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Autore: Alexa_02    19/08/2021    1 recensioni
Julianne ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare, quando guarda la sua vita non c’è una virgola che cambierebbe. È così sicura che ogni cosa andrà nel giusto ordine ed esattamente come se lo aspetta, che quando si sveglia e trova la lettera di addio di sua madre non riesce a capacitarsene.
Qualcosa tra i suoi genitori si è incrinato irrimediabilmente e April ha deciso di scompare dalla vita dei figli e del marito senza lasciare traccia o la benché minima spiegazione.
Abbandonata, sola e ferita Julianne si rifugia in sé stessa, perdendosi. Una spirale scura e pericolosa la inghiotte e niente è più lo stesso. Julianne non è più la stessa.
Quando sua madre si rifà viva, è per stravolgere di nuovo la sua vita e trascinare lei e suo fratello nell'Utah, ad Orem, dalla sua nuova famiglia.Abbandonata la sua casa, suo padre e la sua migliore amica, Julianne è costretta a condividere il tetto con cinque estranei, tra cui l'irriverente e affascinante Aaron. Tra i due, da subito, detona qualcosa di intenso e di forte, che non gli da scampo.
Può l’amore soverchiare ogni cosa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Julianne
 
Che. Idea. Del. Cavolo.
Perché sono in piedi davanti a questo stupido microfono?
Ah, già. Perché sono diventata sentimentale. Mannaggia al momento esatto in cui ho deciso di smetterla di essere un orso bruno e ho deciso che dovevo essere migliore. Ma a cosa pensavo?
Un faretto accecante mi illumina e io ringrazio mentalmente Chastity di avermi costretta a truccarmi, in macchina. Faccio un passo incerto verso l’asta di metallo. “Salve” gracchio. “Noi siamo gli Hazy Heavy”. Grazie al raggio luminoso non riesco a scorgere niente di quello che si trova al di sotto del palco. Ne sono estasiata, perché se vedessi le facce indifferenti dei giudici probabilmente darei di stomaco.
Mi giro verso Aaron. Non penso di farcela, ho bisogno che mi incoraggi. I suoi occhi verdi sono già su di me e mi guardano pieni di amore. Essere amati così tanto e così profondamente ti rende forte. Ti fa saltare muri, ti fa combattere battaglie e, soprattutto, ti fa dimenticare cosa cavolo sia la paura.
Stringo il microfono con più sicurezza. “Il nostro singolo si chiama Finally Free, speriamo che vi piaccia”. Faccio un piccolo cenno a Tyson e lascio che le sue mani compongano l’armonia. Note delicate si librano nell’aria e intorno a noi. Non penso a nulla e lascio che la musica sia la guida.
Hearts on fire
We’re no liars, so we say what we wanna say
I'm awakened, no more faking
So we push all our fears away

Don't know if I'll make cause I'm falling under
Close my eyes and feel my chest beating like thunder

I wanna fly
Come alive
Watch me shine

La batteria mi rimbomba alle spalle, seguita dal basso e dalla chitarra. Sfilo il microfono dal supporto e perdo qualsiasi tipo di inibizione. Il palco è di nuovo il mio regno.
I got a spark in me
Hands up if you can see
And you're a part of me
Hands up if you’re with me
Now til eternity
Hands up if you believe
Been so long and now we’re finally free

I ragazzi suonano con impeto, seguono la musica e il ritmo pulsante del cuore. Non c’è spazio per la paura o per l’incertezza quando ci siete solo tu e la tua canzone.
We’re all bright now
What a sight now
Coming out like we’re firеworks

Marching on proud
Turn it up loud
Cause now we know what we’rе worth

Aaron si avvicina al microfono che gli sta difronte e, strimpellando con il dio del rock, lascia che la sua voce si fonda con la mia.
We know we can make it
We’re not falling down under
Close my eyes and feel my chest
Beating like thunder

I wanna fly
Come alive
I got a spark in me
Hands up if you can see
And you're a part of me
Hands up if you’re with me
Now til eternity

Hands up if you believe
Been so long and now we’re finally free

I got a spark in me
Hands up if you can see
And you're a part of me
Hands up if you’re with me
Now til eternity
Hands up if you believe
Been so long and now we’re finally free

