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Autore: Xion92    21/08/2021    3 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E rieccoci! Dopo tipo... cinque mesi che non aggiornavo? Sto andando molto a rilento, altroché sprint finale. Poi con questo capitolo ci ho messo molto anche perché prima l'avevo scritto tutto, poi rileggendolo mi sono accorta che non mi piaceva e l'ho cancellato per riscriverlo tutto da capo. Quindi è come se ne avessi scritti due. E' stato comunque un capitolo un po' difficile anche se credo che sia l'unico in tutta la storia con solo due personaggi - a parte la parte finale. Metto in cima due disegni di Angel che ho fatto di recente, normale e trasformata. Buona lettura!

 

Capitolo 89 – Uno spirito sereno è la chiave


Era notte fonda, e la sveglia che Angel teneva sul comodino squillò. La ragazza subito la spense e si sollevò di scatto. Le quattro in punto. Si alzò per non dar tempo al sonno di annebbiarle il cervello, e andò in bagno a darsi una lavata, facendo attenzione a non svegliare nessuno dei suoi due coinquilini.
Quando si fu lavata, vestita in modo pesante ed ebbe fatto colazione con latte, caffè e biscotti che Keiichiro le aveva lasciato in frigo il giorno prima, Angel raccattò il suo zainone, già pieno e chiuso, che aveva posizionato in fondo alle scale. Alle quattro e mezzo prese anche lo zaino che avrebbe dato a suo padre ed uscì piazzandosi davanti al portone. Il cielo era sereno e non tirava vento, ma faceva molto freddo; Angel sopportò senza fatica, visto che era abituata fin dall’infanzia a subire senza lamentarsi le basse temperature. Poteva solo immaginare, a fine inverno, quanto potesse fare ancora freddo in montagna. Ma per imparare a gestire la tecnica del dio alieno, avrebbe sopportato anche questo.
Pochi minuti dopo, vide Masaya arrivare anche lui da dietro l’angolo, e contenta di vederlo gli andò incontro.
“Buongiorno”, la salutò lui. “Sei sveglia?”
“Sì, dai, non c’è male”, rispose la ragazza stropicciandosi un occhio. “Questo è tuo”, aggiunse indicandogli lo zainone appoggiato al muro. “Pesa molto?”, gli chiese quando se lo ebbe caricato sulla schiena.
“Ma no”, rispose il giovane. “Anche tu vedo che lo reggi bene. Sei bella muscolosa, in fondo. Ci possiamo avviare.”

Presero la metro poco distante che li portò fino alla stazione e, una volta lì, cercarono il punto in cui si fermava l’autobus che li avrebbe portati a destinazione. Erano riusciti a trovarlo in anticipo per miracolo. All’inizio avevano previsto di farsi il primo tratto in treno e poi prendere un taxi, invece questo autobus così defilato li avrebbe portati dritti a destinazione, in sole tre ore.
Angel guardò incuriosita il piazzale davanti all’edificio, con la colonnina con l’orologio.
“E’ qui che la leader ha avuto il suo potenziamento… ed aveva detto che non poteva sopportare che quel mostro rovinasse proprio questa piazza… posso chiederti perché, Masaya?”, chiese curiosa al ragazzo.
“Beh…”, rispose lui, che si stava apprestando a salire sull’autobus che era lì fermo. “E’ qui che… che io e Ichigo ci siamo messi insieme, nel posto in cui ci davamo sempre appuntamento. È successo un anno e mezzo fa, ed è un luogo molto importante per noi.”
“Ah, ho capito”, annuì Angel, sentendosi vagamente in imbarazzo. “Scusa se ho chiesto. Non volevo farmi i fatti vostri.”
“No, non scusarti”, la tranquillizzò il ragazzo. “Soprattutto tu non dovresti sentirti imbarazzata per una cosa del genere.”
“Eh… già…” mormorò lei, salendo dietro di lui, chiedendosi tra sé e sé cosa intendesse. Il sospetto che Masaya sapesse chi in realtà lei fosse era sempre più forte, ma non osava chiedergli niente. Non le importava e non voleva saperlo.

Una volta a bordo, rendendosi conto che l’autobus era quasi vuoto, i due giovani si sedettero in fondo, dove c’era la fila dei sedili attaccata alla parte posteriore del mezzo, sistemarono gli zaini nella parte destra e si misero a sedere vicini a sinistra, Angel accanto al finestrino. Visto che per tutti e due era stata un’alzataccia e li aspettavano tre ore di viaggio, decisero di rimettersi a dormire. Masaya rimase appoggiato allo schienale, Angel invece appoggiò il fianco al finestrino. Ma, appena usciti dalla zona centrale di Tokyo, la strada iniziò a farsi irregolare e l’autobus si mise a tremare mentre procedeva. Dopo poco, prese una buca e diede uno scossone talmente violento che Angel si prese un colpo sulla tempia destra. La ragazza mugugnò per il dolore, senza tuttavia svegliarsi del tutto. Masaya, che al verso di dolore di Angel si era svegliato, resosi conto dell’accaduto, senza stare a riflettere la prese per le spalle tirandola verso di sé, per farla appoggiare a lui in modo che potesse dormire meglio. Era già successo qualcosa di simile, all’inizio dell’autunno precedente, quando erano tutti e due al parco seduti contro un albero. Angel si era addormentata anche allora, e il vento le aveva spostato un ciuffo di capelli sul naso, che nel sonno le dava fastidio. Lui, che aveva scoperto da poco di essere suo padre, gli aveva spostato i capelli facendo attenzione a non svegliarla, per fare in modo che non si insospettisse. Ma adesso non gli importava più niente che lei si facesse domande o meno. Dopo tutto quel tempo, gli veniva così naturale comportarsi da padre nei suoi confronti che quell’inusuale rapporto di parentela era diventato per lui qualcosa di scontato, come il fatto che Ichigo era la sua ragazza. L’unica cosa che mancava era una sua esplicita ammissione verso la figlia.
Al suo gesto, Angel aprì gli occhi appestati e lo guardò per un attimo stranita, ma era talmente stanca che la sua mente annebbiata non le permise di farsi altre domande in merito e si riaddormentò subito contro la spalla del padre, senza più le botte e gli scossoni del finestrino che la disturbassero. Masaya la tenne stretta a sé con una mano, con l’altra le passò un paio di volte le dita tra i capelli arruffati e si addormentò poi anche lui.

Si risvegliarono quando sentirono la voce dell’autista che li chiamava. “Ragazzi, dovete scendere. Siamo arrivati al capolinea.”
Angel aprì subito gli occhi e, staccandosi da Masaya, guardò fuori dal finestrino. Era diventato giorno, e fuori era tutto bianco. Si vedevano montagne innevate ovunque sullo sfondo, e anche dove si trovavano ora, nella stazione degli autobus del paesino montano in cui erano arrivati, la neve era alta mezzo metro.
“Siamo arrivati! Siamo arrivati!”, esclamò emozionata.
Masaya sorrise al vederla così eccitata come una bambina che è appena partita per la settimana bianca. “Sì, siamo arrivati. Prendiamo gli zaini e andiamo, che dovremo camminare un po’.”
Quando furono a terra, sentirono subito la differenza di temperatura con Tokyo. Guardarono il pannello che segnava i gradi appeso vicino all’orologio. Meno cinque.
“E’ normale, sono solo le otto. Andiamo a farci una colazione come si deve, prima di andar su?”, chiese il ragazzo.
Angel in realtà non avrebbe voluto perdere altro tempo, ma sapendo che due ore di camminata in salita con uno zainone da venti chili sulle spalle e con quel freddo sarebbero state difficili da affrontare senza mangiare di nuovo, accettò. Si fermarono quindi al bar della stazione e presero un bicchiere di caffè-latte con una fetta di dolce. Angel, che essendo in pubblico cercava di controllarsi mangiando adagio, invece di ingoiare tutto quasi senza masticare come era abituata a fare, si rese conto che Masaya la guardava spesso mentre mangiava, senza stare concentrato sul suo cibo. All’inizio pensò che fosse perché stava mangiando ancora troppo veloce e volesse dirle con lo sguardo di darsi una calmata, ma poi si accorse che la guardava con la stessa tenerezza che avevano gli occhi di suo nonno. Di nuovo, la ragazza si impose di ignorare questa evidenza e di non farsi domande. Ma non sapeva se la cosa sarebbe durata. Era solo il primo giorno.
Una volta fatto il pieno di energie, i due ragazzi, col loro carico sulla schiena, si avviarono fino al limite del paesino. Una volta terminate le ultime case, da lì iniziava subito il pendio scosceso, senza alberi e coperto di neve che portava alla baita prenotata. Certamente durante la bella stagione doveva essere una salita fattibile, ma con tutta quella neve farinosa sembrava richiedere un’ottima potenza muscolare e respiratoria per poter essere scalata.
“Sei sicura di potercela fare, Angel? Volendo c’è una strada più lunga e meno ripida che fa il giro della montagna”, propose Masaya, vedendo che la figlia fissava impressionata quella salita.
“No, già abbiamo poco tempo, non possiamo sprecarlo così”, rispose risoluta lei.

