Serie TV > Il paradiso delle signore
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Autore: InvisibleWoman    21/08/2021    1 recensioni
Irocco | Con questa storia esco un po' dalla mia comfort zone del canon per dedicarmi alla fantasia (e non so quanto sarà una buona idea a lungo termine lol). Prende il via dagli eventi delle ultime settimane: tra Rocco e Irene non c'è più niente e lui è ufficialmente fidanzato con Maria. Ho ripreso un personaggio che avevo buttato lì tempo fa in una storia (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3976440&i=1) e che speravo arrivasse anche nella fiction per far svegliare Rocco. In realtà l'hanno fatto, ma con Maria, argh.
Da qui proseguirò la storia, che avrà più capitoli (spero per me non tanti), e proverò a dare la felicità al mio personaggio del cuore: Irene. Con o senza Rocco. Vedremo.
PS: troverete qualche errore o tempo verbale sbagliato in alcuni personaggi (Rocco e Maria e gli Amato), giuro che è voluto. Se dovesse capitare con gli altri fustigatemi pure!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’orologio segnava con drammaticità le cinque e quarantatré del mattino. Irene lo fissava imperterrita, nella speranza che questo le concedesse un’ora in più di sonno. Ma ogni volta che chiudeva gli occhi per cercare di riaddormentarsi, ripensava alla sera prima e a quel momento imbarazzante con Rocco. Non sapeva nemmeno lei perché non fosse stata in grado di ricambiarlo. A dirla tutta, Irene ricambiava eccome. Ma era la prima volta, dopo tanto tempo, che avrebbe dovuto dirlo ad alta voce a un’altra persona. La paura di essere ferita e di aprirsi tanto a qualcuno l’aveva frenata. Ma in fondo non era solo pura formalità? Erano due semplici parole che non contavano nulla. Non quando dimostrava ogni giorno ciò che provava per lui. O almeno era convinta di farlo. Che importanza aveva ripeterlo? Non lo sapeva già? Poi però le tornava in mente lo sguardo deluso di lui, le parole di chi credeva di far fatto qualcosa di sbagliato, e nella sua mente tornava quel senso di inadeguatezza che spesso l’aveva accompagnata durante tutta la sua vita. Perché Irene si mostrava sempre spavalda e sicura, ma dentro di sé erano tanti i dubbi che l’attanagliavano. Non era abbastanza affabile, abbastanza amichevole, abbastanza buona. “Se ti comporti così, non troverai mai un marito che ti sopporti” le aveva sempre ricordato suo padre come un disco rotto, riprendendola per la sua lingua lunga. E alla fine lei in qualche modo ci aveva anche creduto. Sarebbe mai stata amata per quella che era realmente? O avrebbero sempre avuto da ridire sul suo comportamento, cercando di cambiarla? Mi piaci, ma… 
Per quel motivo aveva ceduto troppo facilmente al corteggiamento di Claudio. Era stata la prima persona che si era interessata a lei per davvero. Gli aveva dato il permesso di ferirla, perché non aveva voluto vederlo per quello che era, ma per quello che lei desiderava che fosse: una via di fuga. Gli aveva dato il suo cuore e lo aveva calpestato. Aveva pianto tanto, certo, ma poi aveva deciso di andare avanti, perché quell’uomo non meritava le sue lacrime. Non ne era degno. Si era ripromessa di non lasciarsi mai più ingannare in quel modo, ma adesso che aveva perso la testa per Rocco, si era chiesta se non avesse permesso un’altra volta all’ennesima persona sbagliata di vedere dentro il suo cuore. Ogni tanto si faceva largo nella sua mente il ricordo delle parole che Rocco aveva pronunciato a Maria. Si domandava se una piccola parte di lui non le pensasse per davvero. Poi si diceva che si stava auto-sabotando come al suo solito, e allora le scacciava via. Ma forse erano proprio quelle a frenarla. Si fidava di Rocco, ma si fidava per davvero?
Dopo aver riaperto gli occhi per l’ennesima volta e aver constatato che la lancetta si era spostata di soli cinque minuti, Irene esasperata decise di alzarsi. Era ancora molto presto e non poteva vestirsi e prepararsi per andare al lavoro. Poi sarebbe rimasta seduta sul divano per un paio d’ore vestita di tutto punto? Osservò per un attimo la cucina in disordine e i piatti nel lavello dalla sera prima e allora optò per la pulizia. D’altronde sembrava rilassare Maria, magari poteva provarci pure lei. Aprì il rubinetto e afferrò il primo piatto incrostato di pomodoro. Lo tenne sotto l’acqua per qualche istante per ammorbidire i residui, e poi gli passò sopra la spugna. Gesti ripetitivi e meccanici che non la rilassarono affatto, ma la innervosirono ulteriormente. Aveva bisogno di qualcosa di più impegnativo, qualcosa che le occupasse la mente e la allontanasse dai pensieri autodistruttivi che ogni tanto facevano capolino. Iniziò allora a pulire il resto della cucina, a sfogliare le riviste di Stefania, aprì il frigo persino invogliata dall’idea di cucinare qualcosa. Ma chi voleva prendere in giro? Lei non era Maria, e non lo sarebbe mai stata. 
Come se l’avesse chiamata, in quel momento la siciliana entrò in cucina avvolta nella sua vestaglia leggera e la fissò con uno sguardo confuso in volto. 
“Irè, ma non sono manco le sei di mattina, che stai facendo?” domandò a bassa voce, mentre Irene si girò di soprassalto, colta alla sprovvista.
“Maria!” esclamò spaventata.
“Piano!” la redarguì lei, avvicinandosi di qualche passo. “Che ci fai sveglia? Mi pari Cenerentola” continuò imperterrita. “Sei tutta spettinata” ridacchiò poi, non avendo mai visto la coinquilina in quelle condizioni.
A Irene non sembrò il caso di parlarle dei suoi problemi con Rocco. Beh, dei problemi che lei stessa si era creata, in realtà. Non era certa che Maria volesse realmente ascoltarli, giustamente.
“Pensieri” si strinse nelle spalle, mollando il manico della scopa e soffiandosi aria sul viso per spostare una ciocca di capelli dagli occhi. 
“Anche tu?” Maria la guardò stranamente comprensiva. Dopo la chiacchierata della mattina prima, tra di loro si era instaurata una strana complicità che non avevano mai vissuto prima, a prescindere dalla rivalità per Rocco. Forse perché, per la prima volta, si erano parlate a cuore aperto, mettendosi a nudo, senza più bugie.
“Eh” rispose Irene accennando un sorriso.
“Vabbè, dato che mi hai svegliata ora mi preparo il pranzo, va” disse Maria, avvicinandosi al frigo. “Oggi dobbiamo fare la spesa” la informò richiudendolo dopo aver preso delle uova. 
“E andiamo!” ribatté Irene con entusiasmo, dimenticandosi dell’orario. Spesso sapeva essere un controsenso vivente. Quando non era costretta a muovere un dito in casa era più che felice. Avrebbe passato ore seduta sul divano a leggere riviste e passarsi lo smalto sulle unghie. In altri momenti, invece, non sopportava l’idea di starsene ferma a osservare da sola e silenziosa lo scorrere del tempo. 
