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Autore: MissChiara    15/08/2021    1 recensioni
Simone è un ragazzo anonimo, pessimista, insicuro. Eppure ha messo gli occhi addosso al bellissimo capitano della squadra di basket, il ragazzo più ambito della scuola.
Una nullità come lui non può sperare di essere notato da una persona del genere, perciò Simone si accontenta di osservarlo di nascosto.
Ma il Natale è una festa magica e, forse, un piccolo miracolo può accadere. Oppure no?
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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STORIA DI NATALE
 

Prompt principale: trama inerente il Natale
Oggetto obbligatorio: pungitopo
Oggetto facoltativo: chiodo
 
 
 
La campanella dell’intervallo trillò sonoramente, e subito l’aula si animò del rumore di sedie spostate, chiacchiere, merendine scartate e passi che si dirigevano verso il corridoio. L’ultima ora di matematica prima delle vacanze di Natale era appena terminata.
Simone si abbandonò sconsolato contro lo schienale, scivolando pian piano dalla sedia fin quasi a trovarsi con il viso al livello del banco.
 
Quando arrivi al punto di beccarti un’insufficienza perfino nella tua materia preferita significa che hai toccato proprio il fondo, pensò.
 
Quel votaccio inaspettato era la perfetta chiosa per chiudere in bellezza una mattinata che aveva creduto essere già sufficientemente di merda. E ora chi la sentiva, sua madre?
Il ragazzo si tirò su e incrociò le braccia sul banco, nascondendovi il viso ed esalando un sospiro frustrato. Subito dopo la voce allegra di Erika, la sua compagna di classe nonché migliore amica, gli squillò a due centimetri dall’orecchio facendolo sobbalzare.
 
«Dormito poco questa notte? Ah, come non detto, ho capito.» disse, notando il voto rosso che spiccava sul foglio. «Vuoi un consiglio? Pensa positivo! Ci sarà pure una cosa bella che ti è successa oggi, anche da poco! Concentrati su quella, sarà la tua piccola perla preziosa che ti tirerà su, nonostante tutto!»
 
Cosa sei, una versione new age di Pollyanna?, pensò Simone.
 
L’esuberanza infantile che Erika metteva in tutto ciò che faceva gli pareva una stonatura, in un mondo in cui tutto andava a rotoli, ed era l’unica cosa che il ragazzo a volte trovava fastidiosa in lei, per quanto le volesse bene.
Per non risponderle male si morse la lingua, letteralmente, e il dolore auto-inflitto andò a sommarsi al numero delle disgrazie di quella giornata sfigata. Eppure, se non l’avesse fatto, probabilmente non avrebbe potuto trattenersi dal ribattere a Erika qualcosa di troppo tagliente di cui poi, sicuramente, si sarebbe pentito già solo un secondo dopo. Essere un orso scorbutico non era una valida giustificazione per trattare male gli amici; scaricare la propria delusione su di lei, che stava cercando solo di rallegrarlo, sarebbe stato ingiusto oltre che inutile, visto che non avrebbe cambiato le sorti del compito. Tuttavia in quel momento Simone non era dell’umore di prendere in considerazione nessuna forma di filosofia spicciola a fini consolatori. Anzi, già solo il fatto che Erika stesse apparentemente prendendo così alla leggera il suo problema lo irritò.
Ecco, si stava di nuovo auto-commiserando. Un orso scorbutico e piagnucolone. Che causa persa!
Simone riemerse dal buio confortevole delle braccia e sospirò per la seconda volta.
 
«La fai facile, tu! Pensare in positivo non mi salverà dagli urli di mia mamma… Il peggio deve ancora arrivare, credimi…»
 
«E che sarà mai, per un’insufficienza! Allora la mia cosa dovrebbe dire?»
 
«Appunto, mia mamma non ci è abituata, ne farà una tragedia. Dimentichi che non è la prima insufficienza che mi becco, ultimamente?»
 
Erika si sedette nel posto accanto a quello del ragazzo.
 
«Già», disse solo.
 
Non le parve opportuno aggiungere altro. Sapeva che i problemi di Simone andavano ben oltre quel brutto voto: la sua situazione familiare non era delle più rosee e ciò aveva influito negativamente non solo sullo studio del ragazzo, ma anche sull’umore, accentuandone la tendenza naturale al pessimismo. Per di più, ultimamente a Simone ne stavano capitando davvero di tutti i colori.
Erika cercava di stargli vicino e sollevargli il morale con l’unica arma che aveva a disposizione, ovvero il suo buonumore solare, sforzandosi di fornire all’altro l’affetto che gli mancava in famiglia, ma nei periodi peggiori era consapevole di non essere di grande aiuto.
Simone si accorse dell’insolita risposta fiacca dell’amica e le sorrise per dimostrarle che le era grato per la sua empatia. Tuttavia non se la sentì di aprirsi completamente con lei. Purtroppo vi erano cose che non si potevano sistemare con un sorriso. Quanto gli sarebbe piaciuto se quella stronza della propria sorte fosse stata in realtà un’entità tangibile; quante gliene avrebbe date! L’avrebbe convinta lui a rigare dritto, o almeno a essere un po’ meno bastarda di quanto si era dimostrata negli ultimi tempi. Ma dopotutto, anche se quel desiderio insensato si fosse ipoteticamente realizzato, probabilmente Simone non sarebbe stato in grado di picchiare proprio nessuno, lui che era incapace di violenza e insicuro all’inverosimile.
 