Procedevano la loro camminata su quel pendio ripido da mezz’ora, senza parlare per non sprecare energia e testa china. Per quanto Angel fosse robusta e muscolosa, Masaya, essendo un uomo, a parità di allenamento ed attività aveva un corpo più forte del suo, e quindi era alcuni passi avanti a lei. Nonostante questo, ogni tanto buttava un occhio indietro per assicurarsi che la ragazza fosse appena alle sue spalle, rallentando se andava troppo veloce per lei. Faceva sempre più freddo man mano che si saliva, si affondava nella neve farinosa fino al ginocchio e lo zaino pesante sulla schiena di certo non aiutava. A un certo punto la ragazza avvertì qualcosa di strano nell’aria, e percepì che nel raggio di una cinquantina di metri non c’erano solo loro due. Sentì un lieve rumore di neve calpestata, e si voltò di scatto alla sua sinistra. Nella neve, vicino ai pini che delimitavano la salita, vide coi suoi occhi acuti un coniglio quasi completamente mimetizzato, bianco nel suo manto invernale, con la punta delle orecchie nere, che li guardava. Certamente era un esemplare giovane e inesperto, perché non aveva la prudenza tipica della sua specie. Infatti, quando Angel lo notò, non corse subito a nascondersi, ma rimase lì a squadrarla curioso.
Angel, che doveva tenere la sua natura celata nel mondo civilizzato in cui ora viveva, adesso, che era tornata alle sue origini nell’ambiente naturale, al vedere quella preda, quella carne viva, sentì il cuore accelerare i battiti e il respiro farsi affannoso. Il corpo le si irrigidì e le pupille le si dilatarono, mentre i suoi istinti primordiali le si risvegliavano pervadendole ogni parte del corpo. Anche se era una giovane donna, vestita pesante per difendersi dal freddo e con uno zaino sulle spalle come un qualsiasi escursionista, dentro di lei stava ruggendo di nuovo la bestia feroce che era innata nel suo essere. La voglia di mollare lì tutto, di trasformarsi in gatto, correre dietro a quel coniglio, catturarlo, affondargli i denti nella gola bagnandosi di sangue fino agli occhi la afferrò, annebbiandole la mente, togliendole la ragione e facendole riaffiorare la passione. Il coniglio, guardandola nelle pupille, intuì quello che le stava passando per la testa, e spaventato si voltò e fuggì via. Quell’improvviso movimento della preda le fece scatenare l’attacco, e fece uno scatto dal suo posto di una decina di metri, pronta a trasformarsi in gatto, senza nemmeno togliersi lo zaino dalle spalle. Ma dopo aver percorso quella poca distanza, la lampadina della ragione umana le si riaccese nella testa calmando l’istinto animale e diede una frenata nella neve.
‘Va bene, calmati’, si ordinò, mentre il cuore rallentava i battiti e la nebbia nella testa le si schiariva. ‘Non sei qui per divertirti, ma per allenarti.’
“Angel, cosa hai fatto?”, le chiese allarmato suo padre pochi metri più in su, che si era fermato non sentendola più camminare.
“Scusa, un coniglio…” tentò di spiegarsi lei, impacciata. “Sono un po’ in astinenza. È da un bel po’ che non uccido. Ma mi sono calmata.”
Masaya la guardò, poi girò lo sguardo verso i boschi al limite della strada. “Vuoi andare un po’ a caccia? Se ti serve per sentirti meglio, ti aspetto.”
“No, no, già abbiamo poco tempo, tiriamo dritto”, decise Angel con fermezza, che ormai aveva recuperato completamente la lucidità. Senza aggiungere altro, si rimise a percorrere la salita, senza più commentare l’accaduto.

