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Autore: Robin Nightingale    16/08/2021    1 recensioni
"Quando ero cavaliere ho sempre desiderato essere normale, ma ora che lo sono mi sembra di vivere in una sorta di limbo, in bilico tra passato e presente, incapace di lasciare andare e abituarmi alla mia nuova vita. Ma come posso riuscirci? Non posso. La verità è che non ci si può abituare, non dopo tutto quello che ho perso."
Dopo la guerra contro Ade, Atena ha concesso ai suoi cavalieri di poter vivere come dei normali ragazzi. I cinque bronze sembrano aver accettato gradualmente la loro nuova condizione, tranne uno. Hyoga non riesce ancora a superare il lutto del suo amato maestro e ad andare avanti, rifugiandosi sempre più in se stesso. Breve storia sulla vita e i pensieri di Hyoga dopo la battaglia contro Ade.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cygnus Hyoga
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Tramonto


-Verso le nove del mattino il treno Omiya- Shibuya è stato bloccato dal ghiaccio. È stato ritrovato fermo sulle rotaie, congelato in parte, soprattutto la carrozza principale. Il treno è stato evacuato, non ci sono feriti, gli inqui...
Spengo la televisione e getto il telecomando sul divano, in prossimità dei miei piedi. Non amo guardare la televisione, anzi non mi interessa affatto. Da quando mi sono trasferito qui l’avrò accesa tre o quattro volte, nelle sere in cui Erii insisteva nel voler vedere un film. Fosse di mia proprietà l’avrei già data via da un pezzo, ma dovevo assolutamente sapere dell’incidente, se qualcuno fosse rimasto ferito, o fosse morto congelato per colpa della polvere di diamanti. Non me lo sarei mai perdonato. Ma per fortuna Atena deve avermi assistito e non è successo nulla di grave.
Faccio un respiro profondo, sollevato, e butto la testa indietro sul cuscino. È da quando sono tornato a casa che non faccio altro che pensare a quello che è successo, ad Isaac. Più volte ho richiamato quel numero ma continua a darmi inesistente. Non capisco. Quindi, non è solo frutto della mia immaginazione, loro sono veramente qui? Probabilmente sto impazzendo, sto uscendo fuori di testa ogni secondo che passa. Dovrei davvero farmi aiutare da qualcuno, chiamare uno psicologo, o meglio ancora uno psichiatra, qualcuno che possa aiutarmi ad uscire da questa agonia, o che semplicemente mi riempia di pillole, in modo da non doverci più pensare. Ho provato a dormire ma non ci sono riuscito, sono ancora troppo agitato. Non ho neanche finito di mangiare. Il mio amato ramen istantaneo è rimasto lì, aperto sul tavolo, non sono riuscito a mangiarne più di metà, mi si è chiuso lo stomaco.
Forse non mi serve uno specialista ma devo solo cambiare aria. Questo posto comincia a farmi stare male, sta diventando claustrofobico, proprio come Villa Kido. Dovrei lasciare il Giappone… per andare dove? Con quali soldi? In realtà, quelli non sarebbero un problema: prima che la signorina Saori partisse per il Grande Tempio, ha messo a disposizione per noi il fondo Kido. Come figli di Mitsumasa, tutti noi ne abbiamo diritto ad una parte. Con quei soldi potrei vivere in maniera molto più dignitosa, lasciare il Giappone per sempre, ma voglio davvero usufruire dei soldi di quel vecchio? In fondo cos’era per me? Niente. E l’idea di poter fare la bella vita grazie al suo cognome mi fa schifo. Perché proprio lui, mamma? Che cosa ci hai visto? Resta il fatto che non saprei dove andare. La Russia e la Grecia non sono da prendere in considerazione… forse… la Francia? Già, perché no? Mi hanno sempre detto che è bella. Potrei trasferirmi a Marsiglia, Marseille, come direbbe lui.
