedetto di notte!”
Lietta serra le labbra e si massaggia il polso dove sono apparsi cinque segni rossi. Bice non voleva stringere, ma è spaventata, come mai lo è stata.
“Io e Benedetto non facciamo niente di male! Passeggiamo, parliamo … mi chiede dei mostri del bosco, e mi racconta di quelli che ha incontrato lui. Ha girato, ha visto cose incredibili e...”
“E pericolose. Come lui,” la ferma e poi le prende le mani. “Lietta,” la chiama, la implora. La sorellina si blocca nel tentativo di sgusciare via. “Ascoltami, se vi scoprono a lui non faranno niente. Dirà che ce l'hai portato tu, che gli hai fatto un maleficio … e a te invece ti porteranno in prigione. Diranno che hai ammazzato tu quella povera gente perché eri nel bosco quand'è successo!”
“Ma non sono stata io!” grida Lietta sconvolta. “Non ho fatto niente di male!” quando scoppia a piangere Bice la stringe in un abbraccio. La sente tremare e vorrebbe dirle che ha ragione, che non è giusto, che sono brave donne che hanno dedicato la loro vita ad aiutare gente che alla meglio le usa, alla peggio aspetta solo un errore per dar loro tutte le colpe del mondo.
“Ti credo,” la rassicura asciugandole le lacrime. A Lietta cola il naso come una bambina, e un'ondata di rabbia e tenerezza travolge Bice.
Vorrebbe uccidere Benedetto.
“Non sono cattiva!”
“Lo so. Non importa quello che penso io, però … ma quello che deciderà il parroco, o il signore, o chiunque altro conta più di noi. Mi devi promettere di non andarci più.”
Lietta si morde le labbra. Non è mai stata brava a mentire, ha il cuore appuntato sul petto come un trofeo e non come qualcosa da proteggere. “Voglio stare con Benedetto …”
“Se Benedetto ha intenzioni serie può cominciare a frequentare la nostra casa. Lo chiederò al babbo, non mi opporrò.”
“Davvero?” Lietta si illumina, la abbraccia e Bice ricambia con il cuore pesante. Non vi è altra soluzione però. Non vuole quel mostro in casa sua, ma almeno potrà tenerlo d'occhio.
E, cosa più importante, sua sorella non andrà più nel bosco.
 
“Dovresti far venire anche Fortunato a casa nostra. Lui non ha intenzioni serie?” le domanda mentre sono chine a raccogliere menta selvatica.
“Non aspetta altro in effetti,” ammette imbarazzata mentre Lietta ride. “Sono io a dirgli di no.”
“Perché?”
Perché sarebbe meglio non fosse associato a una come me, pensa, ma non lo dice. “Come fa Benedetto ad uscire dal castello?” chiede invece, cambiando discorso, “Di notte non faranno entrare o uscir gente.”
Lietta esita, e in quell'esitazione Bice vi legge senso di colpa. Attende però, con la schiena china e le mani piene di erbe che le profumano le dita. “... Gli ho detto delle grotte,” confessa. “Arrivano fin sotto le cantine del castello, sai? Se n'è accorto quando ha cominciato a lavorare nelle cucine e le ha percorse per un po' … ma poi si è perso. Così mi ha chiesto aiuto … e adesso per incontrarmi esce così.”
Usa le grotte degli etruschi per spostarsi. Corrono lungo tutto il bosco, hanno entrate ed uscite sconosciute ai più. E arrivano fin sotto al castello.
Bice ha capito: è così che Benedetto ha portato il mostro nel Clarus.
 