Dopo aver camminato per un’altra ora e mezza, i due ragazzi, stanchi e con le gambe e la schiena doloranti, arrivarono finalmente alla casetta che aveva prenotato Ryou. Era addossata a una parete rocciosa, protetta dai venti che in quel punto della montagna erano più forti che a valle. Angel e Masaya, prima di avvicinarsi alla baita, si fermarono ad ammirare il panorama imbiancato, le foreste, le valli e le montagne sotto di loro.
“Che meraviglia…” mormorarono insieme. Entrambi traboccavano di amore per la natura, e si sentivano presi dallo stupore e dall’estasi mentre si trovavano immersi in quell’ambiente bucolico, l’aria pulita e frizzante, l’assenza di tutti quei rumori che caratterizzavano la vita cittadina.
Masaya si avvicinò alla casetta di legno e vide, sotto il tappetino all’entrata, le chiavi che vi aveva messo il padrone apposta per loro. Una volta entrati, si trovarono davanti solo due stanze: una grande, con un letto a due piazze messo in un angolo, un piccolo frigorifero e un cucinino addossati all’altro muro, poco più in là un tavolo di legno con due sedie, e l’altra stanza era il bagno, molto semplice anche questo.
“Dovremo stare un po’ stretti per qualche giorno”, scherzò il giovane. “Non è un granché, ma tocca accontentarsi”.
“E’ comunque più grande e comoda della tenda in cui vivevo fino all’anno scorso”, commentò lei. “Avevamo solo lo spazio per sdraiarci, dentro non potevamo nemmeno alzarci in piedi, e mio nonno ogni tanto si girava nel sonno calpestandomi. A parte il dormire, la mia vita era tutta all’aperto. Questa baita è un lusso per me.”
Dopo aver appoggiato gli zaini vicino al letto, Angel si buttò sul materasso a pancia in su per riprendere un po’ di fiato e socchiuse gli occhi, ma dopo poco, sentendo una sgradevole sensazione, li riaprì: suo padre era lì in piedi vicino a lei, e la guardava in modo duro. Nei suoi occhi non c’era nulla della tenerezza con cui la guardava di solito.
“Beh? Cosa fai lì sdraiata? Dobbiamo andare subito, che alla mezza dobbiamo tornare per il pranzo”, le disse duramente.
Allora Angel capì, mentre si tirava su a sedere: Masaya era entrato nella modalità e nell’ottica dell’allenamento che aveva usato con lei l’estate precedente, in cui lei si era sorpresa di quanto fosse capace di essere duro, severo e pretenzioso nel suo ruolo di maestro. Ed Angel sapeva bene che quando si rapportava a lui in veste di allieva non era il caso di contraddirlo o di perdere tempo, perché quando il giovane perdeva la pazienza e si arrabbiava davvero Angel si sentiva inerme e indifesa come davanti al più terribile dei nemici. Perciò, obbediente, si alzò subito e si mise vicino alla porta.
“Molto bene”, approvò lui. “Adesso ascolta: quando saremo fuori ci trasformeremo, e poi faremo una corsa fino alla parte più alta della montagna, dove potremo sprigionare i nostri poteri senza che qualcuno ci veda. Così ci riscaldiamo anche un po’.”
Angel deglutì a quelle parole: faremo una corsa? Quando suo padre l’aveva detto, era chiaro che intendeva dire ad una velocità accelerata, sfruttando i loro poteri e saltando fra le rocce per arrivare in cima in poco tempo. Il problema era che se lei avesse sfruttato i propri, quel tremendo dolore in pancia le sarebbe tornato. Ed anche una volta su, cosa avrebbe potuto inventarsi al momento dell’allenamento, visto che era sicura che il Jinseikou richiedeva un grosso sforzo fisico?
Ma fece finta di niente ed annuì cercando di mostrarsi convinta. Una volta fuori, i due si trasformarono, e il Cavaliere Blu la incitò.
“Via! Vediamo quanto sei veloce”, e partì di scatto lungo il fianco della montagna innevata, risparmiando energia correndo poco e saltando molto.
Mew Angel sapeva che, nelle sue condizioni fisiche migliori, avrebbe anche potuto batterlo in velocità. Ma non era questo il suo caso, ora… cercò anche lei di fare uno scatto di velocità risalendo il crepaccio, ma dopo cinquanta metri cominciarono a venirle dei forti crampi al ventre, anche se non erano le coltellate tremende che aveva sentito altre volte: era lo stesso dolore che una persona non allenata avrebbe potuto sentire alla milza dopo una corsa. Subito affaticata, la guerriera rallentò sentendosi il fiatone.
“Avanti! Che aspetti?”, sentì suo padre che le gridava da una roccia più in alto.
“Niente!”, rispose subito lei, e per dare un senso agli occhi dell’uomo alla sua lentezza, invece di saltare si mise a correre proprio nei punti dove la neve era più alta, in modo che la ostacolasse e la rallentasse.
Il Cavaliere Blu la fissò con attenzione mentre lo raggiungeva, e una volta che furono vicini salì un altro po’, fermandosi poi di nuovo ad aspettarla guardandola, e così via finché fuorono quasi in cima.
“Perché fai così, oggi?”, le chiese sospettoso. “Correndo in quel modo hai faticato di più per nulla. Guarda, hai già il fiatone.”
“Eh… già”, ammise lei ansimando, sentendo che il dolore alla pancia le stava andando via, ora che si era fermata. Non sapeva che scusa inventarsi. “Ma non ci ho messo molto più tempo di te, no?”
Il Cavaliere Blu la guardò un altro po’, poi si allontanò da lei. Si trovavano su un grande spiazzo innevato, circondato da rocce e senza vegetazione, visto che erano talmente in alto che nemmeno i pini crescevano più in quel luogo.
“Adesso ti farò vedere come funziona il Jinseikou. Probabilmente non me l’hai mai visto fare in modo pulito e chiaro, perché lo uso molto poco durante i combattimenti e in forma molto debole, quindi magari non ci hai mai nemmeno fatto caso.”
“No, in effetti no”, ammise lei, incuriosita.
“Allora adesso sta’ attenta e osserva. Vedi quella roccia laggiù?”, ed indicò un roccione alto due metri e spesso quattro. Corse verso di esso e diede un colpo con la sua spada, ma la lama tagliò la pietra solo in modo superficiale, senza riuscire ad andare troppo in profondità.
“Vedi? Usando un attacco normale non posso rompere questa roccia, non ci riesco. Ma usando il Jinseikou, posso tagliarla in due.”
“Tagliare quella in due?”, esclamò Mew Angel, sbarrando gli occhi. “Ma è impossibile. È troppo grossa.”
Il Cavaliere Blu si mise a ridere. “Col Jinseikou posso farlo, invece, e potrai farlo anche tu, quando avrai imparato. Se imparerai a usarlo bene e velocemente, in pochi secondi potrai fare un attacco completo, ma adesso ti farò vedere tutti i passaggi in modo graduale.”
Si mise a una ventina di metri dalla roccia, e posizionandosi coi piedi piantati a terra e gambe larghe, iniziò a richiamare la propria energia interiore.
Mew Angel si aspettava di vedere qualche mutamento nel suo fisico, come un maggiore affaticamento, un irrigidimento di muscoli, l’aumento del battito o anche lo scatenamento di forti emozioni, visto che quell’unica volta in cui lei l’aveva usato era stata presa da una rabbia cieca e furiosa. Invece vide suo padre rimanere assolutamente calmo, impassibile e imperturbabile, pur nella sua intensa concentrazione mentale, e dopo un minuto la ragazza vide il suo corpo illuminarsi di una lieve luce azzurra che si concentrò poi nel tronco.
“Funziona! Funziona!”, esclamò lei, emozionata.
“Sì. Adesso attenzione”, la richiamò lui, e tese il braccio che impugnava la spada.
Lei vide quella luce azzurra, intensa nel petto del giovane, trasferirsi nella spada passando attraverso il suo braccio, e il corpo di suo padre tornò normale, senza più la luce ad illuminarlo, che ora stava tutta nella sua arma.
A quel punto il guerriero afferrò l’elsa risplendente di luce blu con entrambe le mani e partì di corsa verso la roccia, dando un potente colpo trasversale. La ragazza percepì la potenza di quell’attacco, tanto che si protese in avanti guardando a bocca aperta come sarebbe andata a finire, e sbalordita vide la parte superiore della roccia staccarsi di netto da quella inferiore, cadendo poi di lato. La spada del Cavaliere Blu smise di brillare e tornò al suo stato normale, e il giovane si voltò verso sua figlia.
“Questo era il Tenshin Jinseikou usato nel modo corretto”, le spiegò con tono solenne.
“Ma è incredibile!” esclamò a bocca aperta lei. “Non ho mai visto una cosa simile… una roccia così spessa e larga… l’hai tagliata in due!”
“Sì, ma per arrivare a questo risultato ci vorrà del tempo. Un passo alla volta. Prima di tutto devi imparare a controllare questo potere. L’ho gia detto una volta, ma te lo ripeto: questo potere non è nostro. È di Profondo Blu, è di un dio alieno, noi possiamo solo prenderlo in prestito. Ed è un potere immenso che noi uomini non possiamo usare nella sua interezza. Se lo liberassimo alla sua massima potenza, il nostro corpo non lo sopporterebbe, e ucciderebbe sia noi che lo usiamo che tutto quanto per miglia e miglia intorno. Perciò la prima cosa che dovrai fare… metti via quell’arma”, ammonì la figlia, visto che Mew Angel, impaziente di iniziare, aveva già evocato la sua Angel Whistle. “Non ti serve, ancora. Oggi imparerai solo a mantenere il Jinseikou sotto controllo. Dovrai solo lasciar emergere la quantità di energia che ti serve per il tuo attacco, senza che ne venga fuori nemmeno poco di più, altrimenti ti sfuggirà completamente e sarà un disastro.”
“Immagino che serva un grande sforzo fisico per farlo”, indagò Mew Angel, anche se a veder prima suo padre non le era sembrato.
“No, al contrario. È solo questione di concentrazione, mentale e spirituale. Questo è un potere interiore e dovrai allenare il tuo spirito per controllarlo, i muscoli non c’entrano”, le spiegò lui.
“Davvero? Davvero?”, chiese sollevata Mew Angel. Se era davvero così, suo padre non si sarebbe accorto della sua disabilità.
“Sì, ma anche se fosse stato?”, volle sapere lui.
“Ah, no no, chiedevo così”, si affrettò a tranquillizzarlo la ragazza.
Il Cavaliere Blu la guardò dubbioso, ma non indagò oltre. “Bene, allora la prima cosa è trovare l’energia che ti serve per innescare l’attacco.”
“E come devo fare?”, chiese Mew Angel, curiosa.
Il ragazzo scosse la testa. “Questa non è una cosa che posso insegnarti io, purtroppo. Dovrai trovare la forza di Profondo Blu dentro di te da sola.”
“Cosa?”, chiese lei, incredula e delusa. “Ma come faccio, se non ho idea di come si fa? Non puoi spiegarmi proprio niente?”
“No, non è una cosa che si spiega. La devi sentire da sola. Ma quello che ti può aiutare a trovarlo, è avere un animo sereno.”
Mew Angel rifletté un momento su quelle parole. “Un animo sereno…” mormorò.
Il ragazzo si allontanò da lei di alcuni passi e si sedette sulla neve a gambe incrociate. “Mettiti bene in posizione, concentrata. Non ci vorrà poco, ma prima o poi la troverai.”
“Sì, meglio prima che poi…” commentò lei, e rimanendo in piedi, allargò appena le gambe, strinse i pugni e socchiuse gli occhi, alleggerendo il respiro. Si sentiva una stupida: non aveva nessuna idea di quello che stava facendo o di quello che doveva fare. Suo padre le aveva detto che doveva trovare la potenza del dio alieno dentro di sé… ma qual era il procedimento adatto? Sapeva solo che doveva essere calma, il che voleva dire tutto e niente.
“Non stare a consumarti il cervello”, sentì la voce di suo padre poco distante. “Non devi trovare quel potere tramite un ragionamento. Lo devi sentire. Perciò rilassati e non usare il pensiero, ma il tuo spirito, che deve essere calmo.”
Lei obbedì e lasciò andare la tensione dai muscoli, rilassando il corpo e cominciando a cercare dentro di sé. Non sapeva in realtà il procedimento per trovare quel potere, e suo padre non poteva spiegarglielo. Quindi doveva andare a tentoni sperando di beccarci. Il punto era che non essendo nemmeno un potere propriamente suo, non poteva nemmeno sperare di risvegliarlo con una buona introspezione: era un potere preso in prestito. Avrebbe potuto cercare anche per tutta la settimana senza trovare niente.
Dopo essere stata in quella posizione, concentrandosi, per un tempo incalcolabile, sentendo intirizzirsi il corpo e tremando dal freddo, si volse verso suo padre per chiedergli un aiuto, scoprendo che, seduto a gambe incrociate a terra, aveva abbassato la testa e si era appisolato. Allora volle approfittare del suo sonno per muoversi un po’ per la zona intorno per riscaldarsi gli arti intirizziti, ma appena mosse il piede nella neve fresca, il Cavaliere Blu aprì all’istante gli occhi, come se li avesse avuti semplicemente socchiusi.
“Beh?”, le chiese con tono duro, guardandola accigliato.
“Devo… farmi un giretto per scaldarmi”, si giustificò lei, a disagio.
“Non muoverti da lì finché non avrai raggiunto il tuo obiettivo”, le comandò lui, perentorio.
“Ma non riesco… ci ho provato, ma non ho idea di come devo fare”, protestò lei.
“Se non riuscirai a controllare questo potere, il minimo che potrai fare per senso di responsabilità sarà evitare di combattere contro Flan”, rispose lui.
Mew Angel spalancò gli occhi a quella frase. “…come?”
“Se il Jinseikou dovesse emergere all’improvviso mentre combatti contro di lui, se non sei in grado di gestirlo raderai al suolo l’intera Tokyo. Quindi, vedi un po’ te”, le spiegò lui, col tono di chi già sapeva quale sarebbe stata la reazione dell’interlocutore a quelle parole.
Ed infatti Mew Angel guardò in basso, combattuta e sentendo il disagio e l’urgenza crescerle dentro. Suo padre aveva ragione. Non poteva pensare di poter combattere un nemico così potente possedendo un potere così distruttivo senza saperlo controllare. Non poteva rischiare di sterminare la popolazione di Tokyo in caso le fosse sfuggito. Decise che da quel momento non si sarebbe mossa da lì finché non avesse trovato il barlume di quella mortale luce azzurra dentro di sé. Anche a costo di dover passare la notte in quel luogo gelido, senza dormire e mangiare.
“Adesso andiamo giù, che è ora di pranzo”, richiamò la sua attenzione il Cavaliere Blu.
“Ma… ma mi hai appena detto di stare ferma finché…”, ribatté Mew Angel.
“Non intendevo in senso letterale. Nel senso che quando è ora di allenarsi, devi rimanere concentrata finché non avrai trovato il Jinseikou dentro di te. Non di morire di fame finché non riuscirai”, le disse il padre alzandosi in piedi.
Mew Angel annuì, non sapendo se doversi sentire intristita o sollevata, e seguì docilmente l’uomo giù per il fianco della montagna. Una volta alla baita, la ragazza tirò fuori dagli zaini le buste di minestra sottovuoto che aveva pigiato in fondo, e mise a bollire l’acqua per cuocerle. Per tutto il tempo del pranzo, seduti al tavolo di legno, i due tennero gli occhi bassi sul piatto senza scambiarsi una parola. Ogni tanto Angel lanciava di sottecchi al suo maestro un’occhiata ma, anche se non si stavano allenando in quel momento, gli occhi sottili e adulti dell’uomo erano ancora seri e induriti, come se loro due non si fossero mossi dal picco della montagna. C’era qualcosa però che Angel aveva bisogno di chiedergli.
“Senti… posso sapere… come hai fatto a trovare il tuo?” chiese quando ebbe appoggiato il cucchiaio nel piatto vuoto.
“Il mio?” le chiese Masaya dubbioso.
“Il tuo Jinseikou. Se mi spieghi come hai fatto, forse posso imitarti.”
“Beh… come ti ho detto prima, mi è venuto in modo spontaneo. Ma è perché dentro di me avevo trovato una grande serenità, una pace e una tranquillità che prima non avevo mai avuto. Questo mi ha permesso di trovare dentro di me questo potere”, spiegò il ragazzo, appoggiandosi allo schienale e alzando la testa al soffitto.
“Ma cosa vuol dire esattamente avere un animo sereno? Non lo riesco a capire”, insisté lei.
“Te l’ho detto, è difficile da spiegare. Io ho trovato la mia serenità quando mi sono reso conto che il mio posto nella vita era accanto a Ichigo, sapere di poter combattere insieme a lei, che finalmente c’era qualcuno che davvero mi amava e che non ero più solo”, rispose il giovane, socchiudendo gli occhi.
“Forse ho capito…” mormorò Angel.
“Per questo è importante che anche tu trovi la serenità dentro di te. Forza, torniamo su. Visto che fa notte verso le quattro, dobbiamo sfruttare tutta la luce che c’è.”
Angel obbedì senza fiatare, e ancora una volta seguì il Cavaliere Blu per la china, fingendo di rimanere indietro perché la neve alta la impediva. Il guerriero questa volta, alla sua giustificazione le lanciò uno sguardo così penetrante e indagatore che la ragazza si sentì i brividi addosso, che non erano dovuti al freddo. Non sapeva per quanto tempo ancora poteva tenere in piedi quella sceneggiata. Forse suo padre aveva capito e stava lasciando correre, ma visto che non le faceva domande non poteva saperlo.
Di nuovo sulla vetta, Mew Angel si accinse a riprovare quello che aveva già tentato quella mattina. Immobile, col freddo e la neve leggera che cadeva che le tagliavano la pelle, si piazzò concentrata, cercando quella forza che avrebbe dovuto usare contro Flan dentro di sé. Il Cavaliere Blu intanto, seduto a gambe incrociate poco distante, la fissava senza dire nulla. La ragazza, man mano che passava il tempo, si stava sentendo sempre più delusa e scoraggiata. Le sembrava di stare semplicemente in piedi senza fare niente di utile, visto che, a parte concentrare la propria parte spirituale, non si stava muovendo in nessuna direzione per recuperare il Jinseikou. Non era quello che si era aspettata per tutto il tempo di attesa prima di partire: credeva che suo padre l’avrebbe allenata nel modo tradizionale che aveva usato la scorsa estate, con combattimenti, pratica e movimento, invece di lasciarla lì abbandonata a se stessa a trovare il suo potere da sola. Ed inoltre le parole che lui le aveva detto prima la turbavano: per trovare il Jinseijou, doveva essere serena… sarebbe stato bello poter affermare che lo era, ma anche se continuava a ripetersi che era tranquilla e calma, si sentiva il cuore battere forte nel petto e la testa pulsare. Rimase in piedi, immobile, tremante e col fiato che le si condensava vicino alla bocca per un’ora buona, poi girò la testa verso suo padre.
“Continua”, disse soltanto lui.
“Non ci riesco… non capisco come devo fare”, protestò lei.
“Allora rimani lì finché non ce la fai, te l’ho già detto”, rispose il giovane, senza lasciarsi impietosire. “Rimanendo ferma, trova dentro di te la tua pace e la tua serenità. Vedrai che una volta che il tuo spirito sarà calmo, il resto verrà.”
Mew Angel sospirò e riprovò. Ma, mentre il tempo passava e e la luce diminuiva, sentiva che, insieme al sole, anche la sua forza interiore stava calando sempre di più. Se era vero che per trovare il suo potere doveva essere calma, allora poteva avere dentro di sé tutti i Jinseikou del mondo, ma non sarebbe mai riuscita a trovarli. Continuava a ripetersi nella mente che era calma, che non aveva motivo di essere agitata, che tutte le sue questioni lasciate in sospeso erano risolte. Ma in un angolo del suo intimo sapeva che non era così. Nonostante a livello razionale fosse riuscita a trovare una risposta logica a tutti i problemi che la affliggevano, i suoi sentimenti non concordavano col suo pensiero. Provava dentro di sé una grande vergogna per la sua disabilità, per l’ansia che se la sua leader l’avesse scoperta l’avrebbe tolta dalla squadra, per il fatto di poter essere un peso per la sua squadra più che un punto di forza, per la paura di non riuscire a trovare il Jinseikou e quindi non poter essere d’aiuto durante la battaglia finale, per la consapevolezza che, comunque fosse andata, Flan l’avrebbe ammazzata senza che lei avesse potuto vendicare la sua famiglia. Ma, ancora peggiore, la ragazza sentiva dentro di sé l’angoscia al pensiero di doversi separare dai suoi amici, dai suoi compagni che in quell’anno insieme erano diventati la sua nuova famiglia dopo che la sua originaria era stata devastata. Ed infine, nonostante il suo cuore e il suo spirito fossero stati forti e indistruttibili fin da quando era piccola, ora si sentiva il cuore spezzato, sapendo che sarebbe morta senza sapere se i suoi genitori sapessero di esserlo o meno. Senza che avesse potuto chiamarli mamma e papà almeno una volta, senza poterli abbracciare non come una compagna di squadra ma come una figlia. Aveva percepito da loro tanti di quegli indizi che l’unica cosa che davvero mancava era un’ammissione esplicita. Eppure lei si sentiva morire dal desiderio di saperlo, e allo stesso tempo non voleva. Se fosse morta con quel legame filiale effettivamente ritrovato, sapeva che Masaya e Ichigo sarebbero morti anche loro, però di dolore, e anche per lei la morte sarebbe stata cento volte più straziante al pensiero di lasciarli. Preferiva illudersi, per il loro bene, che in tutti quei mesi non si fossero accorti di nulla e tutti quegli indizi che le avevano dato fossero solo un suo sogno, un’illusione della sua mente che li chiamava di continuo e allo stesso tempo li respingeva.
Sapeva che, con questo stato d’animo turbato, non avrebbe mai potuto ritrovare il suo potere, e questa consapevolezza la stava facendo sentire sempre più frustrata, amareggiata ed inutile: quell’attacco era l’ultimo scoglio che le rimaneva a cui aggrapparsi per illudersi di contare ancora qualcosa per la squadra, e non trovarlo equivaleva a non averlo. Era una prospettiva che la buttava a terra: senza Jinseikou, non aveva la minima possibilità di poter combinare qualcosa contro Flan. Però forse, se era vero che quel potere non lo poteva trovare ed usare, allora forse avrebbe potuto comunque tentare di combattere senza il pericolo di radere al suolo Tokyo involontariamente… ma no, non sarebbe servito a nulla. Avrebbe potuto partecipare al combattimento senza mettere in pericolo gli abitanti, ma comunque con la sua ferita nascosta dentro di lei non sarebbe neppure riuscita ad arrivare fino a Flan. Ed ecco fatto. Tutte le speranze che aveva stavano evaporando nell’aria insieme al respiro che emetteva e che saliva verso il cielo nuvoloso.
In quel momento, mentre si stava sentendo il cuore vacillare, una folata di vento gelido la colpì in faccia, e sentì le lacrime scenderle copiose sulle guance. Meglio. Aveva la scusa del vento per giustificare i suoi occhi arrossati e il pianto.
“Angel, cos’hai fatto?”, sentì la voce di suo padre, venata di preoccupazione, che la richiamava.
“Niente, è il vento…” tentò lei. “Ma penso… che possiamo tornare a casa.”
“Stai concentrata, su”, la richiamò lui.
“Non serve a niente”, tentò di spiegarsi la ragazza. “Lo vedi che sono ore che sono qui e non succede niente? Sto facendo tutto quello che posso, ma non riesco… a trovare quella forza che mi dici. Non so cos’altro devo fare. Sono bloccata nello stesso punto da quando ho iniziato.”
“Questo non vuol dire. Magari hai bisogno di più tempo, ma non vuol dire che non ci riuscirai”, insisté il Cavaliere Blu.
“Non posso riuscire…” scosse la testa lei. “Non riesco… a trovare quella serenità interiore di cui mi parlavi. E se non ce l’ho, non posso trovare nemmeno il Jinseikou… è inutile provarci, se manca la premessa.”
Mew Angel stava cercando di parlare con tono fermo e calmo, ma la sua voce vacillava. “E io… non voglio che tu perda tempo inutilmente con me. Sono onorata da tutto quello che stai facendo per me, e sono felice di essere qui in montagna insieme a te, ma questo allenamento non serve. È un potere che non posso usare, è per questo che non lo riesco a trovare.”

