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Autore: crazy lion    20/08/2021    1 recensioni
Emma è una ragazza che, nel giorno di pasqua, non aspetta altro che festeggiare con la sua famiglia. Per ora è sola, seduta davanti al televisore a guardare una puntata di The Vampire Diaries. Ma non sa ancora che verrà catapultata nello show, o meglio, nel 1490, con Katerina, Nadia e Stefan.
So che Stefan e Katherine Pierce si sono incontrati nel 1864, e che nella realtà la bambina è stata sottratta a Katerina alla nascita, ma non volevo creare un personaggio fittizio, così ho scelto lui, e per quanto riguarda Nadia, nella storia L'amore di una mamma spiego che il padre gliela riporta.
Storia stilata con Emmastory.
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà degli autori che li hanno ideati.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Giuseppe Salvatore, Katherine Pierce, Nadia Petrova, Nuovo personaggio | Coppie: Katherine/Stefan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NELLA PASQUA DEL PASSATO

 
Emma era seduta sul divano a guardare la televisione. Faceva zapping senza trovare mai qualcosa che la interessasse. I programmi di cucina non l’avevano mai attirata, così come, nella maggiornza dei casi, i documentari. Le serie poliziesche però erano una bella distrazione, specie da quando aveva scoperto la cara How to Get away with Muder e il personaggio di Annalise Keating.
Di domenica non fanno mai niente di bello, soprattutto a Pasqua.
Ma a un certo punto arrivò su un canale in cui facevano una replica della nona puntata della seconda a stagione di The Vampire Diaries. Guardò la prima scena e si rese conto di non riuscire a capacitarsi del fatto che il padre di Katerina Petrova le sottraesse la figlia perché illegittima, D’accordo, quella era la fine del Medioevo e le cose erano diverse dai tempi moderni, però le sembrava comunque una cattiveria e non poteva neanche immaginare il dolore che questa perdita aveva portato a Katerina. Anche quando, nel 1864, sarebbe diventata Katherine Pierce, di sicuro il dolore era ancora vivo in lei.
“Lo sarà stato sempre” si disse.
Si sentì trascinare verso la televisione da una forza sconosciuta, poi davanti a lei si aprì un portale che la ragazza attraversò ed entrò letteralmente dentro la televisione.
“Ma che sta succedendo?” si chiese.
Si trovava in un bosco e non sapeva dove andare, né come tornare a casa propria. A quanto pareva era stata catapultata nello show, ma ora cosa sarebbe successo? Avrebbe incontrato Stefan? O magari il perfido Damon, suo fratello? O la dolce Elena? O Klaus ed Elijah Mikaelson, i vampiri più cattivi che avesse mai visto in televisione? Il cuore le batteva fortissimo, mentre il silenzio che avvolgeva ogni cosa era irreale. Avrebbe vissuto la puntata assieme ai personaggi o si trattava di altro? Si alzò in piedi e si pulì i pantaloni dagli aghi di pino. Camminò per un po’. Faceva caldo, anche se non troppo. Doveva uscire da lì e capire dove si trovava, tanto per cominciare. In più aveva fame. Stringeva in mano l’uovo di Pasqua che avrebbe dovuto aprire con la famiglia quel giorno. Pensò di aprirlo e mangiarne un pezzo, ma poi si disse di no. Sarebbe stato scortese tornare a casa con un uovo già aperto. Il sole era appena sorto, tingendo il cielo di mille colori: blu scuro sull’orizzonte, celeste e molti altri. Emma rimase incantata a guardare l’alba: non era uno spettacolo al quale assisteva tutti i giorni.
“Vi siete persa, signorina?”
Una voce alle sue spalle la fece sobbalzare.
“Scusate, non volevo spaventarvi” continuò il ragazzo.
“Non preoccupar… non preoccupatevi, sto bene. Credo.”
“Sembrate spaventata” disse un’altra voce gentile, stavolta di donna.
Era Katerina in persona.
“Ma voi siete… siete quelli dello show!” esclamò Emma entusiasta. “Cosa ci fa Stefan qui, se voi, Katerina, l’avete incontrato nel 1864?”
“Nel 1864?” chiese lei stupita. “Qui siamo nel 1491 e io e Stefan ci siamo sposati sei mesi fa. Mia madre e mio padre mi hanno fatto fare un matrimonio riparatore perché l’onta che ci aveva travolti finisse e smettessero le malelingue.”
“E come prosegue lo show se voi siete qui?”
“Cos’è uno show?” chiese Katerina.
La cosa assurda era che parlavano tutti bulgaro ed Emma e Stefan non avrebbero dovuto conoscerlo.
Solo allora Emma notò che, dietro Katerina, c’era una bambina con capelli e occhi marroni. Avrà avuto un anno, su per giù.
“Ma allora… allora voi siete riuscita a tenere la bambina.”
“Esatto.”
“Nel mio mondo ci sono degli apparecchi he si chiamano televisioni. Servono per vedere delle cose, che possono far ridere o piangere, o anche solo rilassare.”
“Quali cose?” chiese Katerina incuriosita.
“Film, serie televisive, cose così. Lo so che vi sembra tutto assurdo, ma nel mio mondo c’è uno show in cui ci siete voi, e Caroline, Elena e tanti altri personaggi.”
“Quindi siamo dentro la televisione?” domandò Stefan sempre più confuso.
“Non ci sono gli attori dentro. Loro recitano in uno studio e poi in televisione viene trasmesso tutto.”
“Non ho capito del tutto bene, ma sembra incredibile” disse Katerina.
Si spostò i capelli castani dal viso.
“Lo so, e a me sembra incredibile essere qui. Ero a casa mia a guardare la puntata in cui vostro padre vi sottrae la bambina e mi ritrovo nel 1491 con voi tre.”
“Ci siamo sposati sei mesi fa” disse Stefan. “Ora Nadia ha undici mesi.”
“E sa già camminare? Wow!”
“Ha iniziato il mese scorso. Presto, lo so, ma è così.”
“Non sappiamo come vi chiamate” disse Katerina.
“Sono Emma, molto piacere. Ho ventidue anni.”
“Io ne ho diciotto. Perché non ci diamo tutti del tu?”
La proposta spiazzò Emma.
“Credevo bisognasse dare sempre del voi in questo tempo.”
“Non fra moglie e marito, se sono da soli, o fra quasi coetanei o coetanei” rispose il ragazzo.
“Allora va bene” acconsentì Emma. “Dandovi del tu vado meglio.”
Stefan guidò tutti a casa. Nadia teneva la mano della mamma.
La prima cosa che Emma notò dell’abitazione di Katerina e suo marito fu il fatto che aveva una grande porta in legno lavorata con motivi floreali. Quando entrò, si trovò dentro una vera e propria villa. Il pavimento era di marmo e alle pareti erano appesi dipinti di paesaggi.
“Li fai tu?” chiese Emma a Katerina.
Lei annuì.
“È una mia grande passione. La tua, invece, qual è?”
“Io scrivo. Scrivo storie. Saghe, poesie e raccolte di racconti. Infatti prima stavo per chiamare Stefan con il cognome Gardner, come uno dei miei personaggi, e non Salvatore, che è il suo vero cognome.”
“Wow, dev’essere bellissimo! Mi piacerebbe leggere qualcosa di tuo.”
“Purtroppo non ho niente con me.”
In quel momento, un libro apparve magicamente nelle mani di Emma.
“Ma cosa…” dissero le due ragazze.
“Come ha fatto ad arrivare qui? E poi io non ho pubblicato niente.”
“Fammi vedere.” Katerina glielo tolse dalle mani con gentilezza. “Le Cronache di Aveiron, tutti gli anni del regno.” recitava il titolo.
“Wow…” disse Emma, non potendo credere a ciò che vedeva. Beh, adesso hai qualcosa da leggere.”
“Ti fermerai qui qualche giorno?”
“Forse una notte.”
“Allora ti mostro il tuo alloggio, vieni. È la camera degli ospiti, spero vada bene.”
“Andrà benissimo, non preoccuparti.”
Ma Emma non era preparata a ciò che vide. Il letto era enorme, con cuscini e coperte a volontà, un comodino con cinque cassetti con sopra una candela e una grandissima finestra dalla quale si poteva vedere il bosco. C’era anche una portafinestra che accedeva su una piccola terrazza.
“Cavolo, non mi aspettavo tanto sfarzo” disse.
Anche le coperte avevano motivi floreali, animali e paesaggi, tutti fatti a mano.
“Perché vivi in un’altra epoca. Per noi è normale. Quando sarà pronto ti farò chiamare, intanto credo tu voglia stare un po’ da sola.”
“Sì, grazie” disse.
Katerina era stata comprensiva con lei.
Emma si distese sul letto e lo trovò estremamente comodo. Sospirò. Chissà cosa pensava la sua famiglia. Ormai dovevano essersi svegliati tutti, sia i genitori sia Lorena, la sua gemella, e non trovandola si erano sicuramente preoccupati.
In quel momento, qualcuno bussò alla finestra della camera. Chi poteva essersi arrampicato fin lassù? Emma aprì e all’inizionon vide niente, poi una creatura avvolta da un lenzuolo bianco si fece strada nella stanza. Balzò a terra senza alcun rumore. Era una ragazza con i capelli e gli occhi marroni. Un fantasma? Stava vedendo un fantasma? Si mise a urlare, ma la ragazza la fermò.
“Aspetta, non voglio farti del male” le assicurò.
Era in tutto e per tutto uguale a Katerina, la sua Doppelgänger insomma.
“Che cosa vuoi?” le chiese, sula difensiva.
“Dirti di stare tranquilla per i tuoi genitori. Li ho avvertiti io con un messaggio. Sono andata a casa tua, ho copiato la tua calligrafia e ho scritto un biglietto dicendo che saresti andata a festeggiare la Pasqua da un’amica che vive all’estero e che saresti tornata nel giro di qualche giorno.”
La sua voce sembrava provenire da molto lontano, come se si fosse trovata a chilometri e chilometri di distanza. Emma provò a toccarla, ma non sentì niente, solo un vento gelido avvolgerla e poi dissiparsi.
“Oh, grazie, ma come fai a sapere dove abito?”
“Io so tutto. Giro intorno a questa casa da secoli e so ogni cosa di tutti.”
“Grazie per quello che hai fatto. Come ti chiami?”
“Tatia, sono la prima Doppelgänger della stirpe dei Petrova.”
“Cos’è un Doppelgänger? Non l’ho mai capito bene.”
“È il doppio paranormale di una persona vivente. Io, per esempio, sono un fantasma, quindi una creatura paranormale, mentre Katerina è vivente.”
“In effetti sei identica a lei in tutto e per tutto. Anche la voce è uguale!”
“Lo so.”
Detto questo, il fantasma sparì.
Quante cose strane stanno succedendo! pensò Emma.
Era tutto assurdo, eppure così reale. Poteva sentire le voci di Stefan e Katerina al piano di sotto, le risatine di Nadia, il letto sotto di lei. Era tutto reale.
Quando Emma stava per addormentarsi, con l’uovo di Pasqua vicino, del quale nessuno pareva essersi accorto, qualcuno bussò alla porta.
“Avanti” disse la ragazza con voce assonnata.
“Scusate, Lady Emma, non volevo spaventarvi, signorina, perdonatemi.”
Era una ragazza dai capelli neri e gli occhi marroni. Era vestita in modo semplice, con un abitino scuro che le arrivava fin sotto il ginocchio, e non indossava tutte quelle gonne e sottogonne che portava Katerina, né gioielli. Doveva esssere una cameriera o qualcosa del genere.
“Sono venuta per aiutarvi a vestirvi per la messa e il pranzo. I vostri abiti sono moderni, non sono adatti al pranzo.”
“Capisco.”
A Emma quell’affermazione diede un po’ fastidio, ma comprendeva che quelli erano altri tempi e che avrebbe dovuto abituarsi a nuove regole.
“Mi chiamo Emily Bennett. Sono arrivata dall’Inghilterra quando avevo sedici anni e ora ne ho ventiquattro. Da quando sono qui presto servizio alla famiglia Petrova e ho seguito Katerina nella sua casa perché siamo molto amiche” spiegò la giovane, mentre riempiva un catino d’acqua calda.
“Fatevi un bagno, io tornerò quando sarete pronta.”
“E i vestiti?”
“Vi lascio un asciugamano per coprirvi, il vestito lo sceglierò dopo,.”
Quando Emily fu uscita, Emma si spogliò e si immerse nell’acqua. Era calda al punto giusto e si stava davvero bene. Si lavò i capelli, rimpiangendo il suo shampoo preferito, e il corpo con una spugna che Emily le aveva lasciato. Quando ebbe finito si avvolse intorno l’asciugamano.
“Ho fatto!” esclamò, pensando che Emily fosse rimasta nei paraggi.
“Perfetto” disse.
Strizzò i capelli di Emma con un asciugamano e li asciugò con un panno caldo.
“Ora il vestito” disse Emily aprendo l’armadio.
Emma sbirciò e vide una serie di abiti meravigliosi. Emily ne studiò alcuni per un po’, poi tirò un’esclamazione di gioia.
“Trovato!”
Era un abito lungo, con il corsetto tenuto da un filare di nastri terminanti in un fiocco e le maniche a sbuffo. Sperava solo che il primo non le stringesse troppo, dato ciò che aveva dovuto studiare per un esame di letteratura inglese. Cielo, le immagini scelte dalla professoressa l'avevano fatta rabbrividire.
“Faccio io” disse Emma prendendolo.
“No, devo aiutarvi io.”
“Non voglio farvi perdere tempo.”
“Perdere tempo, Lady Emma? Io sono qui per voi, come ci sono stata prima per Katerina. Vi assicuro che non è un abito facile da indossare.”
La ragazza si fece aiutare e constatò che Emily aveva ragione. Inoltre, con il suo problema, che forse a quel tempo avrebbero di molto semplificato limitandosi a considerarlo una grave zoppia, farsi aiutare non era poi così male. Nè sbagliato, anzi, il contrario. Le raccolse i capelli in una treccia e la decorò con alcune margherite che prese dal giardino. Emma fissò quell’immagine per lunghi istanti, usando lo specchio posto di fronte al letto, e si stupì di quanto si sentisse cambiata portando quei vestiti. Eppure, era sempre lei, sempre la stessa Emma, anche se agghindata in modo diverso.
Poi Emily tirò fuori una boccetta di vetro da una tasca del vestito, dentro la quale si poteva vedere un liquido verde.
“Quest’olio viene da una pianta che si coltiva in queste terre. Lascia i capelli morbidi e setosi, Molte nobildonne lo utilizzano, e lo sarete anche voi finché vivrete qui.”
Sentirsi chiamare nobildonna fu stranissimo per Emma. Mai, nemmeno nei suoi sogni più strani, avrebbe immaginato di trovarsi in una situazione del genere.
“Grazie, Emily, davvero.”
L’altra corrugò la fronte. Forse non era abituata a essere ringraziata, o magari si domandava per cosa Emma la stesse ringraziando.
Dopo essersi vestita – Dio, quanto stringeva quel corsetto! – la ragazza scese seguita da Emily.
“Emma è pronta, signora” disse a Katerina, che intanto si era cambiata. Indossava un elegante vestito a fiori.
“Perfetto, allora possiamo andare. Grazie Emily, potete ritirarvi.”
“Col vostro permesso” disse la ragazza e sparì, probabilmente i cucina.
“È una brava ancella” disse Emma. “È stata molto gentile con me.”
“Sì, molto, ma per me è anche una dama di compagnia. Si siederà al nostro tavolo, oggi, per mangiare. Nelle altre case dei ricchi i servitori stanno in piedi alle loro spalle aspettando ordini, ma io non tratterei mai Emily in questo modo. È un’amica, prima che una serva.”
“Ha ragione” disse Stefan.
Anche lui si era cambiato e la piccola Nadia indossava un vestitino rosa molto carino. Fu allora che Emma si ricordò di averla solo guardata.
“Posso prenderla in braccio?” chiese con tono gentile. “Beh, non ho mai tenuto in braccio un neonato che non avesse quattro zampe. Sono abituata con cuccioli di cane o gattini, ma non con bambini.”
“Dopo,” rispose Stefan, “ora dobbiamo andare a messa. Sei cristiana cattolica?”
“Sì.”