“Ma che sei matta, Irè? Non sono manco le sei” Maria continuò a muoversi da un lato all’altro della cucina per prendere tutti gli ingredienti di cui aveva bisogno per preparare della pasta fresca. Da preparare alle sei di mattina. Irene la osservò con uno sguardo che racchiudeva un insieme di sentimenti diversi. Era perplessa, divertita e ammirata allo stesso tempo. Tutte emozioni che non combaciavano tra loro. Tuttavia, si andò a lavare le mani e si sedette al tavolo piena di buoni propositi, mentre Maria buttava giù la farina.
“Ti aiuto, allora” propose, causando un moto di ilarità in Maria. “Ehi, guarda che sono seria” aggiunse allora. 
Maria la guardò esattamente come l’aveva osservata quando era entrata in cucina: come se avesse davanti un fantasma o un essere non identificato che stentava a riconoscere. Non capiva cosa le stesse prendendo, ma avvertì che Irene ne aveva bisogno, così la assecondò senza fare storie né domande. Non ci teneva a sapere. Non era ancora pronta a sentir parlare dell’oggetto dei mille pensieri di Irene. Un conto era aver perdonato lei, un altro era diventare sua confidente. Aveva bisogno di tempo per superare quella storia. Ma tutto sommato era grata di aver trovato Irene sveglia fuori dalla sua porta. Anche lei non riusciva più a prendere sonno, e trascorrere l’albeggiare insieme a qualcun altro, faceva scorrere più veloce il tempo che separava lei e le altre dall’inizio del lavoro. 
Stefania era entrata un’ora dopo per fare colazione e aveva trovato le due ancora intente a preparare le busiate fatte in casa. Anche lei lo stesso sguardo perplesso, ma nel suo caso anche un po’ preoccupato, che aveva avuto Maria nel vedere Irene pulire la casa all’alba. Le aveva chiesto se qualcosa non andava, ma Irene aveva preferito tergiversare ed era corsa in bagno per prepararsi: sarebbe uscita presto con Maria per andare a fare la spesa.
“Sei seria?” le aveva domandato Stefania mentre si truccava. 
“Perché?” Irene aveva risposto con fare innocente, come se effettivamente fosse normale che andasse a fare la spesa alle sette di mattina con quella che fino a poco tempo fa era stata la sua nemica numero uno. 
“Ma come perché?! Irene, c’è qualcosa che non va?” le aveva domandato in serio allarme, alzandosi per metterle una mano sulla fronte e controllarle la temperatura. Non era da lei, almeno questo doveva riconoscerlo. Ormai sapeva com’era fatta Irene, ma quel comportamento era talmente inusuale che avrebbe destato preoccupazione persino in chi la conosceva soltanto in modo superficiale. 
“Vi lamentate sempre che non faccio niente e quando lo faccio pensate che sia pazza o malata. Decidetevi” aveva protestato lei. Non che Irene non si fidasse di Stefania, perché aveva imparato a prestare attenzione al suo giudizio e ai suoi preziosi consigli. Ma aveva bisogno di processare le cose da sola, prima di poterle esporre agli altri. E poi in parte si vergognava di aver creato da sola un problema che non esisteva. Se lo avesse raccontato a Stefania cosa le avrebbe detto lei? L’avrebbe guardata stranita, chiedendosi quale fosse il motivo di tanta reticenza. Aveva indugiato a lungo prima di avvicinarsi a Rocco, aveva messo da parte quei sentimenti per diverse settimane e ora che finalmente potevano stare insieme e vivere la loro storia alla luce del sole, stava scappando un’altra volta? Non voleva nemmeno che dubitassero di ciò che provava per lui. Perché Irene era certa: era innamorata di Rocco, e lo era già da tempo. Non voleva che Stefania, e soprattutto Maria, potessero metterlo in dubbio. Sapeva già come avrebbe reagito quest’ultima: l’avrebbe preso come un affronto, come un modo di metterle i bastoni tra le ruote senza motivo. Ma per Irene non era un gioco e non lo era mai stato. La verità era che la sua mente era talmente complicata e aggrovigliata, da non riuscire talvolta a districarla nemmeno lei. 
Aveva quindi scrollato le spalle ed era uscita di casa con Maria. C’era voluto parecchio trucco per coprire i profondi cerchi scuri che le incorniciavano gli occhi. Non le piaceva non dormire le solite 7-8 ore a notte: non solo diventava irritabile, ma la sua pelle si inaspriva come una prugna secca e Irene non voleva di certo invecchiare prima del tempo. Ma alla fine si era rassegnata all’immagine che lo specchio rifletteva, ed era uscita di casa per fare davvero compere con Maria, che l’aveva ripresa almeno la metà delle volte perché non sapeva cosa prendere e quali fossero le offerte migliori. 
“Ti faresti derubare di tutto lo stipendio” le aveva detto mentre uscivano dal mercato con diverse buste tra le mani. Irene si era stretta nelle spalle, ignorando l’accusa di Maria. Era un’ottima venditrice, la migliore del Paradiso. Ma effettivamente non era avvezza a quel tipo di scambi. Non era abituata a dover trattare sul prezzo com’era perfettamente in grado di fare Maria. Ma era certa che se si fosse impegnata, sarebbe riuscita a ottenere persino offerte migliori.
Tuttavia, proprio mentre si incamminavano verso casa, Irene adocchiò una figura che avrebbe riconosciuto in mezzo a migliaia. Rocco era in compagnia del signor Armando e di un altro uomo che lei non aveva mai visto. Cosa ci faceva fuori a quell’ora? Irene immaginava che sarebbe rimasto a casa, dato che con quella caviglia e quella spalla fuori uso, non avrebbe potuto caricare e scaricare casse in magazzino. Lo guardò perplessa per qualche istante, arrestandosi di colpo.
“Irè ma che fai? Andiamo” si voltò Maria.
Irene le fece cenno di guardare verso la direzione di Rocco, chiedendole se l’uomo in loro compagnia fosse un qualche parente o amico di famiglia a lei sconosciuto. Nessuna delle due, però, aveva l’aria di sapere chi fosse. Era un bell’uomo dall’aria distinta, vestito con degli abiti che denotavano la palese differenza di rango rispetto ai due magazzinieri. Irene cercò di avvicinarsi con circospezione, senza farsi notare, ma riuscì a captare solo pochi frammenti del discorso, prima che Rocco la vedesse. 
“Irè!” esclamò sorpreso, guardando prima lei e poi il signor Ferraris con l’aria colpevole di chi non sapeva come giustificarsi, il che mando Irene su tutte le furie. Se la guardava in quel modo, voleva dire che le stava davvero nascondendo qualcosa. La faccia di Rocco parlava chiaro: era come un libro aperto per lei. 
Irene allora uscì allo scoperto. Si avvicinò ai due, seguita da Maria che non sapeva cosa fare. Non le interessava particolarmente rimanere lì a osservare le scaramucce tra quei due, ma non sapeva come liberarsi da quell’impiccio.