Il Cavaliere Blu, che riusciva ad intuire che qualcosa in sua figlia non andava, capì che quello che gli stava dicendo, che non era serena, era una richiesta d’aiuto per un disagio che non gli poteva o non gli voleva dire. Si rese conto che, in quelle condizioni e con l’animo disturbato e teso, Angel non sarebbe mai riuscita a trovare quella forza aliena. Si alzò in piedi, con lo sguardo ammorbidito.
“Va bene, per oggi basta così.”
“Torniamo a casa?”, chiese la ragazza, tra lo speranzoso e l’incerto.
“Alla baita. Ci riscaldiamo un po’.”
Mew Angel lasciò andare un sospiro, forse di sollievo: il ragazzo era convinto infatti che non volesse davvero tornare a Tokyo, si era lasciata prendere dai suoi sentimenti negativi ed aveva esagerato. Mentre scendevano per il fianco della montagna, più lentamente delle volte scorse in modo che lei potesse stargli accanto, il Cavaliere Blu si rese conto che forse, dando le sue valutazioni tempo prima, non ci aveva visto giusto su di lei. Fino a poco prima era stato convinto che ormai Angel non avesse più bisogno di lui, da quanto era cresciuta, maturata e cambiata, e che quell’allenamento in montagna fosse solo un di più per insegnarle una tecnica, senza bisogno di darle un supporto emotivo. Ma ora capiva che Angel nascondeva dentro dei pensieri e dei segreti terribili che la opprimevano, e che non poteva rivelare a nessuno, nemmeno a lui, ed era per questo che si era arresa così facilmente quel primo pomeriggio. I suoi sentimenti paterni però gli impedivano di accettare che non potesse far niente per aiutarla: quello che le occorreva era ritrovare un po’ di serenità, perché potesse alleggerirsi il cuore e lasciare andare quel peso che la schiacciava. Come suo padre, sentì che non gli importava più che durante quella settimana imparasse a usare il Jinseikou. Quello non era importante, potevano anche lasciarlo perdere. Lui voleva solo che sua figlia stesse bene, e lei aveva ancora bisogno di lui. Decise che sarebbero rimasti lì tutta la settimana, ma non le avrebbe più proposto di allenarsi. Erano in montagna: perché lei si ripulisse lo spirito, non c’era scenario migliore.
Quando arrivarono alla capanna c’erano ancora due ore di luce davanti a loro. E, nonostante poco prima avesse detto ad Angel che lo scopo del rientrare era scaldarsi, Masaya ora le disse:
“mettiti il giaccone, che andiamo a farci una passeggiata, ti va?”
“Una passeggiata? Dove?”, gli chiese lei dubbiosa.
“Qua attorno”, rispose lui, guardando fuori dalla finestra.

