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Autore: Gaia Bessie    17/08/2021    5 recensioni
«A te non importa molto della musica, non è vero?».
Nel tentativo di combattere i Mangiamorte superstiti, Hermione Granger rifonda l’ES, scoprendo negli incantesimi non verbali la chiave di volta della resistenza.
[Draco/Hermione |Prima classificata al contest "Ad ogni libro, una storia" indetto da Black Beauty sul forum di Efp]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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1. Il titolo è ripreso da una frase di S. King: “Sempre meglio un amore bizzarro che nessun amore”
 
2. La canzone usata, l’Hallelujah, è stata utilizzata nella versione cantata da Jeff Buckley e non quella del suo creatore, per via di una scelta delle strofe che meglio si adattava alla mia idea iniziale
 
Il contesto è un settimo anno post-war, dove Hermione rifonda l’ES, chiamandolo “Esercito del Silenzio”. Non è esplicitato nel testo, quindi lo scrivo qua: il nome è stato dato per via degli incantesimi non verbali, che saranno il fulcro delle “lezioni” dell’ES.


 
 
 
 
La vuole ricordare mentre li chiama, uno dopo l’altro, in una sequela insensata di nomi e cognomi. Seduta sempre al medesimo posto, sullo sgabello del pianoforte, con i capelli tutti attorno al viso e le mani che indugiano sui tasti – nessuno le ha mai domandato se sapesse suonarlo per davvero o facesse solamente finta ma, adesso, non importa più.
Dell’ES non è rimasto poi molto, solo residui smangiucchiati. Di quei nomi, cognomi, nessuno è tornato indietro dall’inferno.
Erano in quindici, pensa distrattamente Draco Malfoy, torcendosi le mani – l’anno scolastico è finito, sono rimasti solo loro due: lui, che l’inferno l’ha dentro, e lei che continua a sfiorare l’anima di quel pianoforte, senza che Malfoy abbia mai il coraggio di domandarle se non sappia suonarlo.
Non che importi più. Hermione Granger non si darebbe la pena di rispondergli, forse nemmeno è più in grado di farlo – e se il tempo delle risposte fosse semplicemente terminato?
«A te non importa molto della musica, non è vero?».
 
L’amore bizzarro

 
I heard there was a secret chord
That David played and it pleased the Lord
But you don't really care for music, do you?
Well it goes like this the fourth, the fifth
The minor fall and the major lift
The baffled king composing Hallelujah

 

 
 
La Granger non procede mai in ordine alfabetico: li vuole guardare dritti negli occhi e, allora, prima chiama i presenti e poi, a memoria, gli assenti. Una nota di disappunto nella voce, quand’accade, ma non può farci proprio niente: da quando i Mangiamorte hanno ricominciato a portare morte e devastazione nel Mondo Magico, sempre più genitori hanno scelto di riportare a casa i propri figli.
È quel che è accaduto alla Abbott, a Goldstein e presumibilmente anche alle gemelle Patil – lei non domanda mai, ma ogni giorno l’ES diviene sempre più ristretto e, mantenere il segreto, sempre più semplice.
Ci sono giorni in cui, lui lo vede, la Granger sembra quasi domandarsi che senso abbia continuare e, allora, preme le dita sul pianoforte per produrre qualche nota stonata. Sono i giorni in cui le occhiaie le sbocconcellano la pelle candida e i capelli sono tirati in uno chignon così stretto che, sicuramente, le farà venire il mal di testa – non sa quand’è che ha iniziato a studiare Hermione Granger in quella maniera ma, di fatto, la conosce: mentre sfiora i tasti come se stesse cercando gli accordi, come se dovesse suonare di fronte a una platea. Quando è solamente lui a rispondere al suo nome e, tutti gli altri, se ne sono andati.
L’Esercito del Silenzio trova senso nelle assenze, ha detto la Granger a ogni testa che svaniva nel nulla, ne usciremo più forti di così. Ma, quando anche Paciock, la Weasley e la Lovegood hanno abbandonato i loro sogni, Draco l’ha vista tentennare. E, adesso che non le è rimasto più nessuno, le tremano le mani.
È durato solamente tre mesi – il giorno in cui l’ha raccattato nel bagno di Mirtilla Malcontenta a disegnare sulla polvere tra le piastrelle e gli ha detto: vieni con me, è l’ultima occasione che ti do. Si sussurrava già che la Granger stesse tramando qualcosa, ma Draco non avrebbe mai potuto pensare che stesse organizzando la resistenza.
La magia più antica è il silenzio – così gli aveva detto, facendogli cenno di tacere, solo le parole possono risvegliare i morti: che nessuno fiati, se così è, perché a me i morti fanno meno paura dei vivi. Facevano.
Draco Malfoy non saprebbe dire se la Granger si stesse riferendo all’Oscuro Signore o a Bellatrix Lestrange, ma quando pronuncia quelle parole trema fino alle corde vocali.
La magia più antica è il silenzio, se i Mangiamorte vogliono resuscitare il male, allora, dovremo riesumare il bene: magie che nessuno sa, nemmeno io, impronunciabili e che allora diremo senza parole.
Hanno riso di lei, uno dopo l’altro – la sconfitta di Voldemort ha instillato un senso di sicurezza che è fasullo, insensato, e solamente Hermione Granger sembra avvertirlo con chiarezza disarmante. Hanno riso di lei e l’hanno seguita in quindici ma, alla fine, è rimasto solamente lui. A domandarsi se almeno Potter e Weasley le credano, o l’abbiano lasciata a combattere contro i mulini a vento.
E lei ora siede sullo sgabello, davanti al pianoforte, con i piedi a penzoloni perché è così piccola da faticare perfino a toccare terra: e pensare che, a lui, la Granger è sempre parsa un gigante. Ma, nel momento in cui comprende d’essere sola per l’ennesima volta, si rimpicciolisce così tanto che potrebbe tenerla sul palmo di una mano.
Lei non parla, forse è magia anche quella: silenziosamente stende e flette le dita sopra i tasti, cominciando a sbrogliare accordi in quell’aria troppo ferma, troppo pesante. Solamente dopo una manciata di minuti si rende conto che lui è lì, che la guarda.
«Pensavo fossi andato via» commenta, rompendo il silenzio. «Abbiamo finito. Temo per sempre».
Draco scrolla le spalle, posizionandosi al suo fianco e guardando quelle mani che non riescono a fermarsi, prese da quella canzone che colora l’aria di velata malinconia.
«Non pensavo sapessi suonarlo per davvero» commenta, con sincera curiosità. «Pensavo facessi finta».
La fa ridere – e, per un istante, smette di cucire quella matassa di note che decora dolcemente l’aria.
«A te non importa molto della musica, non è vero?» domanda, divertita. «Ti faccio vedere, se vuoi».
«Pensavo che la magia più potente fosse il silenzio» risponde Draco, mentre lei gli fa cenno di prendere un secondo sgabello e sedersi al suo fianco. «Non la musica».
Lo sguardo che la Granger gli lancia è scuro e insensato – è in quel momento che, facendolo sobbalzare, posa le mani sulle sue e inizia a guidarlo lungo la strada scoscesa di tasti.
«A volte» ammette, serafica. «Le altre, è la musica a salvare le vite».
Lui alza un sopracciglio biondissimo, stonando un accordo e facendole scuotere il capo, ma non replica.
«Sarebbe bello, se bastasse una canzone» mormora la Granger, aiutandolo a procedere tra le note. «Ma, a cantare troppo, ci troveranno sicuramente: non c’è pace, in questo mondo, e allora dovremo costruircela noi».
«Pensavo che avresti deciso di andare con Potter» commenta Draco, acido. «Salvare il mondo. Non sei fatta per questo?».
Lei non gli fa notare che lui dovrebbe esser fatto per disprezzarla e, invece, ha le mani sotto le sue e lentamente comincia a memorizzare gli accordi – eppure, nel suo silenzio, lui coglie quelle parole e leggermente arrossisce.
«Non più» risponde Hermione, sollevando le mani e permettendogli di suonare da solo. «A volte siamo fatti per mutare, Malfoy e, dopo tutto questo schifo, forse sono cambiata anche io».
Draco annuisce, mentre l’ultimo accordo viene divorato dall’aria e, quella sensazione di freddo e di vuoto, sembra avvertirla solamente lui.
«Ed è per questo che hai creato l’Esercito?» domanda, scettico. «Tu vuoi ancora combattere, Granger, e lo sai».
Lei gli dedica un sorriso ironico, che le taglia la faccia come l’alta marea gli scogli. «Non mi sono ancora spenta del tutto» commenta, divertita. «Ho ancora qualche residuo di fiamma e, poi, ho fatto una promessa».
Non dice a chi, ma lui lo sa – l’unica persona cui Hermione Granger prometterebbe qualcosa è qualcuno in grado di farsi amare abbastanza per strappargliela dalle corde vocali, quella promessa.
Ron Weasley, pensa, ma di chiederglielo non le chiede niente.
Lei sorride come una sirena, ma scuote il capo e non pronuncia una parola.
 