«Hai ragione, sai? Devo pensare in positivo. Magari la De Luca si è sbagliata a darmi l’insufficienza. Anzi, dev’essere proprio così! Sai che faccio? Ora vado a parlarle e le faccio notare il suo errore! Magari nel frattempo se ne è già accorta, entro la fine delle lezioni mi chiama e si scusa. Evvai!»
 
«Seee, sogna! Adesso esageri! Quello non è pensare positivo, è farsi dei viaggi mentali senza senso!» rise Erika.
 
«Mi sto solo impegnando per seguire i tuoi consigli! Non distruggere così le mie speranze!»
 
Simone rise di rimando, ma a Erika fece più pena che mai: si vedeva benissimo che il suo amico si stava sforzando di sembrare allegro per farla contenta, con quel sorriso che non coinvolgeva per nulla gli occhi.
 
«Non funziona  così!» ribatté. «Devi concentrarti sulle cose belle e lasciar perdere il resto. Aah, sei proprio negato. Come al solito, dovrò pensarci io. Sai che c’è? Oggi vieni alla festa di Laura e ti diverti il più possibile. Poi quando tornerai a casa, qualsiasi cosa succeda, ripenserai alla festa e tutto ti sembrerà più sopportabile.»
 
«Certo, e mia mamma dopo ‘sto capolavoro di voto mi fa uscire, secondo te? Viene a parlare con i professori ogni tre per due, si segna perfino tutte le date dei compiti in classe, non appena arriverò a casa vorrà sapere come è andata prima ancora di metterci a tavola.»
 
«No, non ci credo, questa te la sei inventata! Voglio dire, il fatto che si segna le date» esclamò Erika sgranando gli occhi.
 
«Ah, no? La prossima volta che vieni a casa mia dà un’occhiata al calendario nel tinello.»
 
«Eddai, Simo, ma mica devi raccontarle tutto! Aspetta domani, no? Oggi le dici che il compito ti è andato abbastanza bene, anzi, le dici che non sai ancora il voto, e domani aggiusti il tiro.»
 
«Non farei che rimandare l’inevitabile. E poi non è che muoio dalla voglia di venire alla festa. »
 
Ma Erika non aveva intenzione di darsi per vinta.
 
«Lo sai che alla festa viene pure lui, vero?»
 
Simone smise di respirare per qualche secondo. No, non lo sapeva, altrimenti, insufficienza o no, avrebbe venduto l’anima per andare alla festa di Laura. Già solo al pensiero il sangue gli era schizzato nelle guance, se le sentiva così calde che sicuramente erano diventate rosse come due mele.
 
LUI. Alla festa.
 
L’immagine fugace di due brillanti occhi verdi e di un corpo alto e prestante gli si formò nella mente.
 
«Però ho già raccontato a Laura una scusa per non venire…» accennò.
 
Erika capì di avere ormai la vittoria in pugno. Simone era già convinto, la sua resistenza era solamente una pura formalità da abbattere con una spintarella.
 
«E adesso invece le dici che ci vieni, imbranato!Dove sta il problema? Certo che tu ti perdi proprio in un bicchiere d’acqua, eh?» ribatté scuotendolo per le spalle.
 
 
. oOOo.
 
 
Simone addentò un pasticcino, guardandosi intorno. La festa stava andando bene: la musica era coinvolgente, tanto che in quel momento la maggior parte degli ospiti – che lui conosceva solo in parte – stava ballando, e c’erano un sacco di cose invitanti da mangiare. Salatini e pasticcini erano stati acquistati, ma le torte e le tartine erano state preparate dalla mamma di Laura. Quel particolare gli infuse un po’ di malinconia… e invidia. In quella famiglia c’era calore. La signora Vallini aveva accolto sorridente  i compagni di classe e gli amici della figlia, e a un certo punto l’aveva abbracciata con spontaneità, facendole esclamare un : “Mamma, non ho cinque anni!”
 
“Va bene, va bene! Vado di là a guardare la tv e vi lascio in pace!” aveva riso la signora.
 