Lei non ebbe niente da ridire, e quando furono fuori, si portò un po’ avanti rispetto a lui, guardando il panorama della vallata sentendosi una gran pesantezza dentro. Non sapeva cosa doveva fare: aveva troppi sentimenti negativi che non poteva esprimere con nessuno e che la schiacciavano. Sapeva che aveva fatto male ad interrompere così il suo allenamento, ma non riusciva a continuare… mentre pensava queste cose, si sentì un colpo moderato dietro la testa, e qualcosa di freddo sul collo. Si voltò di scatto e vide suo padre, a una decina di metri da lei, che facendo finta di niente fissava il cielo con un’aria divertita. Lei capì immediatamente e, guardandolo con l’aria di chi ha inteso, si chinò a raccogliere un pugno di neve. Lo compose velocemente in una palla e gliela tirò mirando alla testa, ma Masaya, che nonostante il suo portamento non era distratto, si abbassò evitando il colpo.
“Vuoi combattere?”, gli chiese allora Angel, in un tono giocoso di sfida.
“Mica sono stato io”, si difese lui, con lo sguardo che diceva esattamente il contrario.
“E va bene!”, esclamò lei, e si chinò per raccogliere altra neve, ma prima che finisse di compattare per bene la sua palla, se ne sentì un’altra colpirla dritta sulla fronte. Perse l’equilibrio e cadde all’indietro sulla schiena, mentre udiva le risate sommesse del giovane poco lontano. Da quel momento, tutti i brutti pensieri e la pesantezza che le avevano appesantito lo spirito sparirono, ed Angel, con la mente completamente presa da quell’attività che era un po’ lotta e un po’ gioco, si abbandonò al semplice e puro divertimento. Non si aspettava che suo padre, così maturo, responsabile, serio e che l’aveva trattata duramente fino a poco prima, fosse in grado di divertirsi così, come un bambino, come faceva lei da piccola insieme a suo nonno. Utilizzarono come spazio di gioco l’ambiente intorno alla casa, lei utilizzò come barriera di difesa un tronco d’albero, lui l’angolo della baita, e ciascuno con la propria riserva di munizioni, stettero concentrati a spiare i movimenti dell’avversario. Appena uno dei due si sporgeva troppo per fare il suo lancio, si beccava una palla di neve addosso dall’avversario, e visto che entrambi mettevano molta forza nel lancio e miravano quasi sempre alla testa, dopo una decina di colpi presi così erano entrambi un po’ storditi. Angel si stava divertendo un mondo, e vedeva che anche suo padre era molto preso dal gioco, e si stava divertendo quanto lei. Decise a quel punto di terminare la partita alla sua maniera. Senza curarsi di ricevere altri colpi, con degli scatti iniziò a passare da un tronco d’abete all’altro, cercando di avvicinarsi alla casa, e quando fu abbastanza vicina, si rifugiò dietro l’angolo opposto a quello scelto dal ragazzo.
“Dove ti nascondi? Adesso ti trovo!”, lo sentì gridare dall’altra parte, e sentì anche i suoi passi rasenti al muro che si avvicinavano. Svelta, percorse in modo silenzioso, alla maniera dei gatti, il muro dalla parte opposta e, dopo aver girato tre angoli, lo vide davanti a sé che le dava le spalle. La stava cercando. Allora lei si piegò sulle ginocchia per un attimo e fece un salto verso di lui, come faceva quando andava a caccia e tendeva l’agguato alla preda. Lo afferrò per le spalle, facendolo finire ventre a terra e finendo sopra la sua schiena. Normalmente lei non utilizzava l’attacco alle spalle nelle battaglie, ma questa volta si era comportata come si fa con le prede, non con i nemici.
“T’ho preso!”, esclamò trionfante, ridendo e scostandosi i capelli arruffati che le erano caduti sulla faccia.
“Mi sa che ho perso”, commentò lui, girandosi e mettendosi a sedere. “Però ti ho colpito con quattordici palle.”
“Io con undici. Tu hai fatto più punti, ma io ti ho gettato a terra. Quindi chi ha vinto?” le venne il dubbio.
“La partita è finita? E chi l’ha detto?” chiese Masaya con aria sorpresa. Veloce come un lampo, afferrò Angel, che non se lo aspettava, per un braccio e la tirò verso di sé facendola finire schiena a terra, poi tendole ferme le braccia con una mano, con l’altra cominciò a toccarla nel collo e sui fianchi. Lei si mise a ridere sentendosi venire le lacrime agli occhi e senza riuscire a far nulla per potersi liberare.
“E allora? E allora?”, insisté il giovane, facendole il solletico in modo insistente, al che Angel, dopo poco, riuscì a buttare fuori “mi arrendo, mi arrendo!” tra una risata e l’altra. Suo padre allora smise e, appena Angel si fu tirata su ansimante, la abbracciò stretta, premendosela contro il petto. Angel, come sempre quando la abbracciava, ricambiò in modo goffo e impacciato, non sapendo come interpretare quelle manifestazioni d’affetto e, quando si staccarono, vide che erano tutti e due stanchi, sudati e col fiatone.
“Ci calmiamo?”, chiese Masaya, lasciando andare un sospiro.
“Sì, forse è meglio”, annuì lei.
Lui guardò il cielo. “Fra poco farà buio, abbiamo giocato davvero per molto tempo. E sudati come siamo, meglio che non stiamo fuori al freddo.”
Una volta in casa e con il buio precoce dell’inverno che avvolgeva i picchi, i fianchi dei monti e le vallate al di fuori, i due ragazzi, guardando nell’armadietto vicino al tavolino, trovarono alcuni giochi in scatola, probabilmente lasciati lì dal proprietario. Fino all’ora di cena, ammazzarono il tempo facendo qualche partita a scala quaranta, e visto che c’erano anche gli scacchi, provarono anche con quelli. Angel aveva imparato a giocare perché Minto gliel’aveva insegnato durante la sua degenza in ospedale, ma Masaya non aveva mai provato, quindi la ragazza gli spiegò per bene tutte le regole di gioco e il tipo di mosse che poteva fare ogni pedina. La successiva partita durò un’eternità, perché entrambi, padre e figlia, erano così intelligenti, portati al ragionamento e alla strategia, che tolsero di mezzo una per una tutte le pedine dell’avversario, riuscendo a rimanere solo con i due re. Alla fine dovettero concludere con un pareggio perché cercavano sempre di lasciare uno scacco di distanza tra le due pedine, visto che nessuno dei due voleva perdere facendo mangiare la propria dall’avversario. Alle sette, misero via tutto e Angel recuperò il pacco di riso con le verdure in busta che si erano portati.
Durante la cena, il giovane padre notò che sua figlia pareva più distesa e tranquilla rispetto al primo pomeriggio, e provò un grande sollievo. I prossimi giorni avrebbero fatto tante cose insieme loro due, in quel bellissimo ambiente montano in cui si trovavano, avrebbero legato ancora di più senza più pensare all’allenamento e a Flan, e alla fine della settimana l’avrebbe riportata a Ichigo felice, serena e senza più quel peso inspiegabile che la opprimeva. Questo ora era il suo obiettivo. Non gli importava più nulla di insegnarle il Jinseikou.

