Serie TV > Il paradiso delle signore
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Autore: komova_va    20/08/2021    0 recensioni
Dopo la 5x134, le cose sono andate in maniera molto diversa per Rocco e Irene. Dopo un periodo di frequentazione clandestina, i due sono arrivati a un bivio: o escono allo scoperto, o si lasciano. Peccato che non siano consapevoli che nel frattempo circa metà del Paradiso ha scoperto la loro storia e non sia affatto d'accordo con la decisione che hanno preso.
(Paring principale: Irocco, personaggi principali: Rocco Amato, Irene Cipriani)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VII. Al posto giusto.
 

-Irè, la porta è bloccata.

Il primo pensiero di Irene Cipriani quando scoprì di essere rimasta chiusa dentro una stanza con Rocco Amato fu che, ironicamente, quella era anche la prima volta che si ritrovavano da soli in una camera da letto (e probabilmente sarebbe anche rimasta l'unica per un bel po' di tempo, se non per sempre).

-Come sarebbe a dire che è bloccata?- domandò la ragazza, colta alla sprovvista e presa dal panico. Doveva esserci un errore, senz'altro. A volte poteva capitare che le serrature fossero un po' arrugginite, bisogna fare due o tre tentativi prima che la porta si aprisse.

-Picchì scusa, non si dice così in italiano?- chiese Rocco, aggrottando per un istante la fronte con fare perplesso, come faceva tutte le volte che non gli veniva in mente il traducente di una parola dal siciliano e aveva bisogno di fermarsi a riflettere un po' prima di trovarlo. Irene ignorò l'accuratezza con la quale era in grado di decifrare le sue espressione facciali e sospirò. Aveva altre priorità al momento, come ad esempio uscire da là.

-Fammi provare, - disse, avanzando verso la porta nonostante fosse già abbastanza vicina da poter afferrare comodamente la maniglia e spingerla verso il basso, come se quell'ulteriore vicinanza avesse potuto darle un maggiore vantaggio o un aiuto in più. Poi prese la maniglia tra le mani e mentre l'abbassava spinse in avanti, ma la porta non si aprì, proprio come era successo poco prima a Rocco. Riprovò un'altra volta e un'altra volta ancora, ma, -niente, è bloccata, - si arrese infine, indietreggiando di qualche passo come per ammettere la sua sconfitta.

-E io ch'ho detto?!- domandò Rocco retoricamente, guardandola negli occhi. Irene abbassò lo sguardo e non gli rispose, non volendo dargli la soddisfazione di ammettere che aveva avuto ragione. Invece preferì allontanarsi di qualche passo e si guardò attorno. Se dovevano rimanere lì per chissà quanto tempo, tanto valeva che si mettesse comoda. Presto Irene si rese conto che, tristemente, non avevano poi molte alternative: o rimanevano in piedi, o si sedevano per terra, o sul letto. Propendendo per quest'ultima opzione, la ragazza spostò alcuni dei cappotti per farsi spazio e trovare un angolo del letto in cui mettersi, assicurandosi che ci fosse posto per almeno un'altra persona nel caso in cui Rocco avesse voluto raggiungerla. Non che fosse quello che inconsciamente desiderava, naturalmente.

-Posso?- chiese infatti lui dopo pochi istanti, chinando il capo per incontrare lo sguardo di lei. Irene annuì e si spostò leggermente a lato per fargli spazio.

-Certo.

Rocco si sedette alla sua destra, dando le spalle alla porta proprio come lei. Rimasero in silenzio per un numero indefinito di secondi, in cui Irene con discrezione gli lanciava di tanto in tanto qualche occhiata furtiva, cercando di non farsi vedere, nel tentativo di capire a cosa stesse pensando. Si accorse presto che gli angoli della sua bocca si tirarono su in un piccolo sorriso, nonostante non ci fosse proprio niente di divertente nella situazione in cui erano capitati; naturalmente questo non fece altro che intensificare la sua curiosità in merito all'oggetto dei pensieri del ragazzo.

-Perché ridi?- gli domandò quindi, preferendo essere diretta.

-Io? No, niente, - obiettò Rocco, ritornando immediatamente serio; come se potesse essere sufficiente a farla desistere.

-Dai, dimmi, - lo esortò lei, sperando che non si facesse pregare. -Non abbiamo un granché da fare comunque, - gli fece presente, sperando che quella debole argomentazione funzionasse.

Alla fine lui sembrò captare la sua impazienza e decise di farla contenta, dal momento che ammise, non senza un certo imbarazzo (quello che lo contraddistingueva sempre ogni volta che parlavano di argomenti che avevano a che fare con la sfera sentimentale, come spesso succedeva anche a lei del resto): -Stavo pensando che anche quando ci siamo dati il primo bacio, quello vero dico, stavamo seduti proprio così...