“Chi era? Di che contratto parlava?” Irene gli puntò il dito contro. Aveva capito poco, ma una cosa le era chiarissima: quell’uomo voleva far firmare a Rocco un contratto, ma per quale lavoro o prestazione la bionda non era proprio riuscita a sentirlo.
“Io… volevo dirtelo, Irè, è che…” aggiunse lui, mettendosi in una posizione complicata. Avrebbe potuto fingere che quella fosse la prima volta che veniva approcciato e tutto sarebbe andato per il verso giusto, invece Rocco era un’anima pura che non era capace di improvvisare e dire delle bugie. Era onesto, nel bene e nel male. E quella volta la sua onestà lo avrebbe cacciato in un bel guaio.
“Ah! Quindi, qualunque cosa sia, ammetti che me la stavi nascondendo? E perché si può sapere?” gli chiese, stavolta in preda alla rabbia. Quella piccola vocina che fino a quel momento aveva deciso di zittire, allontanandola dalla propria mente, tornò alla riscossa. Forse aveva fatto bene a non fidarsi di lui. Se le mentiva adesso che avevano appena iniziato a frequentarsi, cosa avrebbe fatto tra un anno o due? Sapeva di essere irragionevole, che a parlare era quella parte di lei che aveva paura e innalzava dei muri possenti per proteggersi, tuttavia non poté fare a meno di sentirsi ferita e quasi sollevata di non aver ricambiato la sua confessione il giorno prima.
“E’ che non voglio accettare, quindi che senso aveva dirtelo?” si giustificò Rocco, continuando a tenere su quella faccia da cane bastonato che gli riusciva tanto bene e che in quel momento mandava Irene fuori di testa. 
“Giusto, che senso aveva dirmelo? Mica stiamo insieme, no?” lo canzonò furente, guardandolo con l’aria di chi avrebbe tanto voluto prenderlo a sberle. Se c’era una cosa che proprio non sopportava era di essere l’ultima a sapere le cose. Essere tenuta all’oscuro, mentre gli altri confabulavano e agivano alle sue spalle, la faceva sentire esclusa. La faceva sentire messa da parte. Anche per quel motivo aveva reagito in modo spropositato a quello che aveva reputato un tradimento in piena regola da parte di Lorenzo. Non aveva importanza che Rocco volesse accettare o meno quella proposta: che senso aveva essere una coppia se ognuno doveva comunque prendere le decisioni in solitaria?
“E’ che…”
“‘E’ che’ un corno, Rocco! Di che contratto parlava?” lo esortò con poca diplomazia.
Alle loro spalle Maria e Armando si  guardarono a disagio, indecisi se fosse meglio lasciar battibeccare i due da soli o se rimanere per eventualmente provare a farli ragionare.
Alla fine Armando decise di intervenire, visto che Rocco sembrava aver perso la lingua. “Quel signore ha offerto a Rocco un lavoro come ciclista professionista nella sua squadra. Ma questo zuccone ha deciso di rifiutare” le spiegò. Rocco gli aveva chiesto di rimanerne fuori, ma lui non poteva accettare l’idea che sprecasse un’opportunità tanto importante per la signorina Cipriani, senza nemmeno parlarne alla diretta interessata. Capiva che quella proposta fosse arrivata in un momento delicato del loro rapporto ancora nuovo e poco rodato, ma non poteva rinunciarci con così tanta facilità. Lei doveva sapere, affinché lui prendesse quella decisione in totale autonomia e con assoluta chiarezza. 
Rocco però si voltò per guardarlo come in genere fissava i suoi zii: stanco delle loro continue intromissioni. Tuttavia, in cuor suo sapeva che il signor Armando aveva ragione. Non era giusto che prendesse quella decisione per Irene, senza nemmeno interpellarla. Eppure lui era sicuro. Gli sarebbe piaciuto lavorare come ciclista, era il suo sogno. Ma non poteva farlo se avesse rischiato di perdere Irene, non dopo aver fatto tanto per averla accanto a sé. Lei era più importante. In fondo a lui bastava poter lavorare in modo onesto e stare con lei e le persone a cui voleva bene. Non era fatto per certe cose. Non gli piaceva la popolarità che gli avevano provvisoriamente donato i fotoromanzi. Era un ragazzo semplice e forse la vita del ciclista non faceva per lui. Sarebbe rimasto a Milano a lavorare come magazziniere, avrebbe preso la licenza media come volevano Irene e il signor Armando, e sarebbe stato felice. Gli sarebbe bastato. Fino a quando, però?
La verità era che aveva avuto paura. Paura che Irene lo spingesse ad accettare, paura di perderla perché una parte di sé voleva realmente partire. E allora tenerlo nascosto e prendere quella decisione al posto suo, dicendosi che lo faceva per lei, rendeva tutto più facile. 
“E perché ha rifiutato?” Irene chiese direttamente al signor Ferraris, senza nemmeno guardare più il suo fidanzato. 
“Perché è a Roma” intervenne finalmente Rocco, ritrovando la capacità di parlare. 
“Ah” rispose lei, fissando il vuoto, colta di sorpresa. Non sapeva cosa dire. Era difficile che qualcuno riuscisse a zittire Irene Cipriani: in genere trovava sempre il modo di ribattere. Ma non quella volta.
“Mi dispiace” provò ad avvicinarsi, sfiorandole un braccio. Lei si tirò indietro.
“E fai bene!” esclamò allora, sollevando una delle buste piene di frutta e verdura per tirargliela contro.
“Au, avà Irè, ferma” Rocco sorpreso cercò di proteggersi dal suo attacco.
“Irene, i pomodori! Piano che così facciamo direttamente la salsa” Maria si avvicinò per tirarle indietro il braccio. “Avanti, ora dammi le buste che le porto io a casa e voi due ve ne state qua a parlare” disse, strappandole dalle mani di Irene. Erano pesanti, ma magari il signor Ferraris si sarebbe offerto di accompagnarla e aiutarla. Lo sperava, dato che non voleva rimanere lì un secondo di più. Aveva già fatto più di quello che doveva e di dare consigli a quei due non ne aveva proprio voglia. Se la sarebbero sbrigata da soli.
“No, no, vengo a casa anch’io” Irene si voltò per seguirla. 
“Avà, Irè, aspetta. Fammi spiegare” provò Rocco, ma Irene non sembrava voler sentire ragioni, lasciandolo lì da solo con il signor Armando.
“Io te l’avevo detto” gli disse lui offrendogli il braccio per aiutarlo a tornare a casa.
“Sì però pure lei poteva non dirci niente” protestò Rocco con tono lamentoso.
“Doveva saperlo che stavi facendo una stupidaggine in nome suo.”
“Ma che stupidaggine e stupidaggine, signor Armà. Che è una stupidaggine questo lo dice lei. Irene è troppo importante” si giustificò Rocco, che invece non aveva alcuna intenzione di tornare a casa. Sarebbe andato al lavoro normalmente, anche con una gamba dolorante. Lì almeno avrebbe potuto trovare l’occasione di parlare a Irene e spiegarsi. Non poteva aspettare che tornasse a casa quella sera, mancavano ancora troppe ore. E poi a casa non aveva niente da fare e lui con le mani in mano non ci sapeva proprio stare.