***
 
Quando la vede, il mercoledì pomeriggio della settimana successiva, Hermione Granger ha con sé una piccola ospite – Asteria Greengrass ha quindici anni e la mente colorata di bolle di sapone e risate, un orizzonte rosso come il sangue e poche speranze. C’è qualcosa di rotto, in lei, anche se ride a squarciagola mentre la Granger prova a insegnarle a suonare.
Draco lo vede chiaramente: ride per abitudine e non perché ci sia qualcosa per cui ne valga la pena. E, da qualche parte in quel cuore tinto in odiosi tocchi di rosso e oro, deve saperlo anche la Granger. Lo capisce in quel momento, Malfoy, che è quella la sua promessa – una ragazzina di quindici anni che ride per non piangere e, quando lo vede, spalanca gli occhi e arrossisce leggermente.
È stato la prima cotta di Asteria Greengrass, dai sei ai tredici anni, ma, quando finalmente s’era accorto che lei c’era, la sorellina di Daphne aveva preso il volo. Con chi le aveva detto ridi, perché ridere ti fa bella.
Lo capisce in quel momento, Malfoy, che se Asteria Greengrass è la promessa della Granger, allora, non è una promessa che le ha strappato via Ron Weasley – non Ron, Fred.
Mentre tutto il Mondo Magico era convinto che Hermione Granger avrebbe sposato il proprio amico di sempre, lei silenziosamente sentiva il cuore collassare per ogni sguardo di Fred Weasley.
Gli viene da ridere, anche a lui, nel pensare a quanto stronzo potesse essere il cosmo: perché Fred Weasley s’era innamorato di una tredicenne graziosa come una bolla di sapone e, in fin dei conti, altrettanto vuota. Mia sorella ha un bel sorriso e niente in testa, gli aveva detto Daphne un giorno, per questo s’innamora del primo disposto a guardarla due volte.
E non Draco, Fred l’aveva guardata due volte e poi una terza, una quarta e poi semplicemente le aveva promesso di guardarla per sempre – un per sempre molto breve, il suo, dato ch’era durato quanto l’intervallo tra due respiri.
«Non pensavo avessi ospiti» commenta Draco, con un sopracciglio alzato. «Non è un po’ piccola per partecipare?».
Asteria sorride, dolcemente – se è vero che i sorrisi hanno un sapore e un odore definiti, quelli della minore delle Greengrass sanno di uva passa e nocciole. Il sapore dell’autunno quando dolcemente tramonta e, tra i denti, lascia solamente schegge di frutta secca e un po’ di zucchero.
«Stavo andando via» dichiara, scrollando le spalle. «Hermione voleva insegnarmi a suonare ma, sai, temo di non essere molto portata».
Draco alza un sopracciglio, con aria divertita, mentre nota che, a dispetto dell’età, Asteria Greengrass supera la Granger in altezza di almeno mezza testa: ed è la Grifondoro a sembrare bambina, quando il suo sguardo accarezza la testa bionda dell’altra per poi piombare giù.
«A te non importa molto della musica, non è vero?» domanda, ricalcando il ricordo della settimana prima. «Per quel che mi riguarda, puoi anche rimanere».
Asteria scuote il capo, in uno svolazzio di capelli biondi come un tramonto – chissà se la Granger, in quel capo color del grano, non vi intraveda una dolorosissima punta di rosso.
«No, ti ringrazio» sorride, ma si vedono tutte le incrinature. «Oggi è mercoledì. Che per te sarà anche un giorno come un altro, ma…».
Sospira, arricciando le labbra piene. Draco nota, non senza orrore, che la ragazza ha gli occhi pieni di lacrime.
«Oggi è il giorno in cui gli dico che gli amo e vorrei essere con lui» sospira, infine. «Non so se puoi capire, tu da Pansy non ci vai mai».
A volte, pensa distrattamente lui, non è vero che i nomi sono solamente nomi – ma crepe nel cuore. Vuole ricordare Pansy Parkinson ma, quando ci prova, l’unica immagine che gli colora la mente è quel suo sorriso spaccato e la morte che le danzava sul volto. Non hanno mai capito chi l’avesse uccisa, ma l’hanno sepolta al cimitero dei Caduti, vicino alla tomba di Silente.
Draco non l’ha detto mai, ma ne è sicuro – Pansy stava provando a mettersi in salvo.
E, adesso che di lei non rimane altro che una nuvola di ricordi, il rimorso lo mastica lentamente: di amarla non l’ha amata mai, ma forse vorrebbe averlo fatto. Renderla felice, avere dei bei ricordi.
Ma la sua tomba è solamente una lapide con un nome e lui non ha la forza di guardare quella foto per riscoprirla sorridente – hanno ritagliato le loro foto al Ballo del Ceppo: forse, ha detto Theodore, perché è stato uno dei pochi momenti in cui Pansy era stata felice.
«Non essere indelicata» commenta la Granger, burbera. «Il dolore è un fatto personale: ognuno cura le proprie ferite come meglio crede».
Draco aspetta che Asteria Greengrass abbia scrollato le spalle e sia uscita dalla stanza, per risponderle.
«E tu fai promesse, per curare le tue?» domanda, divertito. «Deve essere orribile: forse, ho semplicemente sbagliato su di te, Granger. Sei più simile a me di quanto io non creda».
Lei inarca un sopracciglio, ma non replica, permettendogli di proseguire nel suo discorso.
«Si vede a occhio nudo, quanto la disprezzi» commenta lui, ridendo. «E quante volte ti sei domandata perché non abbia scelto te».
Draco si avvicina di un passo, ma basta affinché quella vicinanza inaspettata gli roda l’anima morso dopo morso.
«Una ragazzina» commenta, scuotendo il capo. «Puoi vergognarti di disprezzarla così tanto, ma davvero ti manca il coraggio necessario per infrangere una promessa?».
Lei china il capo e borbotta qualcosa, sorprendendolo.
«Anche tu avresti scelto lei» sussurra. «Si vede da come la guardi, Malfoy, quindi non farmi prediche inutili».
Lui ride – è il rumore dello schiaffo che lei gli aveva dato al terzo anno, o qualcosa di simile – e allunga una mano, come per toccarla, ma sembra ripensarci a metà dell’azione: e la lascia penzolare alla fine del braccio, lungo i fianchi, inutile.
«Non sai niente, Granger» commenta, scrollando le spalle. «Per quel che può valere, io avrei scelto te».
Hermione sgrana gli occhi e non dice una parola: lui le sfiora le labbra con le proprie, in un insensato atto di coraggio, togliendogliele tutte quante.
 