***
 
Tobia era preoccupato.
Che era un po' una condizione naturale della sua esistenza da qualche settimana a quella parte.
Sebbene fosse consapevole che c'era qualcosa di buono nel tenere la mente attiva su problemi reali, d'altro canto ciò che stava accadendo nella Montagnola aumentava la sua ansia.
Neppure l'amato bosco, con i suoi richiami di uccelli, con il suo profumo antico, riusciva a dargli pace … specialmente perché era nella macchia che stava cercando, dall'alba, i suoi amici caramogi. Di loro nessuna traccia da giorni.
Nè di loro né del beffardello, l'unica altra creatura in grado di comunicare con lui. Aveva provato ad attirare il folletto con dolci e vin santo, ma a parte trovare le cartacce vuote nei posti in cui aveva lasciato le sue offerte, di lui nessuna traccia.
Tobia tornò indietro dall'ennesimo giro infruttuoso al castello. Attraversando il ponte della manolonga si tranquillizzò solo quando udì il familiare ticchiettio delle sue unghie. Posò a terra una manciata di caramelle scartate e continuò il tragitto; nel ruscello le ondine non diedero segno di voler giocare. Era quieto e torbido e nessuno spruzzo gli bagnò le scarpe.
Si stanno nascondendo.
Era la natura delle criptidi, tuttavia nel bosco non avevano mai avuto bisogno di farlo. Era casa loro, il loro regno … che però adesso aveva un altro re.
Il serpe regolo.
Il regolo però non cacciava di giorno e quindi non si era aspettato quel silenzio. Il grido degli uccelli era più quieto, il ronzio delle cicale meno pressante … ed era una sua impressione, di certo, ma il verde e il marrone erano meno vividi. Spenti. Era come trovarsi in una qualsiasi macchia della Toscana.
Tobia continuò in direzione di casa propria. Non andava bene: il Chiaro non aveva posto nella Montagnola, si era già preso il paese e il resto del mondo … non poteva prendersi anche quell'ultimo luogo incantato.
Almeno è tornata Rosi.
Era un pensiero egoista e volle non averlo fatto, ma gli scivolò dentro come l'olio avrebbe fatto in una bottiglia.
Per questo non si accorse subito di aver lasciato il sentiero; fu sorpreso quando, alzando la testa, non riconobbe il luogo in cui si trovava.
Non si era perso, ma era in una parte del bosco che non frequentava. Il silenzio che vi regnava era ancora più intenso, tale da fargli percepire il battito del proprio cuore.
Anche le cicale avevano smesso di cantare.
Siamo vicini alla terza porta …
Uno degli ingressi alle grotte ormai inagibile, nascosta dal sottobosco. Tobia si era distratto e i piedi lo avevano condotto lì. Nel bosco nulla accadeva senza ragione quindi individuò la porta e si arrampicò lungo il pendio in cui era celata.
Non aveva con sé nessuna arma, fatto salvo per un vecchio coltello che teneva in tasca più per abitudine che per uso, e si chiese se non stesse facendo una bischerata. Il regolo si spostava tramite le grotte e usciva da esse per cacciare … e lui ci stava per entrare.
Nonostante questo continuò fino all'ingresso … e lì vi trovò quello che gli alberi avevano voluto fargli scoprire.
Lunghi solchi nella terra, foglie schiacciate il cui colore da marrone si era tramutato in bianco gesso e che scricchiolavano sotto i suoi scarponi. Odore di zolfo, lieve ma inequivocabile.
E poi, il cadavere in decomposizione di un mulinello. Il mulinello della porta della chiesa, lo riconobbe perché era un esemplare forte, dalle lucide ali nere e il muso screziato di grigio che aveva scorto tante volte, prima di essere investito da una raffica di vento e polvere. Quello che rimaneva di lui erano solo le cartilagini delle ali e ciuffi di pelo che si mischiavano al sangue, sporcando le foglie. Mosche e tafani gli ronzavano intorno in un tetro concerto di morte.
Come c'è arrivato?
Erano lontani dalla porta. Quella criptide, poi, non si sarebbe mai spostata per una distanza così grande, non ne avrebbe avuto motivo.
Questo poteva solo voler dire che qualcuno ce l'aveva portato.
Non era solo precauzione ciò che aveva spinto le criptidi del bosco a nascondersi, realizzò: era certezza di essere braccate.
Un rumore proveniente dalla grotta lo allertò; dentro il buio, qualcosa si stava muovendo. Tobia non si fermò a controllare; corse via, verso casa e verso il primo telefono disponibile.
 
***
 
Caterina quella mattina si svegliò con Maddalena nel letto.
La sorpresa per poco non la fece cadere dal materasso, e il sussulto sarebbe bastato a svegliare chiunque, ma l'altra continuò a dormire come se nulla fosse, con i piedi incastrati tra i suoi e i lunghi capelli corvini sparsi ovunque tra i due cuscini.
Caterina ricordava di essere andata a letto da sola, dopo aver passato la solita serata di chiacchiere con tutti. Maddalena le aveva dato la buonanotte ed erano riuscite a scambiarsi un bacio prima che Rosi uscisse dalla sua stanza per andare in bagno. Non aveva fatto cenno di voler dormire con lei … eppure quella mattina era lì.
Fu inevitabile farle una carezza sul viso. L'altra si limitò ad un profondo sospiro e si avvicinò.
Assomiglia a un gatto.
Era bastato invitarla una volta perché si impossessasse del suo letto una seconda … e aveva come l'impressione che non sarebbe stata l'ultima.
Cate si spostò per riposare la testa sullo stesso cuscino, passandole un braccio attorno alla vita. Dalla finestra aperta spirava il vento già tiepido di una sicura giornata rovente, ma non le importava di sudare se poteva tenere tra le braccia la ragazza più bella del mondo. Si riaddormentò.
 