 

“Io lo sapevo, lo sapevo!” Irene piegava maglioncini in preda all’isteria. Stefania la guardava ancora con aria preoccupata, rivolgendole di tanto in tanto delle occhiate comprensive. 
“Sì, ma stai calma. In fondo l’ha fatto per te. E’ un gesto romantico” provò a dire sognante, causando l’ira della sua amica.
“E lo giustifichi pure?!” esclamò furiosa, adesso anche con lei. “Io lo sapevo che non mi dovevo fidare, il mio istinto mi diceva che c’era qualcosa che non andava. Ecco perché ieri sera non sono riuscita a dirglielo…” si lasciò scappare, allontanandosi per appendere un vestito su una gruccia. 
“Dirgli cosa?” domandò Stefania perplessa, ma estremamente curiosa. Se avesse potuto comprare delle noccioline, in quel momento l’avrebbero trovata seduta su una poltrona a sgranocchiarle mentre si gustava l’ennesimo capitolo del dramma Cipriani-Amato. Dato che la sua vita era estremamente noiosa e priva di eventi degni di nota, e quella amorosa era addirittura peggio, Stefania trovava interesse solo in quella delle sue amiche e nelle riviste di pettegolezzi. Peccato che poi si sentisse in colpa, dato che si parlava di persone reali che lei conosceva fin troppo bene. 
“Niente” Irene cercò di liquidare l’argomento, ma ormai che era stato menzionato, sapeva che Stefania non si sarebbe arresa tanto facilmente. “Mi ha detto che mi ama e io sono scappata via” le rivelò infine, lasciandosi cadere su una delle poltroncine. Se la signorina Moreau le avesse trovate lì sedute a parlottare come se fosse la pausa pranzo, le avrebbe certamente riprese. Ma in quel momento Irene non ci badò.
“Cosa?” chiese la mora, accovacciandosi accanto alla sua amica. “E perché?” aggiunse con aria confusa. 
Già, perché? “Non lo so, Stefania. Perché sono una stupida” ammise, scuotendo la testa sconsolata. Si sentiva davvero una stupida, perché nonostante fosse furiosa per quella menzogna, perché Rocco aveva dato poca fiducia a lei e al loro rapporto, c’era una piccola, minuscola parte, che si sentiva onorata dal suo gesto. Se avesse dovuto scegliere tra lei e la sua passione, lui avrebbe scelto lei. 
“Sì, sei una stupida. Finalmente lo hai capito. Dai, vai da lui, ti copro io” propose Stefania. Ma Irene scosse categoricamente la testa.
“No, neanche morta. Deve venire lui da me.” 
“E come? Zoppicando?” domandò lei.
“Anche strisciando, se serve” si strinse nelle spalle con aria altezzosa, alzandosi per tornare alla propria postazione. L’orgoglio era proprio una brutta bestia. 
“Come sei magnanima” ribatté Stefania con una smorfia. 

Irene rimase il resto della mattinata in silenzio, in preda ai mille pensieri che le danzavano nella mente. Era una situazione complicata, doveva ammetterlo. Capiva la rinuncia di Rocco, e lei stessa aveva delle remore rispetto a quel possibile trasferimento. Egoisticamente era felice che lui avesse rinunciato, ma allo stesso tempo si sentiva ferita. E confusa, tanto confusa. Avrebbe dovuto spingerlo ad accettare? Aveva paura. Era vero che lo amava, ma era vero anche che stavano insieme da pochissimo tempo. Il loro rapporto avrebbe resistito a una tale distanza? Quando si sarebbero visti? Due volte all’anno come faceva coi suoi parenti in Sicilia? Irene però sapeva che se fosse rimasto, un giorno glielo avrebbe recriminato. Specialmente se il loro rapporto non avesse funzionato. Avrebbe sempre ripensato a quell’occasione persa per una persona che non valeva quel sacrificio. E allora l’avrebbe odiata, avvelenando anche tutti i bei ricordi che potevano aver condiviso. Se invece fossero rimasti insieme, magari quella decisione, allo stesso modo, avrebbe rovinato il loro rapporto, condendolo di odio e senso di colpa. Lo aveva visto succedere troppe volte. Persino sua madre, sebbene non colpevolizzasse il padre e fosse tutto sommato felice della sua famiglia, avrebbe desiderato una vita diversa, se avesse potuto scegliere. Per questo premeva tanto affinché Irene scegliesse con assoluta consapevolezza il proprio percorso, ricordandole di non fare caso alle pressioni esterne. Se era la persona ambiziosa e spavalda che tutti conoscevano, lo doveva anche a lei. Per quel motivo Irene non poteva essere colei che gli tarpava le ali. Allo stesso tempo, però, non sapeva nemmeno se potesse essere la docile e paziente fidanzata che lo aspettava da lontano. Quella era Maria, non lei.
“Stefania” la chiamò in spogliatoio in pausa pranzo. 
“Sì?” la sua amica prese il soprabito dall’armadietto e poi si sedette accanto a lei. Notò il suo volto scuro e si preoccupò. 
“Che devo fare?” le chiese allora Irene. Non era da lei chiedere aiuto, ma quelle ultime settimane le avevano fatto capire che aveva accanto delle persone che le volevano bene, e che ogni tanto poteva concedersi anche lei il lusso di cercare conforto nel confronto con gli altri.
“Lo sai che non posso dirtelo io” le spiegò Stefania, circondandole le spalle con un braccio in segno di comprensione e affetto. “Ma quindi tu lo ami Rocco?” le domandò seria.
“Che domande, Stefania, certo” rispose di getto, senza nemmeno doverci pensare. Cosa che scaldò il cuore della mora. 
“Non ti ho mai sentito ammettere i tuoi sentimenti con così tanta facilità” le ricordò con un sorriso. Irene era sempre stata quella che disdegnava il contatto fisico che Stefania, al contrario, tanto cercava. Dire ‘ti voglio bene’ a lei e alle altre veneri, era costato a Irene un enorme sacrificio. Adesso, invece, aveva ammesso di amare Rocco così su due piedi, come se fosse - e lo era -, la cosa più normale e naturale del mondo. Doveva pur contare qualcosa. 
“Quello che avete merita di essere preservato, Irene. E sono sicura che sai da sola cosa devi fare” si strinse nelle spalle, alzandosi per andare in caffetteria. “Vieni?”
“Tra un attimo” rispose Irene, che doveva ancora finire di cambiarsi.