***
 
Well your faith was strong but you needed proof
You saw her bathing on the roof
Her beauty and the moonlight overthrew you
She tied you to her kitchen chair
She broke your throne and she cut your hair
And from your lips, she drew the Hallelujah
 
 
Quella sera, a cena la cerca e non la trova – per scoprire che s’è andata a nascondere tra le tombe dei Caduti, seduta sul terreno fangoso che annaffia di altre lacrime. Quando lo sente arrivare non alza il volto, guardandosi le scarpe in un muro di silenzio, e allora a Draco è chiarissimo: la Granger sta piangendo. Non fatica a immaginare che, la tomba sulla quale siede quietamente, altro non sia che la dimora eterna di Fred Weasley.
«Vai via, per favore» sussurra, nascondendo il volto tra le ginocchia. «Non mi va di parlare».
Lui ride, facendo tremare la luna.
«Sei seduta di fianco alla tomba di mia madre, Granger» commenta amaramente. «Posso sedermi anch’io, se non ti disturba».
È un colpo basso e ne è consapevole – lei non oserà mai dirgli di non piangere colei che ha salvato Harry Potter e, allora, come sempre chinerà il capo e cercherà di nascondere le lacrime.
«Ti cercavo» ammette Draco, guardando distrattamente il cielo punteggiato di stelle. «Non pensavo saresti scappata, sembrerebbe quasi…».
Che tu non sia mai stata baciata. Ma non ha il coraggio, non l’ha mai avuto, di dirlo a lei: c’è la luna che la bagna di luce e, Hermione, sotto quel freddo bagliore la rende solamente più sola e disperata. Forse il silenzio le salverà la vita, ma sicuramente l’aiuterà molto meno della musica a far sbiadire quei ricordi.
Lui lo sa – se i suoi ricordi sono sempre scolorati, quelli della Granger sono vividi come l’istantanea di una mancanza. E le manca, certo che le manca, così tanto da strapparle una promessa che odierà per sempre. Prima di vedere l’insofferenza con cui scrutava Asteria Greengrass, Draco non sospettava nemmeno che Hermione Granger fosse in grado di detestare qualcuno.
«Pensavo fosse più semplice di così» ammette, infine, guardandola con aria distratta. «Hai fatto una promessa, puoi sempre infrangerla, non credi anche tu?».
«Non siamo poi così simili, Malfoy» risponde lei, scuotendo il capo. «Io mantengo sempre le mie promesse».
Lui ride. «Promettimi che resterai» commenta, quieto. «Falla a me, una promessa: promettimi che rimarrai con me».
Lo sguardo che Hermione gli lancia è indecifrabile e gli fa dubitare, al netto di quelle sue parole spezzate, che la Granger sia ancora in grado di promettere qualcosa – non a Fred, a lui che la guarda e spera che dica di sì.
Se lei glielo domandasse, ed è pienamente tra i suoi diritti farlo, non saprebbe dirle quand’è che ha cominciato a cercarla tra le ombre senza rendersene conto. Non saprebbe dirle com’è che si fa ad amare qualcuno che si conosce a malapena e s’è sempre disprezzato: di certo, pensa, qualcosa s’è rotto.
E, in quei frammenti di silenzio che hanno caratterizzato lo svolgersi del dopoguerra, Draco ha perso sé stesso per riscoprirsi cambiato, anche lui – tra i cocci ha ritrovato il sapore di uno schiaffo e una ciocca di capelli ricci. Il coraggio di dirlo a lei non lo avrà mai, ma i suoi incubi peggiori sono ambientati a Malfoy Manor e sono quelli in cui non riesce a salvarla.
Non che ci sia riuscito – Hermione ha una brutta cicatrice sul braccio e l’anima in frantumi ma, a lui, non lo ricorda mai.
«Malfoy» lo richiama lei, sfiorandogli il ginocchio con il palmo della mano. «Non penso di sapere più promettere».
Lui ride, crepando l’aria. «Solo perché non ci credi abbastanza» commenta, divertito. «Non sono tutto quello che hai sempre desiderato, Granger. Ma, alla fine dei giochi, sono l’unico a essere qui, con te».
Hermione sembra soppesare quelle parole, incerta, come se non sapesse ancora se credergli – ma, quando lui le prende la mano, fermandola sopra il suo ginocchio, è dolorosamente tangibile.
E, anche se non lo fosse, un fantasma sarebbe comunque più concreto di quel vuoto che le ha lasciato Fred.
«Non so come si fa» constata, atona. «Ad amare qualcuno che non sia lui».
Non ne pronuncia il nome, ma Draco lo sa – silenziosa la promessa che si è infranta tra quelle tombe, il concitato prenditi cura di lei che l’ha vincolata per sempre: e, se Asteria Greengrass piange lacrime amare, lei le inghiotte tutte e le sta annegando il cuore in un mare che sa di sale e caffè.
«Potresti cantarmi una canzone» osserva lui, serio. «Quella che suoni sempre, al piano».
«Mi hai sentita suonare solo una volta» ribatte Hermione, perplessa. «Come fai…».
«Alle riunioni tenevi sempre le mani sopra i tasti» risponde Draco, osservandola quietamente. «Pensavo le muovessi a caso, prima. Ma, ieri, mi hai fatto replicare i tuoi stessi movimenti: suoni sempre la stessa canzone, non è vero?».
La colonna sonora della sua vita – una melodia dolcemente amara, parole dure che le spaccano le labbra e un coro di preghiera che ne accompagna il testo. Sa tutti gli accordi.
Fa un po’ così: la minore cade, la maggiore sale. Bisogna essere soli e confusi per cantare bene l’Hallelujah.
Draco Malfoy ride a tempo di musica, si rende conto Hermione, quando allunga la mano per sfiorarle il cuore.
«Sei caduta giù dal trono, Granger?» domanda, divertito. «Canta ancora un po’».
È che il trono s’è spaccato sotto il suo peso e il paradiso è perduto, quando lei avanza a tentoni nella melodia, strofa dopo strofa, parola dopo parola – lui sembra suggerirle esattamente il contenuto dei suoi pensieri: un trono inutilizzabile e un paradiso che è fottuto, mentre dalle labbra con un bacio le strappa via l’Hallelujah.
Lei lo accontenta dolcemente: d’altronde, la sua voce non le appartiene più – si riversa tutta sulle labbra di lui, che dolcemente chiude gli occhi e sembra quasi che stia scivolando via.
«Promettimi che resterai» sussurra, nuovamente, mentre lei sussurra le ultime parole. «Promettimelo».
Lei glielo promette dolcemente – non gli dice che tutto ha una fine e che finito sarà anche il collante che li tiene insieme, mentre lei muove le mani a ritmo di musica e lui chissà da che pensieri è agitato.
S’aspetta che lui le legga i pensieri, attendendo un rimprovero stizzito. Che non arriva.
Draco Malfoy sospira e lei nemmeno sa il perché.
 