La Francia era uno dei pochi punti deboli di Camus. Non ne parlava volentieri, ogni volta che io e Isaac provavamo a indagare sul suo passato, lui lasciava cadere l’argomento o rispondeva in maniera vaga. Avevo solo otto anni ma intuivo perfettamente che anche la sua infanzia non doveva essere stata delle migliori. A un certo punto abbiamo smesso di fare domande, tanto sapevamo che non avremmo mai ricevuto una risposta soddisfacente. Tuttavia, un giorno, siamo riusciti a strappargli una promessa al riguardo: disse che ci avrebbe portato a casa sua, a vedere Marsiglia. “A tempo debito”, aveva detto. A quanto pare non sono l’unico a non essere in grado di mantenere le promesse. Sorrido amaramente a quel ricordo e mi stendo sul fianco sinistro, con il viso verso la spalliera del divano, e mi rannicchio su me stesso. Lasciamo perdere. Non è una buona idea. Affatto. Sono chiuso qui, confinato in quest’isola, tra queste sudice mura, solo con me stesso, il mio passato e i miei fantasmi, non c’è via d’uscita. O forse sì. A volte vorrei semplicemente poter dormire e non fare nient’altro per tutto il giorno. Chiudere gli occhi e non preoccuparmi più di nulla.
Verso ora di pranzo ho ricevuto l’ennesima chiamata di Erii. Ero così agitato da essermi completamente dimenticato di lei. Era preoccupata, quasi in lacrime, a giudicare dai singhiozzi, aveva paura che mi fosse accaduto qualcosa. Parlava come un fiume in piena, come suo solito, non sono riuscito a seguirla del tutto, mi sono limitato ad ascoltare e a rispondere a monosillabi, in maniera del tutto apatica. Già, è proprio così che mi sento da due anni a questa parte, apatico. Mi sento in colpa per averla fatta preoccupare così tanto, non merita la mia indifferenza, come non merita di soffrire per me. Il suo amore nei miei confronti è puro e sincero, il problema è che io non sento niente, le sue parole non riescono più a toccarmi. Perché non provo più nulla? Ha detto che sarebbe venuta qui, una volta finito di lavorare. Perché non sono felice? Non ci vediamo da settimane, qualsiasi ragazzo normale sarebbe felice di rivedere la sua fidanzata dopo tanto tempo, no? Vorrei che rimanesse lì, a Tokyo. Non sono valsi a nulla i miei tentativi di dissuaderla, è proprio una gran cocciuta! Sa bene che tra qualche ora devo essere al lavoro, perché viene proprio adesso, di settimana, e non nel weekend, come sempre? Avrei potuto chiederglielo invece di rimanere zitto ad ascoltare il suo sproloquio. La verità è che non vedevo l’ora di chiudere quella telefonata per buttarmi su questo divano e dormire fino all’alba del giorno dopo. Non ho voglia di uscire, o di portarla in giro, anche solo a prendere un caffè, non ho voglia di stare in mezzo alla gente, e odio non essere ascoltato. Ho bisogno di starmene per conto mio, perché è così difficile da capire? Se potessi non andrei nemmeno al lavoro, mi darei malato, ma ho già preso due permessi questo mese. Mi rigiro sul fianco destro e guardo l’orologio: a quest’ora sarà già sopra il treno. Respiro ed inspiro, devo cercare di calmarmi. Mi guardo attorno, la cucina è un disastro: lo spazzolone è ancora poggiato al tavolo da questa mattina, il ramen aspetta solo che io lo butti nella spazzatura, come la nuova lampadina del bagno aspetta che mi decida a cambiare quella vecchia. Camera mia è anche messa peggio. Mi vergogno a farla entrare qui, più di altre volte. Controvoglia mi metto seduto sul divano e le mando un messaggio, dicendole di incontrarci in centro. Un messaggio freddo e privo di enfasi, come se l’avesse scritto un automa, digitato in fretta e con rabbia. Mi devo calmare, si tratta solo di due ore.
Mi alzo, mi trascino verso l’ingresso, prendo il giubbotto e, proprio come questa mattina, tiro fuori il berretto e tiro su la cerniera fin sopra al mento. Mi sembra di vivere un déjà-vu. Esco e mi chiudo la porta alle spalle con forza, sia per nervosismo, sia per il suo essere difettosa. Farei prima a prendere un autobus ma preferisco camminare, magari mi aiuta a sbollire la rabbia. Sarebbe anche carino da parte mia presentarmi in stazione e andare a prenderla, mostrarmi entusiasta, ma ho deciso che per un po’ starò lontano dai treni.
