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Autore: Honey_2990    17/08/2021    0 recensioni
Vivere nel ventunesimo secolo non è semplice come tutti vogliono far credere.
Gli adulti guardando i giovani vedendo solo delle teste senza niente da dire, delle marionette mosse dal volere della massa, persone che non sono all'altezza delle loro aspettative e forse non lo saranno mai.
Noi invece ci ritroviamo a guardare un mondo che va avanti senza includere il nostro pensiero nel proprio progetto di avanzamento.
La nostra generazione non sa come far parte di un sistema che include solo determinate cose, come:
lavoro sottopagato, stipendio di sopravvivenza e contratti di lavoro inammissibili.
Nessuno di noi crescendo avrebbe mai immaginato che il nostro ingresso nel mondo reale, quello che si presenta al compimento dei diciotto anni, sarebbe stato così deludente. Credevamo che raggiunta la soglia della nostra indipendenza, il mondo intero sarebbe stato ai nostri piedi, mentre quello che non avevamo calcolato era il percorso tortuoso che ci aspettava per raggiungere la nostra meta. Ma quale era esattamente? Io non lo sapevo più.
Ho compiuto ventidue anni ormai cinque mesi fa e non mi capacitavo di quante cose erano cambiate nella mia vita rispetto ai miei diciotto anni. Niente era andato come mi aspettavo eppure non era passato così
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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<< Sono felice che tu abbia accettato. >> Mise di nuovo in moto e partì percorrendo le bellissime strade di Londra illuminate dai lampioni durante la notte. <> Dissi io cercando di aprire un dialogo continuando a guardare fuori dal finestrino con aria sognante. <> Mi voltai verso di lui e notai la sua mascella perfettamente delineata mentre mi poneva la domanda non distogliendo lo sguardo dalla strada. Non capivo chi mi ricordasse, ma avrei giurato mi ricordasse qualcuno. In ogni caso ero davvero troppo stanca per sforzare la mia mente. <> Ammisi ad alta voce. <> Disse voltandosi leggermente verso di me. Arrivammo davanti al mio appartamento verso le 02:30 del mattino. Parcheggiò davanti al mio portone e spense il motore della macchina. << Beh allora grazie… >> Dissi voltandomi leggermente verso di lui. Si sganciò la cintura e voltandosi verso di me non riuscii a non trattenermi dal portare le mie mani al suo viso. << Aspetta… >> Mi disse sfiorandomi una mano. << Non è il momento adatto.. >> Spostò la mia mano dal suo viso e si voltò per guardare fuori dal finestrino. Ovviamente si stava riferendo al mio tentativo di scostare la maschera dal suo volto per cercare di capire quale fosse l’identità di quel misterioso ragazzo. << Perché no? Come posso volerti conoscere se non so niente di te? Tu sai chi sono, sai dove abito, mi hai vista senza maschera ancor prima di sapere il mio nome, questa cosa è strana.>> Gli chiesi abbassando la mano ed aprendo la portiera della macchina piuttosto scoraggiata. Scesi dall’auto prima che potesse fermarmi e lo sentii parlare prima di riuscire ad arrivare al portone del mio palazzo. <> Mi liquidò prima di poter replicare e me ne tornai in casa con l’amaro in bocca. Che finale di serata era mai quello? Nei miei libri non funzionava così! Doveva scendere di macchina, fermarmi e dirmi qualcosa, darmi una spiegazione, mentre lui…. Lui se ne era solamente andato. Dopo essermi spogliata entrai sotto al getto caldo della doccia interrogandomi sul perché di tutto quello sforzo da parte sua per non farsi neanche vedere. Capivo il non farlo durante la festa, magari era solo timido… ma poco prima eravamo solo noi due nella sua auto. Si vergognava del suo aspetto? Per il poco che ero riuscita a scorgere non mi sembrava di aver notato nulla di strano. Il bagno schiuma alla vaniglia scivolava lungo tutto il mio corpo sciogliendo la tensione da ogni mio muscolo che mi aveva accompagnata per tutta la sera. Il dolce profumo del mio bagno schiuma mescolato con il suono lento dello scroscio d'acqua ed il silenzio totale mi diedero la forza di uscire dal box doccia ed avvolgere il mio corpo all’interno di un grande asciugamano. Non so