Nella casa si respirava chiaramente l’atmosfera natalizia: un angolo del living era interamente occupato da un bell’albero addobbato da cima a fondo, ma anche il resto dell’appartamento era ornato da numerose decorazioni natalizie.
A casa di Simone le decorazioni erano bandite, l’unico segnale natalizio era una capannina ereditata dalla nonna, con la sacra famiglia all’interno, che l’8 dicembre veniva prelevata dalla cantina per rimanere esposta nel salotto fino all’epifania, come voleva la tradizione. Sua madre era una cristiana convinta, purtroppo, però, del tipo che sfociava nel bigottismo coi paraocchi, a cui non andava giù né il lato commerciale delle ricorrenze religiose né l’abitudine della gente a scordarne il significato spirituale. Tuttavia, l’atmosfera di casa sua non era nemmeno lontanamente toccata da quel messaggio d’amore che la religione avrebbe dovuto portare con sé; al contrario, tutto era freddo e austero, compresi i rapporti tra i familiari. Simone, non per la prima volta, si soffermò a cercare di immaginare come sua madre avrebbe reagito davanti a un ipotetico coming out da parte sua. Brrr, meglio non pensarci! Suo figlio, un omosessuale sacrilego! L’avrebbe fatto curare, come se il suo orientamento sessuale fosse una malattia? L’avrebbe costretto a inginocchiarsi e pregare invocando il perdono di Dio indossando il cilicio? No, va beh, quello era troppo perfino per sua madre, pensò il ragazzo ridacchiando fra sé e sé. O almeno così sperava.
Masticò il pasticcino concentrandosi sulla sua dolcezza squisita e scacciando quei brutti pensieri che rischiavano di rovinargli la festa, ma al momento di ingoiarlo diresse distrattamente lo sguardo verso la porta. Non l’avesse mai fatto! Quel che vide gli mandò il boccone di traverso, facendolo tossire violentemente rischiando di strozzarlo: non poteva crederci, Dio aveva appena fatto il suo ingresso nel living di casa Vallini!
Non il Dio severo e astratto in cui credeva sua madre, ma lui, il SUO Dio, l’unico e il solo, ovvero Mattia Marconi, il capitano della squadra di basket della scuola, in carne, ossa, muscoli, occhi verdi e tutto ciò che poteva desiderare un ragazzo gay come Simone. E, purtroppo, anche tutto ciò che un ragazzo gay e impedito come lui non avrebbe mai potuto avere.
Simone stava ancora tentando di mandar giù con un bicchiere di aranciata il maledetto pasticcino appiccicato all’interno della gola quando Erika, sparita chissà dove nell’intento di abbordare il biondino della terza B a cui puntava da un pezzo, gli si materializzò davanti strattonandolo per una spalla. Beh, probabilmente non si era veramente materializzata, ma l’impressione di Simone fu più o meno quella, dal momento che il suo cervello era talmente concentrato a studiare ogni particolare di Mattia che era andato in cortocircuito e non era riuscito a registrare nient’altro in avvicinamento.
 
«Simo, Simo, l’hai visto?» chiese concitata la ragazza.
 
«Eh? Chi dovrei aver visto?» rispose Simone simulando la sua peggior interpretazione di aria indifferente.
 
Ah, certo che no, non aveva visto che Mattia Marconi, l’unico motivo che l’aveva spinto a presentarsi a quella festa, era appena arrivato. Soprattutto, non aveva notato il maglione che gli stava da dio, attillato al punto giusto, né i pantaloni che gli fasciavano il fondoschiena da sogno, né i denti bianchissimi del suo sorriso gentile. Ma scherziamo, notare certe cose, lui?
Naturalmente, Mattia non era ancora entrato da cinque minuti che già era stato attorniato da uno stuolo di ragazze che cercavano di farsi notare, a ciascuna delle quali aveva risposto con una battuta o un semplice saluto. Perché Mattia era così: un essere meraviglioso che, pur avendone tutte le possibilità, non guardava nessuno dall’alto in basso e non trattava mai nessuno con sufficienza. O, almeno, quello era ciò che aveva notato Simone nei momenti in cui lo aveva osservato mangiandoselo con gli occhi, nonostante non avesse mai avuto il coraggio di rivolgergli la parola.
La voce di Erika lo riportò sulla terra.
 
«Sai che gira voce che gli piacciano i capelli rossi?»
 
«Ma di chi parli?»
 
«E piantala, Simo, che fra un po’ sbavi!»
 
Simone distolse con fatica lo sguardo da Mattia e lo portò finalmente su Erika.
 
«Ok, gli piacciono i capelli rossi, e quindi?»
 