Il viso di Irene si tinse immediatamente di un colorito rosso purpureo che sperò vivamente non fosse così evidente sotto la luce artificiale della lampadina (si sbagliava), non tanto a causa del ricordo di quell'episodio in sé e per sé (come se fosse stata la prima volta in cui ci ripensava, poi) ma piuttosto della consapevolezza che ora si ritrovavano senza volerlo in una situazione quasi equivalente, il cui esito sarebbe potuto potenzialmente essere il medesimo. Avrebbe dovuto ignorarlo e tenerlo a debita distanza, e invece erano seduti vicini sullo stesso letto e stava rischiando di baciarlo di nuovo!

Un vero successo, insomma.

-È vero, - convenne Irene, non sapendo cos'altro potesse dire per non rivelare il tormento emotivo che aveva dentro. -Non credevo te lo ricordassi così bene, - aggiunse poi, senza pensarci troppo.

-Certo che me lo ricordo, Ire', - obiettò Rocco, quasi offeso che l'altra potesse anche solo concepire il contrario.

-Perché è stato bello?- lo stuzzicò lei, curiosa di vedere la sua reazione. Rocco non era certo il primo ragazzo che aveva baciato, ma nessuno dei baci che aveva dato o ricevuto in precedenza era stato minimamente paragonabile a quello (e a tutti quelli che l'avevano seguito). Era diverso quando... sì insomma, quando c'era quella roba lì; i sentimenti.

-No, - rispose invece lui, contro ogni sua aspettativa. Irene aggrottò la fronte con fare inquisitorio, al che Rocco si affrettò a spiegare:-cioè sì, è stato anche bello, ma me lo ricordo soprattutto perché mi ha mandato in crisi.

-Davvero?- domandò Irene, perplessa. Avevano parlato di tante cose nel mese in cui si erano frequentati, ma mai di quello. Era la prima volta che se lo sentiva dire.

-'Che non si vedeva?- domandò lui con fare ironico.

-Beh, quando poi ci siamo rivisti il lunedì dopo mi hai detto che al tuo paese quando due si baciano poi si devono fidanzare, che eri pronto a prenderti le tue responsabilità manco fossi rimasta incinta, che mi avevi compromessa... - obiettò Irene. Ricordava bene la conversazione che avevano avuto quel giorno nei camerini, per poco non si erano fatti scoprire dalla Moreau – per quanto alla sua capocommessa potessero interessare i drammi tra una venere e un magazziniere. -Io avevo una gran confusione in testa, e vederti tutto sicuro di te mi ha mandata in panico ancora di più, - ammise infine Irene. Era la prima volta che glielo diceva così apertamente.

-È questo che hai pensato Irè, che ero sicuro?- domandò Rocco, sottintendendo che invece si fosse sbagliata.

-Sì. Perché, non è così?

-Ah non te lo dico, - si negò lui, facendo innervosire Irene. Proprio quando il discorso aveva incominciato a farsi interessante, lui si metteva a fare il prezioso! Quanto le dava sui nervi certe volte.

-Dai! - protestò lei, fregandosene del fatto che in quel modo stava dando prova del suo interesse; la sua curiosità era più grande.

-Non dicevi che oramai è finita, croce e noce?- la prese in giro Rocco, facendole il verso mentre con le mani disegnava nell'aria una croce.

Quella strana espressione un po' buffa, che Irene non aveva mai sentito prima e di cui ignorava il significato, non passò inosservata. -Croce e noce?- chiese, con voce divertita.

-Eh, croce e noce, - ripeté lui con sicurezza.

-Adesso fai il sostenuto? - lo prese in giro lei.

-Un poco, - le concedette.- E comunque te lo meriti.

-Ma non è giusto, - protestò Irene, ancora una volta, -e poi non è valido, sai che non so cucinare, non posso neanche corromperti col cibo per farmelo dire.

Quasi senza che se ne rendessero conto, l'atmosfera pesante dell'inizio si era completamente dissipata e ora avevano incominciato a scherzare e punzecchiarsi come facevano di solito. Per un attimo Irene si era dimenticata che fossero chiusi a chiave, si era dimenticata degli altri là sotto, di Maria, del Paradiso e degli Amato. Aveva smesso di preoccuparsi dello status della loro relazione, se fossero solo amici, conoscenti, fidanzati o qualsiasi altra cosa. In quel momento incominciò a sentirsi finalmente come se fossero soltanto loro due, Irene e Rocco, due persone che stavano parlando e ridendo e scherzando e che stavano bene insieme. E all'improvviso, tutti i motivi che l'avevano portata a volerlo allontanare da sé le sembrarono stupidi e ridicoli e così lontani e insignificanti... Era incredibile come la sua testa riuscisse sempre a ingigantire le cose e vedere potenziali problemi ovunque, anche dove non c'erano, quando molto spesso la realtà era molto più semplice. Lei e Rocco avevano trovato il modo di capirsi nonostante le loro apparenti differenze e insieme stavano bene; erano felici. Quella non era forse una ragione valida per voler stare con lui?