“Bene allora, andiamo.”
Si misero in marcia verso la chiesa e una volta entrati aspettarono l’inizio della messa. Le campane suonavano già a festa. La celebrazione fu molto bella. Il Parroco parlò di che giorno gioioso stavano vivendo, della resurrezione di Gesù, del fatto che questo doveva portare felicità nel cuore di tutti. E me parlò con tanto entusiasmo che Emma non poté non sentirsi felice. Il corsetto le stringeva i fianchi e le sosteneva il seno, ma Emma si sentiva costretta dentro quell’oggetto. Rimpiangeva il reggiseno e una maglia.
“La messa è stata bellissima!” esclamò quando uscirono.
“Anch’io l’ho gradita molto” disse Stefan.
Tornarono a casa e, finalmente, Emma poté sedersi su una sedia e prendere in braccio Nadia. La bambina la guardò e fece qualche versetto, poi osservò Katerina ed esclamò:
“Mamma!”
“Sì, amore, sono la mamma. Lei, invece, è Emma. Emma” ripeté più lentamente, affinché la piccola capisse.
“Em… Emma” disse la bambina, un po’ insicura.
“Bravissima!” La ragazza la abbracciò e la riempì di baci sulla testina. “Sei riuscita a dire subito il mio nome, sei un fenomeno.”
“Signora?” Emily uscì dalla cucina. “Il pranzo è pronto, posso servirlo?”
“Certo. La sala da pranzo?”
“L’ho già apparecchiata.”
“Bene, allora andiamo.”
Si spostarono in un’altra stanza ampia, con un tavolo al centro. Sulla tovaglia erano cuciti disegni in rilievo di animali e i piatti erano in oro e incastonati con pietre preziose.
“Wow!” riuscì soltanto a dire Emma, non credendo ai propri occhi. Le sarebbe sempre piaciuto mangiare in piatti così, o almeno quando era piccina e fantasticava.
Per prima cosa Emily portò una zuppa di patate che Emma gradì tantissimo, poi carne di maiale, sempre con patate ma lesse, involtini di carne che Katerina disse chiamarsi sofiota, e un’insalata a base di peperoni che si chiamava sopska.
“È tutto buonissimo!” esclamò Emma.
Infine Emily servì il Kozunak, un dolce tipico bulgaro preparato, come disse, con latte, uova, farina, sale e zucchero.
“Ma è fantastico!” esclamò Emma, mettendone in bocca generose forchettate. “Posso averne un’altra fetta?”
“Certo” disse Emily e avrebbe voluto tagliargliela, ma la ragazza ci pensò da sé. Lavorandoci, però, sperò di non essere malvista per il modo in cui lo faceva. Teneva sempre le posate al contrario, se c'era da tagliare qualcosa.
Dopo il pranzo, arrivarono dei vicini di casa e allora tutti si scambiarono gli auguri di buona Pasqua e fecero una cosa che Emma non capì. Si scambiarono anche un cesto di uova di gallina.
“Perché lo fate?” sussurrò a Stefan.
“L’uovo è simbolo di vita, è un modo per augurare agli altri che la loro sia serena. Lo scambio delle uova è molto comune tra noi.”
Quando i vicini se ne andarono, Katerina diede le uova a Emily.
“Conservale per domani, le faremo sode.”
“Come desiderate, signora.”
“Come le conservate, Emily?” chiese Emma.
Non voleva essere invadente, era solo curiosa.
“In salamoia” rispose questa e andò in cucina.
“Cos’hai portato?”
Solo allora Stefan si accorse dell’uovo di Pasqua che Emma aveva posato vicino alla sua sedia.
“Un uovo di Pasqua. Ce l’avevo in mano quando sono arrivata qui.”
“Probabilmente eravamo troppo concentrati a conoscerti e non ce ne siamo accorti” disse Katerina.
“È al cioccolato. Il cacao è una cosa che deve ancora arrivare qui da voi, lo farà tra un po’, ma vi posso garantire che questo uovo è molto buono.”
“Apriamolo allora. Che aspettiamo?”
Katerina era entusiasta e tagliò con un coltello lo spago che teneva chiuso l’involucro. Stefan la aiutò ad aprire il pacchetto. Davanti a loro c’era un uovo di colore scuro che non avevano mai visto prima. Tutti e due lo fissarono con gli occhi sbarrati e Nadia con la fronte corrugata, come se si domandasse cos’era quella cosa strana che i genitori avevano messo in tavola.
“Forza, assaggiamolo” disse Emma, per svegliarli da quello stato di trance.
Fu lei la prima a prenderne un pezzo. Era un uovo alla gianduia e la cioccolata era tenera, ci metteva poco a sciogliersi.
“A me piace tantissimo” disse a bocca piena.
Si rese conto di essere stata maleducata e si scusò, ma gli altri dissero che non c’era problema. Anche Katerina e Stefan assaggiarono un pezzo di uovo e ne diedero uno piccolo a Nadia. La bambina aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro quando lo terminò, segno che le era piaciuto da matti, e anche i genitori rimasero colpiti e soddisfatti da quel sapore.
“È paradisiaco” disse Stefan.
“Sono d’accordo” intervenne Katerina.
"Pare che dentro ci sia qualcosa" riprese l'uomo, confuso. Che strano, da quando le uova contenevano oggetti oltre che pulcini, tuorli e albumi? Proprio non capiva.
"Oh, bello! Un portachiavi! Ti piace, Nadia?" intervenne Emma, sventolandolo per un pò davanti alla bambina. Divertita, questa ridacchiava, e cercava di prenderlo con le manine. Era a forma di orsetto, e chi lo sapeva, forse le ricordava un peluche.
Dopo pranzo la ragazza chiese a Emma se avrebbe voluto riposare.
“Dormirei volentieri un po’, sono stanca ed è stata una mattinata intensa.”
“Va bene, poi decideremo cosa fare nel pomeriggio. Va’ pure a dormire, anche noi ci riposeremo ora.”
Ma quando Nadia vide che Emma saliva le scale, scoppiò a piangere e la ragazza tornò indietro. La prese in braccio, rendendosi conto solo allora di quanto fosse pesante, e rimanendo in piedi le sussurrò:
“Tesoro, non vado da nessuna parte. Dormo solo un po’, come farai tu e poi ci rivedremo.”
Confortata da quelle parole e dalla dolcezza di Emma Nadia si calmò e sorrise, poi volle andare in braccio a Stefan che le cantò una ninnananna.
Emma si diresse nella sua stanza, si svestì – Dio, quanto fu liberatorio togliersi il corsetto -, indossò una camicia da notte e crollò sul letto e stava per addormentarsi scoperta, quando sentì freddo e se ne rese conto si mise subito sotto. Le coperte erano fresche, ma allo stesso tempo tenevano caldo. Non troppo, il giusto per quella stagione. Prima di addormentarsi pensò alla sua famiglia. Per fortuna Tatia li aveva avvertiti, ma festeggiare la Pasqua senza di lei non doveva essere stato bello. Beh, pazienza, sarebbero stati insieme l’anno seguente. Lei era felice di restare lì. Si addormentò serena e cadde in un profondo sonno senza sogni.
Quando si svegliò era già pieno pomeriggio. Scese. Stefan stava scrivendo qualcosa su un pezzo di carta con una penna d’oca intinta precedentemente nell’inchiostro.
“Cosa fai?” gli chiese.
“Organizzo una caccia alle uova colorate e preparo dei bigliettini per trovarle. Le ho già nascoste. Io non parteciperò, guarderò mentre tu, Nadia e Katerina vi divertirete.”
Emma uscì per non vedere dove nascondeva le uova. Siccome Katerina e Nadia stavano ancora dormendo, andò fuori da sola. Il loro giardino era immenso e al centro c’era una fontana. Emma aveva sempre adorato lo scorrere dell’acqua, così si avvicinò e la toccò. Era fredda. Bevve qualche sorso per rinfrescarsi – faceva
più caldo della mattina – e poi girò per il giardino. Era molto ben curato, pieno di piante e fiori. L’erba era soffice ed Emma si sdraiò, incurante di sporcarsi i vestiti, a osservare le nuvole bianche che solcavano il cielo. Era così bello stare lì. Niente macchine che sfrecciavano, niente gente che urlava – aveva una coppia di vicini che non faceva che litigare –, ciò che le dispiaceva era non sentire nessun bambino. Forse erano tutti in casa a festeggiare la Pasqua.
“Emma?”
Era così immersa in quelle riflessioni e a guardare il cielo che non si era resa conto che Katerina era davanti a lei.
“Oh, ciao! Scusa, stavo…”
“Osservando il cielo? Lo faccio anch’io, specialmente quando ho qualche pensiero negativo. Ti manca casa?”
“Un po’, ma non posso andarmene finché quella forza non lo vorrà.”
Emma si alzò a fatica e barcollò nel camminare.
“Tutto bene?”
“Sì, ho solo… un piccolo handicap motorio. Sono nata in sette mesi e ho avuto dei problemi che mi hanno portata a questo. Non hai visto che camminavo lentamente, stamattina?”
“Sì, ma pensavo che fosse perché volevi goderti la natura.”
“Anche ma non solo per quello.”
“Mi dispiace per il tuo handicap.”
Lo disse non con pietà, come Emma si sarebbe aspettata. L’ultima cosa che voleva era essere oggetto di preoccupazione.
“Ho pensato di organizzare una cena in tuo onore, domani sera, con alcuni amici. Vorrei presentarti a loro, se ti va.”
“Se mi va? Ma certo! Solo, non ti devi disturbare per me.”
“Ma figurati, non è un disturbo, anzi.”
“Amore, Nadia sta piangendo e ti vuole” disse Stefan.
“Arrivo subito. Vieni con me, Emma?”
“Va bene.”
Salirono le scale e si diressero in fondo al corridoio. La camera di Nadia era attigua a quella dei genitori, con delle stelle disegnate sul soffitto.
“Belle, vero? Le ha fatte Stefan” disse la ragazza, mentre prendeva in braccio la bambina.”
Ninna nanna mio ben, riposa seren
un angiol del ciel, ti vegli fedel.
Una santa vision faccia il core estasiar
una dolce canzon, possa i sogni cullar.
Buona notte piccin, riposa carin
riposa tranquil, bambino gentil.
Quando l'alba verrà, sorgerai dal lettin
se il Signor lo vorrà, sorgerai o bambin.
“È bellissima!” esclamò Emma.
“Piace tanto anche a me.”
“E anche a lei, si è riaddormentata” constatò Emma.
Katerina e l’altra ragazza andarono in cucina e chiesero a Emily di dar loro una tazza di latte a testa.
“Con i biscotti?” chiese la ragazza.
“Avete i biscotti?” domandò Emma stupita. Che avrebbe dato per dei Pan di Stelle al mattino!
Non era certo esperta di storia.
“Sono fette di pane indurito” le spiegò Katerina. “Ma inzuppandole nel latte si ammorbidiscono.”
Dopo aver fatto merenda, Katerina andò a prendere Nadia che si era svegliata.
“Ho colorato delle uova, qualche giorno fa” disse, dando la bambina in braccio a Emma. “Ora Stefan le ha nascoste, bisogna solo trovarle.”
“Ecco il primo biglietto” disse, dandolo a Katerina.
Ho quattro zampe, ma non cammino
Qui la mamma fa il riposino” diceva.
“Dove sarà, Nadia?” chiese Emma alla piccola.
Lei fece un versetto e, come se avesse capito, indicò le scale.
“Esatto, in camera di mamma e papà! Andiamo.”
Tutte e tre si diressero lì e, in effetti, proprio sotto al letto trovarono l’uovo, che Katerina mise in un cestino.
“Li ho colorati con colori naturali, presi dalla frutta o da altre pietanze, così potremo mangiarli in futuro” spiegò.
L’altro bigliettino che Stefan consegnò ad Emma diceva:
Piccole e lievi, da ballerina,
Le indossi nei piedi ogni mattina.
Col sole e la pioggia, senza problemi,
Per uscire sui marciapiedi
Alle due non ci volle molto a capire che si trattava delle scarpette di Nadia. Ci misero un po’ a trovarle, anche Nadia guardò dentro ogni paio, ma alla fine eccolo.
“Siete bravissime!” esclamò Stefan.
“Grazie, e ci stiamo divertendo un mondo, vero Nadia?” chiese Katerina.
La bambina rise.
Aveva una risata argentina che fece sorridere Emma.
L’altro bigliettino diceva:
Una merenda stupenda
colorata e piena di vitamine,
ne fanno parte mele, banane e fragoline.
“Il cesto della frutta!” esclamò Emma. “L’ho visto in cucina.”
Trovarono l’uovo nascosto in mezzo alle mele.
“E questo è l’ultimo bigliettino” disse Stefan.
Emma lesse:
Non è facile ti avverto,
ma ormai sei un esperto.
Se il regalo vuoi trovar
In una scatola molto calda devi cercar.
“Una scatola molto calda? Stefan, che significa?” chiese Emma.
Le due ragazze ci pensarono, mentre Nadia camminava loro intorno, poi, come se avesse capito, si diresse in cucina.
“Ciao, piccola!” sentirono esclamare Emily. “Stai cercando l’uovo, eh?”
“Katerina, ho trovato! Scatola molto calda significa forno.”
“Un uovo nel forno?”
“Già.”
In effetti nel forno, che era spento, c’era l’uovo di cioccolato che Emma aveva portato, di cui tutti assaggiarono un altro pezzo.
“È una vera delizia, Emma” disse Emily.
“Che ne dite se domani andiamo al lago?” propose Stefan.
“Per me va bene” disse Katerina.
Intanto Emma si era seduta su un tappeto a giocare con Nadia. Aveva dei cubetti di legno con i quali stavano costruendo una torre alta fino al cielo, o così a Emma piacque pensare.
Ben presto la bambina, forse desiderosa di ricominciare, buttò giù la torre e scoppiò a ridere.
“Sei proprio una piccola monella, lo sai?”
Emma le arruffò i capelli. Adorava quella bambina. Non era sua figlia e non lo sarebbe mai stata, ma, come diceva spesso alle sue amiche:
“Datemi un bambino o un cucciolo e divento pazza.”
“Potreste divertirvi anche con la creta” propose Stefan. “piace molto ai bambini e poi quello che costruirete lo cucineremo nel forno.”
Emma accolse l’idea con entusiasmo. Giocare con la creta era una bella idea, soprattutto per una bambina dell’età di Nadia.
Katerina andò a comprare la creta e la port ò a casa in un involto di carta. La mise su un tavolo che avevano lì in salotto, liberandolo da alcune cianfrusaglie, e disse:
“Ora tocca a voi!”
Nadia rise di cuore quando mise le mani in quella terra pastosa. Emma costruì una tazzina.
“Le tue bambole potranno berci il tè” disse alla piccola, poi le diede in mano il piccolo oggetto perché lo controllasse. La piccola sorrise e cercò di imitare l’amica, con carsi risultati. Del resto, era ancora molto piccola, così Emma la aiutò. Crearono una ventina di tazzine e un’altra quindicina di bicchieri.
“Ecco fatto” decretò alla fine.”
“Nadia, hai pezzetti di creta perfino nei capelli!” esclamò Katerina. “Ti ci vuole un bagno.”
“E anche a me” disse Emma.
Emily preparò tutto e portò nella camera di Emma un catino d’acqua calda.
“Ci ho messo alcuni petali di rosa, che poi ho tolto, per darle profumo.”
“Non era necessario, ma siete stata molto gentile, grazie.”
Il pomeriggio sfumò presto nella sera ed Emma, dopo aver mangiato, disse di essere stanca e andò a letto. Si sdraiò e si addormentò subito. Era stata una giornata intensa, molte cose erano accadute e tra il ceercare le uova e lavorare con la reta si era stancata. In più le facevano male le gambe, ma sperò che sarebbe bastato riposare. Ma il dolore non diminuì. Di solito veniva con il freddo, era strano ci fosse anche con il caldo. Quanto avrebbe voluto una compressa miorilassante! Scese in cucina per trovare qualcosa da mangiare che la distraesse dal dolore, e fu sorpresa di trovare Emily ancora sveglia.
“Che ci fate qui?” chiese. “Non ditemi che Katerina i fa volare anche di notte.
Credeva di no: Katerina non era certo una padrona dispotica.