per quanto tempo rimasi lì dentro, persi la cognizione del tempo. Sentii il mio telefono squillare e con una mano lo afferrai mentre con l’altra continuai a sistemare il turbante sulla mia testa affinché trovasse il suo posto. Emily. <> <> La sentii ridere al di là del telefono mentre io mi osservai allo specchio rendendomi conto di essermi portata una mano alla fronte in segno di disperazione. <> Disse la mia amica per tranquillizzarmi. <> Dissi riferendomi ai suoi racconti poco casti di qualche ora prima. Entrai sotto alle coperte constatando che la mia sveglia avrebbe suonato solamente quattro ore dopo e quel piccolo particolare bastò a far sì che il sonno prendesse il sopravvento. ******** Alle 08:08 mi alzai dal letto con ben otto minuti di ritardo rispetto al cinguettio intermittente della mia sveglia. Non mi rimaneva molto tempo per prepararmi, ma quel giorno decisi di non dedicare più tempo del necessario nel farlo. Non ne avevo proprio voglia. Infilai dei jeans a vita alta ed un golfino bianco con dei bottoni dorati sul davanti, una giacchina corta ed una sciarpa a coprire il mio collo nudo. I capelli erano sistemati in uno chignon disordinato ed il trucco non era un granché, giusto un filo di mascara per dare un po’ di intensità al mio sguardo che quella mattina gridava solo: “aiutatemi sono una disperata che non ha dormito abbastanza!” Indossai un paio di stivaletti con un minimo di tacco ed afferrando la mia borsa uscii di casa. Era fin troppo tardi e non mancava molto all’inizio delle mie lezioni mattutine. Mi ero iscritta ad un corso di psicologia al fine di aggiungere una qualifica in più al mio curriculum. Ho sempre ritenuto importante continuare la formazione professionale e quel corso si stava svolgendo nell’università di Londra improntata sulle scienze umane. Offrivano la possibilità di frequentare delle lezioni specifiche a giovani lavoratori che necessitavano di nozioni in più. Mi era sembrata una buona idea dal momento in cui avrei iniziato a dovermi relazionare con molte persone per lavoro. Arricchire il mio curriculum pagando solo le tasse d’iscrizione agli esami era un buon compromesso e la cosa più vantaggiosa, stava proprio nel fatto di poter gestire il mio tempo come volevo senza avere scadenze precise come se avessi deciso di frequentare l’università a tempo pieno. Arrivai in facoltà con cinque minuti di anticipo e corsi per trovare posto prima che qualcuno rubasse quelli migliori. Psicologia era una delle mie materie preferite durante le superiori e fortunatamente la Sig.ra Smith, la Dottoressa che avrebbe presenziato durante le ore di formazione prima dell’esame, era rinomata per la sua capacità nello spiegare i segreti ed i misteri che racchiudeva quella bellissima materia. Iniziò a parlare trattando il tema della psicologia inversa durante un rapporto d’amore. << Si parla di psicologia inversa quando cerchiamo nell’altro un comportamento o una reazione inversa a quella che gli stiamo comunicando. E’ un meccanismo piuttosto complesso da analizzare, perché la persona che decide di attuarlo, sta cercando di manipolare il pensiero dell’altro affinché decida di fare o pensare qualcosa che in precedenza riteneva improbabile o impossibile. In amore la psicologia inversa viene spesso utilizzata per conquistare qualcuno o per tentare di ravvivare una relazione ormai spenta da tempo. >> Il ragionamento che stava facendo era piuttosto complicato e la mia mente per seguire quello che diceva, doveva lavorare tre volte più veloce del solito. Ottima idea andare a dormire alle quattro del mattino prima di una lezione così importante. Brava Anna! << Mi scusi Sig.ra Smith, ma parlando di amore, non crede che sia pericoloso utilizzare questo tipo di psicologia? Io credo che indurre una persona involontariamente verso un cammino che la sua mente non avrebbe mai preso in considerazione, sarebbe molto rischioso. Finiremmo per avere al nostro fianco persone che non sono loro stesse. >> << Stavo arrivando proprio a questo, signorina?... >> << Messali. >> << Signorina Messali… il suo ragionamento è molto lineare, ed è proprio per questo che la suddetta tecnica di persuasione