Qualche minuto o ora dopo, il trillo della sveglia arrivò impietoso come una condanna a morte. Maddalena stavolta si svegliò, aggrottando le sopracciglia nell'espressione con cui si mostrava al mondo. Cate afferrò il cellulare e lo spense, gettandolo da qualche parte sul materasso. “Buongiorno,” la salutò, “e scusa per la sveglia.”
L'altra le sbadigliò in faccia per tutta risposta, scoccandole un'occhiataccia. “... 'giorno. Che ore sono?”
“Tardi, le dieci.”
“Non è tardi allora.”
“Il tuo ritmo sonno-veglia è un po' preoccupante.”
Maddalena si alzò a sedere, stiracchiandosi con gusto, cosa che portò Cate a distogliere lo sguardo. Maddalena andava a dormire vestita, ma dall'elenco mancavano decisamente dei pezzi, come ad esempio il reggiseno. E non che l'alta fosse un amante dei pigiami oversize come lei …
“Ieri notte non sono riuscita a dormire,” le spiegò, ignara del suo turbamento, “sono andata a letto all'alba.”
“Nel mio letto,” ribatté ironica rimediandosi un sorrisetto imbarazzato. “No, va bene … anzi, mi fa piacere che ci sei! Solo m'hai fatto piglià un po' un infarto stamattina...”
“Scusa, non volevo scantarti... spaventarti...”
“Mica spaventata, sorpresa!” la corresse perché non voleva passasse il messaggio che non era benvenuta nel suo letto. Per quanto la riguardava, poteva metterci le tende. “Puoi dormire con me quanto ti pare,” chiarì ulteriormente facendo finalmente sbocciare un sorriso sulle labbra dell'altra.
Maddalena si chinò su di lei per baciarla entusiasta. La bocca le sapeva di dentifricio e come cavolo era possibile dopo ore di sonno e bocca presumibilmente impastata?
Forse non ore e ore …
Perché Maddalena profumava di doccia recente, e ancora una volta un forte odore di bagnoschiuma maschile buttò Cate fuori asse, facendola irrigidire. La cosa non sfuggì all'altra da come si scostò, scoccandole un'occhiata sorpresa. “Tutto bene?”
“Sì… ehm,” non aveva modo di fare domande senza apparire una pazza. Però ce n'erano sempre più, di quelle, piccole incongruenze che necessitavano di una spiegazione.
Cate cercò di non pensarci: non doveva pensarci, avevano così poco tempo rimasto assieme e passarlo a farsi seghe mentali era da deficienti. Rispose ai baci e alle carezze e socchiuse gli occhi per abbeverarsi di lei e …
Gli occhi di Maddalena non erano come dovevano essere. Non erano neri nella pupilla e scuri nell'iride.
Erano completamente neri.
Un gioco di luce, pensò mentre un grumo di ghiaccio le serrava lo stomaco. Un gioco di luce e la fantasia troppo galoppante che le avevano sempre detto avesse, quella che le faceva blaterare di fantasmi nel cimitero e voci incorporee nel bosco quand'era bambina, finché non aveva smesso di farlo perché o la guardavano storta o la prendevano in giro.
Razionalizzare era ovvio, meno facile era aver ragione dell'istinto che le fece irrigidire i muscoli.
“Cate ..?” le domandò l'altra. I capelli, che lasciava sciolti quando dormiva, creavano una cortina attorno a lei, come una pesante tenda color inchiostro. Era per quello che gli occhi le sembravano pezzi di carbone senza neanche un'oncia di bianco?
Dov'era il bianco?
Cate le piazzò le mani sulle spalle e la fermò dal baciarla di nuovo senza che quasi se ne rendesse conto.
Maddalena al gesto si fermò, confusa. Quando batté le palpebre tornò il bianco della sclera, tornò la pupilla, tornò tutto. E c'era sempre stato, no?
Che cazzo, Cate.
“Credo che gli altri si stiano chiedendo perché un'siamo ancora scese ...” si udì mormorare, “forse dovremo scendere.”
Te lo sei solo immaginato!
Maddalena si scostò. “Va bene...” disse sedendosi lontana da lei.
Caterina non trovò di meglio che togliersi elastico e forcine con cui teneva fermi i capelli mentre dormiva. Le esplosero un po' ovunque, anche in faccia e fu un buon modo per evitare di guardare l'altra. “Vado in bagno, ci vediamo giù?”
“Cate … ho fatto qualcosa di sbagliato?”
A quel tono ansioso dovette voltarsi; Maddalena si era spostata ai piedi del letto con una faccia così contrita, così normale che si sentì immediatamente un'idiota. Non era colpa sua se aveva avuto uno svarione e le era sembrato di vedere cose che non c'erano.
Devo smettere di fumare prima di andare a letto.
“No, niente!” Le si sedette accanto prendendole una mano. Da come Maddalena era sempre svelta ad intrecciarla alla sua aveva capito che le faceva piacere, e quindi lo faceva il più possibile. “Ma non voglio fare tardi al lavoro, perché altrimenti Rosi si lamenta e poi non mi fa uscire con voi!”
Non era una bugia dopotutto. Era sul serio stupita che Rosi non fosse ancora venuta a buttarla giù dal letto a suon di berci. Glielo disse, facendola ridacchiare ed era … di nuovo Maddalena. Era la sua Maddalena, la sua ragazza per l'estate.
Era stupido, ma per quanto fosse consapevole di essersi semplicemente suggestionata, quegli occhi che le erano parsi una voragine in cui cadere le avevano tolto il respiro di bocca.
Aveva ancora il cuore in gola ed era una fortuna che l'altra non potesse sentirlo. L'avrebbe considerata una scema totale. “A dopo?”
Maddalena annuì e si sporse per darle un bacio. “Ci vediamo giù.”
Cate, una volta in bagno, si sciacquò il viso: una, due volte, per togliersi l'impressione appiccicosa e sgradevole di trovarsi nell'irrealtà di un incubo. Aveva dormito troppo.
Lanciò un grido quando qualcosa le sfiorò la caviglia; era Ariele che le rivolse fusa rumorose e ulteriori strusciamenti contro le gambe.
“... stamattina mi volete fa' piglià un infarto pe' davvero,” borbottò prendendolo in braccio e strofinando il viso contro la pelliccia calda. Il ronzio delle fusa e l'odore familiare della sua pelliccia la calmò mentre si sedeva a terra.
Doveva smettere di fumare prima di andare a dormire.
 