“No, la mia signora è molto buona con me. Sono rimasta un po’ qui a godermi il silenzio e a leggere un romanzo d’amore.”
Le mostrò il libro che teneva in mano. Il titolo recitava: L’amore di noi due.
“Non credevo sapeste leggere.”
A quel che ricordava dalle lezioni di storia, l’analfabetismo dilagava fra i ceti più bassi.
“È stata Lady Katerina a insegnarmi. Sono fortunata, molti del mio ceto sociale non riescono a leggere nemmeno una lettera.
“Me lo prestereste, quando l’avrete finto? Sono un’inguaribile romantica.”
E lo sarebbe sempre stata, si disse. Avrebbe tanto voluto un fidanzato, ma per ora non l’aveva ancora trovato.
“Ve lo presterò volentieri. Mi sta piacendo molto. Ma voi che ci fate qui?”
“Ho un piccolo handicap motorio e mi fanno male le gambe. Speravo che riposando la situazione sarebbe migliorata, ma non è così. Mi domandavo se aveste una cura per questo problema. In realtà ero venuta a mangiare qualcosa per distrarmi, ma on credo mi aiuterà.”
Emily le diede una terrina di ciliegie.
“Assaggiate queste, mentre io vado fuori un momento.”
Emma ne provò una, e poi un’altra e poi un’altra ancora, finché non ne ebbe mangiate una ventina.
“Buone, sono del vostro giardino?” chiese quando Emily rientrò.
“Sì. Non avete visto i ciliegi che abbiamo?”
“Non ci avevo fatto caso. Cosa state facendo?”
Aveva in mano una pentola di acqua bollente.
“Sono andata a prenderla nel bagno pubblico che abbiamo qui vicino. Per i vostri bagni ho acceso il camino per scaldare l’acqua, ma è costoso e porta via legna che serve per l’inverno, così ho pensato che, per la tisana che vi preparerò, sarei potuta andare ai bagni pubblici.”
“Da sola? Di notte? E se vi fosse successo qualcosa?”
“Non preoccupatevi, sono vicini. Ora metterò queste foglie nella pentola. Sono di una pianta aromatica che aiuta a calmare il dolore.”
Emily lasciò in infusione per alcuni minuti, poi versò un po’ del contenuto in una tazza.
Emma la prese in mano.
“È amara, vi avverto. Volete del miele per addolcirla?”
“Sì, vi ringrazio.”
Emily glielo diede con un cucchiaio di legno e poi glielo lasciò affinché mescolasse. Soffiò un po’ di volte e poi bevve. Il sapore era dolce ma on troppo.
“È davvero molto buona” disse.
Poco dopo ne prese un’alta tazza e anche una terza, fino a finire la pentola. Aveva sete e voleva che il dolore sparisse.
“Sarà meglio che torni a dormire” disse alla fine. “E anche voi, Emily, avete bisogno di riposare. Abitate qui?”
“Sì. Non ho ancora trovato marito, anche se mi piacerebbe formarmi una famiglia?”
“Posso azzardarmi a chiedervi quanti anni avete?”
“Diciannove.”
“Siete ancora molto giovane.”
“Lo so, ma le mie coetanee hanno già figli-“
“Non disperate, un giorno ne avrete anche voi. Buonanotte.”
“Buonanotte.”
E spero di averne anch’io pensò Emma mentre risaliva le scale.
Il fatto di non avere un fidanzato e no riuscire a formarsi una famiglia le pesava molto. Certo, anche lei era giovane e avrebbe avuto tantissimi anni davanti a lei per costruire il suo domani. Andò a letto tranquilla, con la speranza che un giorno sarebbe riuscita a realizzare il suo sogno. Dopo una mezz’oretta il dolore cessò ed Emma fu molto grata a Emily per l’aiuto. Avrebbe trovato il modo di ringraziarla. Crollò in un sonno profondo.
Il giorno dopo, venne destata da una voce che la chiamava e da una mano che la scuoteva piano.
“Lady Emma, svegliatevi.”
Era Emily. La ragazza aprì piano gli occhi. La luce del mattino entrava dalla finestra. Il sole era già alto. Quanto diavolo aveva dormito?
“Solo Emma, non servono tutti questi titoli” le disse.
“Sono venuta a svegliarvi perché Lady Katerina credeva vi sentiste male.”
“No, sto bene, anzi benissimo, dopo la vostra tisana.”
Emily la aiutò a vestirsi con un abito lungo ma leggero e semplice, non elaborato come quello del giorno prima.
“Niente corsetto?”
“No, oggi andrete al lago, quindi potrete farne a meno.”
Quando scese, Emma trovò Katerina, Stefan e Nadia seduti sul divano. Quando la vide, la bambina le andò incontro.
“Ciao, piccola! Come stai?” le chiese Emma, prendendola in braccio.
Lei fece un versetto buffo ed Emma scoppiò a ridere.
“Ciao” disse poi, salutando i due coniugi.
“Ciao cara, dormito bene?” chiese Katerina.
“Ho fatto fatica, in principio, ma poi grazie a Emily ho dormito come un sasso.”
“Sì, ci ha raccontato quello che è successo. Ora come stai?” chiese Stefan, la voce venata di preoccupazione.
“Meglio, molto meglio, grazie. Allora, andiamo al lago?”
“Certo! Emily ha già preparato tutto.”
Detto questo Katerina prese una coperta e un cestino da picnic.
“Non sappiamo cosa ci ha messo dentro, ma saranno sicuramente cose buonissime” disse Stefan.
Uscirono e camminarono per il giardino, poi Stefan aprì il cancello e si ritrovarono in strada. Pullulava di gente che andava da tutte le parti.
“È giorno di mercato, per questo c’i sono così tante persone” disse Katerina.
Emma rimase sempre vicino a loro. Se si fosse persa non sapeva se sarebbe riuscita a ritrovarli. Katerina, forse intuendo che aveva paura, le prese la mano e camminarono insieme.
“Di solito la folla non mi spaventa” disse Emma a corto di fiato.
“Ma non conoscendo bene questo posto, è normale che tu ti senta un po’ agitata. Non preoccuparti, siamo quasi arrivati.”
Superato il mercato, in cui la gente urlava:
“Pesce! Pesce fresco!”
o altre cose che vendeva, si ritrovarono nel bosco. Ne attraversarono una parte, poi svoltarono a destra ed entrarono in una radura. Al suo centro c’era un laghetto. Alcuni magnifici cigni ci nuotavano dentro e un airone passò sopra le loro teste.
“Avete visto?” chiese Emma.
Nadia fece un versetto e rise indicando l’uccello che volava girando loro intorno.
“Non deve avere paura della gente, se fa così” disse Stefan. “Del resto, questo lago ‘ molto frequentato, soprattutto d’estate.”
“Riuscirai a organizzare la cena in mio onore per stasera se ora siamo qui?” chiese Emma a Katerina.
“No, rimanderò a domani, ma preparerò già stasera gli inviti. Balleremo, mangeremo e sarà una serata meravigliosa.”
“Ma io non so ballare.”
Fu panico. Emma cominciò a respirare più in fretta, il cuore prese a martellarle nel petto e le mani iniziarono a sudare.
“Non preoccuparti,, farai quello che saprai.”
“Al massimo ancheggio, il che fa ridere. Rideranno tutti di me!” esclamò, arrossendo per la vergogna.
“Nessuno riderà di te” la rassicurò Stefan, “Respira con me. Dentro, fuori. Dentro, fuori, così, brava.”
La ragazza continuò finché l’attacco di panico fu passato.
“Le persone che inviteremo sono brava gente, i nostri genitori e alcuni amici. Nessuno si aspetterà niente da te, te lo posso assicurare. E poi, se non si balla come si vuole, non è divertente!” esclamò Katerina.
“Mia moglie ha ragione. Sta’ tranquilla, Emma.”
Emma si rilassò un po’, anche se le tremavano ancora le gambe. Nadia si era messa a piangere percependo la paura della giovane, ma i genitori erano riusciti a calmarla con qualche carezza e parola dolce.
Katerina distese la coperta sull’erba e tutti si accomodarono. Il sole era caldo e, nonostante una brezza frizzante, si stava bene. Stefan tolse il coperchio al cestino da picnic, che rivelò pietanze di tutti i tipi: tramezzini con pollo freddo, la Banista, cioè pasta ripiena di vari ingredienti – in quel caso formaggio –, una versione dolce di questa pietanza ripiena di zucchero e formaggio e il Sarmi, un involtino ripieno di riso, carote, formaggio e funghi. Emma dovette farsi spiegare la maggioranza delle pietanze, ma quando Katerina ebbe finito id spiegarle presde un tramezzzino al pollo.
“Mmm, è buonissimo!” esclamò.
Il calore stava diventando più intenso, così tutti si infilarono un cappellino che avevano portato per proteggersi dal sole. Anche Nadia sembrò gradire molto i panini e i piatti, che la mamma le spezzettò in pezzi piccoli. Dopo il pranzo si sdraiarono tutti sulla coperta e si addormentarono.
Si svegliarono qualche ora dopo e decisero di fae il giro del lago. Camminarono osservando il lento ondeggiare dell’acqua e le ninfee e le altre piante che crescevano lì intorno.
“Ah! Ah!” esclamava Nadia che, in braccio a Emma, osservava alcune anatre.
“Sono belle, vero?”
La bambina sorrise.
Diede, assieme alla ragazza che la guidava, alcune briciole di pane alle anatre e agli uccellini, che scesero dai nidi per beccarle.
“Hai visto? Mangiano” le disse.
Nadia li guardava incantata.
Quando iniziò a fare fresco, i tre decisero di tornare a casa. Non volevano ammalarsi o he la piccola si prendesse qualcosa, ma prima di andare lasciarono che toccasse l’acqua con le mani.
“Fredda, eh?” chiese Stefan.
La bambina fece una faccia strana, forse per confermare le parole del padre.
Una volta a casa, i genitori lasciarono la bambina alle cure di Emily.
“Facciamo una pazzia?” chiese Katerina.
Si scambiò uno sguardo d’intesa con Stefan, che annuì.
“Andiamo a fare un bagno al lago!” esclamò questi.
“Perché non portiamo anche la bambina? E poi l’acqua è gelata.”
“Ci staremo poco. E non portiamo Nadia perché il bagno al lago è pericoloso per una bambina così piccola.”
Katerina aveva ragione. Di certo, in quell’epoca non esistevano i braccioli.
Tornarono al lago e si tolsero i vestiti. Stefan rimase in mutande, molto simili a quelle odierne, Emma restò in mutande e reggiseno e anche Katerina.
“Non credevo che anche le donne portassero le mutande o che esistessero i reggiseni” disse.
“Di solito, le mutande sono portate da donne considerate poco serie, ovvero le prostitute. Ma io mi ci trovo bene, sono comode e sto più pulita, quindi mi va bene così. Il reggiseno, come vedi, è stretto da due fasce laterali, ma non fa male.”
“Vogliamo entrare?” domandò Stefan, impaziente.
“Arriviamo” gli rispose la moglie.
Il primo a tuffarsi fu lui, gridando per la freddezza dell’acqua e facendo ridere le due ragazze. Le due lo seguirono a ruota.
“È freddissima!” esclamò Emma.
Dopo un po’, però, tutti si abituarono a quella temperatura e iniziarono a nuotare insieme. Moglie e marito si schizzarono l’acqua per gioco ed Emma li guardò e sorrise.
“È stupendo” disse. “Non avevo mai fatto un bagno al lago, solo al mare.”
“Il Mar Nero è un po’ lontano da qui ma non troppo” disse Katerina. “Una volta ci abbiamo portato la bimba.”
A Emma sarebbe piaciuto vederlo, ma non chiese niente perché non voleva costringerli a fare cose che, magari, non avevano voglia di fare. Si domandò anche come facesse Katerina a proteggersi durante il periodo mestruale. Aveva letto che alcune donne perdevano sangue ovunque e sporcavano le loro tuniche imbarazzandosi, mentre altre appoggiavano sul pube un pezzo di qualche materiale che ora non ricordava, probabilmente lino o qualcosa di simile.
“Che schifo” si disse. “Perché penso a queste cose?”
Nuotò ancora un po’, poi lei e Katerina fecero a gara a chi arrivava prima a riva. Vinse Katerina, ma solo perché non aveva il problema alle gambe di Emma.
“Se non avessi avuto il mio handicap ti avrei battuta, sappilo” le disse.
“Sei stata bravissima comunque. E poi non importa chi vince o chi perde. Ciò che conta è divertirsi.”
Si rivestirono, tornarono a casa e andarono a letto. Era stata una bella giornata ma anche stancante.
Il mattino dopo, martedì, Emma era ancora lì in Bulgaria. Per quanto ci sarebbe rimasta? Non ne aveva idea, ma sapendo che i suoi genitori erano tranquilli lo era anche lei.
A colazione, Katerina parlò con Emma.
“Ascolta, abbiamo un favore da chiederti.”
“Parlate, vi ascolto.”
“Io e Katerina andiamo con la carrozza a portare gli inviti ai nostri amici e alle nostre famiglie. Emily verrà con noi: vuole invitare i suoi genitori e gliel’abbiamo concesso. Ci domandavamo se te la senti di fare da babysitter a Nadia, mentre noi siamo via.”
“Non lo so…” disse incerta. “Non mi sono mai occupata di un bambino piccolo da sola. E se le succedesse qualcosa? E se si facesse male?”
“Sei una ragazza responsabile, Emma,” disse Katerina, “sappiamo che con te starà benissimo. Ma se non te la enti la portiamo con noi, non è un problema.”
Lei ci pensò per un attimo. In fondo si trattava solo di occuparsi di una bambina, cosa sarebbe potuto andare storto?
“Va bene” disse.
“Perfetto. Allora noi andiamo.” Katerina prese in braccio la figlia. “Adesso resti un po’ con zia Emma mentre mamma e papà vanno via per un po’, ma torniamo presto.”
Sentirsi chiamare zia fu molto bello per Emma. Significava che, anche se era lì da pochi giorni, i Salvatore la consideravano una di famiglia.
“Eccomi, Lady Katerina, sono pronta” disse Emily, scendendo trafelata le scale.
“Bene, andiamo allora.”
I tre salutarono Emma e la bambina e uscirono.
“Oh” disse Katerina rientrando un momento. “Dalle la colazione, non ha ancora mangiato. Latte di capra con pane sbriciolato andrà benissimo.”
“D’accordo.”
Emma andò in cucina e trovò una caraffa di latte di capra ancora caldo. Ne versò una tazza alla bambina e ci sbriciolò dentro del pane morbido, come Katerina le aveva detto. Poi prese in braccio la bambina e le disse:
“Mangiamo?”
Lo stomaco della piccola brontolò e la ragazza capì che aveva fame. Prese un cucchiaio di legno e cominciò a nutrire la bambina, che gradì molto sia il latte che il pane. Darglielo con il biberon sarebbe stato più semplice, ma all’epoca non esistevano. Ci mise un’eternità a finire di darle il latte, ma quando terminò la tazza si sentì soddisfatta del suo lavoro. La bambina sembrava a suo agio con lei e la cosa la rendeva immensamente felice.
Emma posò la tazza vicino alle altre, che Emily avrebbe lavato quando fossero tornati, poi andò in salotto con Nadia. La prese in braccio e si sedette sul divano.
“Ti rubo il nasino!” esclamava, prendendoglielo e fingendo di mangiarlo. “Mmm, è proprio buono.”
A ogni risata della piccola, a Emma spuntava un sorriso. I bambini le erano sempre piaciuti. Nadia volle scendere dalle sue gambe e le portò un cubetto di legno.
“Vuoi fare un’altra torre, piccola? D’accordo.”
Tirò fuori il secchio nel quale c’erano gli altri pezzi di legno e le due cominciarono a costruire . Affinché fosse meno facile che cadesse, Emma fece una base più larga e ci mise sopra due cubetti. Andarono avanti così, mettendone due e non uno, fino a finirli.
“Hai visto com’è venuta bella? E non l’hai nemmeno fatta cadere, brava!”
Poi Nadia le portò due bambole di pezza e due piccoli pettini.
“Vuoi che pettini i capelli a una?” Stava cercando di capire cosa voleva la bambina, dato che ancora non parlava molto. Quando la piccola le diede una bambola e un pettine capì di aver compreso bene. “Okay, pettiniamo questa bellissima bambola.”