-Irè, guarda che ci sono cose più importanti nella vita di pasta e patate, ah, - le fece presente.

-Cioè?- incalzò lei, avendo il presentimento che si stesse finalmente decidendo ad arrivare al dunque.

-Facciamo così, - decise lui alla fine, -io te lo dico se prima tu mi rispondi a una domanda.

-D'accordo, affare fatto, - decretò Irene, senza nemmeno doverci pensare. -Cosa vuoi sapere? - domandò in modo diretto. Immaginò che probabilmente le avrebbe chiesto qualcosa del tipo “perché hai voluto chiudere con me?” o “sul serio non lo hai fatto perché sei preoccupata per Maria?”, e invece, ancora una volta Rocco la prese alla sprovvista.

-Perché quella sera mi hai baciato?

Quella era una domanda che Irene non si sarebbe aspettata. Perché lo aveva baciato... Che razza di domanda era? Lei era una persona perlopiù istintiva, preferiva agire anche senza pensare, piuttosto che non fare nulla per fermarsi a riflettere; le paranoie le lasciava volentieri a Stefania. Non c'era necessariamente una ragione dietro ogni cosa che faceva, o perlomeno, spesso sì, ma di certo lei non aveva voglia di perdere tempo e starci a pensare. Che importanza aveva in ogni caso?

-E non provare a negarlo picchì non serve, me lo ricordo bene, mi hai baciato tu, - precisò Rocco.

-Perché volevo farlo, - disse alla fine Irene, pensando che in linea di massima dopotutto era così. Aveva guardato Rocco negli occhi, aveva capito di volerlo baciare e che lo voleva anche lui, e così lo aveva fatto.

-Non è vero, - la contraddisse lui.

-Certo che è vero! - protestò Irene, quasi indignata. -Pensi che vada in giro a baciare chiunque?

-Penso che non era la prima volta che lo volevi fare, - ribatté Rocco (e non si sbagliava). -E neanche per me, ah. Poteva succedere prima o anche dopo, e invece tu mi hai baciato proprio quel giorno, in quel momento.

-Beh, - iniziò Irene, cercando di fare mente locale e richiamare alla mente quel momento, quella circostanza, e con essa anche i pensieri che l'avevano attraversata, -avevo avuto una brutta giornata e tu eri stato carino...

Anche così, sentiva di non stargli dicendo tutta la verità e che quella spiegazione era quantomeno troppo semplicistica e riduttiva. Perché Rocco insisteva così tanto e cercava di tirarle fuori quelle cose? Era davvero di fondamentale importanza parlarne, dirle ad alta voce? Irene in quello non era affatto brava.

Ad ogni modo, se non era riuscita a convincere nemmeno sé stessa, figurarsi poi lui, che infatti non tardò a farle presente:-E tu baci anche Stefania o Maria quando sono carine con te dopo una brutta giornata, fammi capire?

Irene sospirò e poi lo guardò dritto nei suoi occhi castani, realizzando che tentare di nascondersi non avrebbe avuto molto senso. -Mi spieghi come fai?

-A fare cosa?

-A leggermi dentro, a capire sempre quando non sono sincera, quando c'è qualcosa che non va, quando sto male. È come se riuscissi a sentire anche le cose che non riesco a dire.

-Perché non c'è sempre bisogno di parlare, Iré. Non per me. È come se... non so come spiegarlo bene ah, con l'italiano giusto.

Irene lo prese per mano e gli rivolse un sorriso di incoraggiamento. -Purtroppo per me il dialetto siciliano è ancora “croce e noce”, - scherzò, sperando di aver usato quell'espressione appena imparata nel modo corretto.

-Vabbè, io ci provo, - iniziò Rocco, prendendole a sua volta la mano che aveva stretto la sua e accarezzandole gentilmente il dorso. Irene abbassò per un attimo lo sguardo sulle loro mani unite, prima di riportarlo sui suoi occhi. -Io ti vedo per quella che sei, Irene, e a me questo mi basta. Ho imparato che per capirti non bisogna guardare quello che dici ma quello che fai, che sei una persona più di fatti che di parole, un po' come a me, e se uno fa un po' di attenzione poi si vede subito che sotto sotto sei buona, che agli altri ci tieni, a volte pure troppo. È solo che tu le cose le mostri in modo diverso, e uno prima deve imparare la tua lingua, se no non capisce.

