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Autore: LondonRiver16    20/08/2021    3 recensioni
Sam e Gabriel avevano detto addio all’appartamento in Salisbury Willows tre anni prima. Ai loro occhi, l’opera di raggranellare i risparmi, chiedere un prestito, comprare un’abitazione con gli interni da ristrutturare e trasferircisi ben prima di aver allacciato le utenze era stata la promessa più consistente e tenace che avessero fatto l’uno all’altro, i voti anticipati di un matrimonio e di un futuro famigliare su cui non avevano ancora riflettuto in termini concreti. Non ancora, almeno.
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Claire Novak, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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- Questa storia fa parte della serie 'Briciole di crostata sulle lenzuola'
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Devo smetterla di farvi promesse in merito alle tempistiche degli aggiornamenti 😅

Ad ogni modo, ecco a voi. Buona lettura 🌻

 

 

17. Fragole con panna

 

Dopo la partenza di Sam, Gabriel e dei gemelli, la casa di Maple Street si fece silenziosa. Non che Dean sapesse come stessero passando il tempo gli altri membri della famiglia, certo. Dopo l'uscita teatrale di Sam, lui se ne stette una mezz'ora abbondante a perlustrare il prato per scongiurare la presenza di altri pezzi di vetro su cui i piedi dei bambini avrebbero potuto tagliarsi, concedendosi il tempo di calmare l'incazzatura roboante che gli covava in petto da quando aveva scoperto che erano stati i suoi figli ad attentare alla salute di Sam e Susie – nonché a terrorizzare tutti i presenti.

Quando l’istinto di azzannare chiunque gli avesse rivolto la parola si ridusse, rientrò in casa per andare a lavarsi le mani in cucina. Il piano terra era deserto e quel quantitativo di pace era quasi inquietante, per una domenica pomeriggio. Arrendendosi con un sospiro alla necessità di smuovere le acque, Dean imboccò le scale per il piano di sopra, ma non lo raggiunse: trovò Castiel seduto sull’ultimo gradino della scalinata, con i gomiti incastrati sopra le ginocchia, le mani intrecciate e lo sguardo perduto, finché non lo scorse.

- Che cosa ci fai qui? - domandò Dean con la fronte increspata, fermandosi tre scalini più in basso dei piedi del marito.

Castiel parve riflettere un momento, darsi il tempo di scegliere le parole come faceva spesso – ogni volta che credeva nel potere di un suo intervento di fare la differenza –, quindi sospirò allontanandosi le dita dalla bocca, ma riprendendo a fissare la parete alle spalle di Dean.

- Volevo sedermi accanto alla porta della loro stanza per sentire se stavano dicendo qualcosa, ma non ce l’ho fatta a rimanere - confessò a mezza voce. - Sentivo piangere. Credo sia Tom. Così mi sono seduto qui.

Dean inarcò le sopracciglia.

- Saresti potuto entrare.

Castiel gli gettò un’occhiataccia condita di gelo, come se avesse appena udito una battuta squallida.

- Non sono stato io a promettergli un castigo. Non credo sia una mia responsabilità - scattò, grave. Poi si passò una mano sul volto, come se si fosse appena scoperto esausto, e aggiunse in un tono più sommesso e affranto: - E non ce la farei ad occuparmene io, ad ogni modo. Ti prego di non chiedermi di farlo.

- Fare che cosa? - continuò a scavare Dean, appoggiandosi al corrimano con la mano destra, dato che Castiel sembrava non avere la minima intenzione di spostarsi.

Lo sguardo del suo compagno, questa volta, lo colpì come quello di un cane bastonato, se non fosse stato per quell’insistente, costante sottotono di rimprovero.

- Dargliele come hai promesso di fare?

Dean non poteva crederci. Prima Sam e adesso anche suo marito, tutti regine del dramma per un giorno?

- Gesù, Cas, se la metti così mi fai sembrare un mostro - soffiò, strofinandosi gli occhi con pollice e indice.