Dopo cena Masaya provò a telefonare a Ichigo per comunicarle il cambiamento di programma, ma il telefono non squillò. Provò a chiamare sua madre, ma ebbe lo stesso risultato.
“Qui non prende”, commentò. “Pazienza, staremo isolati dal mondo per una settimana.”
Andarono a dormire presto, verso le nove, perché erano tutti e due molto stanchi, avevano del sonno da recuperare e l’indomani si sarebbero alzati verso le sette. Dopo essersi messi la tuta per dormire, si distesero sotto le coperte nel letto a due piazze nella piccola camera da notte. Ma Masaya rimase sveglio e vigile, girato sul fianco verso Angel: non aveva intenzione di addormentarsi finché non si fosse accertato che sua figlia dormisse tranquilla. Ma dopo mezz’ora, nella penombra della camera, illuminata dalla luna che entrava dalla finestra, Angel era ancora sveglia, distesa a pancia sotto e con le braccia incrociate sotto il mento. Era sveglia e fissava la testata di legno del letto, stando in silenzio. Il giovane uomo le scorgeva lo sguardo e lo vedeva angosciato, nonostante fino a poco prima si fosse un poco disteso. Forse perché la notte faceva venire i brutti pensieri. Forse perché nel momento del sonno non poteva più distrarsi interagendo con lui. Decise allora che la ragazza non poteva lasciare che i suoi problemi la divorassero da dentro. Era solo con lei. Poteva confidarsi con lui.
“Angel…”, la chiamò in un mormorio, e la vide scuotersi. Evidentemente pensava che lui si fosse addormentato. “Ascolta… non vuoi dirmi che cosa c’è che non va?”
“Non… non c’è niente che non va, davvero”, la sentì replicare in uno sforzo. “Adesso mi addormento”, aggiunse con tono rassicurante.
“Prima ti ho vista. Mentre salivamo la china. Ho visto che non riuscivi a starmi dietro, e non era la neve che ti impediva. Angel, dimmi che cos’hai. Sai che a me puoi dire tutto, e una volta che mi avrai detto, potrò trovare il modo di aiutarti”, la invitò lui.
La ragazza si girò a guardarlo, con uno sguardo quasi impaurito e col corpo paralizzato, ma poi scosse la testa facendo finta di nulla. “Non c’è… non c’è niente…” provò a rispondere.
“Ne sei sicura? Mi dai la tua parola d’onore che non hai nessun problema, niente che ti preoccupa e che ti fa stare male?”, le chiese il giovane con un tono molto serio, tirandosi su a sedere.
Anche lei, visto che suo padre le stava parlando, per rispetto si tirò su sul materasso ed esitò. Si vedeva che voleva rispondere di sì, ma il fatto che lui le aveva chiesto di dargli la sua parola d’onore la bloccava. Era chiaro che non voleva mentire, ma non poteva nemmeno dire la verità. Masaya non insisté, e rimase immobile e in silenzio ad aspettare quello che lei gli avrebbe risposto.
Angel abbassò la testa, e lui si rammaricò che la luce fosse spenta, perché non riusciva a vedere l’espressione dei suoi occhi. Non poteva capire dal suo viso il suo stato d’animo. Poteva solo affidarsi a quello che gli avrebbe detto e al tono della sua voce.
“Io… io…” balbettò lei. “Ho… ho paura della lotta contro Flan”, ammise.
Masaya sospirò, visto che almeno qualcosa era riuscito a tirarle fuori. Ma non poteva essere la semplice paura di una lotta. Doveva esserci qualcos’altro sotto.
“E non vuoi dirmi perché hai paura?”
“Beh, perché… è Flan, sai”, cercò di spiegarsi lei, tenendo la testa bassa ed evitando di guardarlo.
A Masaya non convinse quella spiegazione raffazzonata, oltre al fatto che lei non avesse il coraggio di guardarlo. Nonostante fosse consapevole che Flan fosse un nemico pericoloso, Angel, nonostante in passato avesse avuto paura che lui potesse decidere di sterminare la popolazione di Tokyo, non aveva mai mostrato di temere un combattimento diretto con lui. Era sempre stata una ragazza coraggiosa e sprezzante del pericolo, e non era il tipo da avere paura di un combattimento contro un alieno, per quanto forte e temibile. No, non poteva essere la semplice lotta con lui che la faceva stare male. C’era altro, ma era qualcosa che non gli voleva dire. Tuttavia, se lei non voleva spiegargli nel dettaglio nonostante la sua piena disponibilità, lui non poteva certo forzarla a farlo. Poteva solo darle il suo pieno supporto, come aveva fatto fino a quel momento e come avrebbe continuato a fare finché fossero rimasti insieme.
“Ascolta, Angel”, le disse allora, prendendole una mano e stringendola forte con le sue. È normale quello che provi, prima di una battaglia di questo genere. Ma io ti prometto, anzi, ti giuro, che mentre combatteremo contro Flan, io ti starò vicino. Sia io che Ichigo. Noi due non lasceremo che Flan ti faccia del male.”
Nonostante non potesse vedere l’espressione della figlia, sentì la sua mano irrigidirsi fra le sue, come se quel giuramento la facesse stare a disagio.
“Masaya, tu… tu e Ichigo non dovete perdere tempo con me, quando saremo contro Flan. Dovete fare come faranno anche le altre. Tutti noi avremo un compito e un ruolo in quella battaglia, e avremo il nostro da fare senza pensare di dover stare appresso a un altro membro per difenderlo”, disse lei, cercando di tenere il tono sostenuto. “Quello che conta è uccidere Flan, non proteggere me. Io sono un membro della squadra come tutte le altre, non credo che passeresti tutto il tempo della battaglia vicino a Retasu per difenderla…”
Masaya, a quelle parole, fece un lungo respiro dal naso, socchiudendo gli occhi. In linea teorica era vero quello che Angel gli aveva detto. A livello formale, lei era una sua compagna di squadra come le altre, e durante la battaglia finale, lui e Ichigo non avrebbero certo potuto proteggere tutte quante. Se a livello affettivo Ichigo poteva essere un’eccezione, perché era la sua ragazza, Angel non era altro che una sua amica. Ufficialmente. Formalmente. Sentì che non ce la faceva più a tenere in piedi quella farsa, e che le parole che da mesi e mesi gli premevano sulla gola per venir fuori si stavano per liberare. Con uno scatto che non riuscì a controllare, la abbracciò stretta a sé.
“Angel… tu per me non sei come le nostre compagne. E nemmeno per Ichigo. Per me e per lei, tu sei la persona più importante che esista.” Lei aveva il viso contro la sua spalla, ed era rigida, come quasi sempre quando lui la abbracciava. Non ricambiò la sua stretta, e il giovane percepì un lieve tremore venire dal corpo della ragazza. Ma quello che le aveva appena detto non gli bastò per esprimere, dopo tutto quel tempo, quello che sentiva per lei. “Io e Ichigo ti amiamo più di chiunque altro”, aggiunse, stringendola più forte, e la baciò sui capelli. Era la prima volta che la baciava… una cosa che non avrebbe mai osato fare fino a poco prima, ma il fiume di sentimenti che gli cresceva dentro era troppo forte, e la razionalità che aveva fino a quel momento usato per arginarlo stava cedendo. Anche se Angel non gli rispose, lui, percependo quello che lei provava, avendola così premuta contro di lui, sentì che dentro di lei una domanda stava spingendo per essere pronunciata. “Perché?”, avrebbe voluto chiedere la ragazza.
Masaya la tenne stretta, socchiudendo gli occhi. ‘Chiedimelo, piccina mia… chiedimelo, ti prego…’ la pregò con la mente.
Sarebbe bastato che lei pronunciasse quella parola, e lui il perché glielo avrebbe detto. Non le avrebbe più nascosto nulla. Sentì il corpo di Angel perdere la sua rigidezza, e le sue braccia stringerlo forte di rimando. Nonostante questo, non gli chiese niente e non disse più una parola. La sentì piangere in silenzio sulla sua spalla, ma con sollievo percepì che quello non era un pianto di tristezza, ma liberatorio. Stava buttando fuori tutto il malessere che sentiva, come lui le aveva insegnato a fare, e Masaya era certo che dopo una buona dormita, l’indomani mattina sarebbe stata meglio. La lasciò piangere e sfogarsi ancora un po’, tenendola abbracciata e rimanendo stretto a lei, e quando sentì che si stava calmando, la mise sdraiata accanto a lui. Angel subito lo abbracciò di nuovo, mettendo la testa sotto il mento del ragazzo, e appoggiò la guancia contro il suo petto. Il giovane uomo con un braccio la tenne stretta a sé, e con l’altra mano strinse la sua. Al contrario di quanto era successo prima, in cui la ragazza, inquieta, non riusciva a dormire, stavolta si addormentò velocemente, e Masaya sentì presto il suo respiro tranquillo e regolare. Quanto desiderava che Angel gli avesse chiesto perché lui e Ichigo la amavano in quel modo… ma lei non gli aveva fatto domande, lui non era andato oltre, e quindi quella liberazione da parte di entrambi non c’era stata nemmeno questa volta. Ma il giovane sapeva che non servivano le parole in un momento così, e che quello che era successo aveva già detto tutto. No, non avrebbe mai amato nessun’altra persona al mondo come amava Angel. Un amore del genere si può provare solo per il proprio figlio. Era sicuro che Angel lo avesse capito. ‘Non ti lascerò mai sola, starò insieme a te quando combatteremo contro Flan’, ripeté il giuramento nella sua testa. Prima di addormentarsi anche lui, le diede un bacio sulla fronte.