Fu allora che Irene capì. Capì cos'era stato quel rumore sordo, come di qualcuno che bussava ad una porta senza che fosse chiaro da dove, che aveva sentito – metaforicamente – nella sua testa per tutta la serata, o forse da molto di più, quasi per tutta la vita. Le sembrò quasi di sentire qualcosa dentro di sé spezzarsi, il suono nitido e quasi palpabile di un “crack”, una crepa, e poi una frattura. Non si sentiva in colpa nei confronti di Rocco, né di Maria o Stefania o la famiglia Amato; lei si sentiva in colpa verso se stessa. Si sentiva in colpa perché era da tutta una vita che si detestava da sola e non permetteva a nessuno di avvicinarsi, di conoscerla e di imparare ad amarla, pregi e difetti inclusi. E adesso che era arrivato Rocco di soppiatto ed era riuscito a superare ogni sua barriera e raggiungere il suo cuore senza che lei se ne accorgesse, lei lo spingeva via così, senza neanche una spiegazione, per futili motivi di convenzioni sociali. Non era giusto nei suoi confronti prima di tutto, precludersi la felicità in quel modo, e il suo subconscio aveva cercato di farglielo capire con i mezzi che aveva a disposizione. Adesso che si era finalmente decisa a seguire quel suono e aprire la porta, quello che Irene aveva visto dall'altra parte era troppo bello per potervici rinunciare. E allora decise che non lo avrebbe più fatto. Mai più. Lo doveva a se stessa.

Mentre osservava Rocco in silenzio, dovendo ancora pienamente assimilare ciò che le aveva appena detto, si ritrovò a pensare che aveva una voglia incredibile di baciarlo, e ancora di più di stringerlo a sé, di sentirlo vicino, proprio come quella volta nello spogliatoio delle veneri; anzi, probabilmente perfino di più.

-Iré, tutto bene?- domandò Rocco, probabilmente preoccupato per il suo silenzio prolungato. Irene nel frattempo aveva cominciato a piangere, le lacrime stavano sgorgando dai suoi occhi e le rigavano le guance quasi senza che lei se ne rendesse conto. Non era triste, né arrabbiata o delusa o preoccupata, semplicemente negli ultimi giorni aveva immagazzinato dentro di sé una grande tensione e un bel carico emotivo senza dire niente a nessuno o senza poter fare niente per esternare quello che provava ed esprimerlo. Quella sera a quella festa era arrivata al punto di rottura, e ora finalmente stava buttando tutto fuori. Normalmente si sarebbe vergognata di farsi vedere in quello stato da altre persone, ma scoprì con sua sorpresa che con Rocco non era così. Con lui era diverso... era come se si sentisse a casa. Forse perché ormai aveva già visto il peggio di lei, e comunque era rimasto.

Capendo le sue difficoltà, Rocco non insistette e non cercò di ottenere una risposta, semplicemente rimase al suo fianco in silenzio e le asciugò le lacrime, aspettando il momento in cui Irene si sarebbe sentita di parlare. Alla fine, la ragazza raccolse le poche forze emotive che le erano rimaste e riuscì finalmente a rispondere alla domanda che Rocco le aveva posto originariamente:

-Volevi sapere perché ti ho baciato? È questo il perché, te lo sei detto da solo. Ti ho baciato perché quando sono con te io mi sento per la prima volta vicina a me stessa, quella volta, tutte quelle dopo ancora e anche tutte quelle che verranno. È tutta la vita che non faccio altro che sentirmi sbagliata, diversa, fuori posto, e io allora per sopravvivere mi nascondo dietro una facciata. Poi arrivi tu ed è proprio come hai detto... tu capisci la mia lingua. E la sera del nostro primo bacio è stato così, dopo tanto tempo passato nascondermi per la prima volta ho sentito che c'era qualcuno che riusciva a vedermi.

Era stato difficile, una vera e propria impresa, ma ce l'aveva fatta a tirarlo finalmente fuori.

-Lo vedi allora che non serve essere uguali per capirsi?- domandò infine Rocco, soddisfatto che fossero finalmente riusciti a raggiungere quella conclusione insieme.

Irene annuì. -Tu dici?

-Dico, dico, - le fece eco. -E dico anche che c'è una cosa più importante di cui dobbiamo parlare ora.