E si rese conto che, con l’altra, Nadia seguiva i suoi movimenti e la imitava.
“Anch’io avevo una bambola di pezza, da piccola, sai? Si chiamava Betty. Era bellissima, anche se ho sempre preferito i pupazzi, ma alle mie amiche piacevano le Barbie. Ovviamente tu non sai cosa sono, non esistono ancora in quest’epoca, ma sono sempre delle bambole, non di pezza, con i capelli lunghi e fini.”
Ma che sto facendo? Parlo con una bambina che nemmeno mi capisce.
O, almeno, on comprendeva tutto. Ma le piaceva parlare con Nadia, perché la bambina la guardava e la ascoltava.
Poi Nadia la prese per mano.
“Dove vuoi portarmi?”
La accompagnò vicino a un cesto, che i giorni prima Emma non aveva notato, dentro il quale c’erano dei pupazzi, sempre di pezza. La ragazza prese quello di una tigre, mentre Nadia di una gazzella.
“Adesso ti prendo!” esclamava Emma e faceva finta di ruggire, muovendosi sul tappeto e inseguendo il pupazzo di Nadia la quale, ridendo, cercava di scappare gattonando e muovendo il suo pupazzo.
Fu il turno di Nadia di inseguire Emma, anche se generalmente le gazzelle non lo facevano con i predatori. Ma chi se ne importava? Quello era un gioco.
“Voglio essere tua amica” disse a un certo punto Emma facendo le veci della tigre.
Nadia capì, perché sorrise e lasciò che il pupazzo di Emma si avvicinasse al suo.
Le tazzine di creta che avevano preparato erano pronte. Emily l’aveva detto a Emma quella mattina.
“Sono sul tavolo in cucina.”
Andò a prenderle.
“Nadia, guarda!” esclamò, mostrandogliele. “Sono belle, vero? E le abbiamo fatte noi.”
Ne presero una a testa e Nadia fece finta di metterci dentro qualcosa da bere.
“Tè o latte?” le chiese Emma.
La bambina non rispose, ma siccome in quei giorni Emma a colazione aveva sempre bevuto latte, immaginò dovesse trattarsi di quello. Nadia passò una tazzina a Emma perché facesse bere la sua bambola d pezza.
“Mmm, com’è buono questo latte” disse la ragazza, mentre Nadia dava da bere alla sua bambola.
Un odore poco gradevole proveniente dal pannolino fece capire a Emma che era il omento di cambiare Nadia. La portò sul letto dei genitori, cercò una fascia di lino, spogliò la bambina e le tolse le fasce sporche, gettandole in n cestino poco distante La ripulì lavandole le parti intime con un po’ d’acqua fredda.
“Scusami, piccola” le disse, sentendo che si lamentava, “ma non ho avuto tempo di andare ai bagni pubblici a procurarmi acqua calda, o ti saresti arrossata.”
Dopodiché le mise il pannolino pulito, impresa non facile visto che Nadia non stava ferma e continuava a muovere braccia e gambe. Ci mise qualche minuto, ma alla fine Emma ci riuscì. E fu molto fiera di se stessa, dato che era la prima volta che cambiava un pannolino in vita sua. Certo, se a quell’epoca fossero esistiti i pannolini di cellulosa come quelli moderni sarebbe stato più facile, ma non importava.
Giocarono ancora con gli stessi giochi e si divertirono moltissimo, fino a quando arrivò l’ora della pappa. Emma se ne rese conto perché le campane suonavano il mezzogiorno e poiché lo stomaco di Nadia aveva iniziato a brontolare. Si era fatta spiegare da Emily cosa darle da mangiare. C’era del brodo di carne in cucina. Nadia schiacciò alcune patate che erano state cotte sul fuoco il giorno prima, ignorando un dolore al polso, e le mise nel brodo, poi mescolò tutto e, non avendo altra scelta, scaldò tutto sul fuoco e lo diede alla piccola che mangiò con gusto. Anche Emma pranzò con quello e dovette ammettere che non era niente male. Dopo averle fatto fare il ruttino la tenne un po’ in braccio, in modo che partisse la digestione, poi le massaggiò la schiena per il ruttino.
"Salute, piccolina!" disse, divertita. Confusa, la bambina rimase a guardarla, poi sbadigliò. Era ora che dormisse, così la portò nel suo lettino.
“Ti va se ti racconto una bella storia? C’era una volta una bambina che si chiamava Cappuccetto rosso, perché la mamma le aveva fatto un cappellino di quel colore.”
Andò avanti con la storia raccontandole di come il lupo avesse mangiato lei e la nonna e la bambina la guardava e sembrava intrigata dalla storia, ma non si addormentava.
“Mi sa che ti ci vuole una ninnananna.”
Emma pensò a cosa avrebbe potuto cantarle. Non conosceva ninnenanne medievali, così optò per una canzone moderna.
Is it the way I talk sweet?
The way my skin is soft?
Or how I can be a bitch?
And make you keep your fingers crossed
Is it the way that I praise you?
The way that I please you?
Or how fast I change my mind
And get scared that I might leave you?
Could spend your whole life, but you couldn't
 
Describe what makes a woman
She's always been a perfect mystery
Could spend your whole life, but you couldn't
Describe what makes a woman
And that's what makes a woman to me
 
Is it the way I cut my hair
And put no make-up on?
I feel most beautiful
Doing what the f- I want
Is it that my intuition is never really off?
I need tissues for my issues
And Band-Aids for my heart
[…]
Udendo la voce dolce di Emma, la bambina si addormentò. La ragazza aspettò che i genitori ed Emily tornassero.
“Siamo stati via più del previsto, perdonateci” disse Emily quando entrarono.
“Nessun problema. Ho giocato con Nadia e ci siamo divertite. L’ho cambiata, le ho dato d a mangiare e ora dorme come un angioletto.”
“Grazie Emma, sei stata molto gentile a occupartene.”
“Figurati, Katerina, l’ho fatto con piacere.”
“Gli invitati arriveranno stasera alle otto, bisogna cominciare a lavorare, Emily. Vi aiuterò anch’io” disse Katerina.
“Sì, mia signora.”
Ma cosa dovevano fare? Emily corse subito in cucina e ben presto profumi deliziosi si fecero sentire anche in salotto. Nel frattempo Katerina le disse che proprio quella sala sarebbe stata adibita a pista da ballo. Con il marito e l’aiuto di Emma sollevò il tavolo e lo portò in un’altra stanza. Il salotto ora sembrava molto più grande. Katerina le insegnò la riverenza giusta che avrebbe dovuto fare in presenza dei nobili, le frasi di circostanza che avrebbe dovuto dire e tutto quello che sapeva sul galateo. Verso le sei del pomeriggio giunse una carrozza. Ne scesero alcuni uomini con degli strumenti musicali anche molto pesanti: violini, un clavicembalo, un’arpa e molti altri. Si sistemarono in una parte a loro riservata della sala, lasciando il resto libero per gli invitati. Provarono alcuni brani ed Emma e Nadia, che intanto si era svegliata, ascoltarono con piacere.
Quando arrivarono altre carrozze la ragazza capì che erano giunti gl i invitati. Si trattava di poche persone rispetto a quel che Emma si sarebbe aspettata. C’era il padre di Stefan con il fratello Damon e tre coppie di amici di famiglia.
“Non hai invitato i tuoi genitori?” chiese Emma a Katerina, sottovoce.
Intanto si stava domandando se fosse necessario tutto questo solo per presentarla ad alcune persone.
“No. Li odio! Hanno cercato di togliermi mia figlia. Non li vado più nemmeno a trovare e non lascio che si avvicinino alla mia bambina. Ma ho invitato mia sorella, Tatia. Sì, ha lo stesso nome della mia antenata. Eccola, guardate.”
Le si avvicinò una bimbetta di circa dieci anni.
“Sono molto felice di fare la vostra conoscenza, Lady Emma” disse questa, quando la ragazza si fu inchinata.
“Chiamatemi solo Emma, anch’io sono felice di conoscervi.” E che carina che era, con quel vestitino azzurro, proprio il suo colore preferito.
Poco dopo, però, Katerina chiese silenzio battendo su un bicchiere con la forchetta.
“Signore e signori, vi ringrazio per essere venuti. Finalmente abbiamo qualcosa per cui gioire tutti insieme e l’arrivo di questa giovane lo è. Emma è una persona speciale, ve ne renderete conto anche voi durante la cena, quando le parlerete.”
La sua voce era stata chiara e ferma, come Emma non l’aveva mai sentita. Katerina le fece cenno di avanzare e i musicisti intonarono una melodia perr accompagnare la sua marcia. Quando la ragazza fu presentata a tutti, ognuno si sedette a tavola in sala da pranzo. Emily servì stufati, arrosti con verdure e alcuni piatti tipici.
“Da dove venite?” le chiese una signora vestita di bianco.
“Dall’Italia.” E raccontò com’era arrivata lì. “E così ora vivo qui e non so quanto ci resterò.”
“Che storia incredibile!” esclamò Giuseppe Salvatore.
“Sì, davvero” disse Damon.
“Raccontateci, com’è l’epoca in cui vivete?” chiese un’altra signora.
“Beh, ci sono le automobili, delle strutture co n un motore che servono per spostarsi.” Spiegò anche cos’era la televisione e cos’era The Vampire Diaries.
“Quindi saremmo tutti parte di uno show?” ciese Damon.
“Sì, solo che in questi giorni sono successe cose che nella serie televisiva non accadono, visto che io non ci sono.”
Le venne fatta una tale pioggia di domande che Emma si sentì annegare, ma rispose comunque. Tutti erano curiosi di conoscere l’epoca in cui viveva, le usanze, le tradizioni, i costumi…
A un tratto Stefan si alzò e portò Katerina a ballare. Tutti li applaudirono alla fine della danza e poi il ragazzo chiese a Emma:
“Mi concedete questo ballo?”
“Siete sicuro che Katerina non se la prenderà a male?” gli chiese, usando il voi come le era stato insegnato.
Ad alcuni nobili sarebbe parso strano se avessero utilizzato il tu fra loro.
“No, non preoccupatevi, gliel’ho chiesto.”
“Bene allora.”
Emma cercò di ricordare i passi di danza che Katerina le aveva insegnato, anche se si rese conto che le ci sarebbero volute settimane di lezione per danzare in modo decente. In ogni caso fece del suo meglio, e lo scroscio di applausi he ne seguì ne fu la prova.
Tornata al tavolo, sentì Katerina dire:
“Porto a letto Nadia, è stanca.”
“Posso aiutarvi, signora?” chiese Emma.
“Ma certo.”
Andarono in camera e Katerina cambiò Nadia.
“Sai,” disse, “quando sono rimasta incinta avevo molta paura. Non solo del giudizio dei miei genitori, ma anche perché non sapevo se sarei stata una buona madre.”
“Immagino, eri molto giovane.”
“Avevo diciassette anni, e il padre del bambino non ne ha voluto sapere. È scappato come una furia quando ha scoperto che era incinta, se n’è lavato le mani dicendo che non voleva un figlio.”
“Che stronzo” mormorò Emma e Katerina rise.
”È quello che avrei voluto dirgli io, ma mi sono trattenuta.”
“Avresti dovuto farlo, invece. È mai venuto a chiedere notizie di sua figlia?"
“No, e spero non lo faccia mai.”
Dopo aver coperto bene Nadia, la mamma le cantò una nenia che Emma non aveva mai sentito.
“È bellissima” mormorò alla fine, perché la bambina si era addormentata.
“Lo so, a Nadia piace tanto. Torniamo di là?”
“Sì.”
Una volta seduta, Emma sentì qualcuno bussare alla porta.
“Chi può essere?” chiese Katerina. “Non avevo invitato nessun altro.”
Quando andò ad aprire rimase sulla soglia. L’orchestra smise di suonare e tutti puntarono lo sguardo sull’uomo alto e dai capelli neri che stava davanti alla giovane.
“Che ci fate qui, Aleksander?” chiese Katerina, sulla difensiva.
“Voglio mia figlia, sono venuto a prenderla.”
“Cosa?” Ora la ragazza stava urlando. “Dopo quello che avete fatto reclamate diritti su di lei? Non ne avete. Raccontate ai miei ospiti cos’avete fatto, avanti.”
“Non l’ho aiutata quando mi ha detto di essere incinta. Ma adesso sono cambiato, Katerina.”
“Sentite,” disse Stefan, avvicinandosi minaccioso, “Katerina è mia moglie, e per me Nadia è mia figlia. Non potete venire qui e dire di volerla, questo si chiama rapimento. Sparite, se non volete passare dei guai, e non fatevi più vedere.”
“Esatto. Sparite dalla mia vista o giuro su Dio che vi manderò fuori a calci.”
Aleksander guardò in cagnesco sia Katerina che Stefan e poi uscì. La ragazza corse a vedere come stava la bambina che si era messa a piangere ed Emma, scusandosi, la seguì.
Katerina era vicina alla culla e stava piangendo.
“Ho avuto così paura per te, piccola mia” le disse, mentre con una mano le accarezzava la fronte.
Stefan le raggiunse poco dopo.
“Katerina, calmatevi, è tutto finito” disse Emma, non sapendo bene come confortarla.
“Esatto, è tutto passato, non tornerà più.”
“Ma perché adesso? Perché si è fatto vivo solo ora? E perché la voleva rapire?”
“Non lo so, amore, ma vi proteggerò io se dovesse succedervi qualcosa, okay? Te lo prometto, Katerina.”
Lei si asciugò gli occhi con un fazzoletto di seta, poi andò a lavarsi la faccia in un catino d’acqua posto vicino al letto, si asciugò, guardò la sua bambina e sorrise.
Dato che la ragazza si era calmata, tornarono tutti e tre nel salone.
“Come state, Katerina?” le chiese una donna.
Il vociare degli ospiti si era fatto più basso, tutti parlavano di quanto appena successo.
“Meglio, vi ringrazio, ma ho avuto paura. E mi dispiace che questo… inconveniente abbia rovinato questa festa. Vi prego, riprendiamo le danze.”
L’orchestra ricominciò a suonare e le coppie a ballare.
“Emma, ho l’onore di presentarvi di persona mio padre Giuseppe e mio fratello Damon” disse Stefan.
La ragazza si alzò.
“È un vero onore conoscervi” disse a entrambi.
“L’onore è nostro” disse Giuseppe.
E poi, da Damon arrivò la frecciata.
“Mi stupisce con quanta fretta vi siate abituata a questo mondo e a quest’epoca, visto da dove provenite.”
“E da dove proverrei, secondo voi?”
“Da una terra di gente troppo strana per i miei gusti. Tutte quelle automobili, la tecnologia, a che servono?”
“A migliorare la vita.”
“E non credete che tolgano valore alla parola?”
“No affatto, basta equilibrare l’utilizzo della tecnologia con il resto. In ogni caso, quest’epoca non è né migliore, né peggiore della mia. Sono diverse, ecco tutto. E devo dire che sì, in effetti mi sono abituata piuttosto in fretta, ma il merito va a Katerina e Stefan.”
Il sorriso che Emma sfoderò, così come il suo intervento, spiazzò Damon, che non disse più una parola.
“Ora, se volete scusarmi, andrei a prendere qualcosa da bere. Signor Giuseppe, signor Damon” disse e si allontanò.
Andò a bere un bicchiere di sidro, nonostante fosse astemia, e si accorse di aver serrato i pugni tanto stretti che le erano rimasti i segni sulle mani. La freschezza del sidro la aiutò a calmarsi e uscì in giardino.
“Avresti voluto spaccargli la faccia, non è vero?” chiese Stefan alla ragazza.
L’aveva seguita e lei non se n’era nemmeno accorta.
“Sì, molto volentieri.”
“Mio fratello sa essere davvero antipatico a volte. Solo che altre è gentile e speravo che oggi lo sarebbe stato, specialmente con un’ospite.
“Non ti preoccupare. Le sue frecciate mi hanno fatto male, ma ho saputo tenergli testa.”
“Direi proprio di sì.”
Emma passò il resto della serata in giardino, chiacchierando con qualche signora che usciva o con Katerina.