«E quindi sei in vantaggio, pel di carota! Chi mi ha detto questa cosa però ha anche detto che non sapeva se era vero, perché in realtà non ha mai visto Mattia insieme a una ragazza con i capelli rossi. Ma noi sappiamo perché, vero?» gli suggerì Erika accompagnando la domanda con un’occhiata maliziosa.
 
Già, Simone lo sapeva. O meglio, lo sospettava. Aveva la vaga idea che Mattia non sarebbe mai stato visto in compagnia di una ragazza, né rossa, né mora, né bionda, non perché, come pensavano in molti, era troppo preso dal basket e dagli allenamenti per occuparsi d’altro, ma semplicemente perché non era attratto dalle ragazze. Il sospetto di Simone si era trasformato in quasi certezza osservando il diverso atteggiamento che Mattia aveva nei confronti delle ragazze e dei ragazzi, quel “certo non so che”  che lui conosceva bene e che gli aveva dato qualche speranza. Tuttavia il capitano della squadra di basket era sempre discreto e riservato, e Simone non era riuscito a scoprire di più finendo per arrovellarsi sul dubbio lacerante di quel quasi.
 
«Dai, vieni a ballare, così magari ti nota!» esclamò Erika.
 
«Sì, così magari crede che io e te stiamo insieme. Genialata proprio! Di’ piuttosto che sei tu che vuoi farti notare da quello della terza B, eh, Rika?»
 
«Beh… un pochino, eh eh! Diciamo che mentre tu eri intento a bere per dimenticare ci ho lavorato, manca solo la spinta finale. O almeno credo. Ah, ma prima mettiti questo!»
 
L a ragazza lo trascinò per un braccio fino a uno spazio libero tra gli invitati che si muovevano al ritmo della musica latina, e gli appuntò un numeretto di carta sul petto.
 
«Cos’è?»
 
«Il tuo distintivo. Vedi quella lavagna di sughero sulla parete? Se vuoi lasciare un messaggio a qualcuno, lo scrivi su uno dei foglietti del block-notes che c’è lì, chiudi il foglietto e ci scrivi il numero della persona a cui è indirizzato. Poi prendi una puntina e lo attacchi alla lavagna. È un modo simpatico per attaccare bottone anche con chi non conosci!»
 
A Simone balenò l’idea di sbirciare il numero di Mattia, ma tanto sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di abbordarlo nemmeno in quel modo indiretto.
 
« Ma non è che se balli con me il tuo biondino pensa che siamo insieme e lascia perdere?» chiese.
 
«Ma vaaa’, anzi, magari con la scusa di ballare si avvicina e finalmente ci prova!» ribatté Erika, cominciando a seguire il ritmo della musica.
 
I due ragazzi in passato avevano frequentato insieme un corso di latino-americano ed erano diventati piuttosto bravi nei balli di coppia. Nonostante ciò Simone, che aveva frequentato il corso più che altro perché tirato dentro da Erika, a causa della poca fiducia in se stesso si riteneva un completo incapace e si era sempre rifiutato categoricamente di esibirsi in pubblico. Di conseguenza Erika rimase piuttosto stupita nel vederlo cominciare a ballare senza esitazione al centro del living, con movenze sciolte e sensuali, ma credette che l’amico volesse semplicemente farsi notare dal suo idolo e non ci pensò più di tanto.
Presto gli altri invitati si radunarono in cerchio intorno a loro, battendo le mani a tempo e incitandoli. Simone si sentì stranamente stordito e accaldato. La testa gli pesava inspiegabilmente, eppure il corpo rispondeva bene, eseguendo le figure della salsa portoricana in maniera impeccabile. E Mattia… Mattia lo stava guardando! Lo fissava senza distogliere un attimo lo sguardo da lui, e ciò era semplicemente meraviglioso! Doveva essere un sogno, nella realtà gli dei non notavano le nullità come lui. Forse era quella, la causa della strana ebbrezza che avvertiva nella testa.
Dopo qualche ballo sfrenato Erika si fermò, sventolando le mani per rinfrescarsi il viso arrossato.
 
«Uff, beviamo qualcosa, non ce la faccio più!»
 
Si diresse verso le bevande e Simone la seguì docilmente, accorgendosi improvvisamente di morire di sete a sua volta. Tracannò un bicchiere di aranciata, mandandolo giù quasi in un colpo solo.
 
«Non vorrei fare la mammina, ma vacci piano con quello, altrimenti poi ti gira la testa!» esclamò Erika.
 
«Esagerata, per un’aranciata?»
 
«Simo, ma sei serio? È cointreau e aranciata, non te ne eri accorto?!»
 