dovrebbe essere utilizzata solo da medici e professionisti specializzati. La psicologia inversa ha il potere di aiutare le persone se utilizzata a fin di bene; ma allo stesso tempo ha la forza di confonderle. >> Annuii contenta che il mio intervento non fosse stato fuori luogo. La lezione fu molto interessante e quando uscii dalla mi aula ero convinta di aver scelto il corso di studi più adatto a me. Adoravo questo tipo di informazioni, dato che avrei potuto utilizzarle nel mondo del lavoro e non solo, ovviamente, facendo particolare attenzione e senza esagerare. Quel giorno decisi di comprare un insalatona prima di correre in ufficio, data la scarsità di tempo che mi era rimasta a disposizione. Una volta arrivata, entrando salutai i miei colleghi e mi fermai alla scrivania di Emily per salutarla. << Come stai questo pomeriggio, raggio di sole? >> Mi chiese lei ridacchiando ed alludendo alla mia brutta cera. << Come una che ha dormito quattro ore ed è appena uscita da una mattinata di lezioni all’università. >> Le risposi ridendo ed avviandomi a marcia indietro verso il mio ufficio facendole qualche gesto con le mani. Mi voltai solo dopo aver varcato la soglia e stavo per appoggiare il mio pranzo sulla scrivania quando notai un biglietto. Lo presi tra le mani e lessi le seguenti parole: “ Se vuoi avermi dovrai uscire da Londra per vedermi. Ho voluto scrivere queste parole per farti sorridere, ma non so se sono riuscito nella mia impresa, per ora basta che tu non ti sia arresa. Io ti aspetto ed un “no” non lo accetto. Questa è per te una piccola poesia e spero che ti porti tanta allegria. Non vedo l’ora di rivederti, anche se i tuoi occhi ieri sera mi hanno guardato un po’ incerti. Spero che la mia abilità susciti in te della curiosità. Preston Park – Brighton and Hove , East Sussex. Domani ore 09:00 am. “ Sorrisi leggendo quel biglietto. Ovviamente non si era firmato, ma aveva detto che sarebbe riuscito a contattarmi di nuovo ed a distanza di poche ore lo ha fatto davvero. Non mi entusiasmava affatto non conoscere nulla di lui, ma continuavo a pensare che il suo impegno e la sua galanteria fossero ammirevoli. Chi mai, nel ventunesimo secolo, invia fiori e biglietti invece di un messaggio con una emoji? Erano decisamente dei punti a suo favore. << Guarda… >> Dissi porgendo il biglietto alla mia amica. Lo lesse per qualche secondo ed alla fine lo portò vicino al suo petto e con aria teatrale, esclamò: << E’ così romantico!! Non ricevo una poesia da…. Aspetta! Credo di non averne mai ricevuta una! Ti invidio davvero mia cara! >> Risi alle sue parole, perché da un lato aveva davvero ragione! Anche io non avevo mai ricevuto una poesia prima d’ora, nonostante fosse ironica, mi aveva resa davvero felice. Tornai alla mia scrivania rigirandomi tra le mani quel piccolo pezzetto di carta. Lo inserii nella mia borsa stando molto attenta a non perderlo. Trascorsi tutta la mattina ad elaborare delle tesi in merito alla rivoluzione del teatro a luci rosse dei primi anni venti del Novecento. Un mondo meraviglioso da studiare, le storie delle donne che lavoravano in quel settore, raccontavano ogni tipo di situazione. C’erano donne alle quali piaceva esibirsi senza veli, le quali intrapresero quella strada solo per avere occhi famelici depositati sui loro corpi e raccontavano di trarre da quel mestiere una forza incredibile. C’erano poi coloro che lo facevano perché era l’unico modo che avevano per pagare la vita al di fuori dei teatri. Una storia in particolare mi aveva colpita, quella di Brigitte Bordeaux una giovane ragazza francese che intraprese la strada del burlesque a soli diciannove anni. Una presenza affascinante, minuta con un seno abbondante ed una chioma di capelli rossi piuttosto consistente. Lei fu la prima donna a dichiarare pubblicamente il suo rapporto con la sessualità. Rilasciò un’intervista ad un giornale locale nella quale afferma di aver avuto rapporti intimi di ogni tipo: con uomini e con donne. So che può sembrare assurdo se compariamo la sua situazione al mondo nel quale ci ritroviamo a vivere noi adesso, ma per gli anni che stavo analizzando quella giovane donna raggiunse