Stretta tra le sue braccia, Angel non si era del tutto addormentata, ma si trovava ancora nel limbo tra il sonno e la veglia. Quando sentì le labbra del ragazzo premerle sulla testa si sentì talmente in subbuglio da doversi imporre di mantenersi immobile per evitare che lui si accorgesse di qualcosa. Mentre anche lei, nella semi incoscienza, sentiva che il pensiero le scivolava di dosso via via, percepì dentro di sé, svuotata di tutte le angosce che aveva provato fino a poco prima, riempirsi di qualcosa che assomigliava a un gran senso di pace. No, ora sapeva, non solo a livello razionale come era fin ora avvenuto, ma anche a livello interiore, di pancia, quello che Masaya e Ichigo le avevano cercato di far capire in molti modi. Sì, probabilmente sarebbe morta lo stesso, se anche non fosse successo li avrebbe comunque dovuti lasciare, c’era la sua ferita nascosta che la copriva di vergogna, non avrebbe mai avuto la conferma che i suoi genitori sapessero di esserlo. Ma a cosa le serviva in fondo una conferma a voce, se suo padre le aveva appena dimostrato di amarla fino a quel punto? Perché aver timore di morire, se suo padre la stringeva in un modo che nemmeno la morte sarebbe riuscita a portarsela via? No, non aveva davvero più motivo di essere angosciata. Si strinse ancora di più al ragazzo che dormiva, e riuscì a pensare, prima di addormentarsi anche lei:
“non ho più paura, qualunque cosa accadrà… perché tu sei con me…”

Il mattino dopo, Angel si svegliò per prima quando le prime luci dell’alba iniziarono a entrare dalla finestra. Era ancora stretta al corpo di suo padre, che la teneva abbracciata, e sollevando la testa vide con meraviglia e stupore il cielo pulito che si imbiancava, e le montagne colorate di azzurro. Respirò profondamente sentendosi leggera, anche se l’aria della stanza era ormai viziata. Si sentiva, dopo quella dormita, una gran serenità interiore che credeva di non aver più avuto negli ultimi mesi. Non era solo qualcosa a livello razionale, che era riuscita col tempo ad elaborare. Questo era qualcosa di più profondo che non richiedeva l’utilizzo del pensiero. Guardò suo padre che dormiva, e improvvisamente le sembrò di essere tornata bambina, ai tempi in cui lei e i nonni dormivano insieme, abbracciati nei loro sacchi a pelo. Lasciandosi prendere da un desiderio di ritorno all’infanzia, le venne voglia di giocare, come faceva quando riusciva a svegliarsi per prima e faceva i dispetti a suo nonno per indurlo a svegliarsi. Allora, con cautela, sgusciò dalle braccia di Masaya e avvicinò il viso al suo orecchio. Quando fu abbastanza vicina, soffiò forte e il ragazzo ebbe un sussulto. Mugugnò, si coprì gli occhi con un braccio, con l’altro cercò tastando la ragazza e, quando la ebbe trovata, le spinse la testa sul cuscino, facendola soffocare per qualche secondo. Appena liberata, Angel si avvicinò di nuovo a Masaya, scuotendolo leggermente, ridendo tra i denti e rivivendo nel presente le stesse sensazioni che provava anni prima insieme a suo nonno. Il ragazzo, ormai sveglio, le prese un braccio con la mano.
“Sta’ attenta quando dopo siamo fuori, che ti ficco la testa nella neve”, la minacciò scherzosamente, poi la afferrò e la strinse forte a sé, ed Angel lo abbracciò con tutto il calore che in quel momento sentiva.
“Comunque buongiorno”, la salutò ridendo il ragazzo, arruffandole i capelli con la mano. “Hai dormito bene?”
“Benissimo”, annuì Angel, convinta.
“Beh, sarà meglio che ci alziamo. Sai dove ti porto oggi? Ci facciamo una bella camminata e vediamo se riusciamo a fare il giro della montagna, ti va?” propose, tirandosi su e stiracchiandosi.
Angel allora scosse la testa. “No, torniamo su.”
Il ragazzo la guardò interrogativo. “Su?”
“Sì, sul picco. Ci voglio riprovare”, spiegò lei, convinta.
Masaya la guardò sbalordito. Era evidente e giustificabile la sua sorpresa, pensò Angel, perché il suo modo di comportarsi il giorno prima era stato talmente drastico che non doveva avergli lasciato nessun dubbio sulla decisione di non ritentare l’allenamento. Ma questa mattina era diverso. Non sentiva più quel macigno sul petto che aveva avuto fino al giorno prima.
Il ragazzo allora annuì, ricomponendosi. “Bene, ritentiamo.”

Un’ora dopo, sulla cima del monte innevato, Mew Angel, posizionata come il giorno prima e col Cavaliere Blu seduto a terra poco più in là, iniziò a cercare di nuovo quel collegamento al dio alieno dentro di sé. Cercava e questa volta non si sentiva la mente tormentata da tutti quei brutti pensieri, ma per avere un’ulteriore conferma volse la testa verso suo padre, che la guardava attento. Stavolta l’uomo non aveva lo sguardo duro e severo del giorno prima, ma incoraggiante. La ragazza fissò i suoi occhi in quelli del guerriero così simili ai suoi, e quando vide che lui la incitava ancora una volta con lo sguardo, pensò di nuovo: ‘qualunque cosa accadrà, non ho paura, perché tu sei con me.’ Dopo aver formulato questo pensiero, vide nello sguardo del Cavaliere Blu anche quello della sua leader. Dopo il suo, di tutte le sue compagne, del boss, di Keiichiro. Dopo poco, il viso del Cavaliere Blu ebbe un sobbalzo, e Mew Angel lo sentì dire emozionato: “Sì, ce la fai… brava, così!”
Stupita, distolse gli occhi da lui e, guardando il proprio corpo, lo vide luminescente di una tenue luce azzurra.
“Ce l’hai! Ce l’hai! L’hai trovato!” esclamò il Cavaliere Blu balzando in piedi, con la voce vibrante, ed Angel si sentì improvvisamente impaurita. Era vero, l’aveva trovato, ma adesso? Cosa doveva fare? E se gli fosse sfuggito dal controllo, aumentando e provocando un disastro?
“Adesso mantieni il controllo e non lasciarti prendere dalle emozioni”, sentì la voce, di nuovo autoritaria, di suo padre. “Rimani con lo spirito leggero e fai svanire quel potere.”
Mew Angel non aveva idea di come fare, ma seguì le istruzioni del guerriero. Rimase calma senza lasciarsi prendere ulteriormente dalla paura, e dopo alcuni minuti di tentativi, la luce azzurra si attenuò fino a svanire.
Il ragazzo si avvicinò a lei, che nonostante i pochi minuti di durata del potere era rimasta stravolta, e la abbracciò stretta.
“Hai visto, allora? Hai visto che ce l’hai fatta?”, le chiese ridendo e scarruffandole i capelli. “Chi è il mio orgoglio?”
“Forse… io?”, si azzardò a rispondere lei, premuta contro di lui.
“Proprio tu”, confermò lui. “Te l’ho già detto una volta, no?”, e lei, sentendosi gonfiare il cuore a quelle parole, lo strinse forte ridendo anche lei.
“Allora, com’è stato?”, le chiese il Cavaliere Blu, staccandosi poi da lei. “Sei riuscita a padroneggiarlo abbastanza bene.”
“Sì, dai, diciamo che non è stato difficile farlo svanire. Ho dovuto solo mantenere il controllo.”
“Esatto. Ed è questo che faremo oggi”, e Mew Angel annuì determinata.
Ormai sentiva di non avere più nessun ostacolo davanti a sé. Sarebbe tornata dalla sua leader a testa alta, annunciandole che il Tenshin Jinseikou non aveva più segreti per lei.