***
 
Nella Sala Comune, Asteria Greengrass sta piangendo: singhiozzi rumorosi la scuotono e, nel silenzio un po’ amaro dei sotterranei, quelle lacrime sono solamente una nota stonata.
Draco ha ancora la mente che fa da coro alla canzone della Granger, quando la trova seduta su una poltrona – ha la testa e la schiena ben dritte: siede come una regina, a prescindere dallo stato del proprio trono, anche se il capo è adornato solamente da una corona di spine. Sottile, come inganno: qualcosa che ti penetra dietro la pelle a ogni movimento, compresi tutti quelli che tenti di compiere per liberartene.
Quando si rende conto d’essere osservata, la piccola Greengrass alza lo sguardo, sorpresa – ha gli occhi color acquamarina, altrettanto annacquati: diversi dal verde della sorella, ma pieni di una tale vita che Daphne non ha mai sperimentato. Non che Daphne abbia mai amato disperatamente: con passione, sì, dolcemente, anche, intensamente. Ma con la disperazione che scuote sua sorella minore, quello mai.
Eppure, constata Draco con silenzioso distacco, Asteria Greengrass nel proprio dolore preserva una sorta di composta regalità che, controluce la rende bella d’una bellezza che fa male, in una sorta di senso di crescente disagio che s’appiglia allo stomaco e non lo lascia più.
«Hai fatto tardi» constata la ragazza, con un sorriso un po’ forzato. «Pensavo che fossero già andati tutti a letto».
«Cos’ha detto tuo padre quando ha scoperto che t’eri macchiata il sangue?» risponde lui, impulsivamente. «Come ha potuto funzionare?».
No, Granger, ti sbagliavi – le persone non cambiano mai: e Draco Malfoy dovrà coesistere con il cuore che oscilla a ogni nota e la consapevolezza che siete sbagliati e innaturali, ma che ogni bacio lo spinge a cercare il successivo e quello dopo ancora. È forse questo, il prezzo del sangue più puro di tutti?
Asteria ride, dolcemente, un suono scampanellante e acuto, poco aggraziato, che Draco è costretto a domandarsi come sia possibile che quella risata la renda bella in quel modo – comunque meno di quando piange.
«E il tuo, cos’ha detto?» domanda, con un sorriso amaro. «Mio padre non era un Mangiamorte, Draco».
«Tuo padre non è nemmeno morto» commenta lui, atono. «Era semplice curiosità, la mia».
Narcissa Malfoy è caduta per mano dei Mangiamorte – non esistono traditori sopravvissuti, ha spiegato Draco a chi gliel’ha domandato: esistono traditori e sopravvissuti.
Lucius Malfoy è morto di cuore infranto e sensi di colpa, nella propria cella ad Azkaban – perché il perdono non ti salva, nemmeno se è Harry Potter a concedertelo.
«Mi piace pensare che ci saremmo sposati, un giorno, che avremmo avuto dei figli» commenta Asteria, sorridendo all’aria. «Saremmo stati felici, io ci credo davvero».
A volte, pensa Draco, è quel che ti salva: il credere fermamente in qualcosa che non esisterà mai – bambini con occhi acquamarina e capelli rossi, un abito bianco, una famiglia, amore.
E forse Asteria Greengrass felice non lo sarà mai, perché la vita è un giro di corsa dove o vinci o perdi: e lei, scommettendo su Fred Weasley, ha perso tutto.
Anche Draco, come lei, è un sopravvissuto. Ma cos’è quel che lo salva?
«Pensavo che la Granger volesse essermi amica per via di Fred» continua la ragazza, con una risata acuta. «Che fosse innamorata di lui e per questo mi sopportasse così poco. Ma, adesso, ci sei tu».
«Forse saremo noi, ad essere felici» constata Draco, senza alcuna particolare inflessione. «D’altronde, prima o poi la fortuna deve girare».
«O, forse» risponde Asteria Greengrass, con una brutta ombra che le distorce i lineamenti. «Distruggerai ancora tutto ciò che avrai l’occasione di toccare».
Lui la guarda – il re confuso compose l’Hallelujah – e non riesce a non sorridere, con aria tronfia e orgogliosa: sa che lei ha perso e lui ha in mano la carta vincente.
È il gioco delle sfide, cui lui e Daphne giocavano da piccoli, con Asteria che insisteva per partecipare: era l’unica a perdere sempre. E, anche questa volta, quando lei ha in mano solamente una coppia di due di picche e una regina di cuori, Draco cala l’asso e vince tutto quanto.
Ma lei non smette di sorridere e, se solamente guardasse un po’ meglio, Malfoy si renderebbe conto d’aver tra le mani anche una carta di un mazzo sbagliato – il quattro di spade gli sta tra le dita a rovescio, ferendogli l’anulare, e lui la seconda vista non l’ha avuta mai per cui non riesce ad avere consapevolezza.
Lei sì: si dice che i Greengrass siano tutti mezzi veggenti e Asteria non fa eccezione – le quattro spade, l’ossessione divorante: silenziosamente si trova a domandarsi se Draco Malfoy divorerà o sarà divorato.
«Non ci sono traditori sopravvissuti» conviene Draco, calmo. «Solamente traditori e sopravvissuti».
Asteria annuisce, calma, senza riuscire a smentirlo. «E tu cosa vuoi essere?» domanda. «Se è nelle tue facoltà poter scegliere».
Se possiamo davvero scegliere qualcosa, a questo mondo – ferire, essere feriti: Draco Malfoy ride e non riesce a fermarsi.
«Io voglio vincere» dice, semplicemente. «Come sempre».
Lei china il capo, giocherella nervosamente con una ciocca di capelli color grano: voleva solamente casa, l’uomo di cui è innamorata, una famiglia con lui – voleva la scala reale ma, oltre alla regina, le sono rimaste solamente due carte identiche e il re chissà dov’è finito.
«Io volevo solamente giocare» sussurra, torcendosi le mani. «Non m’importava se avrei vinto o no. Volevo solamente continuare a giocare».
Lui ride come chi ha barato con il mazzo durante una partita a poker: scala reale e due assi in mano, la regina dorme abbracciata al re e il jack è semplicemente dimenticato con il dieci e giù di lì.
Solamente gli stolti iniziano una partita a poker perché amano giocare – e, se in un tavolo non capisci entro la prima mezz’ora chi è lo stolto, allora è probabile che sia tu.
«Hai scommesso tutto quello che avevi e hai perso» commenta Draco, dandole le spalle e dirigendosi verso i dormitori. «Chi è che ha distrutto tutto ciò che ha toccato?».
Asteria china il capo, pensando che tutti posseggono qualcosa di intoccabile: lei, il ricordo che ha di Fred Weasley.
Lui – l’ossessione che nutre nei confronti di Hermione Granger.
 