***

“Non va bene per niente!”
Rosi marciava avanti e indietro nel piccolo salotto di casa Neri e ci avrebbe probabilmente scavato un fosso se avesse continuato.
Ettore non disse niente, limitandosi a spostarsi accanto alla finestra spalancata e in favore di corrente, perché l'uniforme era bella, ma di certo non leggera e benché fosse solo metà mattina il sudore già gli bagnava la schiena.
“I mulinelli sono stanziali, non vanno a farsi passeggiate nel bosco,” continuò la toscana. Tobia, tornato in quel momento con i caffè, li posò sul tavolino accanto al divano senza una parola.
“Quindi secondo te il regolo l'ha cacciato e portato fin lì?” domandò Ettore.
“No, le criptidi non entrano nel paese, non possono!” ribatté Rosi con un lampo allarmato negli occhi. “Anche il mulinello viveva sulla porta … non entrano per via della protezione delle mura.”
“E dei gatti,” aggiunse Tobia.
“Li voglio proprio vedere, a cacciare chillu serpe...” ribatté ironico Ettore controllando rapido di non essere a portata di eventuali unghie feline. Per fortuna quel giorno Ermione non era lì a dargli il tormento.
“Basteranno le mura. Sono sempre bastate,” stabilì Rosi con convinzione. “E comunque no, il regolo non ha fatto tutto da solo. Qualcuno ha portato lì il mulinello per farglielo mangiare. La stessa persona che l'ha risvegliato, di sicuro.”
Tobia si sedette sul divano stringendo una tazzina tra le mani, assorto. “Il beffardello è scomparso,” mormorò, “e non trovo più i caramogi. Anche i folletti si stanno nascondendo. Il bosco è silenzioso.”
“Avranno paura … è normale,” considerò Rosi con una smorfia. “Chiamali scemi.”
“Credo che il regolo sia qui per ucciderli. Tutti.”
L'affermazione risuonò nella stanza come uno sparo. “Ma che stai dicendo?” mormorò Rosi.
“L'obiettivo di chi ha portato qui il regolo è liberare la Montagnola da tutte le sue criptidi,” rispose Tobia. “Farla diventare Chiaro.” Fissava la tazzina come se stesse vedendoci dentro qualcosa, invece che semplice caffè e neppure fatto troppo bene. “Non puoi uccidere una criptide se non la vedi. Non puoi ucciderla se non sai cos'è … alcune di esse, poi, sono predatori, non prede, come la manolonga. Ti serve qualcosa di più grosso. Come quando usi un cane da caccia per stanare una volpe.”
Rosi si passò una mano tra i capelli, scuotendo la testa. “Perché qualcuno dovrebbe volere sterminare tutta la fauna soprannaturale della Montagnola?”
“Questo non lo so … non me lo posso immaginare perché qualcuno voglia fare una cosa del genere. Però so chi sarebbe in grado di farlo.”
“I sorveglianti,” lo anticipò Ettore. “Sono gli unici, a parte noi, a conoscere la verità … quindi sono gli unici che potrebbero volerlo fare, è questo che stai dicendo?”
“I sorveglianti sono qui per proteggere l'Altrove, non distruggerlo!” esclamò Rosi inorridita. A questo giro Ettore pensò davvero avrebbe avuto un mancamento. Sudava e il viso le si era acceso di un rossore violento, rabbioso. “Non è quello che ci hanno sempre detto, quello che ci hanno sempre insegnato?” e si voltò verso Tobia mentre il tono sfumava inequivocabilmente nella supplica.
Tobia serrò le labbra. “Sì,” ammise, “ma è anche vero che tra di loro potrebbe esserci qualcuno che pensa che il compito sia un fastidio, o una condanna...”
“Non mia madre,” era lì che Rosi aveva voluto andare a parare, era chiaro da come le mani le andarono subito al pacchetto di sigarette, come fossero una poco salutare coperta di Linus. “Mia madre non farebbe mai una cosa del genere.”
“Marina no,” convenne Tobia, “ma non è la sola che amministra l'Altrove a Malacena...”
“Il Sindaco, anche, giusto?” intervenne Ettore, lieto di poter contribuire a quella conversazione che pareva escluderlo sempre di più. “Quello che vuole demolire il castello e l'accesso alle grotte.”
“Il Ghini è un idiota...” Rosi soffiò il fumo di sigaretta fuori dalla finestra, guardando qualcosa nel cimitero e aggrottando le sopracciglia, prima di riscuotersi e voltarsi di nuovo verso di loro. “Detesta essere un Sorvegliante, è terrorizzato dalle criptidi. Non sarebbe in grado di gestire un mostro del genere … Però sì,” ammise, “sicuramente le vorrebbe tutte lontane dal suo Comune.”
“E poi c'è Don Doriano,” aggiunse Tobia ed Ettore non fu stupito dall'apprendere che il prete fosse parte della Confraternita, data l'insolita conoscenza delle leggende locali che aveva dimostrato quando qualche settimana prima gli aveva chiesto indicazioni per il castello.
Di solito gli uomini di chiesa facevano di tutto per dimostrarsi superiori alle superstizioni, ma lui ne aveva parlato spontaneamente.
“Che tipo è? Se ne sta sempre rintanato nella sua chiesetta ...”
“Viene da Roma, è un prete,” si strinse nelle spalle Rosi. “Non ci ho parlato tanto, e non dell'Altrove … se mia madre non mi avesse detto che è parte della Confraternita non l'avrei mai sospettato.”
“Don Doriano stato l'unico a credermi quando ho raccontato del lupomanaio … o almeno, a non pensare me lo fossi inventato,” aggiunse Tobia e a questo Rosi avvampò di nuovo. Se avesse potuto si sarebbe accesa un'altra sigaretta ma già ne aveva una in mano, su cui concentrò tutte le proprie attenzioni.
“Beh, questo è positivo,” disse Ettore per interrompere la pausa disagiante che si era creata, “vuol dire che potrebbe non essere invischiato nell'insabbiamento … e che tiene alla sicurezza della Montagnola. Potrebbe tenerci troppo? Tanto da voler fare piazza pulita di tutto lo strano?”
Tobia ci rifletté ma poi scosse la testa. “Non lo conosco abbastanza.”
“Stiamo facendo congetture,” aggiunse Rosi, di nuovo con l'aria di chi si stava arrabbiando, e rapidamente. “Siamo ancora ad un punto morto.”
“Non del tutto,” obiettò, staccandosi dall'amata finestra e dalla sua brezza salvifica. Andò alla lavagna appesa alla parete di fronte al divano, prendendo uno dei pennarelli e cominciando a scrivere, ignorando l'espressione esasperata dell'amica. “Ecco quello che sappiamo,” esordì. “Secoli fa una criptide pericolosa arrivò nella Montagnola, chiamata da qualcuno … un uomo venuto da fuori, secondo quello che ha vissuto la tua trisavola Beatrice. Dopo aver ucciso delle persone, fu resa inoffensiva da Beatrice, anche se alla storia passò che fu combattuta vittoriosamente dal prete del paese.” Appuntò i concetti salienti e poi scrisse, poco sotto PRESENTE a lettere capitali. “Ad oggi, qualcuno ha pensato bene di risvegliarla. Non sappiamo come, ma supponiamo il perché. Vuole usarla come tritarifiuti per le criptidi. Gliele dà di fatto in pasto.”