“Una mia vicina di casa mi aveva detto che lo zenzero ha proprietà abortive, che avrei potuto mangiarne in quantità se avessi voluto perdere mio figlio. Ma io non ne ho mangiato nemmeno un milligrammo. O sempre voluto quella bambina e non mi pentirò mai delle mie scelte” disse, fiera.
“Sei stata grande, davvero! Hai lottato per riavere la tua bambina e alla fine ci sei riuscita.”
“Già, anche se è stato difficile. Nei sette giorni nei quali siamo state separate mi sono anche ammalata di una forte febbre, mangiavo a stento… Ho visto la morte in faccia, nel vero senso della parola. Volevo lasciarmi morire perché nulla aveva senso senza mia figlia, per me.”
“E poi cos’è successo?”
“Mio padre me l’ha riportata, dicendo di essersi ricordato di me e Tatia da bambine.”
“E non sei riuscita a perdonarlo?”
“Si può perdonare una cosa del genere?”
Emma non sopportava quando qualcuno rispondeva a una sua domanda con un’altra domanda, ma in quel caso non se la prese.
“No” rispose, anche se la domanda era retorica. “E vostra madre?”
“Ha cercato di difendermi, mi ha dato in braccio la bambina, ma poi l’ha passata a mio padre sostenendo che era meglio per lei.”
“Nello show non l’hai potuta tenere in braccio, sai?” disse Emma.
Katerina si fece triste.
“Nemmeno una volta?”
Emma negò.
“Oh. Beh, allora i miei genitori sono stati proprio degli stronzi, ancora più che qui” disse, con la rabbia nella voce.
“Credo, comunque, che la cosa importante sia che ora siete insieme e felici.”
Katerina sorrise.
“Sì, è vero.”
Gli ospiti si congedarono a mezzanotte e gli abitanti della casa andarono a dormire.
 
 
Quella notte Emma sognò i suoi genitori, i fratelli e Lorena. Erano seduti a tavola e stavano mangiando.
“Quanto è triste la Pasqua senza Emma” disse mamma Gemma.
“Già, speriamo torni presto” si augurò Ernesto, il padre. “Vado un po’ a lavorare” decretò, finendo il suo piatto.
“Anche a Pasqua, papà?” domandò Christopher, uno dei fratelli di Emma.
“Sì, così mi distraggo dal pensiero di Emma.”
Gianmarco disse che sarebbe uscito a fare una passeggiata.
“Mi manca la mia gemella” disse Lorena.
Non erano uguali in tutto e per tutto, anzi, ma avevano un legame forte, uno di quei legami che solo i gemelli possono avere.
“Vado a suonare un po’ il pianoforte.”
Anche Antonio non c’era, ma perché lavorava fuori, quindi la sua famiglia era abituata alla sua assenza nel giorno di Pasqua. Fecero tutti una videochiamata con lui e poi Gemma rassettò la cucina sospirando.
“Emma, torna a casa presto. Mi manchi.”
 
 
Il sogno finì lì. In quel momento qualcuno bussò alla finestra. Immaginando di chi potesse trattarsi, la ragazza aprì la finestra e le imposte, lasciando entrare Tatia.
“Ti ho mostrato come sta la tua famiglia” le disse. “Manchi loro e sono un po’ tristi, ma se resti qualche altro giorno non sarà un problema. Ho fatto sapere loro nei sogni che tu stai bene, che sei felice, che stai passando delle belle giornate. Come ti ho detto io so tutto di tutti.”
“Ma come fai?”
“A fare cosa?”
“A entrare nelle menti delle persone, nei loro sogni.”
“È una cosa che solo i fantasmi sanno fare. Basta vedere se ci sono barriere che impediscono di vedere cosa c’è dietro.”
“Vorrei avere anch’io questo potere.”
“L’importante è usarlo bene, poche volte e solo per casi urgenti, senza entrare troppo nel privato delle persone.”
“Quando tornerò a casa?” chiese Emma.
Il sogno e le parole di Tatia l’avevano rattristata. Le mancavano i suoi genitori, i fratelli, la cagnolina Sofia e i gatti, le mancava la sua vita.
“Presto, non preoccuparti. E non essere triste, i tuoi ora stanno meglio, sanno che tornerai a casa, gliel’ho detto io.”
“Me lo stai raccontando per farmi sentire meglio o perché è vero?”
“Perché è la verità. Non ti mentirei mai su una cosa del genere. Ora devo andare, ma tu goditi gli ultimi momenti he passerai qui, o sarai triste tutto il tempo e poi lo rimpiangerai.”
Detto questo salì sul davanzale e sparì.
Emma chiuse la finestra.
“Ho parlato di nuovo con un fantasma. Ho parlato di nuovo con un fantasma” si disse, per convincere la sua mente che era vero.
In quel momento si rese conto di non aver mai parlato a Katerina del fantasma di Tatia. Chissà se l’aveva visto anche lei o se sapeva o meno della sua esistenza.
Sognò ancora i suoi ma più sereni e spensierati, mentre giocavano a carte. Non sapeva se fosse un sogno indotto da Tatia o no, ma il fatto che la sua famiglia stesse meglio la rincuorava.
Durante la notte sentì Nadia piangere e Katerina e Stefan che cercavano di calmarla. Dopo mezz’ora di pianti la ragazza si alzò e bussò alla porta della camera.
“Tutto bene?” chiese.
“Non riusciamo a capire cos’ha” disse Katerina. “Abbiamo provato a cantarle una ninnananna, a cambiarle il pannolino, a darle il latte, ma niente sembra tranquillizzarla. Forse sono i denti, il secondo spunta verso l’anno o sbaglio?”
“Sì” confermò Emma.
Non ne sapeva molto di bambini, ma lo ricordava perché a scuola aveva studiato le varie parti del corpo umano.
“Provate a darle dell’acqua fresca” suggerì la ragazza.
“Vado a prendere il biberon” disse Stefan.
“Esistono i biberon nel Medioevo?” chiese Emma.
Non lo credeva possibile. Aveva sempre sentito dire che i bambini che dovevano bere latte avevano una balia che li nutriva.
“È fabbricato da un corno di un animale,” spiegò Stefan, “al quale viene praticato un buco da cui il bambino beve.”
Se fossero stati nel suo mondo, nella sua epoca, Emma avrebbe consigliato loro di procurarsi un anello da dentizione, ma arrivava anche da wsola a capire he i due non avrebero compreso cosa fosse, dato che probabilmente non esisteva nulla del genere. Poco dopo Katerina tornò con un corno pieno d’acqua.
“Fresca fresca dalla ghiacciaia, ma ne ho messa un po’ a temperatura ambiente da una caraffa, così non è troppo fredda” disse e la diede alla piccola.
“Che gengive arrossate e gonfie, e questa è tagliata” commentò suo marito, prima che la bambina cominciasse a succhiare.
L’acqua sembrò darle sollievo, così Emma tornò a letto, ma dopo un’altra mezz’ora i pianti ricominciarono. Si diresse di nuovo in camera di Katerina, bussando per educazione.
“Posso aiutare in qualche modo?”
“Forse ha fatto un brutto sogno. Vuoi tenerla?”
Emma la prese in braccio e, trovandosi in mani diverse, la piccola si calmò presto.
“Se volete, stanotte la tengo io in camera con me, così voi potete riposare” propose.
“Te la senti?”
“Sì Katerina. Non c’è nessun problema, davvero.”
“Grazie. Forse ha fato un brutto sogno, non so…”
“Probabile, ma vedrai che si addormenterà presto.”
Emma portò in camera la bambina, mentre Stefan mise accanto al suo letto il lettino in legno della bambina.
“Buonanotte” sussurrò.
“Notte” rispose Emma. “Hai fatto un brutto sogno, piccolina?”
Nadia gorgogliò e rise, segno che ogni traccia di pianto era scomparsa dal suo volto. Alcune lacrime le bagnavano ancora le guance, ma Emma si premurò di asciugargliele con un fazzoletto. Dopo un po’ la bambina prese a girarsi e a muoversi nel lettino stropicciando le coperte. Emma la cambiò, ancora con evidente difficoltà, e la tenne in braccio dondolandosi a destra e a sinistra finché la piccola si addormentò.
Finalmente! pensò la ragazza.
Il mattino seguente, mercoledì, Emma rimase più tempo a letto. Nadia si era svegliata presto senza piangere, ma con dolci gorgogli, e Katerina era venuta a prenderla.
“Ha fatto la brava?” aveva chiesto a un’assonnata Emma.
“Sì, è stata un angelo.”
La ragazza non si capacitava di come una bambina potesse girarsi e rotolare nel letto così tante volte durante il sonno, ma chissà, magari l’aveva fatto anche lei da piccola. L’avrebbe chiesto a sua madre una volta tornata a casa.
Non aveva dormito molto bene quella notte, ma non era colpa di Nadia. Forse aveva mangiato troppo a cena. Voleva recuperare un po’ di sonno. Quando si sen sufficientemente riposata, la ragazza si alzò e indossò il vestito del giorno prima, poi scese a colazione. Parlò a Katerina e Stefan di Tatia.
“Io l’ho vista qualche volta. Ci ho anche parlato” disse Katerina.
“A che proposito?” chiese Stefan.
“Riguardo Nadia. Ricordi quando qualche mese fa le è venuta la febbre. Il cerusico le aveva fatto dei bagni freddi, dato delle erbe e ci ha detto che non sapeva se avrebbe superato la notte. La voce di Katerina si venò di dolore. “Ma Tatia mi ha detto di stare tranquilla, che oltre a entrare nei sogni della gente lei vedeva anche il futuro e che la bambina sarebbe guarita. È stato così.”
“Incredibile” disse Stefan. “Io non l’ho ancora mai vista. Com’è?”
“Indossa un lenzuolo bianco e ha capelli e occhi castani. La voce è dolce, ma sembra provenga da lontano” disse Emma.
“Esatto, è stranissimo” aggiunse Katerina. “E quel vento gelido che ti avvolge quando provi a toccarla?”
“A me la prima volta ha fatto un po’ paura vedere un fantasma. Insomma, li ho sempre visti nei film o ne ho sentito parlare nei libri, so che ci sono castelli dove si sentono voci e strani rumori, ma vederne uno è tutta un’altra cosa.”
“Decisamente” disse Stefan.
“Comunque, la cosa più importante è che è la mia prima Doppelgänger.”
Stefan non disse niente: doveva sapere di cosa si trattava.
“Stamattina che facciamo?” chiese Emma.
Aveva voglia di fare qualcosa di nuovo, di diverso dal solito, ma non sapeva cosa. Lo disse e i due coniugi si guardarono, indecisi sul da farsi.
“E se facessimo una passeggiata nel bosco? C’è un posto che non ti ho ancora mostrato, Emma” disse Katerina.
“Ma Nadia non potrà venire con noi. È pericoloso per una bambina” aggiunse Stefan. “Emily si occuperà di lei.”
“Vado a dirglielo.”
Katerina si alzò e andò in cucina.
Ad Emma dispiacque che Nadia non potesse venire, ma se i genitori lo ritenevano più saggio avranno avuto le loro ragioni. Si fidava di loro e del loro giudizio.
Uscirono e, anziché fare la solita passeggiata nel bosco, Katerina li condusse su per una collina. In cima c’era una piccola grotta piena d’acqua.
“Questa è una sorgente” disse. “L’acqua parte da qui e irrora il fiume.”
In effetti, dal bordo della grotta scorreva un rigagnolo che poi finiva nel sottosuolo.
“Perché hai voluto farcela vedere?” chiese Stefan. “Abito qui tutta la vita e non ho mai visto questo posto.”
“Proprio per questo, per mostrarvelo, e anche perché è buonissima."
"Sei sicura che sia potabile?" chiese Stefan, scettico.
"Sicurissima, al centouno per cento! Dai, provo io per prima." Katerina bevve e sorrise. "Buonissima, ora tocca a voi."
Stefan fu il secondo.
"Buona" disse.
Emma immerse le mani nellìacqua: era gelata. La assaggiò e si disse che, nella sua intera vita, non aveva mai bevuto un'acqua tanto buona.
"Ma è speciale!" esclamò.
"Già, avete visto?"
"Grazie per averci portati qui, Katerina" disse Emma. "Ora che facciamo?"
Quella mattina si sentiva piena di energie e di voglia di fare.
"Sai cavalcare?" le chiese tefan.
"Ho fatto equitazione dai quindici ai diciannove anni."
"E perché poi hai smesso?"
"I miei studi sono diventati troppo difficili e me l'hanno impedito."
"Noi abbiamo tre cavalli non distante da casa, e anche delle galine, delle oche e un gallo."
"Eh?"
Emma non si era proprio acorta di tutto ciò quando era arrivata.
"Non sono vicinissime alla casa, è possibile che tu non le abbia viste. Comunque," continuò Katerina, "abbiamo un cavallo che si chiama Rocinante e due femmine che si chiamano Luz ed Evdokiya.
"Perché avete dato un nome spagnolo a quella femmina?"
"Perché so qualche parola di spagnolo e mi piaceva l'idea" disse Katerina. "Allora, te la senti di fare una cavalcata?"
"Sì, ma non troppo lunga. Non me la sento di stare troppo in sella, non sono più abituata."
"Va bene, tranquilla."
Tornarono a casa ed Emma si rese conto che, effettivamente, non lontano da lì c'erano una stalla e una scuderia con tre box. Rocinante, che Stefan le indicò, era un esemplare magnifico, tutto bianco, con il portamento alto e fiero. Ed era, in effetti, altissimo.
"Questo lo monto io" disse Stefan facendolo uscire dal box. "Tu prendi Luz, quella a destra di Rocinante. È la più tranquilla."
Emma si avvicinò al box, mentre Stefan e Katerina sellavano i propri cavalli.
"Ciao, bella" le disse. "Lo sai che sembri proprio simpatica?"
La cavalla morse il bordo del box e sbuffò, poi annusò la mano di Emma e la leccò.
"Guardate, è già diventata mia amica." Ed era un bene, perchè le ricordava tanto un personaggio di un'altra serie TV che seguiva.
"Yo soy Luz, Luz Noceda." Disse a sè stessa, facendo del suo meglio per imitare lo spagnolo della ragazzina.
Stefan e Katerina sorrisero, poi la aiutarono a portarla fuori e a sellarla. La cavalla si agitò quando le misero il sottopancia, ma per fortuna non scalciò.
"Avremmo dovuto pulirli" disse Katerina.
Fu così chje tolsero le selle, legarono i cavalli e li spazzolarono sulla schiena, sulla criniera e sulla coda con spazzole diverse. I movimenti erano circolari, come Emma ricordava la sua istruttrice le avesse insegnato. Dopodiché rimisero le selle e infilarono le staffe.
"Adesso saliamo facendo uso della staffa" disse Stefan.
Emma rimase immobile a fissare la sua cavalla come se non la vedesse davvero. Il respiro accelerò, il cuore aumentò i battiti. Non poteva avere un attacco di panico lì, non doveva.
"Che ti succede, tesoro?"
Katerina le prese le mani sudate.
"È che io… io sono sempre salita a cavallo utilizzando una scala. Con il mio problema alle gambe non so se riuscirei ad avere la forza di montare con la staffa."
"Ah, giusto. Scusami, Emma, non ci avevo pensato. Stefan, puoi portare qui una scala?"
Poco dopo il ragazzo arrvò con una scala di legno. Emma vi salì, si aggrappò allla sewlla con una mano, pasò una gamba dall'altra parte et voilà, era in cima. Prese le redini della cavalla, - intanto Katerina l'aveva slegata - e aspettò che gli altri due mpontassero usando la staffa. Ci misero un po', ma alla fine ci riuscirono.
"Bene, ora possiamo partire" disse Stefan. "Uno, du…"
Katerina era già partita, la sua cavalla correva a più non posso e lei, aggrappata alle redini come se fossero state la sua ancora di salvezza, gridava. Stefan riuscì a raggiungerla e anche Emma ce la fece, accarezzando la cavalla e calmandola con parole dolci.
"Santo cielo, si vede che non monto spesso a cavallo" disse Katerina co nil fiatone.
"Stai bene, amore?" le chiese Stefan.
"Sì, un po' spaventata ma sì, grazie."
"Allora andiamo, forza."
Presero un sentiero che portava al bosco e vi si inoltrarono.
“Non volevo andare di qua” disse Katerina. “Il bosco può essere pericoloso.”