Solo in quel momento Simone realizzò che, forse, Mattia non era la causa principale dello stordimento che aveva sentito crescere in maniera esponenziale durante il ballo. Quanti bicchieri di liquore aveva già bevuto? Tre? Quattro? Non se lo ricordava. Probabilmente una quantità non sufficiente a ubriacarsi per davvero… se non per il fatto che Simone non era per nulla abituato agli alcolici, sommato al piccolo particolare che era praticamente a stomaco vuoto, avendo mangiato pochissimo alla festa e avendo saltato del tutto il pranzo per prepararsi ed essere impeccabile per Mattia. Di conseguenza quell’ultimo bicchiere fu più che sufficiente per spedirlo in una dimensione parallela in cui tutto intorno a lui era piacevolmente soffuso e ovattato.
Erika, vedendolo barcollare, si spaventò e lo accompagnò un po’ in disparte, facendolo sedere su uno dei cuscinoni disposti un po’ dappertutto lungo i bordi della stanza.
 
«Non è che ti viene da vomitare? Aspetta, chiedo alla mamma di Laura se ha qualcosa per la nausea... o magari una bacinella!»
 
Ecco, ci mancava solo di fare quella figura di merda davanti alla padrona di casa, nonché a una trentina di altre persone che frequentavano la sua stessa scuola e che avrebbero filmato il tutto in modo da provvedere a ricordare periodicamente l’episodio da lì fino al diploma.
Simone si impose di riprendere il controllo, scoprendo che almeno il suo stomaco era a posto. Presto lo sarebbero tornate anche le gambe, gli sarebbe bastato mettere nella pancia qualcosa di solido che compensasse la dose di alcol ingerita. E poi non voleva che Erika si perdesse la festa per fare da badante a lui.
 
«È tutto sotto controllo, davvero. Vai a occuparti del tuo biondino, piuttosto. Io rimango un po’ qui a riprendermi. Tranquilla, mi basta che mi porti qualche salatino e sono a posto.»
 
«Non hai proprio una faccia da “sono a posto”. Vuoi che ti accompagni in bagno?»
 
«Diciamo che rimanere fermo qui è più sicuro rispetto alla prospettiva di vomitare sul pavimento della stanza davanti a tutti, dopo che mi avrai fatto cadere a metà strada…» 
 
«Beh, in effetti non sono affatto sicura di riuscire a portarti fino in bagno in queste condizioni… dicevo così per dire…»
 
«Evviva la sincerità!»
 
«Allora mi faccio aiutare da qualcuno!»
 
«Rika, tesoro, per qualche recondito caso fortuito nessuno si è ancora accorto che mi sono ridotto in questo stato per un po’ di cointreau e aranciata, quindi perché vuoi a tutti i costi distruggere la mia immagine?!»
 
«Va bene, va bene! Allora ti lascio qui tranquillo e ti porto qualcosa da mangiare. Ma sei sicuro che mangiare sia una buona idea con lo stomaco sottosopra?»
 
«Sicurissimo. Mi sto già riprendendo, fidati.»
 
«Uhm… ok, come vuoi. Vado e torno.» disse la ragazza, non del tutto convinta.
 
Rimasto solo, Simone chiuse gli occhi e appoggiò la testa alla parete dietro di sé inspirando profondamente. Si stava riprendendo a poco a poco, a quanto pareva il pericolo di dare uno spettacolo pietoso proprio in presenza di Mattia era stato scongiurato. Ma, del resto, cosa cambiava? In cosa poteva sperare uno come lui, un sedicenne con una faccia infantile, senza un filo di barba né fascino, e due occhi chiari che lo facevano sembrare ancor più bamboccio di quel che era?
 
«Sembri tutto il Bambin Gesù» gli diceva sua madre, nell’intento di fargli quello che probabilmente secondo lei era il massimo dei complimenti.
 
E h, che culo proprio!, pensò Simone.
 
Qualcosa gli sfiorò la mano. Il ragazzo aprì gli occhi e scoprì che si trattava di un piattino con alcuni salatini, ma la mano che lo reggeva non era quella sottile e dalle unghie laccate di Erika. Sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi smeraldini di Mattia. Altro che essersi ripreso, doveva essere entrato in coma etilico! Dio era lì, a un passo da lui!
Simone deglutì e la sua mano si bloccò a mezz’aria anziché raggiungere il salatino che aveva puntato.
 
«Visto che non ne volevi sapere di leggere il messaggio che ti ho lasciato sulla lavagna, ho intercettato la tua amica e le ho detto che i salatini te li avrei portati io.»
 
Simone cercò di riordinare le idee. C’era qualcosa che non andava. Probabilmente era svenuto e non se ne era nemmeno accorto, e adesso stava sognando. Altrimenti perché mai Dio avrebbe dovuto parlare proprio con lui?
 
«A proposito, è tuo quel bel rame nei capelli?» chiese Mattia.
 