-Come?!- protestò Irene. A giudicare dal tono scherzoso che aveva usato, aveva già più o meno capito dove volesse andare a parare, ma si divertì a far finta di nulla e stare al gioco. -Adesso tocca a te rispondere alla mia domanda.

Rocco ignorò la sua richiesta e invece la prese tra le braccia e la sollevò per farla sedere sulle sue gambe. Irene gli mise una mano sulla schiena e incominciò ad accarezzarla piano piano, disegnando piccoli cerchi. In quel momento ebbe la conferma di non essersi sbagliata poco prima: con lui si sentiva veramente a casa.

-Sbaglio o hai detto che ci saranno altri baci? - la stuzzicò, mentre le circondava la vita con le braccia per tenerla vicina a sé. -Perché va bene che a volte mi confondo, ma di questo sono abbastanza sicuro.

-No, non sbagli, - gli confermò Irene con un'occhiata maliziosa.

-Vieni qua, ah.

E prima che Irene potesse dire o fare qualsiasi cosa, lui l'attirò a sé con fare deciso e la baciò. Erano passati tanti, troppi giorni dall'ultima volta in cui era successo, ma fu come se non si fossero mai allontanati, come se tutto il resto non avesse avuto importanza. Il tempo tornò ad essere un concetto relativo e Irene si dimenticò completamente dove fosse, lasciandosi andare, finalmente libera di seguire ciò che sentiva senza rimorsi o sensi di colpa.

Ad un certo punto, durante uno dei momenti in cui erano temporaneamente distanti per riprendere aria, Rocco le sussurrò qualcosa all'orecchio che lei non fu in grado di cogliere, un po' perché il suo cervello era ancora annebbiato dai baci e dalla loro vicinanza e difficilmente sarebbe stata in grado di rendersi conto di fattori esterni, un po' perché la sua conoscenza del siciliano era molto limitata, ed era piuttosto sicura che lui avesse parlato in dialetto.

-Che hai detto?- chiese, respirando a fatica.

-Che mi sei mancata assai, - tradusse per lei Rocco, sempre in un sussurro. Poi la baciò di nuovo e quando si staccò aggiunse, stavolta guardandola in faccia, -pure troppo.

Fece per riavvicinarsi e baciarla un'altra volta, ma Irene ebbe la prontezza e il buonsenso di fermarlo, mettendogli una mano sul petto. -Non cercare di distrarmi, devi ancora rispondere alla mia domanda tu, - gli fece presente.

In realtà, per quanto ricevere una risposta le avrebbe fatto piacere, quello era l'ultimo dei suoi pensieri. Il fatto era che tutti quei baci stavano annebbiando la sua capacità di giudizio al punto che, se avessero proseguito per quella strada, soli e chiusi a chiave in una camera da letto, avrebbe iniziato a desiderare di fare qualcosa a cui invece non avrebbe decisamente dovuto pensare, per cui trovò infinitamente più saggio cercare di concentrarsi su altro e riportare il suo cervello ad esaminare argomenti meno pericolosi.

-Che domanda? - domandò Rocco ingenuamente. Evidentemente anche i suoi pensieri erano rivolti altrove, e Irene francamente lo capiva.

-Come che domanda? Quella che ti ho fatto all'inizio! - gli ricordò.

-E cioè?

Niente da fare, era senza speranza.

-Se dopo che ci siamo dati il primo bacio tu eri già sicuro di volerti fidanzare subito con me, - ripeté infine Irene.

-No che non ero sicuro Iré, manco pe' niente, - le confessò Rocco. -Non per il sentimento, ma per tutto il resto. Io in testa avevo una gran confusione, ci stava Maria, ci stavano i miei zii, e poi c'eri tu e non sapevo cosa pensare. Era la prima volta che provavo certe cose, che quasi mi facevano paura, e io non sapevo come gestirle, chista è la verità. E allora ho pensato che dovevo capire qual era la cosa giusta, e al paese è giusto che gli uomini si prendono le responsabilità e fanno il fidanzamento, e io così ti ho detto.

-Perché non mi hai detto che avevi paura anche tu? Io avrei capito... - lo rimproverò Irene con dolcezza, accarezzandogli i capelli ricci. -E invece, sentendoti parlare di impegni e matrimoni, mi sono spaventata ancora di più.

-Perché neanche io sono uno a cui piace parlare di 'ste cose Iré, lo sai. E poi...

-Cosa?- chiese Irene, sospettando che dietro ci fosse altro.

E infatti, in questo caso non si sbagliava:-Non volevo che pensavi che avevo paura, ecco, - ammise Rocco, abbassando la testa.