Mi avvicino a lui finché il mondo non scompare. Condividiamo il microfono, l’aria e il cuore. Non c’è nessun altro. Non c’è spazio per nessun altro.
I suoi occhi mi trasmettono tutto, ogni cosa detta e tutto ciò che non è riuscito a spiegarmi.
Io faccio lo stesso, voglio che sappia tutto. Perché qui e adesso sono una parte di lui e lui è una parte di me. Fino all’eternità.
Inevitabilmente e completamente.
I got a spark in me
And you’re a part of me
Now till eternity
Been so long and now we’re finally free
I got a spark in me
Hands up if you can see
And you're a part of me
Hands up if you’re with me
Now til eternity
Hands up if you believe
Been so long and now we’re finally free

Oh, oh oh
Been so long and now we’re finally free

La musica si dirada lentamente, come la nebbia.
Sudata e senza fiato riposiziono il microfono sull’asta. “Grazie” espiro.
Il faretto che mi acceca si spegne e un applauso scrosciante riempie l’aria. Tutti e cinque i giudici sono in piedi e battono le mani con entusiasmo.
Mi giro e scendo dal palco con le gambe che tremano, come gelatina durante un terremoto. Le ragazze ci sono addosso in un attimo. Le loro voci si mescolano al rimbombare concitato del sangue che mi pulsa nelle orecchie.
“Oh, mio Dio! È stato spettacolare!”.
“Ho letteralmente i brividi”.
“Siete stati fantastici”.
Il braccio di Aaron mi stringe la vita e mi attira contro il suo corpo. Ci fa piroettare sul posto, aumentando la sensazione di essere finita in mezzo ad un tornado. “Grazie”. È l’unica parola che mi sospira tra i capelli prima di posarmi delicatamente a terra.
Un addetto ci esorta a radunarci vicino alle altre band e ad aspettare il verdetto dei giudici che bisbigliano freneticamente tra loro.
Finalmente, una delle giurate si alza dal tavolo rettangolare e lentamente si avvia verso il soppalco. Lip mi agguanta la mano e la stritola, rischiando di sbriciolarmi qualche falange.
Lei si accosta al microfono e lancia un’occhiata verso la cartelletta di legno. “Grazie a tutti i giovani talenti che si sono esibiti in questa manche, siete stati tutti davvero bravissimi. Purtroppo, però, ad ogni turno possiamo far passare solo due band. Non prendetela come una sconfitta, ma come un’opportunità per capire dove e cosa si può migliorare”. Esibisce un sorriso di repertorio. “Le due band che passano questa fase sono…”. Chiudo gli occhi e stringo la mano di Aaron. “I Dysmorfic…”. Un boato eccitato si alza alla nostra destra.
Ti prego.
Ti prego
.
Il cuore mi martella freneticamente nel petto. “…e i Blood Rain! Congratulazioni ad entrambe! La prossima manche si terrà tra tre settimane, sempre qui a Salt Lake City”. La mano di Lip scivola via dalla mia, mentre quella di Aaron mi stringe con più forza. Una colata di gelida delusione mi scivola nell’esofago. “Ancora grazie a tutti i concorrenti per averci provato e per essersi messi in gioco. Mi raccomando, non smettete mai di fare musica”.
 