le “pagine scandalistiche” di ogni paese in pochissimo tempo. Immaginate? Una giovane ragazza che decide di lavorare piuttosto che aspettare un matrimonio combinato? E sempre la stessa ragazza, decide di esibirsi nei teatri senza veli cantando e ballando sotto sguardi indiscreti, rilascia in seguito dichiarazioni sul proprio orientamento sessuale misto? Credetemi se vi dico che la sua pagina sui libri di storia se l’è proprio guadagnata! Conclusi la mia giornata lavorativa godendomi un aperitivo in centro con la mia collega ed ormai unica amica nei paraggi. Mi piaceva passare il tempo con lei perché riusciva sempre a trovare il lato positivo nelle cose anche quando io non riuscivo a vederlo. Mi mancava la mia famiglia e dopo quasi due mesi di permanenza in un altro paese, la lontananza iniziava a farsi sentire. Non me ne ero andata per allontanarmi da loro, stavo cercando l’indipendenza che nel mio paese non riuscivo a trovare. Il matrimonio dei miei genitori era complicato, ed anche il mio rapporto con loro non era da meno. Quello con mio padre in particolare era il più complesso, lui ha sempre avuto moltissime difficoltà nella gestione delle proprie emozioni. Non credo che in ventidue anni mi abbia abbracciata più di tre volte, ma non per questo non mi voleva bene. Sapevo che era così, ma era molto difficile ripeterselo ogni volta che avevo bisogno della sua vicinanza, cercando di scusare il suo carattere così chiuso. Ci sono momenti nella vita e nella quotidianità, nei quali la necessità di un padre si fa più forte ed io purtroppo sono cresciuta senza capire come relazionare con il mio. Probabilmente se avessi dovuto abbracciare mio padre in quel momento, di mia spontanea volontà, mi sentirei in imbarazzo perché non sono mai stata abituata a farlo e la cosa è alquanto triste. Cercai di non far trapelare quei pensieri dalle mie espressioni facciali, non volevo parlare di ciò che mi aveva intristita così quando la mia amica iniziò a parlare mi sentii molto sollevata. Emily mi spiegò che anche per lei non era stato semplice quando arrivò una lettera destinata a suo padre, che prevedeva una missione di tre anni in Iraq. Sua madre decise di seguirlo e lei di rimanere a Londra per finire gli studi ed iniziare a lavorare. Mi raccontò di quanto fu doloroso per lei lasciarli andare, soprattutto considerando il pericolo al quale andavano incontro trasferendosi in una città sotto assedio da diversi anni ormai. Era stato difficile anche per lei abituarsi alla solitudine del suo appartamento e le parole che utilizzò per spiegarmi il suo stato d’animo, inspiegabilmente assomigliavano tantissimo anche al mio. Quando rientrai a casa quella sera, impiegai quasi tutto il mio tempo libero per fare lavatrici e stendere i panni. La sera era il mio momento preferito di tutta la giornata, non amavo molto fare le faccende domestiche, ma riuscivano in qualche modo a rilassarmi e mi davano modo di riflettere. Da piccola ho sempre pensato che all’età di ventidue anni avrei partorito il mio primo figlio, poi…. Una volta compiuti venti anni mi sono resa conto di quanto quel traguardo fosse lontano ed ho iniziato a cercare la mia strada non perdendo di vista il mio obiettivo. Non ho mai messo l’ambizione al primo posto, perché i miei valori sono sempre stati molto semplici, volevo incontrare l’amore della mia vita e creare una famiglia. Ovviamente volevo lavorare, ma non credevo nel lavoro dei sogni, preferivo volare basso ed imparare il più possibile da ogni occasione che mi si sarebbe presentata. La mia volontà di riuscire ad essere una madre molto giovane, potevo spiegarla con delle semplicissime riflessioni, volevo godermi i miei figli. Volevo crescerli e veder crescere i miei nipoti. Quando ho finito le scuole superiori in Italia mi sono resa conto di quella che era la situazione davanti ai miei occhi. Non esistevano prospettive di una vita indipendente prima dei trent’anni, io volevo iniziare a lavorare, volevo riuscire a pagare un affitto con le mie forze, volevo iniziare a vivere. Tutte cose impensabili nel mio paese perché non potevo scegliere di seguire un piano per la mia vita. Se fossi rimasta