-E perché no? Non c'è niente di male, - lo rassicurò Irene, alzandogli il mento affinché lui capisse, anche attraverso i suoi occhi e la sua espressione, che era sincera e lo pensava davvero.

-Eh picchì, è facile per te. Tu sei brava a farti vedere coraggiosa, decisa, anche se so che poi non è sempre così, e a volte mi metti in soggezione. Volevo dimostrarti che anche io so quello che voglio.

-Rocco ma io ti amo esattamente per come sei, non devi cercare di farti vedere più forte o più sicuro, anzi, - scattò immediatamente Irene, che non voleva che Rocco si sentisse in difetto neanche per un momento. -Una delle cose che mi piace di più di te è che hai sempre il coraggio di essere te stesso, nel bene e nel male. E io questo coraggio non so se l'avrò mai.

Solo in quel momento Irene si rese conto di ciò che aveva appena detto, del fatto che quelle tre paroline le erano scivolate dalla bocca in modo quasi involontario, quasi come se le fossero scappate. Per un attimo ebbe paura della reazione di Rocco e fu quasi tentata di rimangiarsele, e invece lui fece finta di niente e continuò a parlare, rispondendo al resto della frase: -Certo che ce l'hai anche tu, ava'. Io ti conosco e so che sei più forte di tutti quelli là fuori. Adesso noi usciamo appena ci tirano fuori di qua e diciamo a tutti le cose come stanno, va bene? E se qualcuno si fa problemi o ci dice qualcosa va' che ci metto un attimo a metterlo al suo posto.

Irene sapeva che Rocco con ogni probabilità stava cercando di sembrare serio e autorevole, ma lei non riuscì ad impedirsi di lasciarsi andare ad una piccola risata.

-I problemi verranno fuori una volta usciti da qua, temo, - predisse, immaginando la reazione di Maria e dei signori Amato. -Anzi, probabilmente Stefania farà i salti di gioia quando lo saprà. È tutta la settimana che mi fa discorsi strani sui sentimenti, il cuore e certe stupidaggini che legge su “Ditelo a Brunella”.

-Anche Pietro lo sa di noi, in realtà... - le rivelò Rocco, con sguardo colpevole. -So che mi avevi detto che non dovevamo dire niente a nessuno, però lui è il mio migliore amico Irè, potevo mentirgli?

Irene pensò tra sé e sé che una delle cose che l'avevano fatta innamorare di lui era proprio la sua innocenza, declinata anche e soprattutto in piccoli gesti come quello, che dicevano molto del tipo di persona che era senza che lui se ne rendesse necessariamente conto.

-No, hai fatto bene, tanto lo avrebbe scoperto comunque, - gli disse con fare rassicurante.

-Ma che poi lo sai che anche lui è tutta la settimana che mi chiede di te? - Rocco ragionò ad alta voce. -Ma cosa è successo con Irene, ma picchì non ci parli, ma picchì non le chiedi di ballare... un poco strano è sembrato pure a me.

-Ecco, ora si spiega tutto, - realizzò finalmente Irene. Adesso i pezzi del puzzle che da giorni aveva cercato di mettere insieme finalmente riuscivano ad incastrarsi, e tutto stava iniziando ad acquisire un senso. -Pietro deve averlo detto a Stefania dopo che lei gli avrà fatto qualche moina e ora hanno pensato bene di chiuderci qua dentro per farci fare pace, quei due impiccioni.

-Beh, alla fine ha anche funzionato, no? - le fece presente Rocco.

-Questo è vero, ma non voglio dargliela vinta così facilmente, - obiettò lei, determinata più che mai a rimanere ferma nella sua posizione. -Quei due devono imparare a non immischiarsi e a farsi i fatti loro una buona volta, soprattutto Stefania. Se ora andiamo di là e gli diciamo che abbiamo fatto pace, penseranno che in fin dei conti avevano ragione ad intromettersi.

-E allora che vuoi fare, vuoi continuare a tenerlo segreto?- chiese Rocco. Non lo disse apertamente, ma soltanto dal suo tono di voce Irene intuì che quell'opzione non gli avrebbe fatto per nulla piacere, e nemmeno lei aveva più voglia di continuare a nascondersi in tutta sincerità. Allora si ingegnò per trovare un compromesso tra la sua voglia di godersi la felicità che la vita di coppia le avrebbe offerto e il suo desiderio di vendetta – d'accordo, forse vendetta era un po' forte come parola, diciamo più una piccola rivincita.