Con il morale ormai sottoterra, ci rifugiamo in un ristorantino giapponese e affoghiamo la delusione in un pasto all you can eat. Sfortunatamente, nemmeno tutti gli uramaki del mondo possono cancellare la delusione e la tristezza che aleggiano tra noi come dei fantasmi.
Vorrei avere qualcosa da dire, una frase di incoraggiamento o un discorso motivazionale che possa aiutare. La verità, però, è che ci speravo davvero anche io. Ero così sicura che ce la avremmo fatta e che il mio contributo alla fine fosse servito davvero a qualcosa. Invece, siamo rimasti a bocca asciutta e la mia collaborazione è stata del tutto irrilevante.
“Okay”. Aaron si raddrizza. “So che siete incazzati e delusi, lo sono anche io, ma questo non ci fermerà e non ci porterà a smettere. Vi concedo la serata per autocommiserarvi, ma da domani si cambia registro. Ricominceremo più cazzuti e determinati di prima, mettetevelo bene in testa”.
Matt si sporge verso di lui. “Abbiamo fatto schifo, Aaron, accettalo”.
Lui scuote la testa. “Non è vero, siamo arrivati terzi”.
Ci giriamo tutti verso di lui. “E tu come lo sai?” domanda Lip.
Alza le spalle. “Ho sbirciato la cartelletta dei giudici. Siamo arrivati terzi, non ultimi, non sesti, ma terzi. Significa che ci manca un passo, solo mezzo metro al traguardo. Vogliamo veramente smettere quando ci siamo così vicini?”.
Lip si infila in bocca un gamberetto. “No, cazzo”.
Aaron aspetta che scuotiamo tutti la testa e poi continua. “Bene. Allora fate sparire quei musi lunghi e rendiamo questa serata memorabile”.
Dopo aver ingurgitato tutto il cibo possibile, ci stabiliamo dentro un localino rustico e diamo il via all’incontro del secolo. Donne contro uomini che si fronteggiano su un tavolo da biliardo consunto, per stabilire quale squadra avrà l’arduo compito di comprare da bere. L’idea di partenza era solo quella di un match amichevole per svuotare la mente e per alleggerire l’atmosfera, ma l’astio tra Peyton e Lip lo ha trasformato in uno scontro all’ultimo sangue.
La prima partita si conclude con un assurdo pareggio, che alimenta inevitabilmente il loro patologico bisogno di vincere. Durante la seconda, Lip, ormai in totale svantaggio, fingendo di stiracchiarsi incasina la disposizione delle palle, portando ad un risultato inconcludente.
Ormai stufi del loro teatrino, decidiamo di comprarci da bere da soli e di lasciargli il piacere di disputare l’ultima partita solo tra loro due.
Purtroppo, però, abbiamo decisamente sottostimato la loro capacità di comportarsi da adulti. Lip colpisce il sedere di Peyton con la stecca, facendola imbestialire e spingendola a cercare di colpirlo con la palla 6. Lip, fortunatamente, si scansa evitando il trauma cranico, ma sfortunatamente la palla finisca tra i bicchieri del tavolo vicino. Vetri e alcolici schizzano per aria, inzuppando i muri e i clienti. Il padrone del locale ci butta fuori senza tante cerimonie, bandendoci a vita dal suo bar.