Quando tornò a guardare Castiel, però, si accorse che non aveva mosso un muscolo e continuava a fissarlo come se fosse un dio malevolo da supplicare.

- Pensi che lo sia. Grandioso - esalò Dean, stringendo le labbra mentre si passava una mano tra i capelli.

- Non penso che tu sia un mostro - si premurò di correggerlo suo marito, per poi aggiungere prontamente: - Ma questo non mi rende d’accordo in merito a ciò che stai per fare.

Lottando perché gli fosse concesso uno sfogo, il sarcasmo acido di Dean finì per trasparirgli dalla voce.

- Perché, cosa credi che gli farò di così terribile?

Se Cas avesse avuto dei poteri soprannaturali, con l’occhiata successiva avrebbe inchiodato Dean al soffitto.

- Non giochiamo a questo gioco - decretò con voce funerea. - So che ti sei preso un grosso spavento per Sam e Susie, so che vuoi che Tom e Daryl imparino a non fare mai più una cosa del genere, ma non è questo il modo. Sono contrario all’uso delle mani con i bambini, Dean. In ogni caso.

Dean si concesse del tempo per osservarlo meglio. Che fossero stati i pensieri ossessivi coltivati nella penombra del giroscale o la giornata in sé, Castiel appariva stremato, spogliato di ogni energia. La camicia chiara e ben stirata che quel mattino aveva scelto per recarsi in chiesa con i bambini, come sempre desideroso di dar loro il buon esempio, gli ricadeva ora molle sulle spalle infossate e sul torace incavato, mentre lui se ne stava seduto sulla scomodità degli scalini con la schiena curva, schiacciato da un senso di colpa del quale non era il diretto responsabile.

- Non me l’hai mai detto - gli fece notare Dean.

- Non l’ho mai nemmeno negato. Una cosa è fare del mio meglio per supportare te e la tua autorità quando li rimproveri per qualcosa di grave e nell’impeto del momento ti scappa uno sculaccione o uno schiaffo sulla mano.

Dean pensò che le volte in cui era successo potevano contarsi sulle dita di una mano, includendo entrambi i figli, ma per una volta riuscì a trattenersi e lasciò che Castiel proseguisse.

- Se ti fossi fatto prendere dalla rabbia e dalla preoccupazione un’ora fa, quando è successo tutto, e lo avessi fatto, ti avrei capito, mi sono spaventato a morte anch’io per Susie. Ne avremmo discusso e poi avremmo parlato con i bambini, come sempre, e avremmo messo a posto le cose. Ci saremmo assicurati che stessero bene, che non avessero paura di te e ti vedessero ancora come un loro protettore e non come una minaccia, e poi saremmo andati avanti tranquillamente. Ma pianificare e portare a termine un castigo del genere a mente fredda è tutta un’altra cosa e no, certo che non lo condivido - spiegò Castiel, quasi senza riprendere fiato e senza mai lasciare gli occhi seri, a prima occhiata impassibili, del marito. - Pensavo che per te fosse lo stesso, visto che…

- Visto che cosa?

- Visto che tu e Sam siete cresciuti… in modo diverso da me e i miei fratelli - confessò, e le sopracciglia di Dean subirono un’altra brusca impennata.

- Con un padre che credeva nel potenziale di qualche innocua correzione, intendi? Devi avere ragione, siamo venuti su in maniera così deviata, rispetto a te e ai tuoi fratelli.

Di nuovo quell’ironia maledetta. Avrebbe dovuto azzannarsela, quella lingua. Se Castiel non levò gli occhi al cielo in procinto di arrendersi fu solo perché covava una candidatura alla santità nel blu con cui il suo sguardo si affacciava sul mondo.