Proprio mentre Stefania apriva la porta, Irene vide entrare un Rocco zoppicante e cercò di trattenere un piccolo sorriso di tenerezza. Si voltò e tornò a concentrarsi sulla camicetta che aveva ormai quasi chiuso del tutto. Lui osservò la stanza vuota, i trucchi sparsi sulle postazioni, la gruccia di Irene appesa sull’armadietto e la divisa riversa sul divanetto, ancora da sistemare. Guardò poi lei in silenzio che finiva di chiudere l’ultimo bottone della camicetta e si sedette sul divanetto in silenzio accanto a lei, osservandola per qualche istante, cercando di capire quale fosse il suo stato d’animo. Non aveva mai voluto mentirle o ferirla. La verità era che aveva pensato a lungo a quella proposta, prendendo del tempo con il preparatore atletico. Era quasi sicuro di volerla rifiutare, eppure allo stesso tempo desiderava davvero andare, e questa cosa lo faceva sentire sbagliato. Non poteva mettere quel lavoro davanti a lei, specialmente dopo quello che avevano dovuto passare per stare insieme. Non voleva che pensasse che non l’amasse abbastanza, o addirittura che le parole della sera prima potessero essere in realtà una menzogna. Lei era più importante di quel lavoro. Lei era più importante di tutto il resto. Aveva persino messo da parte la propria famiglia per lei, pur sapendo quanto contasse per lui, non vi avrebbe rinunciato di certo adesso. E se accettare quella proposta significava perdere lei, allora non ne valeva la pena. Ma aveva anche avuto paura che lei lo spingesse ad accettare, perché partire destabilizzava anche lui. Così aveva scelto per entrambi.
“Mi dispiace” ribadì ancora una volta, senza però correre il rischio di toccarla come aveva fatto quella mattina. Certo, adesso non aveva più nulla per le mani, ma era sicuro che se l’avesse voluto Irene avrebbe tranquillamente trovato il modo di colpirlo in qualche maniera. Magari con il tacco di una scarpa. 
“Lo so” rispose lei, girandosi a guardarlo. “Ma questa cosa mi ha fatto pensare a noi due” gli rivelò. Lo sguardo di lui si coprì di terrore. Di solito quel tono e quelle parole non preannunciavano niente di positivo. 
“Mi vuoi lasciare, Irè?” le domandò d’istinto, mentre un nodo gli si formava in gola. Perché lo aveva detto? Doveva stare zitto, magari le aveva appena dato l’idea, pensò Rocco.
“E’ quello che vuoi?” chiese lei, lasciandolo sbigottito per qualche istante. Come poteva pensare che volesse essere lasciato? Era proprio per evitare di perderla che non gliel’aveva detto. E adesso che lo sapeva non poteva più rimangiarselo o tornare indietro.
“Ma che dici, Irè” esclamò confuso, cercando immediatamente il contatto fisico con lei. “Vedi che non ho mai detto a nessuna quello che ho detto a te ieri, ah. E lo pensavo veramente” le ricordò stringendo le sue dita esili e bianche nella sua grande mano. Cercava di non darlo a vedere, ma era in preda al panico. Avrebbe fatto qualsiasi cosa gli avesse chiesto pur di non perderla. Avrebbe rinunciato alla sua famiglia, al Paradiso, persino alla bicicletta, se fosse servito a convincerla della sua onestà.
“Non voglio essere un ostacolo alla tua felicità” lo informò, ruotando il busto per poterlo guardare meglio negli occhi senza dover voltare la testa.
“Ma è con te che sono felice io, amunì” ribatté Rocco con sicurezza, liquidando la questione.
“Lo dici adesso, ma tra vent’anni? Non mi rinfaccerai che se non sei diventato un grande ciclista è solo per colpa mia?” gli domandò con amarezza. “Avresti potuto essere come Fausto Coppi, se la tua fidanzata egoista non te lo avesse impedito” immaginò un’ipotetica frase che Rocco avrebbe potuto pronunciare un giorno. 
Nonostante le parole dure, per una frazione di secondo Rocco sorrise. Poteva sembrare strano, ma lui era contento di sapere che lei stesse pensando tanto in là nel futuro. E che in quel preciso futuro li immaginasse ancora insieme. 
“No, picchì l’amore e la famiglia sono più impottanti” le ribadì lui. Lei lo sapeva bene che valore Rocco desse alla famiglia. Per lui era davvero la cosa più importante di tutte. E lei a poco a poco iniziava a farne parte. Non erano sposati, e non lo sarebbero stati per un bel po’ di tempo perché, nonostante l’amasse, Rocco non si sentiva ancora pronto a compiere quel passo, come invece aveva fatto con Maria. E non perché l’aveva voluto veramente, ma perché era convinto che fosse la cosa giusta da fare. Con Irene, tuttavia, non sentiva tali pressioni. Eppure considerava lei una parte fondamentale della sua vita. Era come l’ossigeno di cui aveva bisogno per respirare. O, meglio ancora, il cibo al quale non avrebbe mai potuto rinunciare. 
“Tu sei più importante. E io con la bici ci posso andare anche qua a Milano, amunì. A Roma invece non c’è la mia Irè” le disse con un sorriso, facendole una carezza. 
“E’ questo che mi ha fatto pensare, però” lo fermò lei, scostandogli la mano dal viso. “Che tu non credi abbastanza in noi due. In me” sottolineò con amarezza. Si sarebbe comportato allo stesso modo se lei fosse stata Maria? O avrebbe dato per scontato che lei l’avrebbe seguito? Irene era troppo indipendente, troppo egoista, troppo poco accomodante per permettergli di avere la vita che realmente desiderava. Era questo che pensava? Di doversi sacrificare per lei? “Non mi hai neanche chiesto se volessi venire a Roma con te.”
“Picchì, lo faresti?” la guardò sorpreso, illuminandosi di colpo davanti alla possibilità di poter avere la botte piena e la moglie ubriaca. Rocco aveva sentito di dover rinunciare per forza a qualcosa, e tra le due aveva scelto la carriera, anziché lei. Poteva essere un gesto romantico, come lo dipingeva ingenuamente Stefania. A Irene, invece, quella decisione dava sensazioni molto diverse.
“Vedi? Tu vuoi accettare, se non lo fai è solo perché credi che io non ti supporterei” scosse la testa. Quello che provava non era realmente rabbia. Però quella situazione l’aveva portata a pensare a quello che Rocco pensava di lei e del loro rapporto. Credeva che non sarebbe sopravvissuto alla distanza? Che lei non fosse in grado? Aveva paura che avendolo lontano avrebbe cambiato idea? Non si fidava abbastanza di lei e di loro due, tanto da pensare che l’unica scelta fosse quella di mettere da parte i propri sogni e i propri desideri in favore suo. 
“E no, non verrei a Roma” aggiunse poco dopo, cercando di spegnere il suo entusiasmo prima che prendesse il sopravvento.
“Eh, vedi, io lo sapevo picchì ti conosco, ormai” si giustificò lui. Se fosse rimasto con Maria, Rocco non avrebbe mai messo in dubbio che lei lo avrebbe seguito. Le avrebbe detto subito di quella proposta, sapendo che lei non avrebbe battuto ciglio davanti a quel trasferimento. Perché Maria era diversa. Maria aveva certamente delle passioni e degli obiettivi, ma li riteneva secondari. Per lei al primo posto c’era il marito, l’essere una brava moglie e donna di casa. E un tempo era tutto ciò che Rocco avrebbe desiderato da una donna. Ma adesso apprezzava il piglio deciso di Irene, le sue ambizioni, la sua voglia di indipendenza. Gli piaceva e la amava anche per questo, e sebbene all’inizio avesse tribolato parecchio, adesso non l’avrebbe cambiata con nessun’altra al mondo, anche se questo avesse voluto dire rinunciare lui stesso a un suo sogno per lei. 