***
 
Baby, I've been here before
I've seen this room and I've walked this floor
You know, I used to live alone before I knew you
And I've seen your flag on the marble arch
And Love is not a victory march
It's a cold and it's a broken Hallelujah
 

Siamo già stati qui – è che non ce ne rendiamo conto, in questo tempo e in questo spazio che piano piano si consumano come lucciole agonizzanti, ma noi c’eravamo.
 
C’eravamo, mi ricordo di queste pareti e di queste mura, io ho camminato qui: con te o senza di te non te lo so dire, non so più nemmeno come facevo ad esserci nella tua assenza – puoi sentire la mancanza di qualcuno che non conosci ancora?
Draco non sa dire se quel vuoto che l’ha caratterizzato negli anni dell’adolescenza fosse la presenza di Hermione Granger o la sua assenza, ma se glielo chiedesse, lui le direbbe che lei gli permette di pensare di poter sopravvivere a quel tradimento: essere sopravvissuto e traditore, se Lucius Malfoy lo sapesse ne morirebbe una seconda volta.
Lei lo cerca. Se ne rende conto una sera, a cena, quando si accorge che lo sguardo di lei è una libellula impazzita per tutta la Sala Grande: Hermione lo cerca quando lui non c’è e così fa lui, è un perenne cercarsi a vicenda in una sala che è sempre troppo piena. E, quando si trovano, è come se fossero passate delle ere – lui la stringe, lei lo stringe: sono uno il prosieguo dell’altra e a stento se ne rendono conto. È riunire le cicatrici in una complessa mappa di linee e punti che si rivela ininterpretabile e, per questo, dimenticabile. Ed è il sogno di due vite, dimenticare le cicatrici.
Un teschio e un serpente, lui. Mezzosangue, lei.
Ma, quando a colazione del giorno dopo Draco la cerca, anche se da lontano si rende conto che la Granger ha pianto – occhi rossi annegano nelle lacrime e, quando lui si avvicina, nota che le tremano le mani in un cieco riflesso del cuore.
Draco non domanda mai: sua, è la pretesa di sapere come fosse la sua pelle, ogni ferita che la deturpa. Sua la voglia di conoscerla in ogni sua parte, in ogni suo segreto.
Ma, per quanto provi a comprenderla, Hermione è sempre fedele a sé stessa – e, rafforzatasi nei suoi fallimenti, la Granger preserverà in sé stessa sempre qualcosa di totalmente incomprensibile.
«Hai pianto» non domanda, afferma. Poi domanda per davvero. «Perché?».
«Harry e Ron» commenta lei, strisciando via dal viso le lacrime con il dorso della mano. «Loro non…».
Le mancano le parole, ma lui abbonda di consapevolezza: la Granger sta cercando di dirgli che non hanno avuto la benedizione dei suoi due migliori amici – e lei, come ogni volta nel rapporto con Potter e Weasley, è rimasta scottata.
Lui la vorrebbe vedere sempre come gli piace ricordarla: seduta al pianoforte che canta l’Hallelujah con voce incrinata ma le mani salde e, quando si rende conto che lui la sta guardando, sorride. Forse non l’ha mai vista così, ma è l’immagine più bella che ha di lei.
«Dovresti scegliere con criterio le tue amicizie» borbotta Draco, contrariato. «L’ho sempre pensato».
Lei alza gli occhi al cielo, ma le scappa un singhiozzo e, allora, tutta la serietà del gesto si annulla nel sentore di lacrime imminenti.
«Sono i miei migliori amici» risponde, con forza. «Non dicono che debbano piacerti, ma sarebbe bello che voi…».
«Ero sempre solo, prima di conoscere te» commenta lui, calmo. «Non circondarmi di gente, Granger, non sono adatto».
Le strappa un sorriso – ma non la convinzione che dovrebbe fare amicizia con Potter e Weasley, anche se non glielo dice esplicitamente.
È che eri troppo rotto e io cerco di tenerti insieme, vorrebbe dirgli. Anche se tu non vuoi più.
C’è qualcosa di meravigliosamente decadente in Draco Malfoy, qualcosa che è marcito a tal punto da far l’odore del solvente per le unghie più a basso mercato di tutto il mondo Babbano: un odore disgusto, ma che non si riesce a fare a meno di continuare a percepire. Sa di infanzia, di mamma, una reverie da cui è difficile discostarsi – lui è così: la sua reverie, dove i pensieri si abbandonano in una fantasticherie senza inizio o fine.
«Se tu me lo chiedessi, io vorrei conoscere i tuoi amici» commenta lei, calma. «Se la cosa ti facesse piacere».
Lui ride, è amaro come il caffè smacchiato delle tre di notte, che si schiarisce sulla peggiore delle insonnie.
E lei che non ci si raccapezza, che non capisce perché stia ridendo in quel modo: come se gli avessero regalato la vita o come se gliel’avessero appena sottratta.
«Non ho amici» spiega Draco, laconicamente. «E, anche se li avessi, sarebbero tutto ciò che ti sei sempre impegnata a combattere. Come me».
Hermione non replica – da qualche parte, c’è un frammento di lei (l’amica di Harry e Ron, la ragazzina innamorata di Fred) che vorrebbe solamente urlare che ha ragione. Ma poi il resto di lei, che è la parte che lentamente si sta innamorando di Malfoy, le risponde di smetterla con quei pensieri.
Draco non si sente in dovere di aggiungere niente – Pansy è morta, Vincent è morto, Gregory è sparito dopo la cattura dei suoi genitori.
Theodore ha preso le distanze da chiunque abbia a che fare con i Mangiamorte, Daphne ha deciso di terminare gli studi a Beauxbatons, Blaise l’ha seguita in una nuvola di malcontento. Asteria, dopo una mano di carte disastrosa, non sa come riprendersi: ha perso tutto, lui cerca di convincerla che non ha mai avuto niente – ma quel ricordo è comprensibile e quindi incancellabile.
«Non ho amici» ripete, scandendo bene le parole. «A questo punto, dovrei domandarmi se ne ho mai avuti per davvero».
Hermione non risponde – se lo facesse, dovrebbe confessargli che l’ha ferita nel cuore e nella sua voglia di proteggere per essere protetta: ma significherebbe dargli una carta che gli manca per chiudere la partita e, allora, non dice niente.
Però lo pensa. Che potrebbe strapparle l’asso di cuori dalla mano e la fede dal cuore, costringendola a sputare un Hallelujah che finirà solamente per ferirle le labbra – quando le cadrà sulla maglia, macchiandola di sangue, scoprirà che la sua canzone s’è rotta in pezzi di ghiaccio.
 