Con le mani dentro al giubbotto cammino a passo svelto, affondando i piedi sulla neve. Ormai è il tramonto, il sole si nasconde tra le nuvole, pennellando il cielo di sfumature rosa e arancioni. Attraverso un piccolo ponte, sotto di me le acque del fiume Shiba scorrono tranquille, in lontananza si vedono i grigi grattacieli di Saitama e la ruota panoramica del parco giochi. Credo sia stato lassù che io ed Erii ci siamo scambiati il nostro primo bacio, ormai due anni fa. La vista della città mi inquieta, non ho nessuna voglia di andarci, il solo pensiero mi disturba. Mi fermo qualche minuto ad osservare il fiume, dalla tasca dei pantaloni tiro fuori il telefonino e osservo lo schermo, deluso. Non so perché continuo a sperare che quel numero mi richiami o mi rimandi un messaggio, so di illudermi. Isaac non tornerà, non può. Mi rigiro il telefono tra le dita per poi farlo scivolare lentamente in acqua. Cade come un peso morto, facendo un rumore sordo. Il mio corpo farebbe lo stesso tipo di rumore? Caccio via quel pensiero e rimango a guardare il punto esatto in cui è caduto per alcuni secondi, poi torno indietro sui miei passi, scendo dal ponte e percorro la via del fiume.
Cammino tra la neve e il fango, tra le erbacce secche che si spezzano sotto i miei piedi. Mi sto allontanando dal centro ma non importa. Avanzo ancora per qualche chilometro, poi, improvvisamente stanco, mi siedo sulla riva del fiume a contemplare l’acqua. Respiro a pieni polmoni, l’aria è leggermente più calda rispetto a questa mattina, probabilmente domani farà bel tempo. Sono solo. Mi rannicchio su me stesso e porto le ginocchia al petto, poggiando la testa sopra di esse. In lontananza si sente solo l’abbaiare di un randagio che entra ed esce dall’acqua giocherellando. Ha l’aria felice per essere un cane solo ed abbandonato, proprio come me. Dovrei tornare indietro, Erii sarà qui da un momento all’altro, ma preferisco starmene qui. Sospiro, pensando a quanto sia diventato crudele. Mia dolce Erii, come faccio a dirti che non ho voglia di vederti, che non ho più voglia di stare con te. Ma perché non riesco ad essere onesto con me stesso? Non l’ho mai avuta, è questa la verità. Come posso dirti che ogni volta che mi abbracci, o mi baci, ogni volta che facciamo l’amore non è a te che penso? Nascondo il viso tra le ginocchia dalla vergogna.
Freya di Asgard, ecco chi vorrei al mio fianco. La principessa che mi ha salvato dalla prigionia, colei per cui ho combattuto durante la battaglia contro i guerrieri divini. Lei e solo lei, che Atena mi perdoni. Non era mia intenzione anteporle un’altra donna, né era mia intenzione innamorarmi, è semplicemente successo. Non ho mai fatto parola con nessuno dei miei sentimenti per Freya, tranne che a Milo. Prima della guerra contro Ade, prima di tornare in Siberia, andai al Grande Tempio per fargli visita. Milo ed io non abbiamo mai avuto un rapporto così solido, ci conoscevamo appena, eppure sentivo di potermi fidare di lui, non per niente era il suo migliore amico. Mi sentivo a mio agio, era come se stessi parlando con un fratello maggiore, più o meno ciò che provavo quando parlavo con il mio maestro, solo con meno soggezione. Non riuscivo più a tenere dentro i miei sentimenti, dovevo dirlo a qualcuno, e in più avevo bisogno di un parere adulto. Così gli raccontai tutto, della cotta pazzesca che mi ero preso per la principessa, di come, senza volerlo, mi aveva rubato il cuore. Avevo lo stomaco sottosopra ogni volta che pronunciavo il suo nome ed era la prima volta che sentivo il cuore battermi così forte. Dissi a Milo di volermi dichiarare a lei ma non sapevo come fare. Lui rimase in silenzio ad ascoltarmi, ogni tanto sorrideva, probabilmente perché coinvolto dal mio entusiasmo, ma quando prese parola ci mise meno di un secondo a spegnermelo completamente. Infatti, mi consigliò di lasciar perdere: secondo lui eravamo troppo diversi, avrei fatto meglio a togliermela dalla testa. Scommetto che anche Camus avrebbe detto lo stesso. Purtroppo non sono mai riuscito a dimenticarla, non c’è momento della giornata in cui non penso a lei. Sono anni che non la vedo, chissà come sarà diventata bella… ancora più bella.