“Di notte, meno di giorno. E poi, Kat, quando abbiamo trovato Emma stavamo facendo una passeggiata con nostra figlia e non è successo niente.”
“Sì, ma ci eravamo inoltrati poco.”
I cavalli galoppavano ed erano già lontani da casa. Cavalcarono per un’ora buona.
“Chissà cosa penseranno i miei quando racconterò loro quest’avventura. Forse mi daranno della pazza” disse Emma, a cui le gambe iniziavano a far male.
“O magari diranno che te la sei sognata” disse Stefan. “In ogni caso, tu sai la verità.”
“Non so cosa penseranno, ma sicuramente sappiamo cosa pensiamo noi” disse una voce minacciosa alle loro spalle.
Katerina ed Emma si girarono e si trovarono circondate da cinque banditi a cavallo. Stefan era rimasto un po’ indietro, non aveva ancora visto.
“Prima di tutto vogliamo i cavalli” disse uno di loro.
“E poi vogliamo voi.”
Quando un altro sollevò Emma, questa si mise a urlare. Le diede un manrovescio che le fece male e la bloccò. Non riusciva più a muoversi, né a fiatare. Che sarebbe successo? Sarebbe stata violentata? Intanto Katerina era stata presa da un terzo uomo.
“Uh, che abiti da ricca indossiamo” le disse, strappandole il vestito.
“Petar, perché perdete tempo in cazzate?”
La voce di Stefan si fece sentire, tonante, come Emma non l’aveva mai udita. Doveva conoscere quei banditi, forse erano dei fuorilegge ricercati o qualcosa del genere.
“Stefan. Se ci fossimo ricordati che questa era la tua signora non l’avremmo presa così” disse il bandito che aveva Katerina e la rimise sul cavallo.
“Se volevi goderti da solo una delle tue puttane bastava dirlo” continuò quello che aveva Emma, che la rimise sul cavallo.
Poi i cinque risalirono in sella e se ne andarono.
“Come vi sentite?” chiese Stefan con dolcezza.
Le due donne scoppiarono a piangere. La paura era stata tanta, entrambe si erano figurate gli scenari più apocalittici, ma alla fine tutto era andato bene.
“È stato orribile” disse Emma. “Credevo che i briganti girassero solo di notte.”
“Sì ma non sempre” disse Stefan. “Per fortuna li conoscevo, sono abbastanza famosi qui, e dato he appartengo a una famiglia potente vi hanno lasciate stare per non avere grane.”
Stefan asciugò loro le lacrime, le abbracciò e disse loro che era tutto finito.
“Andiamo a bere qualcosa da qualche parte, per provare a pensare ad altro” propose l’uomo.
“Stefan?”
“Sì, Katerina?”
“Meno male che non abbiamo portato nostra figlia. Chissà cos’avrebbero potuto farle. È ancora così piccola! E poi l’avevo detto che ci eravamo inoltrati troppo.”
Ci voleva tanto ad ascoltare il suggerimento di Katerina? Se fossimo tornati indietro non saremmo stati attaccati pensò Emma.
Andarono in una locanda vicino a casa e quando il locandiere li vide pallidi in viso si preoccupò.
“State bene?”
“Siamo stati attaccati da dei briganti” disse Stefan. “Non ci hanno fatto quasi niente, abbiamo preso solo tanta paura.”
“Posso servirvi qualcosa?”
“Per me una zuppa di fagioli e un succo d’arancia” disse Katerina.
“Anche per me.”
Stefan ed Emma avevano parlato insieme. La zuppa era buonissima e il succo ancora di più, tanto che Emma ne prese tre bicchieri.
“Emma, è il terzo bicchiere, bevi solo quello?” le chiese Katerina.
Avevano ordinato anche dell’acqua.
“Yeah, it feels like I’m drinking the blood of my enemies” disse piano la ragazza.
“Cosa? In che lingua hai parlato?”
“In inglese, la mia lingua preferita.”
“E cos’hai detto?”
“Niente di importante.”
Non voleva tradurre, o chissà cosa gli altri avrebbero pensato di lei. Almeno nello show erano vampiri, quindi forse avrebbero riso, ma non valeva la pena rischiare.
Una volta tornati a casa scoprirono che anche Nadia aveva già mangiato, un po’ prima del solito come loro, e ora riposava tranquilla.
“Per il pomeriggio pensavo a una passeggiata con la bimba, non nel bosco ma per un sentiero, e poi… una sorpresa!” esclamò Katerina.
Andarono tutti a letto, ma le ragazze non riuscirono a prendere sonno facilmente. Ciò che era successo le aveva turbate, e, anche se non erano state violate, il solo pensiero di essere state toccate da quegli uomini faceva loro schifo. Katerina ne parlò on Stefan, Emma con Emily, in cucina.
“Aveva occhi nerissimi, più scuri della notte, una cicatrice che partiva dalla fronte e finiva sulla guancia e una voce spaventosa. È stato terrribile, davvero, soprattutto quando mi ha dato quello schiaffo. Credevo mi avrebbe violentata.”
“Mi dispiace per quello che vi è successo” disse la ragazza. “Ma sono felice che parlarne vi abbia fatto bene.”
“Sì, sto meglio ora” disse Emma. “C’è per caso del tè?”
“Appena fatto. Lo vuoi caldo o freddo?”
“Freddo.”
Emily andò a prenderlo dalla ghiacciaia. Ne mise sul tavolo una caraffa piena. Ne bevve anche lei.
“È molto buono” disse Emma. “Vi ringrazio.”
“Figuratevi. Spero non sia troppo freddo, l’ho messo in fresca solo poco fa.”
“No, va benissimo.”
Poco dopo scesero anche Katerina e Stefan con la bambina. La piccola Nadia era sorridente, come sempre, e il volto di Katerina più disteso. Probabilmente, sfogarsi con il marito l’aveva aiutata a calmarsi.
“Allora, andiamo a fare questa passeggiata?” chiese, allegra.
Emma fu felice di vederla così su di morale, dopo quanto successo.
“Certo. Può venire anche Emily?” chiese Emma.
Le dispiaceva che la ragazza rimanesse sempre a casa o svolgesse solo commissioni.”
“Se ne ha voglia sì” disse Stefan.
“Mi farebbe molto piacere.”
Partirono, ma poco dopo si persero perché svoltarono in un sentiero che Stefan credeva di conoscere, ma che in realtà non aveva mai percorso. Una fitta pioggia cominciò a scrosciare e una nebbiolina impediva di vedere bene.
“Non si vede un cazzo” sussurrò Stefan, ma affinché tutti potessero sentire.
“Non vorrai insegnare le parolacce a nostra figlia!” esclamò Katerina.
“Tanto non le capisce, per ora. C’è una grotta, là” e indicò un punto lontano. “Rifugiamoci.”
Raggiunsero la grotta più in fretta di quanto si sarebbero aspettati. La luce creata dal cielo plumbeo era l’unica fonte di luminosità disponibile e i cinque non osarono inoltrarsi troppo nella grotta per non rischiare di cadere o farsi male.
“Vado a cercare della legna non bagnata, voi restare qui.”
“Ma Stefan…” provò a protestare la moglie.
“Rimanete qui. È più sicuro. Non voglio che vi succeda niente di quello che è accaduto stamattina.
Nella grotta si diffondeva un bagliore sinistro ma almeno erano al sicuro.
“Avrei voluto andare con lui” disse Katerina.
“Probabilmente ha ritenuto più giusto che voi rimaneste con vostra figlia signora” le fece notare Emily.
“Sono d’accordo” disse Emma.
Nadia cominciò a lamentarsi, così la ragazza le cantò un’altra ninnananna.
Rock a bye baby, on the tree top,
When the wind blows the cradle will rock.
When the bough breaks the cradle will fall,
And down will come baby, cradle and all.
Rock a bye baby, gently you swing,
Over the cradle, Mother will sing,
Sweet is the lullaby over your nest
That tenderly sings my baby to rest.
From the high rooftops, down to the sea
No one's as dear as baby to me
[…]
“È una canzone bellissima” disse Emily. “Dove l’avete imparata?”
“Non ricordo, forse a scuola.”
“In ogni caso Nadia si è calmata, quindi ha funzionato.”
Katerina si contorceva le mani mentre parlava. Era evidente che era ansiosa per il ritorno del marito.
“Ci sta mettendo tanto. E se gli fosse successo qualcosa?”
“Non angustiatevi, signora. Vedrete che sta bene.”
“No, vedrai che sta bene, è solo rallentato dalla pioggia” cercò di confortarla Emma.
Nessuna delle tre parlò per i successivi minuti.
“Io vado a cercarlo” disse a un tratto Katerina, risoluta.
“Con il rischio di incontrare di nuovo i briganti?” le chiese Emma.
Katerina tremò.
“Hai ragione, sono solo molto preoccupata.”
I cavalli sbuffarono. Ma almeno la pioggia stava cessando, era un buon segno.
Dopo quella che a tutte e tre parve un’eternità tornò Stefan. Aveva raccolto dei rami, pochi ma sufficienti ad accendere un fuoco. Ci riuscì con l’aiuto della moglie e una luce arancione si espanse nella grotta. Le ombre, che prima erano parse un poco sinistre, ora non lo erano più. Le pareti erano piene di muschio e dove questo non cresceva c’erano delle scritte.
Ti amo, mia bella diceva una.
Le altre erano tutte parole d’amore. A Emma venne il magone. Anche lei avrebbe voluto che qualcuno le dicesse “Ti amo”, o che le dedicasse anche solo una di quelle frasi. Eppure era ancora lì, single. E meno male che non viveva nel 1491 ma nel 2021, altrimenti la gente l’avrebbe presa per pazza dato che non si era ancora né fidanzata, né soprattutto sposata.
“A che cosa stai pensando?” chiese Stefan.
“Al fatto che sono ancora single e la cosa mi rattrista. Vedo quanto siete felici voi e vi invidio.”
“Troverai qualcuno, sei ancora giovane” disse Katerina, incoraggiante.
“Infatti, non disperare” mormorò Stefan con dolcezza. “Hai ancora tantissimi anni per farti una famiglia o trovare qualcuno.”
“E se non mi volesse nessuno? Sapete, a causa della mia disabilità?”
Katerina la abbracciò.
“Ehi” disse, avvicinandosi con lei al fuoco per riscaldarsi e asciugarsi, “ricordati che sei un dono. Dio ti ha dato questa disabilità per una ragione, e non so quale sia, ma sono sicura che c’è e che un giorno la scoprirai. Chi ti amerà affronterà il tuo problema insieme a te, giorno dopo giorno.”
Emma sorrise.
“Grazie, mi sento un po’ meglio.”
Si inoltrarono tutti di più nella grotta, sedendosi attorno al fuoco. Si godettero il suo crepitio per minuti, forse ore. Persero la cognizione del tempo e uscirono dalla grotta solo quando la pioggia cessò.
“Direi di tornare a casa” disse Stefan salendo a cavallo.
“Sì’ amore, sono d’accordo.”
Emma annuì. Era stanca e voleva riposare.
Sulla via del ritorno, però, Luz nitrì forte, e insistette per fermarsi all'improvviso.
"Woah, woah! Easy, girl, easy!" di nuovo l'inglese, proprio non ce l'aveva fatta a trattenersi.
"Che succede?" non potè evitare di chiedere Stefan, confuso.
"Non lo so, forse uno stormo di uccelli, o un'ombra fra i cespugli." Rispose Katerina, la più informata di tutto il gruppo. Stringendosi nelle spalle, gli altri le credettero, ma poi sentirono piagnucolare, segno che Nadia si era svegliata.
"Tranquilla, papà è qui." Fece Stefan, fermatosi a sua volta per tenerla in braccio.
Curiosa come al solito, intanto, Emma aveva deciso di indagare. Non vide molto, fra la nebbia e il difetto della vista, ma per fortuna gli occhiali erano ancora puliti, e fu allora che lo notò davvero.
"Fermi tutti, è un coniglio!" esclamò, sorpresa. E scendendo piano da cavallo, anche senza aiuto, fu la prima ad avvicinarsi. Camminò piano, per non spaventarlo, finchè non lo raggiunse.
"Ciao, piccolissimo." Sussurrò, accovacciandosi a guardarlo. Terrorizzato, il coniglietto tremava, si guardava intorno e ogni tanto batteva una zampa a terra. Forse qualcuno dei suoi simili l'avrebbe sentito e sarebbe fuggito da quel pericolo, ma chi poteva dirlo? Sorridendo lievemente, poi, provò ad accarezzarlo.
"Tranquillo... tranquillo, così." Disse, parlando piano e a bassa voce. Triste al pensiero di lasciarlo da solo, fece per sollevarlo, ma il piccolo fece un verso di paura. Non sapendo cosa pensare, si guardò attorno, e proprio allora, eccolo. Un filo d'erba legato a una delle zampe. Lenta, sciolse il nodo, e grato, il coniglietto si strinse a lei.
"Abbiamo un nuovo amico." Annunciò, felicissima. Sorpresi, gli amici le sorrisero, e Stefan l'aiutò a risalire in sella.
“E la sorpresa?” chiese poi a Katerina.
“Domani mattina, oggi non abbiamo avuto tempo con quella maledetta pioggia.”
Quella sera mangiarono una zuppa e poi andarono a dormire, con il nuovo amico dal pelo bianco che si addormentò in un angolo della camera di Emma, al sicuro in un piccolo giaciglio ricavato da una copertina e un cuscino che la ragazza non usava. Gli avrebbe trovato da mangiare più tardi, magari qualche carota come spuntino di mezzanotte.
"Buonanotte, cosetto." Gli disse, abbassandosi al suo livello per accarezzarlo. Ancora una volta, il piccolino la lasciò fare, almeno finchè il rumore della porta che si apriva non lo spaventò.
“Vi aiuto a vestirvi, Emma?” chiese Emily, restando sulla soglia senza notare il nuovo arrivato.
La ragazza disse di no, che ci avrebbe pensato da sola. Così fece e appoggiò i vestiti su una sedia accanto al letto, poi si mise sotto le coperte e si addormentò subito, sfinita. Era stata una giornata intensa, era normale che fosse così stanca. E poi le gambe le facevano male anche a causa della cavalcata. Si svegliò per massaggiarle un po’ e stenderle bene, fece qualche esercizio che le avevano insegnato a fisioterapia e si sentì meglio.
Non sapeva che ore fossero quando si svegliò, ma tremava. Aveva sognato la sua famiglia triste per la sua lontananza. La mamma piangeva e il papà e i fratelli sospiravano. Si alzò e andò a lavarsi la faccia in un catino d’acqua fredda che Emily le aveva lasciato. Fu proprio lei che cercò quando scese in cucina. La trovò ancora in piedi, intenta a lavare i piatti.
“Salve!” salutò Emma, forse con un po’ troppo brio.
Nonostante la voce non lo facesse trapelare, si sentiva esausta.
“Salve” rispose Emily con un gran sorriso. “Ancora dolori alle gambe?”
“Sì, ma per la cavalcata. Sono qui perché ho fatto un brutto sogno, La mia famiglia era triste al pensiero di non vedermi, e forse è così davvero.”
“Può essere, o forse sono felici a sapervi da amici all’estero, come avete detto.”
“Come Tatia ha detto” la corresse Emma.
“Già, vero. Magari vi apparirà di nuovo e vi dirà quanto resterete qui, se siete così ansiosa di saperlo.”
“Vorrei bere qualcosa.”
La ragazza si accomodò su una sedia. Emily la raggiunse.
“Per dormire non c’è niente di meglio che una buona tazza di latte.”
Gliela scaldò sul fuoco usando un po’ di legna, ma senza sprecare e gliela porse.
“Grazie.”
“È latte di capra, molto nutriente. Ce l’ha portato un’amica di Katerina che sta qui vicino.”
Era molto saporito, ma aveva comunque un gusto gradevole ed era alla giusta temperatura. Emma lo bevve piano, assaporandone ogni sorso.
“Vi ringrazio anche stavolta, Emily.”
“Figuratevi. Oh, ho finito il libro se volete leggerlo. Potete anche portarvelo a casa, io ne ho una copia.”
“Grazie, e voi potete leggere Le Cronache di Aveiron, ora che Katerina ce l’ha.”
“Sì, l’ho visto appoggiato sul tavolo. Mi ha detto, però, che non avete pubblicato la saga.”