***
 
Si aspetterebbe che, togliendogli i vestiti, lui le permetterà di vedere quel suo cuore messo a nudo. Non lo fa. Non lo fa mai.
È che è sempre stato egoista e viziato, Draco Malfoy, e per quanto lei possa provare a rimetterlo a posto – non cambierà.
E, quando è lui a toglierle i vestiti, la risposta la colpisce come uno schiaffo in pieno volto – anche quando, a colpirlo, era stata lei anni prima.
Lui ride, scoprendo che nuda ha la stessa anima che mostra da vestita: ma, d’altronde, è sempre stata una prerogativa dei Grifondoro essere così come appaiono.
«Solo perché pensi che l’amore sia una marcia trionfale» commenta, carezzandole il capo. «Sogni troppo, Granger».
«Solo perché tu pensi che la canzone di sottofondo sia l’Hallelujah» risponde lei, posando la mano su quella di lui. «Sogni troppo poco, Malfoy».
Draco non la contraddice mai – sa quanto pericoloso possa essere e, allora, le permette di pensare che abbia ragione: ma le nasconde il fatto che, per quanto Hermione possa pensare d’averlo visto, in realtà l’ha guardato solamente nell’attimo in cui cambiava pelle. Di tutte quelle che ha messo e tolto, però, come fare a comprendere quale sia quella vera?
«Non so come faresti, a rimanere sveglia, se io me ne andassi» ride, amaro, toccandole il petto e il cuore. «Sogni troppo per davvero».
Lei lo guarda – cieca determinazione nello sguardo: dietro l’amore insensato che prova per lui, a dispetto di quanto possano dire Harry e Ron, è sempre lei.
«Non te ne andrai» risponde, salda. «Tu non te ne andrai e penso di potertelo promettere».
Eppure, urla l’amica di Harry e Ron e la ragazzina che amava Fred, lo dicono tutti, che è cambiata. Che adesso vive alla ricerca di Malfoy e, quando non lo trova, diventa nervosa, irritabile. O, almeno, glielo dicevano.
Harry ha detto che non dirà più una parola – e non perché sia sbagliato amare, ma è la modalità a essere nebulosa come il respiro di un fiore velenoso: ha detto che non le dirà che si sta annullando come una scintilla sulla sabbia bagnata, ma che continuerà a pensarlo.
Ron è stato meno democratico e le ha detto che quel loro amore bizzarro finirà per consumarli entrambi: vivi per lui, Hermione, non è amore questo – cosa faresti se lui ti lasciasse?
Ma lui non mi lascerà mai, ha risposto lei in ultima battuta, non glielo permetterei, Ron, dico davvero.
Lascia perdere, non capisci.
Ginny la guarda con aria piena di compassione e le chiede se sia sicura, perché di amare non si sceglie, ma tu non sei più la stessa e penso che te ne renda conto: te ne rendi conto, non è vero?
È che l’amore ti scolpisce d’accapo le ossa e ti migliora, per questo mi vedi cambiata – lascia perdere, Hermione, non è questo che intendevo.
Cerca di non pensarci mai – ma se Fred potesse parlare, probabilmente le direbbe le medesime cose e lei comunque si rifiuterebbe di ascoltare.
«E se mi innamorassi di un’altra?» la pizzica lui, tirandole allegramente una ciocca di capelli. «Cosa faresti?».
Lei non vorrebbe, ma pensa ad Asteria Greengrass: il caldo le ha disegnato piccole efelidi sul bel viso e, l’altro giorno o un mese fa, ha lentamente ricominciato a sorridere.
Lei non vorrebbe, ma pensa ad Asteria Greengrass, a sua sorella Daphne e a tutte le altre ragazze che sa aver parlato almeno una volta con Draco.
E non vorrebbe, davvero non vorrebbe, ma le manca il fiato e vorrebbe solamente allungare la mano per scoprire se lui è ancora lì. C’è.
Spogliato della sua pelle, ma ne ha sempre addosso una nuova – quella definitiva non arriva mai e lei rimane una scintilla in mezzo al ghiaccio che lentamente si spegne in un soffio che sa di solvente per le unghie.
«E se m’innamorassi io di un altro?» risponde lei, acida. «Che faresti?».
Lui stringe i denti.
«Non lo faresti mai» sibila, chinandosi per catturarle le labbra in un bacio. «Hai detto che saresti rimasta».
«Lo so» sussurra Hermione, tamburellandogli le dita sul petto. Non se ne rende nemmeno conto ma, alla cieca, sta suonando l’Hallelujah. «Rimarrò sempre con te, lo sai».
Anche se non ci crede nessuno – nemmeno tu.
Non ci crede Harry, o Ron, Ginny e probabilmente nemmeno Fred – ma, amore mio, io ti giuro che ci credo. Anche se non te lo dico mai.
È che le parole pesano come cubetti di ghiaccio sulla punta delle dita e io ho tanto freddo che non riesco a parlare. Vedo le tue impronte sulla sabbia, tu dove sei?
Siamo già stati qui, eppure non so come fare a orientarmi – sei un labirinto di cui perdo sempre il filo così come mi fai perdere le parole, una reverie che prosegue nel dormiveglia e mi rende difficile capire dov’è che inizia il sogno e finisci tu.
Draco sorride, soddisfatto.
«Voglio sapere sempre dove sei» sussurra. «Quando non ci sei ho sempre paura che tu te ne sia andata».
Lei sorride – e urla che non è amore, ma dipendenza che si consuma nel loro bisogno di sopravvivere. Non è amore, è istinto.
Ma lui la guarda con un’intensità tale che è un grido che il vuoto si divora e, allora, rimangono solamente due parole: è amore. Perché, se non lo fosse, altra definizione lei non saprebbe pensarla.
«Promettimi una cosa» risponde Hermione, aggrappandosi alle sue spalle in un abbraccio che sa di sale e disperazione. «Per favore».
Draco la guarda con aria interrogativa, aspettando quella richiesta che lei pronuncia e lui non comprende.
«Promettimi che mi cercherai ogni volta che penserai che io me ne sia andata» sussurra. «Anche se non mi vedi, cercami».
Lui lo promette dolcemente – lei in silenzio risponde che la fine arriverà comunque e avrà il sapore di una canzone gelida o una marcia trionfale.
Saprà di madeleine l’hallelujah che le strapperà dalle labbra: dolcissimo, ma inconsistente, e lei rimarrà a domandarsi dov’è che finisce la reverie e comincia lui.
 