avrei incontrato lungo il mio percorso troppe variabili non preventivate e non era questo quello che volevo. Io avevo solo bisogno che il mio impegno venisse rivolto verso qualcosa che avrebbe portato alla realizzazione dei miei desideri. Sono sempre stata quel tipo di persona che odiava veder soffrire i propri cari, sia che si trattasse di famigliari, sia che si parlasse di amici, purtroppo però non avevo mai ricevuto molte attenzioni in cambio e questo mi aveva fatta diventare molto restia nei miei rapporti interpersonali. So che può essere assurdo per la mia giovane età, ma non riuscivo a dormire tranquilla la notte ormai da molti anni. Chiudendo gli occhi riuscivo soltanto a pensare a quello che sarei riuscita a fare nella mia vita. Vivevo di pressioni e paure pensando di non riuscire a concludere qualcosa di buono nella mia vita. La sigla di Gossip Girl in tv mi scosse dal mio stato confusionale nel quale mi ero ritrovata e di colpo mi ricordai dell’appuntamento che uno sconosciuto mi aveva fatto recapitare con un biglietto sulla scrivania quel pomeriggio. Cos’avrei indossato l’indomani? Non ne avevo davvero la minima idea. Cercai nell’armadio qualcosa di carino, ma alla fine scelsi un maglione piuttosto lungo che sistemato con una cita in vita arrivava a coprire metà delle mie gambe. Sistemai quello sopra alla poltrona della mia camera insieme ad un paio di anfibi ornati da qualche borchietta d’orata ed un cappotto lungo fino al ginocchio. Misi la sveglia per le 7:00 del mattino. Mangiai un’insalatona prima di andare a dormire, la seconda della giornata e dopo aver guardato un episodio in cui Chuck e Blair si ritrovavano per caso nella bellissima Parigi, chiusi gli occhi e provai a dormire. Il mattino seguente la mia sveglia suonò per qualche secondo prima che potessi raggiungere il telefono e spengerla. Odiavo quel suono. Lo odiavo con tutta me stessa. Scesi dal letto e mi avviai verso la doccia, avevo proprio bisogno di quel mix inebriante di acqua calda e bagno schiuma. Uscii in tempo per asciugarmi i capelli e truccarmi quel poco che serviva affinché non assomigliassi ad un mostriciattolo appena sveglio. Indossai il mio maglione bianco con sotto un paio di calze nere trasparenti ed i miei adorati anfibi. Infilai il mio cappotto poco prima di prendere le chiavi di casa e controllare che nella mia borsa ci fosse tutto l’occorrente per passare del tempo fuori città. Scendendo le scale sentii per un momento il cuore balzarmi in gola. Avevo una certa ansia nell’incontrarlo nuovamente, dato che ancora non sapevo verso chi mi stavo incamminando. Questa mia propensione al conoscere nuove persone mi stava destabilizzando, ma uno dei propositi con il quale avevo deciso di iniziare questa nuova avventura, era proprio il lasciarmi andare a scoprire nuove sensazioni. La prima metro diretta alla stazione arrivò dopo circa cinque minuti di attesa alla fermata sotterranea ed il percorso fu piuttosto veloce, perché in men che non si dica, arrivai a destinazione. Il tragitto in metropolitana lo impiegai per fare il biglietto online del treno che mi avrebbe condotta Brighton, ci avrei impiegato circa un’ora e mezza per arrivare. Adoravo Brighton, all’età di quindici anni feci uno scambio di due settimane proprio lì con la scuola e mi piacque così tanto che mi ripromisi di tornarci presto. A distanza di ben sette anni, eccomi sul treno diretta proprio verso quel posto. Che coincidenza! Trascorsi il tempo in treno guardando fuori dal finestrino ed ascoltando buona musica dal mio telefono. Era così strano quello che stavo facendo. Non ero mai stata “corteggiata” così da qualcuno e pensare che proprio uno sconosciuto lo stesse facendo mi incuriosiva ed allo stesso tempo mi spaventava. La mia totale mancanza di fiducia verso tutti, mi portava ad interrompere ogni nuova conoscenza sul nascere per paura di essere usata e buttata via come un giocattolo che è venuto a noia. Ho sempre passato la mia vita a cercare di compiacere gli altri senza rendermi conto che forse dovevo pensare a me stessa prima. Nessuno si rendeva conto nella mia famiglia di quanto fosse difficile cercare di essere la figlia