Sghignazzando ci ritiriamo in hotel, chiudendo definitivamente la giornata.
 
Stanza 309. Dieci minuti.
Esamino il messaggio di Aaron mordicchiandomi il pollice. Il piede sbatacchia autonomamente contro il tappeto, seguendo il ritmo delle farfalle che si rimescolano esagitate nello stomaco.
La testa di Chas sbuca dalla porta del bagno. “Tutto okay? Stai lanciando segnali morse a quelli del piano sottostante?”.
Stacco la gamba dal pavimento e me la infilo sotto il sedere. “Tutto bene” sbiascico.
Mi guarda un po’ scettica, ma non aggiunge altro e si ritira in bagno. “Stavo pensando che potremmo farci qualche maschera e magari guardare un film. Oppure possiamo invadere la camera di Peyton e Dorothea e saccheggiare il loro minibar” mormora.
Scivolo giù dal letto e mi infilo velocemente le scarpe. Butto tutta la mia roba nello zaino e me lo appoggio sulla spalla.
“Ma forse tu hai altri piani…”. Mi giro lentamente verso di lei e i suoi occhioni grigi mi osservano divertiti. “Devi andare da qualche parte, Julianne?”.
“Ecco…” sospiro.
Incrocia le braccia al petto. “Sì?”.
“È un problema se sparisco, diciamo, per tutta la notte?” esalo. Chastity inarca un sopracciglio. “Non voglio abbandonarti qui ma siamo lontani da casa, praticamente su un altro pianeta, e vorrei davvero cogliere l’occasione”.
Chas arriccia le labbra. “Oh, ma che carina. Mi chiedevo perché fossi ancora qui ed è per me”.
“Cosa?”.
Mi sventola la mano davanti. “Appena tornate in hotel pensavo che saresti sparita tipo subito, invece sei rimasta per non ferirmi. È la cosa più dolce del mondo, davvero”.
Sono più confusa che mai. “Perché ti aspettavi che sparissi?”.
Inclina la testolina bionda. “Beh, siamo in un edificio pieno di letti e privo di qualsiasi supervisione parentale, la risposta è alquanto ovvia”.
Mi avvicino alla porta. “E mi lascerai uscire senza farmi domande?”.
“Ho moltissime domande, ma solitamente quando tocco l’argomento ragazzo misterioso ti chiudi a riccio; quindi, mi limiterò a sorridere e a dirti di divertirti”.
Afferro la maniglia di metallo. “Davvero?”.
“Sono sicura che me lo dirai quando sarai pronta a fidarti al cento percento di me”.
Il senso di colpa mi fa vacillare. “Io mi fido di te, Chas. È che…è davvero molto complicato”.
Sorride dolcemente. “Lo so. Aspetterò”. Mi da una leggera spintarella. “Vai, non preoccuparti per me. Non sei mica l’unica che avrà compagnia stanotte”.
“Okay” sospiro. Esco dalla stanza e mi incammino verso l’ascensore. Quando sono ormai a metà corridoio, la sua testa sbuca fuori dalla camera e urla. “Fai tutto quello che farei io! E ricordati le protezioni!”.