***
 
Well, there was a time when you let me know
What's really going on below
But now you never show that to me, do you?
But remember, when I moved in you
And the holy dove was moving too
And every breath, we drew was Hallelujah
 

 
C’è stato un tempo in cui ancora lei raccontava e si confidava e che ora semplicemente non è più.
Pasqua arriva troppo presto – Draco Malfoy si rifiuta di seguirla alla Tana e la lascia sola ad affrontare i suoi amici: Hermione non gliene fa una colpa, non potrebbe mai, e china il capo di fronte alle preoccupazioni di Harry e Ron.
Ma è il primo a toglierle la terra da sotto i piedi: perché le sue impronte sono sempre state una linea guida e, adesso che le ha cancellate, camminare non serve più a niente – e il Prescelto la guarda con dolorosa comprensione e le dice che. Che crede che sia amore, ma non lo è.
Che è un attaccamento amaro e doloroso, un inseguirsi senza prendersi mai e, in qualche modo che lui non vuol comprendere, è un bisogno ossessivo e morboso. Che crede sia amore, ma la crisi d’astinenza le sta facendo venire i capelli bianchi e la fa ridere nervosamente quando si rende conto che è seduta a tavola – e non c’è un pianoforte e lui non è lì.
«Credevo che rifondare l’Esercito ti avrebbe fatto bene» commenta Harry, il giorno che riesce a convincerla a fare una passeggiata per i campi dietro la Tana. «Che ti avrebbe dato uno scopo».
C’è un sentiero che costeggia la casa e scivola su una collina, attraversa una vallata e poi si perde. Qualcuno l’ha cancellato e anche lei è così (perduta, cancellata) in una valle di pensieri che non sono più i suoi, in mente le note di una canzone che è ninnananna e insonnia a pari merito.
«Ginny mi ha detto che hai smesso di chiederle di partecipare alle riunioni» continua Potter, calmo. «Che siete rimasti solamente tu e Malfoy».
Hermione alza gli occhi al cielo, scontrandosi con quel quieto grigiore – minaccia pioggia, non pioverà – e facendole pregustare il sapore di una lacrima priva di sale.
Non se ne rende conto: Hermione Granger piange di notte e, quando si risveglia, ha gli occhi asciutti e non ricorda cos’ha sognato.
«E anche se fosse?» domanda, quieta. «Se ne sono andati tutti, Harry: la gente è stanca di cercare qualcosa per cui combattere».
Harry Potter annuisce, tirando indietro i capelli scarmigliati e, controluce, il sorriso gli pare solamente una seconda cicatrice sul volto.
«Non Malfoy, pare» risponde, non senza amarezza. «Vi siete trovati, dice Ginny. Io penso più che sia stato lui, a trovare te».
È in quel punto, lì dove il sentiero si annulla nella vallata, che Harry matura la consapevolezza che la sua migliore amica s’è persa per sempre – quando Hermione lo guarda e, con un risolino sommesso, incrina l’aria.
«E anche se fosse?» domanda, alzando un sopracciglio bruno. «Tu e Ginny non vi siete trovati?».
«Io e Ginny ci siamo cercati, Hermione» risponde il Prescelto, inghiottendo un bolo che sa di stucchevole disperazione. «Tu e Malfoy… io penso che non faccia bene a nessuno dei due: avete qualcosa di…».
Rotto e disfunzionale che vi fa pensare che siete simili: ma si possono amare per davvero, due persone con le medesime ferite?
E non avete un limite – vi graffiate fino a scoprire le ossa e, alla fine, piangete per la frustrazione: è forse amore, questo?
È qualcosa di sbagliato – ma vi rende ancora più simili.
«Sto bene, Harry» mastica lei, sputando via quella frase come fosse avvelenata. «Lo capisco che può non piacerti, ma le persone cambiano».
«Ma qui, quella cambiata, sei solamente tu» commenta lui, esasperato. «Credi che non me ne accorga, Hermione? Hai preso Accettabile in Trasfigurazione e mi hai risposto».
Prende un grosso respiro, come se quelle parole gli pesassero sulla trachea privandolo dell’ossigeno.
«Che sono solamente stupidi voti» sibila, guardandola con apprensione. «Non me l’ha detto Ginny o chiunque altro. Lo hai detto tu».
«Ho imparato a ridimensionare, Harry» risponde lei, con ovvietà. «A cosa servono, i voti, quando…».
Quand’ho lui – ma inghiotte via quelle parole, sapendo che Harry Potter non comprenderebbe.
Perché il suo amico di sempre scuote la testa, esasperato, e la scrolla leggermente prendendola per le spalle, come se servisse a riavviarle il cervello. Quello su cui ha – hanno – contato per anni, inutile, inutile.
«Non sei più tu» le sussurra. «Sembra che il tuo mondo giri perché c’è lui e, quando non c’è…».
Sei cupa, silenziosa, irritabile: a volte mi domando perché tu abbia acconsentito a lasciarlo solo, se la sua mancanza è fonte di un simile tormento. Se ti stai distaccando dai tuoi amici, casa tua, solamente per seguirlo sul baratro.
In nome del vostro amore, starai pensando – io penso che voi, sebbene siate in due, non riusciate a salvarvi insieme.
«Sono sempre io» asserisce Hermione, senza alcuna particolare inflessione. «Ed è normale, quando si ama qualcuno».
Harry Potter sorride, non può fare altro.
«Staresti con lui anche se significasse perdere me e Ron?» la incalza, con una fitta al cuore. «Rispondimi: lo faresti?».
Lei pare soppesare le parole – quando risponde, ha gli occhi vuoti e le frasi suonano metalliche lungo il confine sonoro dei denti.
«Sì» sussurra, torcendosi le mani. «Lo amo davvero, Harry. Io… non riesco più a contemplare un mondo in cui qualcuno o qualcosa possa volerci tenere separati».
«E staresti con lui anche se lui non ti amasse quanto lo ami tu?» domanda, dandole le spalle.
Lei annuisce – Harry la sente, anche se non può vederla: ne percepisce la risolutezza, la cocciutaggine, e l’insensatezza con cui s’aggrappa alla sua immagine di Draco Malfoy.
«E allora non è amore» sussurra, cominciando a camminare oltre il sentiero. «A te piace crederci, ma tu non ami Malfoy».
«Harry, io…» lei non lo segue.
«Tu non lo ami, dipendi da lui» sussurra, prima di sparire dal suo campo visivo. «E, sul finire, cosa rimarrà di te?».
Hermione non lo sente – se ne fosse in grado, risponderebbe che rimarrebbe cenere coerente con i suoi pensieri: un soffio gelido che compone una parola soltanto. Hallelujah.
 