«Eh? Ah, s-sì, sì, certo! Mio, mio.» balbettò.
 
Mattia lo prese per una mano e lo tirò su in piedi senza troppo sforzo.
 
«Ti va di ballare, come hai fatto prima?» gli sussurrò all’orecchio, causandogli un brivido indescrivibile.
 
Simone però, ritrovatosi in piedi di punto in bianco, barcollò perdendo l’equilibrio e finì addosso all’altro, che lo afferrò prontamente.
 
«Oops, scusa, forse non è il momento di ballare!» esclamò Mattia.
 
Lo aiutò a risedersi, facendo altrettanto sul cuscino accanto. Prese un salatino e lo addentò, masticando calmo, senza mai perdere quella splendida espressione sorridente che lo caratterizzava. Simone sarebbe rimasto a guardarlo per ore. Non riusciva a credere a quello che stava succedendo: stava parlando con Dio! E quando la nebbia dell’ubriachezza finalmente cominciò a diradarsi e i suoi discorsi divennero più coerenti, prese piena coscienza del fatto che – oh, gioia! – quella era proprio la realtà e non uno dei suoi sogni ricorrenti.
Parlarono di un sacco di cose, più che altro senza importanza. Tornandoci con la mente il giorno seguente, infatti, a Simone sarebbe rimasto impresso ben poco di quella conversazione, a parte il fatto che aveva cominciato a conoscere Mattia e che si era dimostrato esattamente come se l’era immaginato: una persona con cui era piacevole passare il tempo, e non solo per il suo aspetto fisico. Presto le risposte mezze balbettate e impacciate di Simone si fecero più sicure, finché il ragazzo alla fine riuscì a vincere la timidezza e a conversare con l’altro in maniera piuttosto naturale.
 
«Va meglio?» chiese Mattia a un certo punto.
 
«Sì, decisamente. Mi è rimasto solo un leggero cerchio alla testa.»
 
«Usciamo, un po’ d’aria fresca ti farà bene.»
 
Quando uscirono sul balcone, Simone scoprì che “fresca” era un eufemismo: la temperatura esterna non era esageratamente bassa, ma in confronto al calore dell’interno della casa l’aria pareva gelida. Il ragazzo cominciò a tremare visibilmente e si sfregò le braccia nel vano intento di scaldarsi un poco, mentre il suo fiato produceva una serie di nuvolette bianche. Mattia si chiuse la porta del balcone alle spalle e lo raggiunse.
 
«Hai freddo? Ma certo, che domande…! Scusa, forse non è stata una buona idea venire qui fuori.»
 
Simone sentì le braccia di Mattia avvolgerlo e in men che non si dica si ritrovò premuto contro il suo maglione caldo, con le mani dell’altro che gli sfregavano lentamente la schiena cercando di scaldarlo. Sentì le guance in fiamme, sicuramente doveva essere diventato rosso come un peperone. Sperò che Mattia non se ne accorgesse, o che imputasse almeno la causa al freddo. Ma entrambe le ipotesi erano assai improbabili e Simone si sentì più imbranato che mai. Aveva desiderato tante di quelle volte una situazione del genere, e ora che stava succedendo non sapeva che fare se non rimanere rigido nell’abbraccio dell’altro, incapace perfino di una cosa così semplice come approfittarne e stringerlo a sua volta.
 
«Non mi guardi nemmeno?» sorrise Mattia.
 
Gli sollevò dolcemente il mento in modo da poterlo vedere in volto, e all’altro parve di morire di imbarazzo: Mattia era bello, bellissimo, e per di più era anche gentile e simpatico, e Simone sentì che, se non era già abbastanza cotto di lui, in quel momento il ragazzo dagli occhi verdi gli aveva appena dato la botta finale, annientandolo totalmente. Riprese a tremare, ma non per il freddo; quello, ormai, era stato scacciato dalla fiamma che sentiva in tutto il corpo.
Mattia appoggiò la fronte contro la sua e ridacchiò.
 
«Ti faccio così paura?» chiese, posandogli un bacio sulla fronte.
 
A quel gesto Simone scattò come una molla e si ritrasse.
 
Ma certo, mi sta prendendo in giro! Non è gay, ma ha scoperto che io lo sono e si sono messi tutti d’accordo per ridere di me, ecco la spiegazione!, pensò, cercando di dare un senso alla situazione che stava vivendo.
 
Quello non era un sogno, dannazione! E nella realtà non succedeva che una meraviglia della natura come il
capitano della squadra di basket perdesse tempo a flirtare con i bambocci insignificanti come lui.
Si allontanò verso la ringhiera appoggiandovi le mani sopra e diede le spalle all’altro. Sentiva le lacrime agli occhi per la vergogna, aspettandosi da un momento all’altro che tutti quelli all’interno dell’appartamento si affacciassero in massa alla porta del balcone per prenderlo in giro. Sarebbe riuscito a raggiungere le scale senza scoppiare a piangere davanti a tutti?
 