“Ma non importa, in una relazione le cose si decidono insieme” gli fece notare con rammarico. “Che senso ha stare insieme se ognuno decide per sé?” chiese amareggiata, mentre Rocco tornò a sbiancare davanti alla possibilità che quell’errore potesse portarla a ritrarsi. 
“Io lo so che ho sbagliato, Irè, mi dispiace. Però...” tornò ad avvicinarsi a lei per convincerla a non farsi da parte. L’amava troppo per rischiare di perderla per uno stupido lavoro che nemmeno sapeva di volere. 
“E poi possiamo sempre stare insieme a distanza. In questo modo entrambi possiamo fare ciò che vogliamo, no?” propose, nonostante ne fosse letteralmente terrorizzata. I coniugi Conti ci avevano provato. Erano rimasti lontani per mesi, prima di vedere il loro matrimonio soccombere. E se non ci erano riusciti loro che si amavano da tempo, come potevano farcela Rocco e Irene? Era tuttavia l’unica soluzione che a lei sembrava possibile. Dovevano correre il rischio, perché trovava insopportabile l’idea di costringerlo a rimanere, o lei di lasciare Milano.
“In che senso?” si accigliò lui. 
“Nel senso che tu puoi seguire il tuo sogno, e io tenermi il mio lavoro e le mie amiche” si strinse nelle spalle, facendo passare quella proposta come la più semplice e scontata possibile.
“Ma io non ci voglio stare senza di tia” mise il broncio. “E poi ci siamo appena fidanzati, Irè. Che ci vado a fare io là a Roma da solo. Manco il tempo di metterci insieme, che me ne vado via? Non ha senso, avà” scosse la testa deciso.
“Lo so” ammise lei distogliendo lo sguardo da lui. “Ma non vedo alternative.”
“L’alternativa è che io resto qua con te e basta, amunì” si alzò, tirandola affinché anche lei si rimettesse in piedi e lo seguisse in caffetteria. In realtà gli faceva anche comodo l’appoggio, dato che preferiva non sforzare troppo la caviglia dolorante. 
Irene non aggiunse niente, lasciò che Rocco le circondasse le spalle con un braccio e lo seguì fuori dal Paradiso fino ad arrivare da suo cugino Salvo. 
“Ah, pace fatta? Meno male” esclamò Stefania quando li vide arrivare abbracciati. I due si sedettero insieme alle altre ragazze e pranzarono come se il fantasma di quel contratto non aleggiasse affatto tra di loro. 
 

Per Irene la questione era tutt’altro che risolta. L’alternativa che sembrava aver convinto Rocco, a lei non convinceva per nulla. Aveva visto i suoi occhi quando si era aperta la possibilità di una sua partenza per Roma. Rocco voleva andare, d’altronde era una fantastica opportunità e non ci voleva molto a intuire quanto lui ci tenesse. Un suo rifiuto sarebbe risultato strano a tutti. Se pensava che la famiglia di Rocco avrebbe poi attribuito a lei ogni colpa, la situazione peggiorava. Non voleva essere lei quella che lo costringeva a rinunciare ai propri sogni. Non se lo sarebbe mai perdonata. Ma non poteva nemmeno rinnegare se stessa e mollare tutto per partire con lui. La sua vita era lì a Milano. Cosa avrebbe fatto a Roma? E poi sarebbero andati a vivere in due appartamenti separati o si sarebbero dovuti sposare? Lei non era Maria, non sposava un uomo dopo un paio di settimane di frequentazione. E sebbene lo amasse e lo conoscesse ormai da tre anni, il loro rapporto era ancora nuovo. Non avrebbe lasciato tutto per lui. Non era giusto chiederglielo o pretenderlo, come d’altronde Rocco, che la conosceva bene, non aveva mai fatto. Ma d’altro canto non le sembrava giusto nemmeno che fosse lui a rinunciare a causa sua. L’unica alternativa, benché spiacevole per entrambi, era che lui partisse da solo, senza di lei.
Quel pomeriggio si era informata sulla distanza che separava Milano da Roma. Geograficamente la conosceva, ma non sapeva con assoluta certezza quanto tempo e soldi ci volessero per raggiungerla. Aveva scoperto che non era affatto semplice, tuttavia non era impossibile. Non era come il viaggio della speranza che si intraprendeva per raggiungere Partanna. Roma era fattibile, nonostante tutto. Non si sarebbero visti con la stessa frequenza di adesso, ma forse sarebbero riusciti a farla funzionare. Dovevano. Avrebbe messo da parte dei soldi mese dopo mese per usare il telefono in caffetteria, perché quello degli Amato non era di certo una possiblità per lei, e si sarebbero quantomeno sentiti ogni giorno o quasi. 
Irene tremava all’idea di saperlo così lontano. Da quando l’aveva conosciuto, non aveva trascorso nemmeno un giorno senza vederlo. Tra arrivi e partenze, veneri che se ne andavano, matrimoni e viaggi di lavoro, erano tante le persone che avevano fatto parte della vita di Irene soltanto per poco tempo. Lui, insieme a Dora e Paola, rappresentava la sua unica costante. Sapeva che in caso di bisogno, se avesse necessitato di un consiglio o di un incoraggiamento, l’avrebbe trovato in magazzino. Ma non sarebbe più stato così e questa cosa la destabilizzava non poco. Ma era un sacrificio che avrebbe dovuto compiere, come lui era disposto a fare per lei. Irene non era in genere capace di mettere gli altri davanti a se stessa, solo con Rocco aveva capito quanto fosse semplice e naturale farlo quando si amava davvero qualcuno. Saperlo felice e soddisfatto era importante anche per lei. 
A questo pensava mentre si incamminava verso l’appartamento del signor Ferraris. Rocco era tornato a casa con lui, che l’aveva riaccompagnato in bicicletta. Era ora di cena e probabilmente li avrebbe già trovati seduti a tavola, ma non voleva aspettare, temeva che il coraggio sarebbe venuto meno e l’angoscia per quella separazione avrebbe fatto vincere quella vena egoistica che avrebbe voluto tenerlo lì a Milano per sempre. 
Bussò alla porta e rimase in attesa, torturandosi le dita con le unghie. Fu proprio il capo-magazziniere ad aprire, invitandola a entrare.
“No, signor Ferraris, non voglio disturbare, vorrei solo parlare con Rocco” gli disse e allora lui tornò dentro per chiamarlo e invitarlo a raggiungerla. 