- Dean. Non è questo il punto. Non voglio che…

Incredulo al pensiero che suo marito fosse disposto a delucidargli di nuovo l’intera questione – quando ormai lo aveva abbastanza convinto di aver agito da idiota in almeno un paio di occasioni, quel giorno –, Dean lo bloccò alzando entrambe le mani davanti alla faccia e facendo sfoggio di un’espressione infastidita in cui Castiel non mancò di riconoscere la resa. Il chiassoso, scontroso stile di resa di Dean Winchester.

- Ho annotato tutto, Cas, va bene? Ora mettiamo fine a questa storia.

Percorse gli ultimi tre scalini liberi e poi scavalcò il marito senza fatica, dato che Castiel si ritirò subito, per poi alzarsi e seguirlo lungo il corridoio che portava alla camera dei bambini.

- Ci vai lo stesso? - domandò inutilmente Castiel, con un soffio di ansia residua.

- Mi hai detto che stanno piangendo. Li devo lasciare lì? - propose beffardamente Dean, anche se le linee gravi del suo volto rispecchiavano ancora la bufera del primo pomeriggio.

Castiel sembrò finalmente comprendere di aver fatto breccia laddove si era impegnato a colpire, anche se il suo compagno non lo voleva dare a vedere, e si lasciò andare a un contenutissimo sospiro di sollievo mentre Dean allungava una mano verso la maniglia della stanza. Non fece quasi in tempo ad aprire la porta del tutto, che una figurina alta un metro e un cece lo investì per potersi aggrappare alla sua maglietta.

- Papà! - esclamò Daryl dal basso. Sembrava non aspettasse altro che quell’apparizione da ore e pretese tutta l’attenzione di suo padre con una vocina determinata e angosciata al tempo stesso. - L’ho voluto fare io! Dallo tutto a me, il castigo.

Raramente Dean gli aveva visto addosso uno sguardo così risoluto, ma non riuscì a ribattere prima che la voce rotta dai singhiozzi di Tom intervenisse. A sua difesa bisognava riconoscere che il più grande aveva ascoltato il padre, dato si trovava in uno degli angoli liberi della stanza, tra una cassapanca che serviva da armadio e il proprio comodino. Ma si era rannicchiato con la schiena contro il muro, la faccia umida di lacrime e un piccolo tesoretto di fazzoletti usati sul pavimento, accanto ai piedi premuti insieme.

- N-no! Non è vero! - protestò vivacemente, udendo il fratellino. - S-smettila, Dee, sei uno stupido!

Daryl lo fulminò con lo sguardo.

- Non sono stupido! Ti aiuto!

Dean alzò entrambe le mani ai lati della testa e serrò le palpebre per un istante, deciso a rimanere calmo.

- Vietato urlarsi addosso - ricordò a entrambi con tono inequivocabile, ma senza alzare la voce.

Castiel gli aveva insegnato che quello era il metodo migliore per farsi ascoltare dalle due bestiole, che infatti ammutolirono senza sforzo, probabilmente ancora scottati dalla ramanzina di nemmeno un’ora prima. Se Daryl fece ricadere le braccia accanto ai fianchi, fece un passo indietro e si immusonì in attesa del verdetto, Tom rimase immobile finché l’ennesimo singhiozzo non gli risalì la gola e qualche lacrima residua non si aggiunse alle altre.

Dean resse quella scena per un totale di tre secondi, dopodiché un sospiro epocale gli svuotò la gabbia toracica.

- Qualcuno mi dica che cosa devo fare con voi due.

Fu allora che il mormorio quasi divertito di Castiel, che era rimasto a osservare gli sviluppi della situazione da un paio di passi più indietro, gli giunse all’orecchio.

- Io suggerirei un abbraccio, per iniziare.

Maledizione, si arrese Dean controvoglia, ma si stava già accucciando per smettere di ergersi sopra i bambini come quella intimidazione che Tom sembrava continuare a vedere mentre non gli staccava gli occhi di dosso.

- Venite qui, su - li invitò, allargando le braccia. - Coraggio, non vi faccio niente - aggiunse in tono più morbido quando si accorse che entrambi stavano esitando.