-No, certo che no – mise in chiaro immediatamente. -Però potremmo dar loro una bella lezione e divertirci a loro spese, solo per un po', come loro hanno fatto con noi d'altra parte. Tu immagina: loro si aspettano di vederci tornare mano nella mano tutti felici, e noi invece facciamo una scenata davanti a tutti e ce ne diciamo di tutti i colori. Così sì che si sentiranno in colpa e capiranno di avere sbagliato.

-Però solo per finta, no? - volle essere sicuro Rocco, un po' preoccupato. -Mica litighiamo per davvero?

-Certo Rocco, per finta, - ribadì lei. -E poi gli diciamo che era tutto uno scherzo e che in realtà stiamo insieme. Che ne dici?

-Dico che è anche per questo che ti amo anche io, ava'.

 

Salotto di Villa Bergamini, tempo presente

-Stefania!

Quando sentì una voce a lei familiare chiamare il suo nome, Stefania Colombo si girò. Gloria osservò la sua espressione stupefatta e avvertì un tuffo al cuore nel constatare che non poteva nemmeno chiamare sua figlia per nome senza dare nell'occhio o destare sospetti. Era stata così presa dai drammi di quella serata, prima il litigio tra la signorina Cipriani e Rocco Amato e poi la rivelazione di Cosimo Bergamini – se solo non si fosse fatta distrarre così tanto da Beatrice sarebbe riuscita a rendersi conto che non era il caso di parlare in pubblico così apertamente di quella faccenda e tutto quello non sarebbe successo – che aveva finito per farsi trascinare dall'emotività e dimenticarsi che non avrebbe dovuto prendersi certe libertà con una sua subordinata. Doveva decisamente lavorare sulla sua emotività, o le cose avrebbero incominciato a sfuggirle di mano.

-Signorina Colombo, - si corresse immediatamente. -Mi scusi se mi permetto, dove sta andando?

Beatrice e suo figlio l'avevano seguita, e ora si trovavano tutti e quattro nel bel mezzo delle scale, lontani dal gruppo di veneri che stavano cercando di spiegare tutta la storia della loro missione clandestina alla signorina Rossi, un'impresa tutt'altro che semplice.

-Voglio andare a cercare Irene, - dichiarò Stefania con decisione. -Adesso è tutto sola, in un qualche angolo di questa casa che aspetta di andare via in taxi, sicuramente si sente tradita da tutte le persone che le vogliono bene e anche presa in giro. Non posso lasciare che se ne vada via così.

Gloria osservò la sua bambina e fu riempita di orgoglio quando il suo comportamento testimoniò per l'ennesima volta che era diventata una ragazza matura e piena di sensibilità, capace di donare tutto il suo affetto a quelli che la circondavano.

-Se ti riferisci a Irene è ancora qui, - rivelò in quel momento la signora Bergamini, scendendo dal piano di sopra per raggiungere gli altri in salotto. -Ci ho parlato e sono riuscita a convincerla a rimanere almeno per la torta, anche se non è stato facile.

-Menomale, - esultò Stefania, visibilmente sollevata. -Dov'è adesso?

-Ha insistito per andare a fare due passi in giardino, - spiegò la stilista, -diceva di aver bisogno di un po' d'aria. Adesso scusatemi ma vado a dire ad Assunta di aspettare dieci minuti prima di portare il dessert, almeno facciamo calmare un po' le acque.

-Naturalmente, - confermò Gloria, con uno dei suoi sorrisi accondiscendenti. La stilista congedò con un cenno del capo Beatrice, Pietro e Stefania e continuò a scendere le scale.

-Forse sono ancora in tempo, - disse quest'ultima, prima di voltarsi e accingersi a seguire Gabriella nel salotto.

-Stefania aspetta, - la fermò Pietro.

Quando la venere si voltò senza dire nulla, in attesa che lui parlasse, il ragazzo si spiegò:-Vengo con te. Ci siamo dentro tutti e due, è giusto che la affrontiamo insieme fino alla fine.

-Sei sicuro di essere in grado di gestire un'Irene Cipriani in preda alla furia cieca? Perché non è così semplice, ti avviso...

-Me ne sono accorto, - confessò il ragazzo, -però vale la pena tentare. E poi se fossi sola sarebbe peggio, no?

Stefania non disse niente, si limitò a sorridergli e annuire. Poi i due ragazzi scesero le scale e si diressero verso la porta di ingresso. A Gloria e Beatrice bastò una sola occhiata per capire che stavano pensando esattamente la stessa cosa: senza indugiare, le due donne seguirono i loro figli fuori in giardino. Trovare la Cipriani non fu così immediato, dovettero girare alcuni minuti nel buio per riuscire a individuarla, e capirono il perché si fosse andata a rintanare chissà dove soltanto quando finalmente la localizzarono. E così, per un qualche scherzo del destino, Gloria e Beatrice si ritrovarono ancora una volta nella stessa identica situazione che le aveva originariamente portate ad orchestrare tutto quel piano che aveva decisamente finito per sfuggir loro di mano.