perfetta, la sorella maggiore perfetta, quella che non poteva mai sbagliare perché da un lato creava un dispiacere ai propri genitori e dall’altro dava un cattivo esempio ad una sorellina più piccola che iniziava a farsi strada nella vita. Io non avevo avuto un esempio da seguire, mi ero sempre preoccupata di essere all’altezza delle aspettative di mia madre ed abbastanza indipendente per rendere fiero mio padre. I miei genitori sono sempre stati una strana coppia, si sono conosciuti da adulti e si sono sposati senza viversi un granché prima. Loro non sono il classico esempio di un matrimonio felice, lo hanno sempre fatto funzionare senza un dialogo, senza una finestra di confronto e spesso mi ritrovavo immersa fino al collo in discussioni e litigi che non avevo voglia di sopportare. Ho sempre sperato di avere qualcosa di meglio nel mio futuro, ma vedendo i loro problemi di tutti i giorni ho avuto un blocco involontario che mi spingeva a non avvicinarmi a nessuno più dello stretto necessario. Ho sempre visto le mie amiche in Italia fidanzarsi e lasciarsi dopo pochi mesi senza avere il ben che minimo rimorso e questo poteva essere normale considerando la nostra giovane età, ma io volevo qualcosa di diverso. Ho sempre creduto nell’amore vero, nonostante abbia avuto tutti i segnali dentro alle quattro mura di casa, che non sempre le cose vanno come vogliamo. Desideravo incontrare la mia metà perfetta, quella persona che mi portasse rispetto quanto io ne portavo a lui, che mi amasse con tutto se stesso senza che fossi io a doverglielo chiedere. Volevo essere messa al primo posto da qualcuno, essere desiderata nonostante io non fossi una modella da copertina. Ho sempre preferito osservare il mondo intorno a me e per un momento ho davvero creduto che stesse andando avanti lasciandomi indietro, era proprio per quel motivo che avevo deciso di trasferirmi. Credevo davvero che cambiare città e cambiare paese potesse aiutarmi a capire quello che volessi dalla vita. Potevo pretendere di essere felice? Di avere un lavoro non sottopagato? Di poter crescere dei figli in un mondo un po’ meno difficile dell’Italia? Scesi dopo un’ora e mezza esatta, questa cosa della puntualità sfrenata degli inglesi mi piaceva davvero tanto! Erano le 08:30 quando arrivai alla stazione di Brighton e da lì presi un pullman che dopo ben trentacinque minuti si fermò al parco indicato nel biglietto. Conoscevo bene quella zona, durante il mio scambio, la famiglia che mi aveva ospitata abitava proprio lì. Chissà se vivevano ancora dall’altra parte della strada. Entrai nel bellissimo parco non sapendo assolutamente che direzione prendere. Mi aveva scritto il nome del posto, ma non mi aveva dato maggiori informazioni per farmi capire dove avremmo dovuto incontrarci. Iniziai a camminare guardandomi intorno nella speranza di intravedere qualcuno, ma non scorsi nessuno intorno a me. Avvicinandomi ad una panchina per sedermi notai un biglietto attaccato con dell’adesivo allo schienale. “Anna” C’era scritto sopra. Lo aprii delicatamente e con un sorriso lessi: “Non stai osservando, perché un bel fiore ti sta aspettando.” Non riuscii a capire fin quando girellando per gli stradelli del parco circostanti, notai un girasole appoggiato al tronco di un albero. Avevo camminato per diversi minuti prima di trovare quel secondo indizio, ed ero finita in un’ala del parco nascosta e deserta che non avevo mai visto prima d’ora. C’era un piccolo laghetto al di là del maestoso albero ai miei piedi. Mi chinai per raccogliere il fiore quando sentii una voce roca risuonare nelle mie orecchie. “Sei bellissima mentre raccogli fiori.” Mi sistemai una ciocca dietro ai capelli prima di sollevare lo sguardo per rivolgermi al ragazzo del quale vedevo solo le scarpe in quel momento. Scorsi le sue gambe snelle avvolte da un paio di jeans neri strappati sulle ginocchia. Indossava un maglione grigio scuro con sopra una giacca in pelle. Quando arrivai al suo viso rimasi sbigottita, impietrita, per qualche secondo mancò l’aria nei miei polmoni. Forse mi ero addormentata in treno e stavo sognando.
   
 
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