I tre numeri di metallo inchiodati alla porta stanno ormai ridendo di me. È da ben sette minuti consecutivi che li fisso senza muovermi. Probabilmente ho smesso pure di respirare. Sono morta, è ufficiale. Se no non si spiega perché diavolo non riesco a bussare su questa stramaledettissima porta.
Da dove viene tutta questa agitazione?
Perché sto sprecando tempo prezioso ad esaminare le rifiniture del legno di balsa invece di fiondarmi sul ragazzo più bello del mondo?
Il sesso non mi ha mai messa a disagio, è sempre stato molto facile, quasi scontato. Certo, le ultime volte ero completamente in un’altra dimensione, ma anche al mio massimo di lucidità non ho mai avuto così tanta paura, nemmeno la prima volta.
Aaron porta l’intimità a un livello diverso, estraneo, al quale non sono mai arrivata. Con lui non sarà mai semplicemente sesso.
E se non ci sono scintille?
E se faccio schifo?
E se mi sono dimenticata come si fa?
La porta si spalanca diradando le mie farneticazioni. “Sei qui” sospira Aaron “Pensavo ti fossi persa”.
Stringo il manico della borsa. “Chastity mi ha fatto il terzo grado, non voleva lasciarmi andare”.
Da quando gli mento? “Cosa le hai detto?”.
Si sposta di lato per farmi entrare. “Le solite balle”. Alzo le spalle e faticosamente abbandono il solco nel tappeto in cui mi ero rintanata.
La stanza è più ampia e molto più elegante della doppia che condivido con Chas. “Pensavo che stessimo tutti al secondo piano”.
Aaron chiude la porta e si avvicina. “Diciamo che questa è un extra, non potevo certo farti venire nella stanza che divido con Lip. Siamo qui da un paio di ore e la sua metà è già diventata un porcile”.
Le pareti color mandarino sono in tinta con il copriletto ricamato e con il quadro di tulipani che sovrasta il letto king size. È davvero una bella stanza. “Come hai fatto a pagarla?”.
Ridacchia. “Potrei aver sovrastimato la spesa necessaria per il weekend”.
“E Jim ci ha creduto?”.
“Da quando ti sei presa la colpa per le festa di Halloween non questiona più nulla di quello che gli dico” asserisce avvicinandosi.
Il suo avanzare inspiegabilmente mi spinge ad indietreggiare frettolosamente. La stupida borsa, che tengo ancora appesa alla spalla, collide con la lampada a fungo appoggiata sul tavolino, trascinandola rovinosamente a terra. Lo spesso strato di moquette evita che il supporto di ceramica vada in mille pezzi, ma non impedisce al paralume di staccarsi.
“Merda” borbotto acquattandomi per recuperarla.
Aaron imita il mio movimento. “Jay?”.
“Mi dispiace”. Cerco di rimettere insieme i due pezzi. “Come sono imbranata”.
Appoggia le mani sulle mie. “Julianne”.
Alzo lo sguardo e i suoi bellissimi occhi verdi mi guardano divertiti. “Sì?”.
“Cosa succede? Ti comporti in modo strano”.
Forza. Carte in tavola. “Sono un po’ nervosa”. Incurva le sopracciglia corvine. “Okay, forse sono molto nervosa”.
“Per quale ragione?”. Indico con un cenno della testa il letto e Aaron sorride dolcemente. “È solo una stupida stanza, Jay”.
“Lo so” sbuffo “Ma non è davvero così. È un cubo pieno di aspettative e pressione. Ci siamo andati vicino un sacco di volte e ora, qui, in questa camera, sembra quasi…”.
“Forzato?” ipotizza.
“Doveroso”.
Mi sfiora la guancia con la mano. “Non c’è nulla di imposto, Jay. Nessuno ci obbliga a fare qualcosa. Anzi, sai che ti dico, stanotte non succederà proprio niente”.
“Cosa?”.
Recupera i pezzi della lampada e si alza. “Questa stanza è tutta per me. Dormirò a stella al centro del letto come non faccio da mesi”.
“Ehi” brontolo tirandomi su.
“Svaligio il minibar, mi infilo un accappatoio enorme e faccio zapping tra i canali per adulti” asserisce rimontando la lampada.
“Aaron” ridacchio.
Mi passa un braccio intorno alla vita. “Credevi di poter mettere mano nel mio giardino privato senza prima offrirmi una cena? Che screanzata. Mia madre ha cresciuto un gentiluomo, ormai dovresti saperlo”.
Gli passo le dita sulla nuca. “Sei proprio scemo”.
“E tu sei bellissima” sospira baciandomi delicatamente. Ma perché diavolo ero nervosa? “Ho una sorpresa per te”.
“Cioè?”.
Scioglie l’abbraccio e si mette a frugare nel suo zaino. “Se ti dico cos’è non è più catalogabile come sorpresa, no?”, Beh, in effetti. Mi lancia un ammasso di stoffa e fili. “Mettitelo”.
La matassa è in realtà il mio bikini rosso. “Quando lo hai preso questo?”.
“Henry”.
Naturalmente. “Perché devo metterlo? Ti ricordi che a malapena riesco a stare a galla? Oltretutto è metà novembre”.
Aaron mi porge un accappatoio di spugna. “Smettila di fare domande e fidati di me”.