«Tu non mi hai mai visto prima, abbiamo parlato sì e no un’oretta poco fa, perché adesso tutto ad un tratto dovresti…»
 
Mattia lo raggiunse e lo cinse nuovamente, premendolo contro di sé, schiena contro petto.
 
«Non ti ho mai visto, dici? Non avrei potuto non notare l’unico ragazzo con i capelli rossi di tutta la scuola. L’unico ragazzo carino, almeno. Ti ho notato fin da subito. Ma tu sei inavvicinabile: non frequenti i corsi sportivi, non vieni praticamente mai alle feste, non ti fai vedere in giro, non esci nemmeno dall’aula durante l’intervallo. Non riuscivo mai a beccarti da nessuna parte, e pedinarti dopo l’uscita da
scuola mi sembrava un tantino esagerato… Alla fine ho dovuto abbordare la tua amica e chiederle di convincerti a venire almeno qui, facendoci pure la figura del maniaco!»
 
A quelle parole Simone rimase di stucco: Mattia l’aveva praticamente stalkerato e lui non se ne era mai accorto, sbavandogli dietro mentre era perso nel suo mondo di unicorni, così convinto di aver perso già in partenza da non rendersi nemmeno conto di ciò che stava succedendo! Ed Erika sapeva, ma aveva finto dannatamente bene o, più probabilmente, lui era stato così tonto da non accorgersi di nulla.
Fortunatamente per lui, però, quel miracolo dell’universo che era Mattia era un tipo insistente e il risultato era che Simone ora poteva bearsi del calore del suo corpo.
 
«Che idiota! Che idiota! CHE IDIOTA!» esclamò nascondendo il viso fra le mani.
 
Mattia rise e lo voltò verso di sé, avvertendo finalmente l’altro tentare un timido approccio per ricambiare l’abbraccio. Gli accarezzò la nuca e gli appoggiò la guancia sulla testa, dal momento che lo sovrastava di un buon dieci centimetri.
 
«Sono belle, vero, le luci di Natale? A me piacciono molto, mi rilassano» disse.
 
«A me… beh, sì, piacciono anche a me, però a casa mia sono vietate.»
 
«Vietate? E perché?»
 
«Mia mamma non vuole in casa cose come lustrini, decorazioni, e praticamente tutto ciò che rende il Natale diverso da una palla madornale. Niente Babbo Natale, niente palline, niente lucette, niente dolci delle feste… solo regali utili. Utili secondo lei. Il che significa nulla di veramente interessante. Lenzuola, vestiti – di quelli che piacciono a lei, tra l’altro – cravatte, libri di religione… roba così.»
 
«Libri di religione? Ma che tristezza! Oops… scusa!»
 
Simone sorrise. «Figurati, è la tua, la reazione normale. So che non dovrei parlare in questo modo di mia madre, è solo che è tutto così… impersonale…»
 
Avvertì le braccia di Mattia stringere di più e si sentì immensamente felice; a dispetto di tutto il resto, era senza dubbio il Natale più bello che avesse mai passato. Chiuse gli occhi e inalò il profumo sul collo dell’altro: anche quello era buono e dolce e tipico di lui. Sentì una mano accarezzargli una guancia e riaprì gli occhi, trovandosi il viso dell’altro a pochi centimetri.
 
«Allora festeggiamo il Natale qui, adesso. A modo nostro.»
 
Ci mise un po’ a realizzare che Mattia stava per baciarlo, e la già scarsa sicurezza in se stesso che aveva messo insieme fino a quel momento fu spazzata via in un secondo, lasciando il posto al panico. Che cosa doveva fare? Come doveva essere ricambiato un bacio, per essere all’altezza di quello di un Dio?! Mattia però, ormai vicinissimo alle sue labbra, si bloccò all’ultimo momento e Simone, da quell’insicuro che era, fu nuovamente catturato dalle paranoie.
Perché Mattia si era fermato? Forse, come aveva immaginato all’inizio, era stato davvero tutto uno scherzo? Mattia in realtà non era per niente un angelo, aveva finto fino all’ultimo per farsi due risate. Finalmente la verità veniva a galla, la magia finiva, e tutti riprendevano il proprio ruolo, gli dei e le nullità!
 
«Un momento, manca il vischio!» esclamò invece Mattia, ignaro dei vaneggiamenti di Simone.
 
«Eh?! Cosa?!»
 
«È il nostro primo bacio di Natale e manca il vischio! Non va bene! Fa parte della tradizione!»
 