Dovette reprimere un brivido al pensiero di avergli davvero messo addosso abbastanza paura da renderli cauti nei suoi confronti. In un attimo, si rese conto che Sam e Castiel avevano avuto ragione a fare del loro meglio per trattenerlo dal fare qualcosa di cui si sarebbe pentito nel momento in cui si fosse accorto di quanto lo avesse allontanato dall’amore senza riserve dei suoi figli. Ebbe un lampo di consapevolezza al ricordo di quello che era stato il rapporto di Sam col loro padre e giurò a se stesso che avrebbe fatto del suo meglio per non arrivare mai a tanto.

Daryl fu il primo che, in uno slancio, mosse quei due passetti che lo portarono ad appoggiare il corpo sul fianco di suo padre e la guancia sulla sua spalla. Dean lo strinse a sé col braccio sinistro, fingendo di non essere vittima un disperato senso di sollievo, e con lo sguardo tornò alla ricerca degli occhi del suo primogenito. Ci volle poco, fortunatamente, perché anche Tom si arrendesse al bisogno di fare pace, tirasse su col naso e si trascinasse in piedi per trotterellare fino alla porta, mettersi in ginocchio e seppellire il viso nell’altra spalla del padre, lasciandosi abbracciare con urgenza.

Mentre gli carezzava la schiena con la mano e gli sussurrava parole di conforto, facendo del suo meglio per cercare di sedare i singhiozzi che ancora lo scuotevano, Dean ringraziò il Dio in cui Cas aveva tanta fede che Tom e Daryl fossero ancora così piccoli e disposti al perdono incondizionato. Sarebbe arrivato un tempo in cui i suoi errori come padre non sarebbero stati digeriti così facilmente, un tempo di liti, ripicche e risentimenti covati a lungo. Castiel era solito dire che avrebbero fatto meglio a sbagliare e imparare tutto il possibile sui loro figli in questa prima fase, prima che arrivasse l’inevitabile e li cogliesse impreparati.

- Pesti che non siete altro - esalò Dean, con una punta di dolcezza che non si preoccupò di arrestare.

Una volta che il pianto di Tom fu solo un ricordo, sciolse l’abbraccio e porse al figlio più grande un fazzoletto pulito pescato dalla tasca dei jeans. Mentre Tom ringraziava con un filo di voce e procedeva a usarlo rumorosamente sotto lo sguardo vigile del fratellino, Dean si scambiò uno sguardo con Castiel e sentì un calore confortante all’altezza dello stomaco quando lo vide sorridergli dallo stipite della porta cui si era appoggiato con le braccia incrociate, traboccante fiducia. Con quell’unica occhiata silenziosa si accordarono in merito alla mossa successiva.

- E adesso tutti in salotto, forza - fu Castiel ad annunciare. - Una bella chiacchierata su quello che avete combinato oggi non ce la toglie nessuno.

Mentre i bambini li precedevano docilmente in corridoio, più tranquilli sebbene ancora un poco appesantiti da un onesto senso di colpa, Dean si affiancò al marito e udì il suo “Grazie” appena mormorato sfiorargli il lobo dell’orecchio. Fingendosi offeso, glielo restituì picchiettandogli l’indice sul petto prima di seguire i passi di Tom e Daryl fino al piano terra.

 

Quando, verso le cinque e mezza del pomeriggio, il nome di Dean apparve sullo schermo dello smartphone di Sam, distraendolo dal tutorial per costruire una coroncina di fiori in cui Gabriel si stava esibendo sia per lui che per i gemelli, Sam considerò seriamente l’idea di non rispondere. Ma non poteva rifiutarsi di ammettere che lo scambio con suo marito lo avesse aiutato a vedere quella giornata e le sue crepe in prospettiva, né poteva ingannarsi dicendo a se stesso che questa volta sarebbe riuscito a tenere il muso a Dean soltanto perché se lo meritava.