***
 
Ti ricordi?
Il giorno in cui hai cambiato casa – Cissy aveva fatto armi e bagagli per trasferirsi nella tenuta in Scozia ma, nella casa d’infanzia di suo marito, non ci avrebbe mai messo piede: sulla soglia, l’aspettava suo cognato. Rodolphus Lestrange l’hanno catturato poco dopo, li aspettava sorseggiando un tè nel giardino di famiglia in Provenza.
Ha detto: dopotutto, ho fatto bene a ucciderla – non esistono traditori e sopravvissuti, ma Narcissa era una buona candidata. Lieto che sia morta per mano mia: d’altronde, se lei non avesse tradito, mia moglie sarebbe sopravvissuta.
Lo hanno processato e rinchiuso ad Azkaban. Il Wizengamot ci ha messo tre giorni per deliberare, Draco Malfoy non ha presenziato a nessuno di questi: non desiderava giustizia, per sua madre, forse la resurrezione. Ma Cissy Black-Malfoy non era risorta il terzo giorno e, allora, le speranze del figlio erano sgonfiate in un mare di malumore.
Ne sente la mancanza – sua madre è sempre stata la migliore delle confidenti e, adesso, non gli rimane altro che il suo quadro in salotto: a volte è lì e a volte in Scozia ma, quando c’è, ha gli occhi velati di tristezza.
Il pittore era di talento: le ha restituito la stessa esasperazione che l’aveva caratterizzata negli ultimi anni della sua vita.
«Ti ricordi, Draco?» cinguetta il dipinto, sorridendo dolcemente. «Adoravi la Scozia e, quando era estate, insistevi sempre per invitare le sorelle Greengrass a casa: non ho mai capito di chi fossi innamorato delle due, ma sorridevi così tanto».
«Daphne» risponde Draco, serafico. «Era Daphne».
Asteria – invece era Asteria: ma ammetterlo ad alta voce lo renderebbe reale, così come l’occhiata che lei silenziosamente gli ha lanciato prima di partire per le vacanze Pasquali. Non è amore, urlava.
E poi: scappa.
«Daphne, sì, ho sempre pensato fosse lei» continua Narcissa. «E quando era primavera t’invitavano sempre alla festa di compleanno della minore: tu eri così felice, non…».
Non lo sei stato mai più.
«Sono stati bei tempi» commenta Malfoy, laconicamente. «Ma sono passati, mamma, e ora sono felice per altri motivi».
L’immagine dipinta – non è sua madre per davvero – serra le labbra, scuotendo il capo biondo. Il pittore s’è preso la libertà di farla ancora giovane, ancora bella: niente fili d’argento a ingrigirle le tempie, niente disperazione all’angolo degli occhi.
Forse è questo che continua a urlare a suo figlio che non è davvero lei.
«Dici di essere felice, ma sei sempre teso e…» il quadro soppesa le parole. «Draco, se non ti dona quiete non è mai amore».
Ma, della Granger, ama il tormento interiore – è quello che sposa e sceglie, le sue mani irrequiete sui tasti del pianoforte.
Nei suoi pensieri, è sempre seduta lì a canticchiare l’Hallelujah a bocca chiusa, inciampando sempre sul medesimo accordo.
A te non importa molto della musica, non è vero?
«Non mi serve la quiete» risponde, allontanandosi a grandi passi. «Il silenzio è dispersivo, mamma: mi piace che, sentendola cantare, posso riuscire a trovarla ovunque».
Hermione Granger ha il cuore di vetro soffiato ma, quando lo tocca, si rende conto che ha la durezza del diamante – e Draco sa che, per quanto lui possa tenderla e tirarla, lei non si spezzerà mai sotto le sue dita.
 
***
 
Maybe there's a God above
But, all I've ever learned from love
Was how to shoot somebody who outdrew you?
And it's not a cry, that you hear at night
It's not somebody, who's seen the light
It's a cold and it's a broken Hallelujah

 
 
Promettimi che.
Che non mi lascerai mai – ma, quando i singhiozzi di lei spaccano il tempo e lo spazio, è Draco a lasciarla andare.
Lei dice d’aver rovinato tutto, lui le risponde che erano già rovinati in partenza – che si ritroveranno, da qualche parte del mondo e canteranno insieme l’Hallelujah.
«Ma a te non importa niente, della musica» sussurra Hermione, incapace di lasciarlo andare.
Lui sorride. «Lo so, ma la fine arriva comunque» commenta. «Ti troverei ovunque, solo… ho bisogno di ricucirmi per ricucire te».
Lei sorride. Dalle labbra le esce un suono gelido e spezzato.
 
 
Hallelujah
Hallelujah
Hallelujah
Hallelujah
(Hallelujah – versione cantata da Jeff Buckley)
   
 
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