“E in qualche modo riesce anche a controllarla,” aggiunse Tobia. “Forse riesce a farsi capire.”
“Forse,” annuì appuntandolo la nota a lato dello schema. “L'obiettivo è svuotare l'Altrove della Montagnola e farlo diventare Chiaro.”
“Il Chiaro,” lo corresse Rosi ma almeno lo stava seguendo con aria meno infuriata di prima. “E potrebbe essere uno dei sorveglianti … o uno dei vânători.”
“Chi?”
I due toscani si scambiarono l'ennesima occhiata di chi tutto sapeva e si sentiva in imbarazzo a realizzare di essere l'eccezione. Ettore sbuffò. “Uagliù, la piantiamo di dirmi le cose a pezzi? Mo' chi sono questi?”
“Sono stati chiamati per trovare il lupomanaio … ” spiegò Rosi prima di notare la sua assoluta confusione ed aggiungere. “Sono dei cacciatori di criptidi. Quando c'è una creatura pericolosa non se ne occupano i sorveglianti, ma loro … sono una specie di squadra specializzata.”
“E non abbiamo chiesto il loro aiuto perché..?”
“Perché in due anni non sono riusciti a trovare il mannaro,” intervenne Tobia cupo. “O sono incapaci, o non vogliono trovarlo.”
“O forse non sono in grado, se qualcuno glielo nasconde,” obiettò Rosi. “Forse li hanno ingannati per non farli arrivare alla verità.”
… stiamo parlando ancora di 'sti vânători?
Ettore lanciò un'occhiata verso Tobia che non aveva mutato espressione, ma in compenso fissava Rosi come se fosse l'esatto centro e senso della stanza.
No, non stiamo parlando di loro.
Si chiese per l'ennesima volta se dovesse lasciarli soli, ma c'erano cose un filo più importanti da affrontare. “Lo ripeto. Perché non stiamo chiedendo il loro aiuto?”
“Perché potrebbero benissimo essere loro ad aver risvegliato il regolo,” obiettò Tobia dandogli finalmente attenzione. “Ne avrebbero il motivo. Potrebbero volerlo usare per cacciare qualcosa di altrettanto grosso, come un mannaro. Oppure usarlo per giustificare la loro presenza, dato che in due anni non hanno portato un risultato.”
“Mi sembra una follia ...”
“Quante volte nella storia la gente ha fatto cose folli pensando avessero senso o fossero necessarie? La bomba atomica ad esempio,” ribatté Tobia pacato. “Il regolo è la nostra bomba atomica.”
Mo'...” borbottò Ettore per quanto non fosse completamente in disaccordo con l'amico. “Va bene, niente vânători. Giusto per regolarmi però, chi sono?”
“Alina e suo padre,” gli rispose Rosi.
“L'amica di tua sorella?! Ma è una ragazzina!”
“Marian credo sia la testa, e Alina semplicemente le braccia … una volta le ho chiesto di aiutarmi a spostare degli scatoloni in magazzino e ti assicuro che è un piccolo carro armato.”
Ettore inspirò, appuntando i due alla lista dei possibili sospetti. “Mo' stiamo in Teen Wolf ...” borbottò glissando sulle espressioni confuse degli altri due, che ormai era appurato fossero cresciuti in una bolla dove i media moderni non erano mai arrivati. “Quindi abbiamo trovato un plausibile perché, abbiamo una lista di sospettati, il dove direi che è dentro le grotte della Montagnola, il quando è adesso ...”
“Cos'è, un articolo di giornale?” lo prese in giro Rosi, ma alla sua faccia irritata alzò le mani. “Hai ragione. Ci manca il come però.”
“Com'è stato risvegliato il regolo,” convenne conciliante Tobia. “Non credo esistano tante persone che sono a conoscenza della sua esistenza … o di come trattarlo. Noi lo abbiamo scoperto dalla ricerca di Matilde.”
“La ricerca … il libro!” esclamò voltandosi verso gli altri due. “Maddalena ha detto che lo aveva preso in prestito e mancavano delle pagine! Le pagine che parlavano proprio del castello e del serpe!”
“Sì, ma le abbiamo recuperate e non raccontano come Benedetto lo risvegliò,” osservò Rosi con un sospiro. “Chiunque stia agendo ora non può averlo scoperto leggendo Matilde.”
Rimasero in silenzio, mentre da fuori il rumore delle cicale si mischiava ad un forte vento che però non dava cenno di spostare, neppure per sbaglio, le nuvole che sostavano sopra la Montagnola. Forse avrebbe piovuto anche quel giorno?
“Devo sognarlo,” mormorò Rosi. “Se non abbiamo modo di capirlo, devo viverlo … ma non sarà una cosa veloce,” ammise con una smorfia. “Non decido cosa sogno, stanotte per esempio ho sognato una cosa inutile … non posso arrivare alla conclusione della storia saltando dei passaggi, neanche se lo voglio.”
“Forse sognare di più velocizzerebbe il finale?” suggerì Ettore. “Riposino pomeridiano? Il Bar puoi affidarlo a Cate o a Tea nel pomeriggio.”
“E con quale scusa?”
“Hai la faccia di chi ha bisogno di dormire da un bel po' Rosì...” Ettore si voltò verso Tobia che gli diede man forte annuendo. “Se non lavorassi dodici ore al giorno d'Agosto, e ti prendessi qualche pomeriggio di ferie non credo avrebbe da ridire nessuno. Anzi.”
“Posso provare, ma non vi assicuro niente.”
“Il tuo potere...” disse Tobia con l'aria di camminare su gusci d'uovo. Da come Rosi si era irrigidita probabilmente era così. “... diventa più forte più ti avvicini al luogo da cui provengono le tue visioni. Potresti provare a dormire altrove, non in paese … forse lì ci sono più interferenze.”
“Non credo sia il caso mi metta a dormire al castello, dato quello che ci striscia sotto.”
“Non parlavo del castello, ma di qui, di casa mia,” suggerì, sempre con quel tono cauto, “siamo nel bosco dopotutto.”
Rosi aprì bocca per dire qualcosa, ma poi la richiuse con un profondo sospiro. “Sì,” ammise, “è una buona idea. Se non è un fastidio...”
“Non lo è … non lo è mai stato.”
Ettore immaginò un enorme “terzo incomodo” in lettere luccicanti disegnarglisi sulla fronte e quindi fu lesto a schiarirsi la voce. “Bene, direi che siamo d'accordo! Ed io ti chiederei in prestito la ricerca di Matilde … voglio provare a darci un'altra letta, magari esce qualcosa di nuovo.”
“Posso dartela anche subito se mi riaccompagni al Bar,” Rosi consultò l'orologio con un gesto rapido e nervoso del polso. “Devo rientrare, la mia spesa non può durare tre ore.”
“Andiamo allora.”
 