-Allora adesso andiamo a mangiare la torta e glielo diciamo che era tutta una finta?

-No.

-Come no? Ma me l'hai promesso...

-Certo che ci andiamo, lungi da me separarti dalla torta. Prima però dammi un bacio.

E si sarebbero baciati, se il signor Conti non li avesse interrotti con un bell'applauso.

-Ma bravi eh, complimenti, una recitazione impeccabile!

Gloria non riuscì a mettere bene a fuoco le facce dei due ragazzi, ma era più che sicura che dire che erano stati colti di sorpresa sarebbe stato un eufemismo.

-Ma!- esclamò invece Stefania, con un sorriso che le andava da un orecchio all'altro, -ma voi due state insieme allora!

Senza pensare al finto litigio, al fatto che avessero preso in giro tutti (cosa che Gloria doveva ammettere, in parte si erano meritati), e alle accuse infondate che aveva ricevuto, Stefania si fiondò sulla sua migliore amica e l'abbracciò, prima che questa potesse avere il tempo di dire o fare qualsiasi cosa.

-E sei contenta?- domandò la Cipriani, un po' tentennante.

-Ma certo!- ribadì Stefania mentre scioglieva l'abbrccio, -sono molto contenta per voi, davvero tantissimo. Dopo tutta la fatica che abbiamo fatto, vuoi mettere! Adesso però mi devi raccontare tutto.

-Ah, allora stai ammettendo le tue colpe, - le rinfacciò la venere bionda, contenta di poter dire di avere avuto ragione fin dall'inizio.

-Veramente è un po' più complicato di quello che pensi, ma più tardi vi spiegheremo bene tutto.

Nel frattempo Rocco Amato, che era rimasto zitto fino a quel momento, fu il primo della coppia a notare che Stefania e Pietro non erano soli. -Signora Conti, signorina Monreau, - le salutò con una certa riverenza, accentuando esageratamente la “n” del finto cognome di Gloria come faceva sempre. -Che ci fate anche voi qua?

-Non ditemi che siete coinvolte anche voi in tutto questo! - aggiunse poi la Cipriani, sbigottita.

-Lo sa signorina Cipriani, - iniziò Beatrice, facendo un passo in avanti verso di lei -non ho niente in contrario se lei e il suo fidanzato vi appartate in magazzino ogni tanto, però la prossima volta magari controllate di essere soli. Non immagina neanche le cose che si scoprono quando si capita per caso nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Beatrice si girò a guardare Gloria e le rivolse un sorriso complice, che quest'ultima ricambiò. Soltanto che Gloria, questa volta, non si trovava d'accordo con lei. Osservò il viso di Beatrice Conti illuminato dalla luce lunare, che non le rendeva neanche lontanamente giustizia, Pietro e Stefania che ridevano spensierati e Irene e Rocco finalmente insieme, uniti. Beatrice si sbagliava, non erano capitate nel posto sbagliato al momento sbagliato. Al contrario, si erano ritrovate lì proprio al momento giusto.

 


 

Nota dell'autrice

Che dire, questo capitolo non so come l'ho scritto. Rileggendolo non mi sembra neanche di averlo scritto io, lo ha scritto il mio cervello da solo limitandosi ad ascoltare quello che gli Irocco stavano facendo e dicendo e a descriverlo nella maniera più accurata e piena di drama possibile.

Ci tengo a dedicare quest'ultimo capitolo in particolare alla mia amica Dia (InvisibleWoman) visto che oggi è il suo compleanno e questo è il mio regalo per lei, spero all'altezza. <3 Voglio ringraziare tutti quelli che si sono presi del tempo per leggere la storia, anche senza commentarla, le persone che pur non avendo letto questa storia hanno contribuito a sostenermi emotivamente e moralmente e quelle che, seppur in modo molto sottile e quasi impercettibile, io ho inserito nel racconto sotto forma di pezzi di descrizioni, di espressioni o di termini usati, le persone che io avevo in mente mentre scrivevo e che quindi ho riversato nel racconto in un modo o nell'altro, quelle che hanno contribuito a influenzare me e i miei stati emotivi, che naturalmente poi si riflettono anche nella narrazione, sia in modo positivo che negativo. Spero che abbiate apprezzato questo finale alternativo più dell'originale (non che ci voglia molto) e di essere stata in grado di rendere giustizia a questa coppia bistrattata, ma che a mio parere merita tantissimo.

   
 
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