“Gioia mia” la chiamò così per la prima volta, il che la fece sorridere. Lui e i suoi modi tanto teneri che le sarebbero mancati da morire. Si chinò per prenderle il viso tra le mani e darle un bacio sulle labbra. “Picchì non vuoi entrare? Al signor Armando ci fa piacere se resti a cena” aggiunse Rocco, tenendole una mano dietro la nuca.
“No, vieni fuori, dobbiamo parlare” lo prese per mano per tirarlo fuori dallo stipite della porta, richiudendola alle sue spalle senza dargli nemmeno il tempo di protestare. Lì accanto c’erano un paio di casse e lo portò lì per farlo sedere, in modo che potessero parlare senza restare in piedi troppo a lungo.
Rocco trasalì, sbiancando all’improvviso. Ancora una volta quel tipo di frase che lo metteva in agitazione. Era preoccupato, perché il tono e lo sguardo di lei non sembravano promettenti nemmeno quella sera, esattamente come in pausa pranzo.
“Che c’è? Però se dici così mi fai paura, ah” le chiese allora, invitandola a sedersi sulle sue gambe per averla più vicina. Lei protestò scuotendo la testa. Doveva mantenere un minimo di distanza se voleva riuscire a dire quello che si era prefissata.
“Ho deciso che devi andare a Roma” disse subito di getto. 
“Ah, tu hai deciso?” la guardò lui stranito. Se non accettava più che gli altri mettessero bocca sulla sua vita, a quell’atteggiamento autoritario di Irene ci era invece abituato e in genere la lasciava fare. 
“Sì, ci andrai e basta, senza fare storie” lo rimbeccò con quel suo fare da tiranna che a Rocco tanto divertiva. Non in quel momento.
“Ti ho già detto che non sono un burattino, Irè. Non faccio più quello che mi dicono gli altri” le ricordò con fare serio. “Compresa tu.”
“Beh, o così o ci lasciamo” si strinse nelle spalle, mettendolo davanti a un ultimatum. Lasciarlo era l’ultima cosa che voleva, ma se non avesse messo il pugno duro, lui non si sarebbe mai convinto ad andare e lei non se lo sarebbe mai perdonata. Avrebbero stretto i denti, per tutto il tempo necessario. E se poi la distanza avesse fatto capire a entrambi che non erano fatti per stare insieme, in fondo era meglio saperlo prima che dopo un eventuale matrimonio. Dovevano prenderla come un’opportunità, non un ostacolo. 
“Stai babbiannu?” lui si fece scuro in volto. Se fino a poco prima aveva sopportato le sue pretese con ironia, adesso non riusciva più a prenderle con leggerezza.
“No, sono serissima. Non ti permetterò di rinunciare a questa opportunità. Ho già cercato la durata e i costi dei treni. Ci vedremo per due fine settimana al mese. A ogni stipendio metterò da parte dei soldi per usare il telefono in caffetteria da tuo cugino e così potremo sentirci una volta al giorno, o forse ogni due, se siamo troppo impegnati. Magari riesco pure a convincere la signorina Moreau a lasciarmi rimanere in spogliatoio oltre l’orario di chiusura, così userò il telefono del Paradiso e sarà ancora più semplice” disse tutta d’un fiato, senza permettergli di intervenire, come se non avesse alcuna voce in capitolo. Lei aveva già organizzato tutto, lui non poteva avere nulla da obiettare. Il suo piano era già stato perfezionato, non poteva essere meglio di così.
“Hai finito?” le domandò, cercando di soffocare un sorriso che lo riempiva di gioia e di orgoglio. Quella era l’Irene che solo poche persone avevano l’onore di conoscere e amare. Quella fiera e caparbia, ma che avrebbe fatto qualsiasi cosa per le persone a cui voleva bene. Era stato uno stupido a metterla in discussione. 
“Perché? Hai qualcosa da aggiungere?” e per lo sguardo che gli lanciò, nessuno avrebbe avuto mai il coraggio di contraddirla e contrariarla. 
“Almeno te lo posso dire ca ti amu o mi spari?” disse lui, tirandola per un braccio per farla sedere forzatamente sulle sue gambe e baciarla. Se fino a quel momento aveva deciso tutto lei, adesso non aveva più intenzione di ascoltare le sue proteste. La voleva tra le braccia e non le avrebbe permesso di allontanarsi.
Irene lo lasciò fare, passandogli un braccio dietro le spalle. Lui le afferrò il viso e cercò con ostinazione le sue labbra. Se solo qualche mese prima qualcuno avesse detto che Irene Cipriani si sarebbe innamorata di un magazziniere e avrebbe scoperto cosa volesse dire il termine ‘altruismo’, nessuno ci avrebbe creduto. Eppure era esattamente quello che era successo. Irene non voleva più scappare. Rocco ormai l’aveva vista esattamente per quella che era e, nonostante i suoi difetti, era rimasto. L’aveva accettata in tutte le sue sfaccettature. E lo stesso aveva fatto lei, amandolo per la persona ingenua e di buon cuore che era, non per ciò che avrebbe voluto che fosse. 
“Ti amo anch’io” rispose d’istinto. Se ci avesse pensato troppo, non avrebbe trovato il coraggio di uscire finalmente allo scoperto. Ma si era lasciata trasportare dal momento e adesso che quelle tre paroline erano state pronunciate si sentiva molto più leggera. Perché aveva atteso tanto a dirglielo? Lo amava, lo sapeva già. Non era in grado di ricondurre al momento esatto in cui quei sentimenti si erano messi in moto. Sapeva bene quando se n’era resa conto: durante il loro dialogo in camerino diverso tempo prima, quando ancora si ostinava a rifiutarlo per via di Maria. Ma era certa che quel sentimento si fosse insinuato dentro di lei giorno dopo giorno nel corso di quei tre lunghi anni. Ogni suo gesto, ogni sua parola formavano un tassello in più da inserire in quel puzzle complicato che era il suo cuore. Lui l’aveva cambiata e non con il potere del suo amore, come avrebbero scritto in qualche romanzo rosa sdolcinato, ma con quello della verità. Rocco, con la sua semplicità e purezza, era l’unica persona che fosse in grado di leggerle dentro e vederla esattamente per quella che era. L’unico che la mettesse di fronte ai propri errori, portandola a ragionare, non a giustificarli per paura di una sua reazione. Irene si era spesso sentita nuda, davanti a lui. Incapace di nascondersi. Priva di un riparo. E sebbene questo lo avesse cercato per tutta la sua vita, adesso non sentiva più il bisogno di farlo.  
Quella che avrebbero affrontato era una situazione nuova, territorio inesplorato. Sapeva bene che sarebbe stato difficile. Forse non sarebbe sembrato da lei affrontare un impegno di quel tipo e molti avrebbero storto il naso davanti a quella novità. Effettivamente neanche Irene sapeva se avrebbe funzionato, sapeva solo che ne valeva la pena e non voleva rinunciarci tanto facilmente, senza nemmeno lottare.
“Appiddaveru?” chiese Rocco raggiante. Non le sembrava di averlo mai visto così felice. Tranne forse davanti a un piatto di pasta e patate, pensò Irene divertita. 