Quando si accomiatarono da casa del Nero rimasero per un attimo sulla soglia, mentre Rosi si accendeva l'ennesima sigaretta. Sovrappensiero gli soffiò il fumo in faccia facendogli storcere il naso. “Scusa,” borbottò.
“A Tobia il fumo addosso non lo mandi mai però, eh?” ironizzò, ma notando l'espressione imbarazzata dell'altra, sorrise. “Ti sto prendendo in giro, dai. Non ero geloso manco quando andavamo a letto assieme, figurariamoci mo'.”
“Non c'è nulla di cui essere gelosi.”
Rosì, va bene tutto, ma fesso no.”
Rosi rimase in silenzio a fissare la strada bianca di fronte a loro, calda, polverosa e poco invitante; l'idea di dover tornare a piedi con quel caldo allucinante era un pensiero doloroso come un pugno in faccia, quindi Ettore preferì distrarsi con altro.
Impicciandomi di fatti non miei, per esempio.
“Lo vuoi un consiglio da amico?” domandò, “Se non riesci e parlargli, agisci. Fa' qualcosa, perché Tobia è te che aspetta.”
“... e se fosse troppo tardi?”
“Siete sottoterra? E allora non è troppo tardi.” Le diede una pacca sulla spalla, “Ja, torniamo alla civiltà prima che il regolo ci mangi.”
Rosi abbozzò un sorriso e gli fece strada.
 