“Sì e no. No nel modo che intendete voi con pubblicare, sì perché nella mia epoca c’è una cosa chiamata internet dove ci sono dei posti dove la gente può pubblicare storie. È una cosa molto tecnologica difficile da spiegare.”
“Non ho capito tanto bene, ma insomma voi pubblicate in queste… piattaforme, giusto?”
“Esatto, e ho persone che mi lasciano delle recensioni. La saga che è arrivata qui non so come abbia fatto, ma vederla in forma di libro è stato bello!”
Emma sorrise.
“Posso solo immaginarlo. E avete pubblicato altro in queste piattaforme?”
“Sto lavorando a una saga fantasy che parla della storia di due fate.”
“Interessante.”
“Già.”
“E avete dei progetti futuri?”
“Sì, ma mi sto anche dedicando a scrivere storielle più corte, sempre con protagonisti i personaggi della mia saga fantasy, che pubblicherò quando avrò finito il quarto libro su cinque.”
“E quanti capitoli hanno le vostre storie di solito?”
“Il settimo volume delle Cronache di Aveiron ne ha sessanta, ma con altre storie non sono mai arrivata a scriverne così tanti.”
“Sessanta? Wow!”
“Sì, ma ho un’amica che ne ha scritti centoundici e no ha ancora finito la sua storia, che h a iniziato cinque anni fa. Ora è in un brutto periodo della sua vita e non la sta scrivendo perché è complessa e lei è stanca, non ce la fa, ma spero che fra qualche mese ricominci. Quella storia è una perla rispetto a certe che ho letto.”
“Mi auguro che la vostra amica starà meglio presto. Ora, però, tornate a dormire, che il sonno è una grande medicina. Volete fare un bagno prima di coricarvi?”
“No, lo farò domani. Non voglio che andiate ai bagni pubblici di notte, potrebbe succedervi qualcosa”
Un brivido percorse la schiena di Emma e anche Emily tremò.
“Avete ragione, non ho voglia di incontrare nessun bandito sul mio cammino. Allora buonanotte, Emma.”
“Buonanotte, Emily.”
Risalita in camera sua, la ragazza ammise a se stessa di sentirsi meglio. Stava per addormentarsi quando il fantasma di Tatia bussò alla finestra. Aprì con un sospiro, non perché non volesse vederla, ma perché non avrebbe avuto voglia di alzarsi dal letto. E se Tatia avesse avuto qualcosa di importante da dirle? Si avvicinò alla finestra, la aprì e la fece entrare.
“Tornerai a casa presto,” le disse Tatia senza salutarla, “ma prima ci sono altre cose che devi fare qui.”
“Quando?” chiese Emma.
In parte avrebbe voluto tornare dalla sua famiglia, che le mancava, in parte no, perché si sentiva ben accolta da quella in cui si trovava.
“Presto, non ti dirò quando. Ma posso dirti una cosa: domani ti divertirai.”
Detto questo Tatia sparì. Emma rimase per un po’ vicino alla finestra. Il vento soffiava ed era fresco, quasi freddo, ma a lei non importava. Alla luce delle stelle e della luna – a casa sua si sognava un cielo tanto stellato, con tutto l’inquinamento che c’era – iniziò a leggere il libro che Emily le aveva regalato. Il volume era molto voluminoso, tanto che dovette appoggiarlo al davanzale perché era troppo grande da restare in mano. Era miniato con le figure dei protagonisti sulla copertina e anche in altre pagine, sui bordi, con altre figure di altri personaggi, ma ciò non rendeva meno scorrevole la lettura. Uscì sulla terrazza, dato che non ci era mai andata, e continuò la lettura sedendosi per terra con il libro sulle gambe. Nonostante il titolo forse banaale, il raconto la catturò. Era la storia di un ragazzo che si innamorava di una ragazza non vedente. Nella storia veniva spiegato che i non vedenti nel Medioevo restavano nel chiuso della loro famiglia, oppure mendicavano. La protagonista era una figlia di contadini, mentre il ragazzo apparteneva a una famiglia più agiata. La loro storia d’amore era osteggiata dalle famiglie, che non accettavano che due persone di classi sociali differenti si mettessero insieme. Mentre Emma leggeva, tremava. Aveva le mani intirizzite dal freddo. Si era alzato un vento forte quella sera, che sferzava gli alberi lì vicino come schiavi frustati dal loro padrone. Decise di rientrare – se si fosse presa un malanno, in quell’epoca, sarebbe stato un casino – e si infilò a letto, non prima di aver acceso una candela. Una luce rossastra illuminò la stanza, accompagnata da quella del fuoco che Emily doveva aver acceso mentre lei era fuori. Le fu grata per questo, almeno il fuoco avrebbe riscaldato la stanza e lei sarebbe stata meglio. Continuò a leggere un altro po’, con il tomo appoggiato sulle gambe e la candela come fonte di luce, ma poi, stanca, lo chiuse. Non sapendo dove appoggiarlo prese una coperta dall’armadio e lo avvolse perché non prendesse polvere, poi lo mise sotto il letto. Si addormentò in pochi minuti.
 
 
Lorena singhiozzava. Era seduta davanti al pianoforte e piangeva, bagnando di lacrime lo spartito. Provava a suonare, ma non ci riusciva. Si sentivano anche i pianti dellla madre, fuori dalla stanza, e i sospiri del padre e dei fratelli.
“Emma, torna a casa, ti prego!” esclamò Lorena.
“Perché hai lasciato il telefono a casa? Come facciamo a contattarti se non sappiamo nemmeno dove sei?” chiese la madre.
Il padre non parlava, ma il suo volto pallido faceva capire che era sconvolto.
“Se non torna entro domani andremo dalla polizia” disse infine l’uomo. “Nel biglietto c’era scritto che sarebbe andata all’estero da un’amica, ma non quando sarebbe tornata. E se le fosse successo qualcosa? Sono passati quattro giorni.”
“Forse ci stiamo preoccupando per niente” disse Antonio. “Quattro giorni sono pochi, magari sta via una settimana.”
“Hai ragione, ci stiamo preoccupando troppo, forse.”
Intanto la mamma aveva acceso la televisione e seguiva il notiziario.
“C’è stato un incidente aereo in Inghilterra” disse. “Se Emma è andata là, potrebbe… L’aereo è precipitato, ci sono stati venti morti e quaranta feriti, il resto illesi, per fortuna. Ma se Emma fosse tra i morti o i feriti?”
Per sicurezza chiamò il numero che vide in sovrimpressione, ma le fu detto che Emma non era su quell’aereo.
“Meno male!” esclamò, sollevata. “Forse ha ragione Antonio, è solo che mi distrugge il fatto di non sapere niente.”
“Distrugge tutti” disse il padre. “Ma sono sicura che ci chiamerà o ci farà sapere in qualche modo come sta.”
La madre e la sorella ricominciarono a piangere. Non sapere dov’era Emma, se stava bene o se era successo qualcosa le riempivano di angoscia e di inquietudine.
 
 
Tremava. Emma si svegliò di soprassalto dopo quell’ennesimo sogno sulla sua famiglia. Non credeva fossero tanto distrutti e la sua bocca era spalancata in un grido muto. Il dolore che sentiva al petto per averli lasciati senza un chiaro messaggio su come stesse non accennava a cessare. Si alzò in piedi, ma la testa le girò e dovette risedersi sul materasso e lasciare che quella vertigine passasse. Poi si alzò, fece qualche passo e si appoggiò al muro di pietra gelida. Le sue gambe stavano per cedere, se non avesse avuto quel sostegno era sicura che sarebbe caduta. Il fuoco era ancora acceso e la stanza calda, ma lei batteva i denti come se fosse stata al gelo in una notte d’inverno. Le venne in mente che lì gli inverni dovevano essere particolarmente  freddi.
Ma perché penso a queste sciocchezze dopo quello che ho sognato?
Era stato terribile vedere la sua famiglia in quello stato, soprattutto Lorena e sua madre. Le sue gambe le parevano fatte di gelatina. Avanzò lungo il muro e uscì dalla stanza. Voleva fare un giro per casa per calmarsi. Prese con sé la candela e procedette piano, per non svegliare nessuno. Fu allora che scoprì che, vicino alla camera di Katerina, c’era un’altra porta che non aveva notato perché incassata nel muro. La aprì piano e questa cigolò. Non voleva invadere spazi altrui, né avrebbe voluto curiosare, ma alla fine la voglia di scoprire vinse su tutto il resto. Arrivata in cima a quello scalone che sembrava non finire mai, aprì un’altra porta. Si ritrovò in una biblioteca piena zeppa di volumi, così tanti che nemmeno in quella della ua città ne aveva visti in quella quantità. Scalette in legno erano attaccate agli scaffali, unico mezzo per raggiungere i libri più in alto, mentre a terra c’erano panche in pietra e tavoli in legno, adibiti allo studio e alla lettura.
Si era portata dietro il volume che le aveva regalato Emily, ma non avrebbe mai creduto che in casa di Katerina ci fosse una biblioteca, e con così tanti libri, poi. Ma non era sola, lì dentro. Vide una figura girata di spalle seduta a un tavolo. All’inizio pensò si trattasse di Emily, ma con l’avanzare comprese che era Katerina.
“Anche tu sveglia?” le chiese quest’ultima.
“Sì, non riuscivo più a dormire. Tu perché sei qui?”
“Stesso motivo.”
Emma le si sedette vicino e vide che anche lei aveva in mano un volume. Trattava della storia della Bulgaria.
“Appassionata di questa materia?”
“Sì, abbastanza. Ho letto molti libri  sulla storia di varie nazioni, ce ne sono tanti qui. Alcuni li ho portati via dalla casa dei miei genitori quando mi sono sposata, altri li ho acquistati.”
“Sono tantissimi, ti saranno costati un occhio della testa!”
“In effetti i libri costano molto e i trovano solo nei monasteri. Ma ne ho presi un po’ alla volta, con calma. Il tuo di cosa parla?”
“È un romanzo d’amore, me l’ha regalato Emily.” Fece un secondo di pausa. “Katerina?”
“Sì?”
“Ti capita mai di fare degli incubi terribili? Di  quelli che ti svegli nel bel mezzo della notte e non riesci più ad addormentarti?”
L’altra sospirò.
“Sì, mi succede più spesso di quanto vorrei. A te?”
“Qualche volta sì, ma più che brutti sono sogni strani. Quello di stanotte, però, è stato diverso. Tu cosa sogni?”
“Sogno che mio padre viene a portarmi via la bambina, o che Aleksander torna e la rapisce, come voleva fare la sera del ballo.”
“Stanotte ho fatto un sogno bruttissimo, è da un po’ di giorni che li faccio, in realtà. Tatia dice che la mia famiglia sta male per la mia assenza e nei sogni mi rendo conto che è vero.” Le parlò di quello che aveva sognato. “È stato orribile. Mi sono alzata in piedi di scatto, mentre tremavo, e le gambe mi cedevano.”
“Mi dispiace, ma se Tatia ha detto che tornerai a casa presto puoi fidarti di lei. Le cose che ha detto a me si sono sempre avverate. Una volta mi ha rivelato che Nadia sarebbe guarita dalla febbre e così è stato, il giorno dopo si sentiva bene e non si è più ammalata da allora.”
“Io mi fido di Tatia, Vorrei solo che la mia famiglia non stesse così male. Non so nemmeno se è la mia mente a farsi tutte queste paranoie mentali, o se mia madre, mio padre e i miei fratelli stanno soffrendo davvero.”
“Se vuoi il mio parere, secondo me stanno male sul serio. Sanno solo che sei andata all’estero, ma non dove, giusto?”
“Non credo che Tatia l’abbia scritto nel biglietto.”
“Ecco. Allora per loro potresti essere ovunque, è normale che siano preoccupati e in ansia. Io lo sarei, se una cosa del genere accadesse a mia figlia.”
“Ma non è colpa mia. Non ho avuto controllo su quello che è successo domenica.”
La sua voce si era alzata di alcune ottave senza che lei lo volesse.
“Lo so, non ti sto accusando di niente, Emma. Dico solo che io mi sentirei così.”
“Non posso tornare a casa come se niente fosse. Devo aspettare che si ripresenti quella forza che avevo sentito il giorno che sono arrivata qui e non so quando arriverà.”
“Magari domani, chi lo sa? Intanto, godiamoci questo momento. Cerca di rilassarti.”
Emma appoggiò la schiena allo schienale della panca in pietra.
“Quando sogno che mio padre mi strappa la bambina dalle braccia è straziante. In realtà è stata mia madre a darla a lui, non so perché faccio quest’incubo distorto. In ogni caso mi sveglio con un dolore lancinante al petto e le gambe mi cedono quando mi alzo.”
Emma fece un sorriso triste.
“Ti comprendo più di quanto immagini, anch’io ho provato dolore, stanotte.”
“Aspettami qui, torno subito.”
Katerina si alzò e uscì dalla biblioteca. Chissà dove stava andando o cosa aveva in mente. Emma respirò profondamente l’odore di cera delle due candele poste sul tavolo e, dato che Katerina era assente, ne approfittò per andare in camera a prendere il libro che Emily le aveva regalato. Era molto pesante, ma riuscì a portarlo in biblioteca e ad appoggiarlo sul tavolo. Katerina tornò qualche minuto dopo.
“Vedo che hai trovato un libro da leggere.”
“Ce l’avevo in camera. Emily è stata così gentile da regalarmelo.”
La ragazza appoggiò sul tavolo due tazze di latte fumante e due panini alla marmellata. Ma quello era del pane bianco? Ne aveva visto e mangiato solo di nero nei giorni precedenti.
“Solo noi ricchi possiamo permetterci queste prelibatezze” disse Katerina. “Ma spesso io vado a dar da mangiare ai poveri o ai bambini abbandonati. Ci verresti con me, domani?”
“Ma certo, se posso essere utile lo faccio volentieri” disse Emma. “Vorrei mettermi in contatto con la mia famiglia in qualche modo, solo che non so come.”
“Forse posso aiutarti. Qui c’è la credenza che gli elfi si scambino lettere, se sono lontani, affidandole al vento, e che queste arrivino sempre a destinazione. Potresti provare” disse Katerina, indicando un tavolo che Emma,  prima, non aveva visto.
Era un tavolo sul quale si trovavano pergamene vuote che attenevano di essere vergate dalle penne d’oca poste lì accanto e dalle boccette di inchiostro.
La ragazza si alzò, prese una pergamena con tutta la delicatezza possibile, la srotolò e, con penna d’oca e inchiostro, tornò al so posto. Pensò per un po’, poi iniziò a scrivere.
Cara mamma, caro papà e cari fratelli,
non preoccupatevi per me. Sto bene, sono felice e tornerò a casa presto.
Sono in Bulgaria. Lo so, forse vi aspettavate che andassi a Londra o negli Stati Uniti visto quanto sono brava in inglese, ma non so come, qui parlo bulgaro fluentemente.
Qui dalla mia amica mi sto divertendo un mondo e sto scoprendo tantissime cose nuove. Ha un marito meraviglioso e una bambina stupenda di undici mesi, che si chiama Nadia, con la quale mi piace molto giocare. Vorrei che poteste conoscerla!
Vive vicino a un bosco, quindi andiamo a fare una passeggiata quasi ogni giorno e abbiamo fatto anche una cavalcata. È stato bello. Non cavalcavo da anni, ma tutto considerato me la sono cavata piuttosto bene.
E voi come state? Lo so che è stato triste passare la Pasqua senza di me, anche voi mi siete mancati, ma ci rifaremo l’anno prossimo.
Vi voglio bene,
Emma
La passò a Katerina perché le dicesse cosa ne pensava.
“Per me va bene, è una buona lettera. Si domanderanno come fai a sapere il bulgaro.”
“Prima di venire qui conoscevo solo inglese e spagnolo. Ma non sono brava in questa seconda materia, mentre nella prima sì.”
“Cosa sono gli Stati Uniti?”
“Un gruppo di Stati che, a un certo punto della storia, si sono resi indipendenti dal resto dell’America ee si sono uniti a formare un agglomerato.”
“Capisco.”
Emma si alzò, aprì na grande finestra e scoprì che soffiava un vento impetuoso che sembrava ululare. Lasciò andare il foglio che cadde a terra, ma poi venne risollevato dal vento e portarlo via lontano.