I due giovani rimasero sul picco della montagna per tutto il resto della mattina, e per tutto il pomeriggio. Ora che il Jinseikou di Angel era stato sbloccato, la vera parte dell’allenamento poteva cominciare. Il Cavaliere Blu dedicò quel secondo giorno di allenamento ad abituarla a padroneggiare il suo potere, ancora senza farle usare la sua arma. Mew Angel, in piedi e concentrata, doveva far crescere il Jinseikou dentro di sé, e ogni volta la luce blu che la illuminava da dentro si faceva più forte. Ma il guerriero la teneva sempre sott’occhio, e quando la luce aveva raggiunto l’intensità giusta per permettere un attacco, le comandava di fermare la crescita del potere e di mantenerlo stabile, perché durante l’attacco vero e proprio avrebbe dovuto tenerlo sotto controllo per tutta la durata del colpo. Spesso Mew Angel non riusciva a mantenerlo abbastanza potente per un lungo periodo, e lo lasciava svanire dopo pochi secondi. Ma continuò a provare e riprovare per tutto il pomeriggio, con il Cavaliere Blu pronto con la spada vicino a lei per neutralizzare il suo potere con un colpo, se per sbaglio lo avesse lasciato sprigionare in tutta la sua forza. Alla fine della giornata, la guerriera era già diventata in grado di evocare a piacimento il Jinseikou e di mantenerlo sotto controllo al livello di potenza corretto per poterlo sfruttare per un attacco.
“Molto bene”, commentò il ragazzo soddisfatto, quando fu ora di tornare alla baita. “Hai visto come riesci? Domani potrai iniziare ad esercitarti con l’arma.”
A Angel si illuminarono gli occhi a quelle parole, e si vide già alla fine della settimana, quando una volta tornata a Tokyo, avrebbe annunciato orgogliosamente alla leader e agli altri che avevano una risorsa in più contro Flan.

Quella sera, quando fu il momento di dormire, Angel era talmente emozionata al pensiero di essere riuscita a trovare il suo potere che non riusciva ad addormentarsi. E non faceva nemmeno nulla per nasconderlo, magari lasciando Masaya dormire mentre lei cercava di scaricare in silenzio il suo sovraccarico di energia. Ma continuava a parlare e a tenere sveglio suo padre, mentre gli chiedeva:
“secondo te a quale potenza potrei arrivare? Ma sarò davvero in grado di tagliare una roccia intera con la mia arma? E domani che tipo di allenamento faremo?”
A tutte queste domande, il ragazzo, con gli occhi chiusi, rispondeva solo, con pazienza, ogni volta: “dormi”. Solo dopo l’ennesimo tentativo di conversazione della ragazza, aggiunse divertito: “assomigli tanto a Ichigo. Anche lei fa come te quando dormiamo insieme.”
Al pensiero di Masaya e Ichigo che dormivano insieme nello stesso letto, e al fatto che lei si stava comportando in modo simile a sua madre in quella situazione, Angel provò un certo imbarazzo, e si mise sdraiata cercando di calmarsi. Ma, prima di addormentarsi, si avvicinò lei stessa al ragazzo e lo strinse forte in un abbraccio, strofinando la testa contro il suo petto e chiudendo gli occhi. Masaya, come la sera prima, le diede la buonanotte baciandola sulla fronte e tenendola stretta a lui, nel calore di quel legame familiare che erano riusciti a costruire insieme in tutti quei mesi e a cui mancava ormai solo un’ammissione a voce.

Nonostante fossero andati a dormire, era ancora molto presto. A quell’ora, nella grande città le persone avevano appena finito di cenare. Per questo motivo, mentre Angel e Masaya si addormentavano, a Tokyo Bu-ling, dopo aver messo a dormire i suoi fratelli subito dopo cena, ne approfittò per fare una corsa al Caffè. Lì, dopo aver chiesto il permesso a Ryou, si precipitò nei sotterranei per fare una delle sue sporadiche chiacchierate con un caro amico che ora si trovava su un pianeta lontano. Tart non sentiva Bu-ling spesso, ma le poche volte che capitava e in cui poteva collegarsi con uno dei loro sofisticati apparecchi, si divertiva sempre molto a stare a sentire tutte le sciocchezze che gli raccontava. In tutto quel tempo, Bu-ling non gli aveva mai parlato di Flan e del fatto che la Terra era di nuovo in pericolo, perché sapeva che Tart, la sua famiglia e i suoi amici sul loro pianeta avevano già il loro da fare senza dover prendersi il carico di aiutare una specie diversa a risolvere i propri problemi. Gli aveva però parlato dei loro combattimenti che ora facevano insieme ad Angel, che Tart già conosceva, anche se al suo amico li aveva presentati come delle lotte con poco impegno contro Chimeri generici che lui e i suoi compagni avevano lasciato prima di partire. In fondo era un racconto plausibile.

“E devi sapere, Tar-tar”, gli raccontò Bu-ling tra una cosa e l’altra quella sera “che Angel-neechan e Aoyama-niichan adesso sono sulle montagne ad allenarsi per usare una tecnica speciale!”
“Una tecnica speciale? E quale sarebbe?”, le chiese Tart, curioso.
“Te lo dico! Senti qua che nome difficile che ha!” Si schiarì la voce e pronunciò in tono solenne “Tenshin Jinseikou”.
A quel nome, Tart ebbe un sobbalzo. “Il Jinseikou? Proprio quello? Quello di Profondo Blu?” chiese con un leggero tremito.
Bu-ling era perplessa. “Che c’è, Tar-Tar? Se ti stai chiedendo come mai lo possono usare, per Aoyama-niichan dovresti saperlo, per Angel-neechan… non te lo posso dire, ecco.”
Il ragazzino, riavutosi dallo shock, iniziò a guardarsi attorno circospetto, come per assicurarsi che nessuno della sua famiglia avesse sentito la sua amica. “Ssh! Lo so che non dovrei impicciarmi nei fatti vostri, ma ascolta, è importante.” Le fece cenno di avvicinarsi. “Vieni vicino”, le sussurrò in tono confidenziale.
Bu-ling avvicinò il viso allo schermo, perplessa.
“Devi dire ai tuoi amici questo” disse Tart a bassa voce, coprendosi la bocca con la mano e lanciando in giro occhiate nervose. “Che non devono usare il Jinseikou.”
“Ma ci serve” protestò Bu-ling, non molto convinta.
“Non importa. Un Jinseikou usato ad alta potenza è percepibile a una grande distanza, anche dai nostri sensori sofisticati, anche se siamo lontanissimi”, spiegò Tart.
“E allora?”
“E allora… devi sapere che qua da noi le cose non stanno andando tanto bene. Se si dovesse scoprire che sapete usare il Jinseikou, qualcuno potrebbe venirvi a cercare”, aggiunse Tart con tono truce.
“Chi… chi ci verrebbe a cercare?”, sgranò gli occhi Bu-ling.
“Questo non ti deve interessare. Ma appena questa tua Angel-neechan e Aoyama-niichan tornano, devi dirgli questo: di non usare un Jinseikou ad alta potenza. Se l’hanno già fatto, gli è andata bene perché qua non se ne è accorto nessuno. Ma non devono usarlo più. Mai più”, le spiegò velocemente Tart, con la gravità nella voce.
Bu-ling annuì, desiderosa in verità di archiviare quella faccenda il prima possibile, perché aveva ancora troppe cose da raccontare al suo amico perché questo argomento del Jinseikou monopolizzasse la loro conversazione. Ed in effetti prese la questione sottogamba: il giorno successivo, ricordava solo di dover dire qualcosa ad Angel e Masaya appena fossero tornati, ma già non ricordava più cosa. Due giorni dopo, aveva rimosso completamente la questione, e non avrebbe comunicato nulla ai suoi amici una volta tornati a casa.

 

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Una piccola chicca nel finale del capitolo: non sono riuscita a trattenermi dall'inserire Tart ancora una volta. Ed ho anticipato qualcosa che scriverò solo se l'ispirazione e il tempo mi assisteranno. Perché dopo Flan potrebbe succedere anche altro, ma l'importante ora è finire questa storia.

A parte questo, come penso si è capito dal resto della storia, credo che, nonostante i numerosi legami che si vengono a formare nel corso degli eventi, quello tra Angel e Masaya sia uno dei più forti e importanti. Garantisco ai lettori che amano questo personaggio, che al contrario della battaglia finale della prima serie, in cui ha avuto un ruolo sì importante, ma solo alla fine, qui sarà sempre presente in modo attivo fin dall'inizio, come già tra l'altro ha anticipato nel suo dialogo con la figlia.

E con questo sono a meno quattro! Mancano alla fine precisamente: uno di quello che resta dell'allenamento, uno tranquillo, e due di battaglia finale. Alla prossima!

   
 
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