Venti minuti più tardi scivoliamo lungo il corridoio dell’ultimo piano come due ladri. Ci fermiamo davanti ad una porta di metallo, su cui è appeso un enorme cartello di divieto d’accesso.
Aaron infila la mano tra le fronde di una pianta dai colori sgargianti e ne estrae una piccola chiave luccicante. La inserisce nella serratura e la porta si apre con un cigolio. Mi strascina all’interno e richiude la porta dietro di noi.
Un’ampia vasca dalla forma ovale è l’unica fonte di luce nella stanza semibuia. Diverse sdraio pieghevoli sono disposte intorno alla piscina e dalle grosse finestre si scorge il profilo della città e il cielo plumbeo.
L’odore di cloro mi fa prudere il naso. “Conosci gli addetti alle piscine di tutto lo stato, per caso?”.
Alza le spalle con aria tronfia. “Sono bravo ad ottenere ciò che voglio, se ho le giuste motivazioni”.
“E quali sarebbero le tue motivazioni?”.
Afferra il nodo del mio accappatoio e lentamente lo scioglie. “Dobbiamo festeggiare”. Intrufola le mani sotto il tessuto di spugna e lo spinge, in modo che mi scivoli lungo le spalle e finisca a terra. Il suo accappatoio segue il mio poco dopo. Il suo torace ampio e cesellato mi saluta calorosamente.
Ho la bocca di colpo alquanto secca. “E cosa festeggiamo?”.
Si inclina in avanti, attirando il mio campo gravitazionale verso il suo. “Tutto quanto” bisbiglia a un centimetro dalla mia bocca.
Prima che possa impossessarmi delle sue labbra, Aaron sguscia di lato e salta nell’acqua cristallina. Riemerge pochi istanti dopo, nuota fino al bordo e allunga una mano nella mia direzione. “Ti unisci a me?”. Il cuore mi palpita impetuosamente nel petto. Io e le piscine ancora non andiamo d’accordissimo. “Ti sorreggo io, promesso” afferma serio.
La vocina alla base del cranio urla di darmi una dannata mossa. Così, mi siedo sulle mattonelle chiare e faccio scivolare le gambe in acqua. Il tempore del liquido mi procura brividi piacevoli lungo la schiena.
Aaron mi afferra per i fianchi e mi sorregge mentre sprofondo in acqua fino al mento.
La piscina non è molto profonda, riesco a sfiorare il fondo con le punte dei piedi, ma è comunque troppo alta per me.
Allaccio le gambe intorno alla vita di Aaron e mi aggrappo alle sue spalle muscolose per mantenermi in equilibrio. “Non mi hai mai detto come mai ti piacciono così tanto le piscine”.
Le sue dita mi accarezzano le costole. “Adoro nuotare in generale. C’è qualcosa di veramente catartico nel potersi muovere quasi senza peso” sospira. “Mia madre ci portava tutte le estati al lago Bear, nella baita dei nonni. Passavamo quasi tutto il tempo in acqua, anche quando era praticamente gelata. È lì che ho imparato a nuotare, me lo ha insegnato lei. Io poi l’ho insegnato a Cole e Andy”. Il suo sguardo si perde tra ricordi dolceamari. “Abbiamo smesso di andarci quando è morta”.
Non nomina molto spesso sua madre e, quando lo fa, lo vedo allontanarsi in una nebbia che non conosco. Vorrei che me ne parlasse di più, ma non voglio sforzarlo e soprattutto non voglio che diventi triste.
Sorride scacciando via le nubi. “È un posto davvero magico. Ti ci devo portare”. 
Gli passo le dita tra le ciocche bagnate. “Certo”. Gli sfioro la guancia con il naso e cambio discorso. “Cosa festeggiamo?”.
Mi stringe più saldamente. “Festeggiamo la giornata migliore di sempre”.
“Abbiamo perso” gli ricordo.
Scuote la testa. “No, Jay, abbiamo vinto”.
“Eravamo a due contest diversi?” ridacchio.
Si da una spinta contro il fondo e ci fa fluttuare verso l’altro capo della vasca. “So che siamo stati eliminati, non sono impazzito. Stavo cercando di vedere il bicchiere mezzo pieno”.
“Il bicchiere ha la stessa quantità di acqua sia che sia mezzo pieno che mezzo vuoto” ribatto.
Mi morde una spalla. “Non fare la pessimista”.
“Sono realista, Aaron” sospiro “Abbiamo perso, è un fatto inconfutabile”.
Aggrotta la fronte. “Io non la vedo come una sconfitta, penso invece che sia un ottimo punto di partenza” spiega. “Ci siamo messi in gioco e ci siamo scontrati con artisti più capaci e più preparati di noi. Sappiamo cosa migliorare e cosa non rifare. E non tralasciamo l’aspetto più significativo di tutta la faccenda”.
“E quale sarebbe?”.
“Hai cantato davanti ad un pubblico per la prima volta dopo quanto, due anni?” esala orgoglioso. “È un traguardo stupefacente, Jay”.
“Sì, ma non ha fatto molta differenza”.