Un soffio di aria fredda mi accarezza il viso e mi scompiglia i capelli. Mi domando da dove arrivi, non fa così freddo, anzi. È gelida, persino per me, non posso fare a meno di stringermi nelle spalle, è come se volesse penetrare le mie ossa. Con la coda dell’occhio, lo vedo sedersi accanto a me, nella mia stessa posizione.
Senza offesa, sono felice di vederti, ma mi aspettavo qualcun altro. No, rimani pure, Camus renderebbe le cose più complicate. Milo mi poggia una mano sulla spalla e si rimette a sedere, entrambi rimaniamo in silenzio ad osservare il fiume. Mi sento un po’ a disagio, è la prima volta che mi capita di vederlo.
Sì, sto bene, rispondo alla sua domanda silenziosa. Dalla sua espressione mi sembra poco convinto, e in realtà anche io lo sono. No, non sto per niente bene. Avevi ragione, sai? Riguardo a Freya. Le ho scritto una lettera, tempo fa. Le ho detto che la amo, che la desidero, che voglio sposarla… non ha mai risposto. Come mai nessun rimprovero? Camus avrebbe detto: “te l’avevo detto”. Milo abbassa lo sguardo non sapendo bene dove guardare, sembra mortificato. Erii? È venuta dopo, cercavo un modo per dimenticarla, proprio come avevi detto tu. Proprio così, è stata un ripiego. Questa volta non trattengo le lacrime, con Milo posso permettermelo. Mi sento sporco, lei non merita tutto questo. Alzo lo sguardo verso il cavaliere e mi sembra proprio di intravedere della compassione nei suoi occhi color del mare. Forse addirittura pena.
Andava tutto bene all’inizio, mi piaceva stare con lei, mi faceva stare tranquillo, sentivo addirittura di provare qualcosa di veramente forte. Credevo di aver dimenticato Freya ma non è stato così. Poi ho cominciato a vedervi in giro per casa, è da quel momento che mi sento vuoto, senza speranza, apatico. Piano piano ho smesso di uscire, di provare interesse anche verso il più semplice gesto quotidiano, ho persino smesso di allenarmi la mattina. Era un’abitudine che mi ha trasmesso Camus e che mi piaceva. Mi sento spento, al pari di un automa, come se le mie capacità di provare emozioni fossero state risucchiate via. E questo ha influenzato la mia storia con Erii. L’entusiasmo iniziale è svanito e pian piano mi sono allontanato sempre di più. Non ricordo l’ultima volta che le ho dato un bacio passionale, o quand’è stata l’ultima volta che l’ho abbracciata perché avevo davvero voglia di farlo, e non perché me l’ha chiesto. Persino andarci a letto è diventato un gesto automatico, quasi un peso. È vero che non la amo, inizialmente pensavo fosse questo il problema, ma la verità è che non ne sento proprio l’esigenza, non ho più alcun tipo di stimolo. Mi sento indifferente verso tutto e tutti. Reagirei allo stesso modo se Seiya, Shiryu, o Shun mi chiamassero e mi dicessero di andare a trovarli. Soffro la loro assenza ma allo stesso tempo, l’idea di dover salire sul treno e fare tutti quei chilometri mi rende nervoso e ansioso. E poi vederli non cambierebbe nulla, in fondo non possono aiutarmi, non possono farmi sentire meglio. A volte mi chiedo se… forse avevi ragione tu, sarei dovuto rimanere dentro la bara di ghiaccio. Milo corruga la fronte contrariato, come a volermi rimproverare, fino a quel momento aveva ascoltato il mio soliloquio senza battere ciglio, senza particolari commenti da fare, o giudizi. Sì, lo so che c’era in gioco la vita di Atena, non l’ho dimenticato! Ma pensaci: se fossi rimasto lì, Camus sarebbe ancora vivo, e anche Isaac, mentre Erii sarebbe felice con qualcuno che la merita davvero. Non credi che le loro vite sarebbero migliori? Mi riferisco anche la tua. Ho ucciso il tuo migliore amico, dovresti odiarmi, invece sembra quasi che tu mi abbia preso sotto la tua ala protettiva…perché? È un dovere che senti nei confronti di Camus? Milo scuote la testa. Non mi dirai che ti sei affezionato a me? Per la prima volta lo vedo ridere, quanto mi manca quella risata cristallina. Con fare paterno mi appoggia la mano sulla spalla in segno di conforto. Si sarebbe potuto evitare? Chiedo a bruciapelo. La mia domanda lo sorprende, a giudicare dalla sua reazione. No, hai ragione. Il nostro scontro all’undicesima casa era inevitabile. Se solo fosse stato meno cocciuto, se solo non avesse cercato lo scontro a tutti i costi, forse sarebbe ancora qui. Poteva farsi da parte come Aldebaran, perché non l’ha fatto? Per me? Sì, sì lo so. Si è sacrificato per permettermi di diventare più forte, per aiutarmi a superare la perdita di mia madre. C’era riuscito, ma ora mi chiedo a cosa sia servito, mi sembra di essere tornato al punto di partenza. Mi sento perso, Milo. Di nuovo. E non so come uscirne. Non c’è Camus a salvarmi, stavolta.