Mattia sparì in casa piantandolo in asso, e a Simone scappò da ridere: man mano che scopriva nuovi lati del suo carattere, il suo Dio si stava rivelando molto più “umano” e divertente di quanto avrebbe immaginato.
L’altro tornò poco dopo raggiante e sollevò una ghirlanda di pungitopo.
 
«La mamma di Laura ha detto che di vischio non ne ha, ma mi ha dato questo. Secondo te va bene lo stesso?»
 
Simone, pur di essere baciato da Mattia, sarebbe stato disposto a farlo anche sotto un topo morto, ma se lo tenne per sé e rispose che il pungitopo andava benissimo. C’erano dei gancetti sul muro del balcone, lungo la porta, probabilmente per appenderci una tenda d’estate, e Mattia ci attaccò il pungitopo.
 
«Ecco fatto!» esclamò soddisfatto del risultato.
 
Anche a Simone l’effetto del pungitopo appeso sopra la porta piacque molto: era indubbiamente natalizio, con le foglie verdi e le allegre bacche rosse. Bene. Benissimo. Ora gli rimaneva solo da tenere sotto controllo il principio di infarto a causa di ciò che sarebbe successo da lì a pochissimo.
Le mani di Mattia sul suo viso erano così calde in confronto al freddo che c’era lì fuori… Simone osservò i suoi occhi, di un verde acceso. Aveva mai visto dal vero iridi di quella sfumatura? Poi Simone non vide altro perché abbassò le palpebre, ma così fu anche peggio perché la percezione si concentrò unicamente sulle labbra, dapprima sfiorate e poi massaggiate da un tocco più deciso da quelle di Mattia, e a quel punto
Simone si perse nel suo paradiso personale, altro che quello descritto dalla Bibbia! Il ragazzo dai capelli rossi non aveva mai avuto altre esperienze fino a quel momento, tuttavia era pronto a giurare che il modo di baciare di Mattia non avesse rivali. Quando l’altro si separò per riprendere fiato, Simone si sentì come se lo avessero appena privato della sua fonte vitale.
 
«Senti, ho assolutamente bisogno di un favore» mormorò.
 
«Per esempio tornare dentro e smettere di congelarci?»
 
«Per esempio essere baciato ancora tipo una milionata di volte per affrontare quello che succederà stasera a casa mia. Ho preso un’insufficienza vergognosa al compito di mate. Rika dice che devo fare incetta di esperienze positive per affrontare le cose negative… o qualcosa del genere. Sì, beh, detta così suona malissimo, in realtà è un po’ più profonda, ma il succo è questo. Insomma, per farla breve per compensare la sfuriata che mi farà mia madre avrò bisogno di una cosa davvero enormemente bella.»
 
«Allora scambiamoci i numeri, così quando tua madre avrà finito mi chiamerai e ci penserò io a tirarti su il morale. E per il durante…»
 
Mattia si chinò verso di lui e cominciò a posargli tanti schiocchi dispettosi sulle labbra, facendolo ridere, ridendo a sua volta, inframmezzando i baci con frasi carine, poi finalmente approfondì il bacio, muovendosi in un modo così lento e dolce da farlo sciogliere.
Intorno a loro, i fiocchi della prima nevicata di Natale cominciarono a cadere.
 





Il mio angolino
Sì, lo so, pubblicare a ferragosto una storia intitolata “Storia di Natale” è un tantino bizzarro :D
Il fatto è che questa storia è rimasta sul pc per un paio d’anni, perché non mi convinceva affatto. In realtà continua a non convincermi, quindi sono rimasta indecisa fino all’ultimo se pubblicarla o meno. Alla fine ho optato per il sì, ma mi sa che, da quell’incostante che sono, finirò per rimaneggiarla molte volte XD
A un seminario di marketing ci hanno spiegato che – e qui ve la butto giù in maniera molto, molto stringata – le persone possono essere classificate con dei colori: i colori caldi rappresentano le persone intraprendenti, quelli freddi le più insicure. Per esempio, una persona “rossa”, pur non avendo, magari, particolari capacità, riesce a vendersi bene grazie alla spiccata personalità che la caratterizza. Al contrario, una persona “blu” o “violetta” non è mai soddisfatta di se stessa e tende a non valorizzare le proprie capacità, anche quando ipoteticamente queste valgono il doppio di quelle di una “rossa”. In definitiva, indipendentemente dalle capacità reali, una persona “rossa” avrà sempre più successo nella vita rispetto a  una “blu”, a meno che non trovi un interlocutore che sappia distinguere le vere capacità dalla fuffa.

Ho voluto rappresentare tramite Simone una persona esasperatamente “blu” XD Spero che Mattia lo aiuti a coltivare la fiducia in se stesso, insegnandogli a riconoscere le proprie qualità oltre che i difetti ^^
 
   
 
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