***
 
Dentro l'ufficio del Sindaco faceva caldissimo.
Il sudore scivolava lungo la schiena di Maddalena, bagnandole la maglietta. Le finestre socchiuse non lasciavano passare che un refolo d'aria, però orientato da tutt'altra parte rispetto a dove era seduta lei.
Stretta tra Stefano e Marina stava soffocando.
“Quindi pensi di esserti sbagliata?” il tono del Sindaco era sgarbato, denso di fretta di chiudere quella faccenda e Maddalena – ora che conosceva la verità – non poteva dire di non capirlo.
Lo detestava comunque.
Perché era anche ammantato della tipica sufficienza che tutti i sorveglianti le rivolgevano da quando era diventata una loro responsabilità.
Non vi è nulla di affidabile nelle parole di una succuba …
Avrebbe voluto dirgli che lo faceva per quell'idiota di suo figlio, perché nessuno meritava di morire anche se non era un granché decente come persona. Avrebbe voluto che le mostrasse un po' di riconoscenza, ma non funzionava così. Non ne avrebbe ricevuta, perché bisognava fare tìatro, e lei in quel momento, era una delle comparse più importanti.
Il ventilatore puntato sulla scrivania del Sindaco sembrava succhiare aria della stanza mentre l'umidità le si attaccava addosso come una seconda pelle. Lontano, ma onnipresente, il frinire delle cicale.
“Credevo di aver riconosciuto l'odore di una criptide … ma mi sono sbagliata,” confermò piatta. “Era quello di un cinghiale, Caterina mi ha mostrato delle tracce e avevano lo stesso odore. Mi sono sbagliata,” ripeté, “non era il lupomanaio.”
Aveva gli occhi di tutti addosso; Stefano, che non diceva niente ma probabilmente l'avrebbe tempestata di domande una volta fuori. Marina, che le aveva chiesto di mentire e stava controllando quanto lo stesse facendo bene. Il Sindaco, il prete …
… e infine i vânători. Non voleva guardare nella loro direzione perché poteva immaginarsi benissimo le loro espressioni. I loro pensieri.
Strinse le mani in grembo, attendendo la prossima domanda.
“E la tenda?” domandò il Sindaco, “hai detto che pensavi che qualcuno te l'avesse sostituita.”
“Mi sono fatta suggestionare …”
Era umiliante. Stava affastellando una serie di scuse patetiche che potevano riflettere due cose; o che stesse mentendo, oppure che stesse dicendo la verità dopo aver mentito per causare scompiglio.
Proprio quello che accusano sempre la mia razza di fare. Solo che io non l'ho fatto mai.
“Quindi hai mentito?” stimò il sindaco compiaciuto.
Mai, lo feci.
Maddalena aveva un brutto carattere. Glielo avevano sempre rinfacciato ed era vero, era una cosa che doveva controllare come controllava la fame.
Di solito, però, ci riusciva molto peggio.
“Non haiu mentito!” sbottò. La presenza di Marina, a pochi centimetri da lei, le ricordò la promessa. Non servì che dicesse nulla, le bastò spostarsi sulla sedia mentre il suo profumo la investiva. Il suo odore, per associazione mnemonica, le ricordò cosa c'era in bilico.
“Io … credevo a quello che ho detto,” balbettò, “ma mi suggestionai per il plenilunio, e da quello che mi è stato raccontato del mannaro … poi ci pìnzai… e sono venuta a dirvi che mi sono sbagliata. E la tenda … la tenda putissi macari esseri mia.” Esitò e poi, con la bocca amara, concluse: “Mi dispiace avervi fatto perdere tempo.”
Il Sindaco fece una smorfia. “Delle tue scuse ce ne facciamo poco, hai messo in subbuglio un'intera Confraternita per una suggestione. Spero ti renderai conto della gravità...”
“Sono sicura che se ne renda conto, Carlo,” lo interruppe Marina rivolgendole un sorriso; avrebbe voluto ricambiare, ma l'ansia le fece a malapena tirare le labbra in una smorfia.
“Maddalena è venuta qui anche per scusarsi, no? E per dire che ha preso un abbaglio. Penso che sia comunque un gesto da apprezzare.”
L'uomo sbuffò come un ragazzino redarguito, per poi voltarsi verso i due rumeni. “Avete domande?”
Maddalena continuò a concentrarsi sul ventilatore alle spalle del Sindaco. Non c'era proprio verso che il maledetto affare si girasse nella sua direzione per darle refrigerio ... o per quanto valeva, in qualsiasi direzione che non fosse quella del suo proprietario.
E tuo figlio non è meglio. Siete due stronzi … ma non meritate i vânători. Nessuno se li merita.
“Una, in effetti,” disse il più anziano, che a giudicare dai colori slavati che condivideva con Alina, doveva essere il famoso tata che tante volte le aveva impedito di unirsi al gruppo.
Dovrei quasi ringraziarlo, se non volesse ammazzarmi.