Mi sdraio sulla neve e chiudo gli occhi, lasciandomi accarezzare da questa piacevole brezza, mentre la neve mi bagna i capelli e mi accarezza la nuca. Mi sento più tranquillo, leggero, avevo proprio bisogno di questa chiacchierata. Milo mi imita e si sdraia accanto a me. Chissà come sarebbe stata la nostra vita se fosse sopravvissuto al Muro del Pianto? Con non poco imbarazzo richiamo la sua attenzione, mi rialzo e mi rimetto nella stessa posizione di prima e lo fisso serio. Se le cose fossero andate diversamente, pensi che… non credo potresti mai sostituirlo, ma pensi che avremmo potuto avere un rapporto simile, tu ed io? Mi sarebbe piaciuto, sai? In qualche modo riuscivi a compensare la sua assenza.

- Hyoga! Hyoga!
Erii? Ma che ci fa qui? Mi alzo e mi pulisco i pantaloni bagnati quando lei, senza il minimo preavviso, mi getta le braccia al collo. Mi stringe in un abbraccio, una sorta di morsa, a dire la verità, come se avesse paura che possa fuggire da un momento all’altro. Un soffio di vento fa sì che il suo dolce profumo mi invada le narici. Gliel’ho regalato lo scorso Natale. Nonostante la giacca pesante la sento tremare dal freddo, così la stringo a me nel tentativo di scaldarla. Il suo piccolo volto è coperto da una sciarpa di lana rossa, un altro mio regalo, e da sotto di essa la sento mormorare qualcosa, che però non capisco perché rotto dai singhiozzi. Ha gli occhi gonfi, deve aver pianto a dirotto per ore, e la causa non posso che essere io. Con un gesto meccanico la stringo ancora, ma lei scioglie l’abbraccio. Anche questa volta non ho provato nulla.
- Finalmente ti ho trovato, ti ho cercato dappertutto! Ma perché hai spento il telefono? – la sua voce è dura. È arrabbiata anche se cerca di nasconderlo e mostrarsi calma.
- Non ho il telefono, l’ho dimenticato a casa… come sapevi che ero qui? – cerco di evitare la domanda, non ha senso dirle di Isaac.
- Non lo sapevo. Te l’ho detto, ti ho cercato ovunque! Pensavo… oh, lascia perdere! Sono contenta che tu sia qui. Hyoga, sta bene? Mi sembri confuso…
- Sto bene – dico atono. La mia risposta non la convince, e la cosa mi infastidisce – Perché sei venuta? Sai che devo andare a lavorare, abbiamo sempre fatto nel fine settimana…
- E me lo chiedi?! Non ti vedo, né ti sento da settimane, sono preoccupata per te, anzi siamo!
- Siamo?
- Sì. Io, Seiya, Shun…
- Avrebbero potuto chiamarmi…
- L’avrebbero fatto, se solo tu ti lasciassi trovare! Ma non senti che freddo che fa? Congelerai conciato così!
- Congelare, io? Magari! Dai, non dire sciocchezze – rimane seria alla mia battuta, vedo che comincia a innervosirsi – Perché siete preoccupati?