“Ti prego, arriva dai miei genitori!” implorò.
Mangiarono e bevvero, poi lessero per circa un’ora. Gli occhi di Emma, però, cominciavano a essere stanchi e le parole sembravano doppie.
“È meglio che me ne vada a dormire” disse.
“Sì, anch’io. Stefan si starà domandando dove sono andata e non voglio farlo preoccupare.”
Le due tornarono a letto. Emma dormì bene per il resto della notte.
Il giorno dopo, Emma venne svegliata presto da Katerina per andare a dar da mangiare ai poveri. Presero la carrozza e Katerina si mise alla guida. Andarono nella periferia del paese. Lì le case dei ricchi si sostituivano a baracche o a case in legno in cui le persone vivevano anche in dieci in una sola stanza, spiegò Katerina a Emma, che guardava il paesaggio  cambiare con tristezza. Si fermarono di fronte a una casupola, scesero e bussarono. Aprì una donna con in braccio un neonato.
“Siamo venute a portare vestiti e cibo, e anche delle fasce per il bambino” disse Katerina.
Quando la donna vide Emma fece un balzo all’indietro.
“Tranquilla, Desislava, lei è una mia amica, si chiama Emma.”
“Salve, Emma. Perdonatemi, non volevo essere maleducata.”
“Non preoccupatevi, per quest’inezia…”
“Per questa che?” chiese la donna e si tirò una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio.
Era magrissima, le si potevano vedere le ossa.
Inezia. Inizio a parlare come fanno qui pensò Emma.
“Una cosa da nulla” spiegò, affinché l’altra capisse.
“Ah, d’accordo. Entrate pure.”
La casa era interamente in legno, con il pavimento che scricchiolava sotto i piedi. Sul tappeto, altri quattro bambini stavano giocando chi con una bambola di pezza, chi con un ciocco di legno che batteva per terra fingendo di suonare.
“Non si farà male con quel coso?” chiese Emma a Desislava.
“No, non credo, e comunque non ho altro da dargli. Questi sono gli unici giocattoli che possediamo.”
“E noi ne abbiamo portati altri” disse Katerina, che aveva in mano una grande borsa.
Ne tirò fuori animali di pezza e bambole che diede ai bambini.
“Grazie! Grazie!” esclmavano i piccoli.
“Come siete bella,  Lady Emma” le disse una bambina.
“Siete voi a essere bellissimi” rispose lei, sorridendo a tutti.
Dopo aver dato alla donna il cibo e i cambi per il bambino che stringeva, le due li salutarono e se ne andarono.
“Non ha un marito? Come fa a mantenere cinque figli?”
“Ce l’ha, è fuori a chiedere l’elemosina.”
“Giusto, mi sono dimenticata una cosa. Rientriamo.”
Bussarono di nuovo. In uno di quei giorni Katerina aveva dato a Emma dei soldi se avesse voluto comprarsi qualcosa. Ne diede un po’ alla donna.
“Ne avete più bisogno voi” disse.
Gliene aveva offerti la maggiorana e ora non gliene restavano molti, ma poco importava.
“Oh, grazie signorina, la vostra bontà è infinita!”
La donna si inginocchiò di fronte a lei.
“Alzatevi.” Emma la aiutò, visto che aveva il bambino che, per tutto il tempo, era rimasto in silenzio.
Lei e Katerina se ne andarono e incontrarono per strada una donna, vestita di stracci come Desislava e i suoi bambini.
“Diamole qualcosa” disse Emma.
“Sì.”
“Volete una bella rosa gialla?” chiese la donna.
Non aveva figli con sé, ma le due immaginarono che potesse averne a casa.
Comprarono dodici rose gialle e la donna fu più che contenta, perché la pagarono anche di più di quanto lei aveva chiesto.
“Grazie infinite, siete state generose” disse la donna.
“Era questa la sorpresa?” chiese Emma a Katerina, sussurrando.
“No, riguarda Nadia. Dopo vedrai.”
“L’abbiamo fatto con il cuore” disse Emma rivolgendosi alla donna.
“Spero che gli abiti che vi abbiamo portato vi vadano bene e servano anche ai vostri figli.”
Vedere quei bambini vestiti di stracci faceva male al cuore.
“Andranno benissimo, vi ringrazio.”
Dopo i saluti, le due uscirono.
“E adesso dove andiamo?”
“Dai bambini abbandonati nella Casa della Misericordia, un convento su una collina.”
Risalirono in carrozza e si diressero nel luogo che Katerina aveva detto. La pianura si sostituì presto a verdeggianti colline colme di vegetazione. Ne risalirono una  ripida, con non poca fatica per i cavalli, fino in cima. Lì sorgeva il convento.
“Eccoci arrivate” disse Katerina. “Buoni, buoni” disse ai cavalli.
“Se volete ve li tengo d’occhio io, finché siete dentro, signora” disse una suora che uscì in quel momento.
“Vi ringrazio, siete molto gentile.” Poi sussurrò: “Perché non ho pagato un cocchiere?”
Lei ed Emma bussarono alla porta del convento e venne loro aperto.
“Buongiorno!”
La suora che li salutò con tanto calore era giovane, avrà avuto al massimo diciannove anni, probabilmente una novizia.
“Buongiorno” disse Emma.
“Posso fare qualcosa per voi, signore?”
“Siamo qui per vedere i bambini.”
“Voi siete Katerina Petrova, giusto? Volete adottare un bambino? O volete farlo voi?” si informò, guardando anche Emma.
“Io non posso” rispose quest’ultima. “Vorrei, ma non posso.”
“E perché, se posso chiedere?”
Le raccontò che, per quanto fosse assurdo, lei veniva da un futuro molto lontano e com’era arrivata lì.
“È una storia pazzesca!” esclamò la suora alla fine. “Ma vi credo.”
“Davvero?”
“Davvero.”
“Siamo venute a portare un’offerta per il convento.” Katerina le passò dei soldi e anche Emma ne diede un po’ dei suoi. “E ho portato dei vestiti da neonato che mia figlia non usa più.”
“Possiamo comunque vedere i bambini?” chiese Emma.
Sperava di sì.
“Ma certo, venite. Qui accogliamo tantissimi bambini, di madri nubili o troppo povere.”
Fuori Emma aveva visto la ruota degli esposti, dove le mamme lasciavano i bimbi. La suora le guidò attraverso un dedalo di corridoi, fino ad arrivare a uno che aveva le porte aperte e si potevano vedere delle grandi camerate piene di culle in legno.
“Ma quanti bambini avete?” domandò Emma.
“Sessanta per il momento, ma aumenteranno, Per fortuna le richieste di adozione sono molte. Abbiamo anche tante balie che vengono a dar loro da mangiare. Pensate che l’altro giorno è venuta una coppia che ha rifiutato un bambino negro perché lo voleva rigorosamente bianco, con gli occhi chiari, quindi abbiamo dovuto metterli in lista d’attesa.”
Negro. A Emma quella parola fece male al cuore, ma si ricordò di una serie televisiva, Terra Nostra, che guardava quand’era più giovane. Era ambientata nell’Ottocento e non alla fine del Quattrocento, ma anche là si usava quel termine per indicare i bambini o, in generale, le persone di colore, quindi non avrebbe dovuto stupirsi. Entrarono in una camerata in cui c’erano sia bambini bianchi che di colore.
“Posso prenderne uno in braccio?” chiese.
“Ma certo!”
Emma si avvicinò a una culla in cui una bambina di colore piangeva disperatamente.
“Vieni qui, piccola.” Bastò prenderla in braccio perché si calmasse. “Brava, così.” Le accarezzò la testolina e si sedette su una sedia. “La sto tenendo bene?”
“Dovete sostenerle il collo, così.”
La suora le insegnò come fare.
“Ma sei bellissima!” esclamò Emma, e si commosse. “Scusate, è che non avevo mai preso in braccio un neonato.”
La neonata la guardò con gli occhi spalancati. Anche Katerina aveva preso in braccio un bambino. Emma si commosse. Quella creatura era così piccola, eppure aveva già tutto. Rimasero lì un altro po’ a coccolare altri bambini, poi uscirono, non prima di aver ringraziato le suore, e tornarono a casa.
“Andiamo a fare una passeggiata con Nadia, o sei troppo stanca?” chiese Katerina a Emma.
“No, va bene.”
“Anche perché vi aspetta ancora la sorpresa.”
Sempre più incuriosita, Emma scese dalla carrozza e aiutò Katerina a portare i cavalli nei rispettivi box, poi entrò in casa con lei.
Stefan stava giocando con Nadia. Le aveva presentato il coniglietto conosciuto nel cespuglio durante la passeggiata a cavallo, e guardandola divertirsi con le sue bamboline, ogni tanto le saltellava intorno.
“Andiamo nel bosco, amore?” gli chiese.
“Sì. Ho letto il tuo biglietto, com’è andata?”
“Gli avevo lasciato dove saremmo andate” spiegò a Emma.
Uscirono e si diressero nel bosco. Katerina, Stefan ed Emma avevano in mano un cestino. Che servisse per raccogliere frutti? Quando vide che i coniugi raccoglievano fragole e mirtilli, Emma li imitò e prese anche delle more. Ne mangiò alcune e assaggiò anche le fragole di bosco, benché non  fossero lavate.
Una volta a casa, Katerina portò sul tavolo del salotto una tela bianca.
“I colori si ricavano dalla frutta” disse. “Potete divertirvi dipingendo.”
“Cioè dobbiamo sprecare la frutta per dipingere?” chiese Emma, scettica.
Sapeva ciò che Katerina le aveva detto, perché l’aveva letto nel fantasy L’orso e l’usignolo di Katherine Arden.
“Non vederlo come uno spreco, ma come un modo per usare la frutta in modo diverso.”
Emma sorrise.
“Okay.”
Nadia fu la prima a mettere una mano nel cestino. Ne tirò fuori un pugnetto di frutta che schiacciò e il succo finì sulla tela. Dopodiché, la mamma le diede un pennellino con il quale disegnare.
“Che facciamo, Nadia?” I colori erano rosso e blu. “Facciamo un gatto rosso?”
“Ah!” esclamò ka bambina, che Emma interpretò come un sì.
Schiacciò anche lei alcune fragole e, guidando la manina di Nadia, dipinse un gatto.
“Ma com’è venuto bello!” esclamò Katerina, che le guardava.
“E con il blu che facciamo, il mare?”
La bambina fece un versetto adorabile ed Emma la guidò a creare delle onde con il succo delle more.
“Un gatto al mare, che strano!” commentò Stefan. “I gatti non odiano l’acqua?”
“non tutti,” rispose Emma, “alcuni sanno anche nuotare.”
Emma, su un’altra tela, disegnò un coniglio marrone grazie a un po’ di mirtilli che aveva trovato di quel colore e ci mise sotto dell’erba, per far capire che stava correndo. Su un’altra, stavolta con Nadia, disegnò un prato con i fiori, o meglio li incollò sul succo rosso di alcune fragole. Un prato un po’ strano, ma chi se ne importava?
“Hai visto come tanno venendo belli questi disegni?” chiese alla bambina, che li guardava incantata fra le braccia della ragazza.
Disegnarono anche una montagna, sempre con i mirtilli marroni, e il cielo con quelli blu, poi su un’altra tela crearono un paesaggio innevato su una montagna, usando il colore marrone e la farina, bianca che si incollò perfettamente.
Avevano lavorato per ore senza nemmeno rendersene conto.
“Quando saranno asciutte le appenderemo in casa” disse Stefan. “Siete state delle pittrici bravissime!”
“Grazie” rispose Emma per entrambe.
Poco dopo fu ora di pranzo. Emily servì un’altra zuppa davvero buona. Ma poco dopo Emma cominciò a sentirsi poco bene.
“Che ti succede?” le chiese Katerina.
Probabilmente l’aveva vista impallidire, ma Emma non poteva dirlo con certezza.
“Ho la nausea e mi sento strana, come se fossi qui ma allo stesso  tempo no.”
“Forse te ne stai per andare.” Katerina fece il giro del tavolo e la abbracciò. Emma si alzò e ricambiò la stretta. “Magari è giunto il momento che tu torni a casa.”
In quel momento, dalla finestra aperta il vento portò un foglio.
“È per te, Emma” disse Stefan porgendoglielo.
“È una lettera dei miei!” esultò.
Cara Emma,
non sapevamo avessi un’amica in Bulgaria, ma siamo felici che tu ti stia divertendo. Almeno ora sappiamo dove sei. Quando tornerai a casa ti aspetterà una bella ramanzina perché non ci hai dato tue notizie ed eravamo molto agitati e in pensiero.
Ti aspettiamo, torna presto.
Con affetto,
mamma, papà e i tuoi fratelli
Emma la lesse anche ad alta voce, poi fu avvolta da una fitta nebbia e si sentì spingere da quella forza sconosciuta che l’aveva catturata il giorno di Pasqua. Nadia, che non capiva, si mise a piangere, ma il padre la calmò. Emma abbracciò tutti, sentendosi la mente divisa a metà, una parte lì, l’altra verso casa.
“Mi mancherete tantissimo!” esclamò.
“Magari verremo noi nel mondo moderno, un giorno” disse Katerina.
“Sarebbe bello” disse Stefan.
“Grazie per tutte le belle esperienze che mi avete fatto vivere in questi giorni, sono stata benissimo. E, se vedete Tatia, ringraziatela per quello che ha fatto per me.”
“Lo faremo” le assicurò Katerina.
Emma prese in braccio Nadia.
“Ehi, piccola. Fai la brava, capito?”
La bambina le colpì il naso con la manina facendola ridere, poi la ragazza la diede alla madre.
La nebbia si intensificò e a Emma fu impossibile vedere. La forza la trascinò verso qualcosa, non capì cosa, e poi di colpo si ritrovò sul suo letto. Era notte e lei era distesa sotto le coperte.
“Ma che diavolo…”
Sì, quella era proprio la sua camera. Riconobbe il letto di Claudia e, alzandosi e girando per casa, trovò la stana dove tenevano il PC fisso e dove lei passava ore intere a scrivere. Avrebbe sicuramente scritto una storia su quanto accaduto, ne era certa, non poteva non farlo. Era stato tutto troppo strano.
“Emma, sei tu?” le chiese un’assonnata Lorena.
“Sì” sussurrò lei, per non svegliare gli altri.
“Dove cavolo sei stata?”
Emma iniziò a raccontarle cosa le era successo, ma la ragazza si riaddormentò. Anche lei prese sonno e decise che avrebbe detto ogni cosa il giorno dopo.
Il mattino successivo scese per colazione.
“Emma, amore della mamma”
Sua madre le si gettò fra le braccia, riempiendola di baci e carezze. Anche il padre la abbracciò, ma il suo sguardo era severo.
“Ci hai fatti spaventare a morte, signorina. Quante volte ti abbiamo detto di farci sapere sempre dove sei? E poi sei andata così lontano!”
"Papà, lo so, mi dispiace. Ma posso spiegarvi tutto.”
E così raccontò ogni cosa, da quella domenica in poi.
Il padre annuì soltanto e non disse niente.
“Te lo sarai sognato” disse Lorena.
“Infatti, non è possibile” rispose sua mamma.
“Raccontami di più di questa famiglia” disse Antonio.
Emma gli parlò della dolcezza di Katerina, della gentilezza di Stefan ed Emily, del fantasma di Tatia e dell’allegria della piccola Nadia. Gli disse tutto, anche del ballo e dei dipinti su tela.
“Io ti credo” disse il fratello alla fine.
“Grazie!”
Per Emma quella era stata una Pasqua fantastica e anche i giorni dopo erano stati bellissimi. Non avrebbe più dimenticato quell’esperienza. Se la sarebbe portata nel cuore per sempre.

CREDITS: ninnananna di Brahms
Katy Perry, What Makes a Woman


NOTE: 1. è vero, nel Medioevo la gente si scambiava uova di gallina come augurio.
2. Ho trovato i bigliettini sul sito www.greenme.it.
3. In Norvegia alcuni archeologi hanno trovato dei biberon fatti con corna di animali. L’ho letto sul sito www.womenofhistory.blogspot.com. Non so, però, se questo modo di dare il latte ai bambini, che bevevano da un buco creato nel corno, esistesse anche in altri stati.
   
 
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