Si voltò verso di lui e deglutì perché pur in sedia a rotelle l'uomo emanava un'aria di pericolo. Non poteva alzarsi in piedi e aggredirla, ma la sua espressione la suggeriva come una possibilità concreta. “Chi ti ha fatto cambiare idea?”
“In che senso?”
“Eri talmente convinta che il lupomanaio avesse devastato il vostro campeggio che l'hai raccontato a mia figlia, una vânător," in bocca a lui, con l'accento che doveva avere, quel nome suonava aspro, cupo. Era il suono che probabilmente doveva avere, e le mise i brividi. "O non hai idea di cosa succede a mentire a quelli come noi, o sei incredibilmente stupida.”
La paura le strinse lo stomaco; avrebbero davvero potuto ucciderla per una bugia? Istintivamente si voltò verso Stefano.
“Non ha detto una bugia,” osservò l'amico accigliandosi. “Un cinghiale è entrato nel nostro campo proprio durante il plenilunio, è normale supporre che potesse trattarsi di qualcosa di soprannaturale, dato il numero di criptidi presenti nel bosco. Come ha detto la Signora Silvani, Maddalena si è anche corretta.”
“Oppure qualcuno l'ha fatta ritrattare,” ribatté il vânător.
L'accusa era stata lanciata e un denso silenzio, interrotto solo dal ronzare del ventilatore, filtrò nella stanza.
Marina si spostò ancora e una nuova ondata di profumo assalì le narici di Maddalena: era dolciastro, floreale, troppo forte. Le diede la nausea.
“Se vuoi lanciare delle accuse, Marian, fallo apertamente,” disse la donna, “ma dacci anche un nome.”
“Non ho un nome. Ho delle ipotesi,” ribatté l'uomo con un sorriso che non raggiunse il resto del volto, “Il mio compito è di trovare il mannaro e liberare il vostro territorio, ma anche quello di catturare un eventuale complice umano di quella bestia.”
“Non mi ha fatto ritrattare nessuno...” mormorò Maddalena, che a quel punto voleva solo che finisse il prima possibile, “l'ho già detto, mi sbagliai.”
Il sindaco batté una mano sulla scrivania, come a sancire un suo nuovo intervento: “Direi che questo chiude la questione,” disse, “a meno che non abbiate ancora domande … o ipotesi.”
“No, per ora nessuna.” Il tono ironico non dovette notarlo soltanto lei.
La riunione si concluse rapidamente, e tutti, ad eccezione del Sindaco, sciamarono lungo le scale del Comune. Stefano le si affiancò. “Dovresti spiegarmi un po' meglio quello che è successo qui ...” esordì, serio e rigido come aveva previsto. “Perché non mi avevi detto di aver parlato con Alina, né che avevi deciso di ritrattare.”
Era una richiesta sensata, tuttavia in quel momento Maddalena voleva perdersi in qualche vicolo del paese e dimenticarsi dell'umano creato. “Ho bisogno di stare da sola, Ste … stasera, magari?” propose. “Dobbiamo comunque uscire, avremo tempo per parlare.”
L'altro sospirò, ma fece anche un cenno di assenso. “Non ti allontanare troppo però, dovrebbe piovere.”
Si separarono di fronte al Bar e Maddalena fu contenta che Caterina non fosse in vista; forse stava servendo i tavoli all'interno. Era un bene, perché se se la fosse trovata davanti l'avrebbe portata via con sé, lontano da tutti e dove potevano essere soltanto loro due.
Caterina era l'unica persona che non strabordava nei suoi spazi; si accomodava e diventava parte della soluzione.
Quando in realtà era un problema, perché presto non sarebbero più state assieme.
Maddalena si infilò le cuffie nelle orecchie e non controllò dove gli altri partecipanti alla riunione si fossero diretti. Non le interessava, era finalmente sola. Si inerpicò per le strette stradine che portavano nella parte alta del paese, mentre il grigio delle nuvole si tramutava in piombo. Più saliva verso Castiglioscuro, più le nuvole diventavano scure.
 
Down in the forest with the devil in me
I remember the looks on their faces
through the sycamore trees
 
Era così concentrata nella fatica della salita e nella canzone che stava ascoltando che non sentì che qualcuno le arrivava alle spalle.
Fu strattonata per una spalla e quando si voltò, Alina era lì. “Io e te adesso parliamo.”
La spinse in un vicolo. Oltre a loro non c'era nessuno, solo il cielo pumbleo e il frinire delle cicale.
 
***
 
Note:
 
So che sono passati due mesi, e non ho scuse, se non come al solito che da adulti, si fa davvero fatica a sta dietro a quello che davvero ti piace.
Per chi ancora mi legge nonostante tutto: grazie.
La canzone citata è “Hellfire” di Barns Courtney.
  
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