Senza sapere cosa lo attendeva e come avrebbe reagito, quindi, lasciò Susie e Alec alle mirabolanti imprese di papaveri e margherite che Gabriel stava narrando e attese di aver raggiunto lo steccato che limitava il giardino per rispondere col suo tono più neutro.

- Pronto.

Suo fratello non perse tempo a impappinarsi sui convenevoli.

- Giusto perché non posso sopportare l’idea che tu ti sia fatto un’opinione sbagliata di me, sappi che mezz’ora dopo la vostra partenza ho liberato i bambini dalla prigionia e gli ho dato fragole con la panna per merenda. Ora stanno leggendo un articolo sulle esplosioni sicure assieme a Cas. Tutto quello che hanno ricevuto è stata una sonora strigliata, strettamente verbale, quel tanto da fargli capire le conseguenze delle loro azioni e fargli promettere che non tenteranno mai più un’impresa del genere - raccontò Dean, preciso come un fuciliere.

Malgrado la buona notizia, Sam non abbassò la guardia. Gli sembrava di avvertire ancora troppa boria nel tono di suo fratello e doveva assicurarsi che fosse solo una delle strategie che Dean era solito mettere in campo per proteggersi.

- C’è qualcosa di particolare che vuoi sentirti dire? - chiese senza particolari inflessioni.

Il sospiro di suo fratello nel microfono era quanto di più reale avrebbe mai potuto domandargli.

- Che sono perdonato per le mie solite cazzate, magari. Non sarebbe male, per mettere una pietra sopra quello che ci siamo detti con quei toni così soavi.

A Sam scappò un sorriso e i suoi nervi accettarono di distendersi.

- Sei perdonato - ribatté senza farsi pregare oltre. - Che cosa ti ha fatto cambiare idea?

Al suo cambio di voce, Dean si rilassò del tutto.

- Be’, prima di tutto, Cas non era così d’accordo come credevo - confidò. - Poco ci mancava che minacciasse il divorzio.

Sam ridacchiò quando, da lontano, giunse la voce di Castiel che lo accusava di esagerare.

- Solo questo?

- No - ammise Dean con un sospiro. - Non appena sono entrato nella camera dei bambini, Dee si è fiondato ad abbracciarmi le gambe e a dirmi che era tutta colpa sua.

- Mai bugia fu più ovvia - commentò Sam.

- Logico. Te lo vedi Daryl a riflettere su come far detonare una bomba, quando è suo fratello quello che non toglie il naso dal libro di scienze nemmeno a scuola finita? Ma Tom stava piangendo e Daryl non voleva che lo punissi. Me lo ha detto chiaro e tondo.

Sam fece una smorfia impressionata.

- Si mette in mezzo per salvare il culo a suo fratello. Mi ricorda qualcuno.

- Anche Cas ha commentato che le somiglianze tra noi non fanno che moltiplicarsi.

Copiando il sorriso che aveva appena sentito impregnare le parole di suo fratello, Sam annuì.

- Sono immensamente grato della decisione che hai preso, Dean.

- Ne sono felice, fratellino. E volevo anche ringraziarti per… per avermene dette quattro. Per esserti esposto. So che spesso non è facile con me, specie quando si tratta dei bambini e di… di come fare il padre. Ma ti ringrazio, perché con il tuo punto di vista e la tua testa dura mi aiuti a farlo un po’ meglio, credo.

Sam si appoggiò alla staccionata e si morse le labbra mentre osservava i suoi due bambini di due anni e mezzo, puro potenziale che stava a lui e Gabriel plasmare e cercare di non rovinare, ascoltare con le boccucce spalancate quel maestro d’intrattenimento che avevano la fortuna di avere come padre.

- Figurati - rispose quindi a Dean, conciso e sincero. - Tu fai lo stesso con me, anche senza accorgertene.

Quando udì suo fratello sorridere vicino al microfono del suo cellulare, seppe che quelle parole lo avrebbero aiutato ad addormentarsi serenamente, quella sera.

- Buona serata, Sammy.

- Anche a te, Dean.



   
 
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