- Te l’ho già detto. E smettila di dire certe cose!
- E io ti ho già detto che ho bisogno di stare un po’ per conto mio – non nascondo un certo nervosismo. Rimaniamo in silenzio per un secondo, a fissarci l’uno e l’altra. Nessuno di noi ha davvero voglia di litigare, ragion per cui decidiamo entrambi di abbassare i toni.
- Non devi affrontare tutto questo da solo…
- È un mio problema!
- Ma insieme…
- Senti, Erii, devi fare qualcosa di importante? Devi comprare qualcosa? Vuoi che ci prendiamo un caffè? Facciamo in fretta, per favore. Tra qualche ora devo andare al lavoro e non posso dedicarti molto tempo – perché rispondo in maniera così fredda? Basta davvero così poco per farmi arrabbiare? Da quando sono diventato così suscettibile?
- Torniamo a casa, sei fradicio, e in più dobbiamo parlare.
- Di cosa? – che mi voglia lasciare? E perché la cosa mi infastidisce?
- Di te!
- Me?!
- Assolutamente sì! Hyoga…hai bisogno di aiuto.
Aggrotto la fronte non capendo di cosa stia parlando. Erii si guarda intorno, assicurandosi che non ci sia qualcuno nei dintorni, poi mi si avvicina e comincia a parlare a bassa voce.
- Non ti accorgi di quello che fai? – il suo tono si è addolcito di molto e adesso anche lei pare aver compassione di me.
- Faccio cosa?
- Stavi parlando da solo – dice rassegnata, sempre a bassa voce, confidandomi chissà quale segreto. Con la testa mi indica il punto in cui ero seduto prima, nei suoi occhi leggo la paura, la paura di perdermi. Rimango spiazzato, non so bene che dire, balbetto qualcosa che non ha un senso. Mi volto verso il punto in cui era seduto prima Milo. Perché mi dice questo? Gli occhi di Erii sono di nuovo umidi, sta piangendo per me.
- N-non parlavo da solo, ero… lascia stare! – mi allontano da lei bruscamente. Come le viene in mente? Ma no, no che non parlavo da solo! Ero con Milo, era proprio seduto lì! Lei non può capire.Erii, intuendo il mio disagio, mi prende per mano. Tenta di abbracciarmi ma mi scosto, non voglio essere toccato.
- Hyoga… - sto impazzendo! No, non sono pazzo, non lo sono! Lui era lì, proprio come Isaac questa mattina.
- Sto bene.
- Non c’è nulla di male, ma sono sicura che parlandone con qualcuno le cose si sistemeranno.
- Ne abbiamo già parlato – so di non essere pazzo. Mi prendo la testa con entrambe le mani, mi sento davvero confuso, adesso.
- Intendevo uno specialista – dice lei a denti stretti, cercando di prendermi la mano.
- Non sono pazzo! – urlo e mi allontano ancora. Non era mia intenzione alzare la voce, né dar voce ai miei pensieri, ma non sono riuscito a trattenermi.Erii mi guarda sconvolta, è la prima volta che mi vede così, anche io stento a riconoscermi. Ho scatti d’ira improvvisi che non riesco a controllare. Provo rabbia, tantissima, la sento covare dentro di me ogni giorno, basta un non nulla per farla esplodere, come una mina vagante. Respiro profondamente, mi devo calmare. Ne faccio uno, poi due, tre… Erii continua a fissarmi, questa volta con un’espressione preoccupata, ma non dice niente, vuole darmi il tempo di riprendermi. Una volta sicura mi si avvicina e con fare quasi materno riesce a prendermi le mani e mi intima a seguirla.
- Andiamo a casa, ti devi preparare. Domani ne riparliamo – in che senso domani?! Poggio lo sguardo su di lei e comincio a squadrarla dalla testa ai piedi, solo ora mi accorgo che sulle spalle porta un borsone. Deve essere bello pesante, sembra stracolmo, ma soprattutto è molto più grande di quello che si porta di solito. Quanto tempo ha intenzione di restare?
- Perché ti sei portata tutta questa roba, a che ti serve? – cerco di indagare togliendoglielo dalle mani e caricandomelo sulle spalle. Non risponde, svia lo sguardo, ha paura di un’altra mia sfuriata. – Erii… - la incalzo. Ho un brutto presentimento.