Inclina la testa per guardarmi negli occhi. “Pensi questo perché non siamo passati?”. Annuisco. “Sei l’unica ragione che ci ha permesso di sfiorare la vittoria, senza di te avremmo fatto schifo e basta. Non sarei riuscito a salire sul palco senza di te”.
“Penso tu stia sovrastimando il mio contributo. Non ho fatto nulla di speciale” espiro.
Mi sposta una ciocca umida dietro l’orecchio. “Perché sei sempre così dura con te stessa?”.
Ho così tante risposte a questa domanda che non saprei da dove cominciare. Forse semplicemente qualcuno deve esserlo. “Non sono dura, sono solo…”.
Realista?” azzarda.
Avrei detto obbiettiva, ma va bene anche la sua risposta. “Già”.
“Okay” mormora “Visto che sei così determinata a voler essere la Realista, allora io sarò il Sognatore”.
“Hai bevuto l’acqua della piscina?”.
Ridacchia. “Vedi, ci sono due tipi di persone al mondo: i Realisti e i Sognatori” spiega. “I realisti sono pratici, sicuri, concreti. Non si lasciano trarre in inganno dalle illusioni, ma sono anche tristemente saldati alla realtà. I sognatori invece vivono di sfumature, non ci sono solo bianco e nero, ma milioni di strade che portano in tutte le direzioni possibili e immaginabili. I sognatori non si arrendono e trovano sempre il lato positivo, ma spesso finiscono perdersi tra i colori”. Mi accarezza la guancia con il pollice. “Non accade di frequente ma quando un realista e un sognatore si mettono insieme formano la coppia perfetta, perché si completano, come noi”.
“Wow”. Inclino la testa cercando di non ridere. “È parecchio sdolcinata come cosa. Persino per i tuoi standard”.
Mi pungola il fianco con un dito. “Giudicami quanto vuoi, ma lo so che siamo fatti per stare insieme”.
“Perché sono la palla che ti tiene inchiodato a terra?” ridacchio.
 Mi sfiora dolcemente. “Direi più l’ancora che mi tiene ormeggiato alla realtà”.
“Molto filosofico” esalo. “Se io sono la palla, tu cosa sei?”.
“Ovviamente io sono le ali” mormora con arroganza.
Presuntuoso. “Ovviamente” borbotto sprezzante. “Io sono un peso opprimente e tu le ali d’angelo, certo”.
Alza le spalle con innocenza. “Non le faccio io le regole, piccola”.
“Certo che no”. Provo a scivolare via dalle sue braccia. “Sono mortalmente offesa, sappilo”.
Aaron mi stringe più forte. “Okay, okay. Se vuoi puoi essere un quadratino di uranio piccolissimo”.
Inarco un sopracciglio. “Uranio?”.
“È l’elemento più pesante sulla Terra” chiarisce con un sorrisino.
Spalanco la bocca con finta indignazione e guizzo via come una lontra in fuga. “Non sono più solo pesante ma pure radioattiva, incredibile!”.
Aaron ride cercando di riafferrarmi. “Sto scherzando. Sto scherzando”.  Riesce ad acchiapparmi per una caviglia e a riportarmi tra le sue braccia. “Scherzo”.
Gli stringo le braccia al collo con un fintissimo broncio. “Ti conviene”.
Il suo respiro mi solletica la guancia. “O cosa?”.
Avverto il battito burrascoso del suo cuore contro la pelle. È così forte che riesco quasi a udirlo.
Scosto una ciocca ribelle dalla fronte e gli sfioro le labbra con le mie, dolcemente. La sua bocca è morbida e calda. L’accenno di barba sul mento mi gratta la pelle, e mi piace.
Gli passo la lingua sul labbro inferiore e lui schiude la bocca per me. Le sue mani mi stringono con foga i fianchi e mi attirano più vicino.
Dopo troppo poco, interrompe il bacio e mi fa scorrere le labbra fino all’orecchio. “Scelgo il o cosa”.
Aaron mi solleva delicatamente sul bordo della vasca, senza smettere di baciarmi. Scivolo all’indietro sulle mattonelle, trascinandolo con me. Il suo corpo bollente mi fa da scudo contro lo sbalzo di temperatura.
“Possiamo fermarci…” respira sopra di me.
Scuoto la testa. “No”.
“Sei sicura?” domanda accarezzandomi il viso.
L’ansia e la paura che qualche ora fa mi stritolavano le budella ora sono del tutto scomparse. Non so come abbia fatto, ma le ha completamente dissolte. Ci siamo solo noi.
Non c’è pressione.
Non ci sono aspettative.
Solo un momento che vorrei cristallizzare per sempre.
“Mai stata più sicura in vita mia” esalo.
Sorride delicatamente. “Ti amo”.
Lo so.
Lo percepisco.
E io amo lui. Ne sono consapevole da un pezzo, ma è difficile ammetterlo, figurarsi fare uscire quelle due dannate paroline dal fondo del mio essere.
Ti amo. Ti amo. Ti amo.
Vorrei urlarlo, ma il mio corpo si rifiuta di cooperare. Così lo bacio e glielo spiego così, ancora e ancora, tra un battito e l’altro mentre Aaron si muove su di me, dentro di me, finché non rimane altro al mondo che noi due e questo attimo perfetto.
   
 
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