- Vengo a stare da te – dice a bassa voce e tutto d’un fiato, forse nella speranza che non afferrassi il concetto.
- Cosa?! – sbotto più arrabbiato di prima.
- Lo faccio per starti vicino!
- E quando hai preso questa decisione? Quando avevi intenzione di parlarmene?
- Oggi. È una decisione dell’ultimo minuto. Non avresti mai accettato se te l’avessi detto.
- E hai pensato bene di fare tutto di nascosto, non è così? Riesco a malapena a mantenere me stesso, non posso pensare anche a te!
- Non serve che pensi a me! Io me la cavo benissimo da sola, sei tu che hai bisogno di aiuto! Arrabbiati pure quanto vuoi, ma sappi che non cambio idea, ormai ho deciso. Dovessi dormire per terra, non me ne andrò fino a quando non ti sarai fatto aiutare.
- Ancora con questa storia? Sto bene! Io sto bene, quante volte te lo devo dire? – tranquillo, mantieni il controllo.
- Non importa quello dici, ho già detto che non me ne vado – così dicendo tenta di riprendersi il borsone con scarsi risultati.
- Che non ti importa di come la penso è chiaro come il sole! – questo era un colpo basso, potevo risparmiarmelo. – Perché lo fai?
- Perché ti amo – le sue parole mi colpiscono, e non so perché. L’ho sempre saputo, non è la prima volta che me lo dice. Ora sono io che fingo di guardare altrove, non riesco ad incrociare il suo sguardo, non più – Hyoga… i-io voglio solo aiutarti… voglio che tu stia bene, davvero. Non ce la faccio più a vederti così, voglio che torni ad essere il ragazzo pieno di gioia e speranza che eri quando ti ho conosciuto. Lascia che ti aiuti…per favore… - lo vorrei anche io, credimi. Voglio tornare quello di prima, ma non è possibile, è tardi ormai, non c’è niente che tu possa fare, niente. Nessuno può aiutarmi, nemmeno uno specialista.
- Ti amo – dice ancora. Ti prego non dirlo più, non capisci che queste parole mi fanno solo che sentire peggio? Perché l’hai detto? Perché ti sei innamorata di me? Perché non di qualcun altro, qualcuno di migliore, qualcuno a cui valga davvero la pena rivolgere queste parole? Perché me e non Shun, ad esempio?Erii mi abbraccia, è di nuovo in lacrime. Vorrei ricambiare ma non ci riesco, guardo fisso di fronte a me, vuoto e indifferente come al solito. Non ho più neanche voglia di fingere. Si alza sulle punte e tenta di baciarmi, io mi discosto e lentamente spezzo l’abbraccio.
- Erii, non puoi venire a stare da me – dico senza particolare enfasi.
- Perché no?
- Perché… - mi blocco. No, non ce la faccio, non posso dirglielo. Con quale coraggio?
Da dietro le sue spalle vedo sopraggiungere la figura di Milo. Si ferma a pochi centimetri da noi, allunga l’angolo sinistro della bocca in uno strano sorriso. Di nuovo quello sguardo compassionevole, devo proprio fargli pena. Non posso dargli torto, anche io provo pena per me stesso in questo momento. Sono disperato, non so cosa fare. Aiutami, cosa devo dirle? Non voglio ferirla, che devo fare? Dì qualcosa, so che puoi farlo!
- Non avere paura – non aggiunge nient’altro. È tutto il giorno che queste parole mi tormentano, le sento rimbombare nella mia testa senza darmi un attimo di tregua.
- C’è poco spazio, l’appartamento è piccolo per due.
- Non importa, sai benissimo che mi adatto.
- L’affitto è alto.
- Ho un lavoro, divideremo le spese.
- È sudicio, l’hai visto anche tu, quel posto fa schifo!
- Pazienza, non mi serve una reggia. Ma perché fai così? La pianti di cercare di dissuadermi, io non me ne vado di qui! – alzo lo sguardo e incrocio nuovamente gli occhi di Milo.
- Perché non ti amo. – Scusami se ti ho spezzato il cuore, scusami tanto se puoi – Sono sempre stato innamorato di un’altra. Si chiama Freya… 
  
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