“Appiddaveru” ribatté lei con una pronuncia siciliana raffazzonata che riempì d’orgoglio il cuore di Rocco. Le passò una mano dietro la nuca e la avvicinò a sé, baciandola con ancora il sorriso sulle labbra. Era felice, perché anche se lei non era Maria e non sarebbe venuta a Roma con lui, gli aveva appena dato una delle più grandi prove d’amore e questo era infinitamente più importante. Rocco non dubitava affatto che la loro relazione avrebbe resistito a qualunque ostacolo. La distanza era solo l’ultimo che era capitato lungo il loro cammino. Gli sarebbe mancata terribilmente, ma avrebbe vissuto contando i giorni che lo separavano dal momento in cui l’avrebbe riavuta tra le braccia proprio come stava facendo in quel momento.
“Non ti azzardare mai più a nascondermi qualcosa” gli intimò Irene dopo essersi allontanata dalle sue labbra. Lo sguardo talmente minaccioso che Rocco non avrebbe corso il rischio nemmeno se si fosse presentata davanti l’occasione.
“No, mai, tu giuru” rispose lui portandosi due dita alla bocca. 
“Ma quindi com’è successo? Com’è arrivata questa proposta?” domandò Irene carezzandogli i capelli.
“In pratica chistu era all’ultima gara che ho fatto domenica scorsa. O forse era venuto pure prima, questo non l’ho capito però” iniziò a raccontarle con entusiasmo, notando i suoi occhi illuminarsi nuovamente mentre parlava della bicicletta e del suo futuro come ciclista a Roma. Vederlo così felice le dava la conferma di aver preso la decisione giusta. E nonostante sarebbe stato difficile per entrambi, non c’era altra soluzione diversa da quella, Irene lo sapeva.
“I tuoi zii lo sanno?” gli chiese alla fine del suo racconto. 
“Ma va, ce l’ho detto solo al signor Armando, per forza di cose” le spiegò con un gesto della mano.
“Beh, dovrebbero saperlo, no?” Non che Irene tenesse particolarmente ad avere a che fare con la famiglia Amato, ma non intendeva allontanarlo da loro. Erano una pessima influenza e non lo avevano trattato con il rispetto che meritava, ma d’altronde anche suo padre non lo aveva fatto con lei e Rocco l’aveva comunque spinta a riappacificarsi con lui. Era contenta di averlo fatto, anche grazie a Rocco stava lavorando al rapporto con suo padre, e adesso che non abitavano più insieme, per assurdo le cose andavano meglio. Dopotutto era pur sempre suo padre e gli voleva bene, come Rocco ne voleva ai suoi zii. Lo avrebbe tenuto sott’occhio, impedendo loro di continuare a manovrarlo come preferivano, ma non voleva portarglielo via. Magari loro lo meritavano, ma lui no. 
Rocco si strinse nelle spalle. Era evidente che anche se non lo diceva e si ostinava a mantenere il punto per lei, la sua famiglia in fondo gli mancava anche parecchio. Ma se avesse mollato adesso, non gli avrebbero più dato credito. Avrebbero creduto che le sue parole non contassero nulla. Avrebbe perso di credibilità.
“Dai, andiamo a dirglielo” Irene fece per alzarsi, ma Rocco la trattenne.
“None, ci ho detto che tornavo solo quando ti accettavano” mise il broncio, come un bambino di sei anni che si rifiutava di andare a scuola. 
“Rocco, potrebbe non accadere mai. Non parlerai mai più con la tua famiglia? Non fare lo stupido” si rimise in piedi contro il volere del suo fidanzato e gli afferrò la mano per tirarlo e farlo alzare. Ma data la sua statura, e l’assenza di forza di Irene, era praticamente impossibile riuscire a spostarlo anche solo di qualche centimetro se lui non avesse collaborato.
“A me basta che pensi con la tua testa e non ti fai influenzare da loro. Nonostante tutto ti vogliono bene, e tu ne vuoi a loro” provò a convincerlo con un cenno della testa. 
“Rocco, non mi importa che mi accettino loro, l’importante è che mi accetti tu” aggiunse poi e fu proprio quella frase a convincerlo, portandolo ad alzarsi, spinto dalla voglia irrefrenabile di avvolgerla tra le braccia. Lui non solo l’accettava, ma quei difetti in fondo ormai li amava pure. Cosa sarebbe stata Irene senza la sua alterigia, senza la sua lingua lunga e quella finta vena di cattiveria per cui tutti la conoscevano? Non sarebbe più stata la sua Irè, e lui non intendeva in alcun modo cambiarla. La amava così com’era, perché vedeva attraverso i suoi difetti e ciò che mostrava agli altri. La maggior parte delle persone non aveva idea della profondità dei pensieri e dei gesti che si celavano dietro quella dura scorza che usava per proteggersi. Irene era un regalo avvolto in della carta un po’ sgualcita: non attirava l’interesse di chi vi posava sopra lo sguardo, ma chi aveva il coraggio di andare oltre quel pacchetto mal confezionato, riceveva in cambio una sorpresa inaspettata. Sapere di essere uno dei pochi a conoscerla veramente lo faceva sentire speciale. Irene, come un animale selvatico, diffidente per natura e per istinto, gli aveva fatto il dono della fiducia. Si era affidata a lui. Lo aveva scelto. E lui avrebbe scelto lei giorno dopo giorno.
“Ah, cettu, io ti accettu tutta quanta” disse riempiendole il collo di baci, facendola ridacchiare per il solletico. E lui si beava del suono della sua risata.
 

Rocco circondò le spalle di Irene con un braccio, come ormai di recente aveva preso l’abitudine di fare. Irene gli aveva proposto di lasciarlo davanti casa dei suoi zii e lei si sarebbe rintanata nel proprio appartamento, ma Rocco non aveva voluto sentire ragioni. Così, quando la porta si aprì, Agnese si ritrovò davanti l’allegra coppietta.
“Gioia” esordì lei, facendo una carezza al nipote. “Ti senti meglio?” gli chiese apprensiva. Quel giorno non aveva avuto modo di vederlo, perché nessuno l’aveva informata che Rocco aveva deciso di andare al lavoro nonostante l’infortunio. Si sentiva totalmente tagliata fuori dalla vita di suo nipote e la cosa non le piaceva affatto. Non sopportava l’idea di essere diventata un’estranea per lui e di dover sapere le cose dagli altri. Per quel motivo trovarselo lì davanti, nonostante fosse accompagnato da quella ragazza, le diede una gioia inaspettata.
“Sì, zì, sto meglio, grazie” rispose accennando un sorriso. “Vi dobbiamo dire una cosa. Possiamo entrare?” chiese allora.
“Certo, gioia, scusa. E che lo chiedi pure?” disse Agnese prendendo il braccio del nipote affinché si sedesse su una delle sedie.
Irene sentì diversi occhi che la scrutavano. Erano tutti seduti a tavola per cenare, proprio come prima aveva trovato anche Rocco e il signor Ferraris. Probabilmente anche le sue coinquiline a quel punto avevano già iniziato senza di lei. Gli unici sguardi comprensivi arrivarono da Tina e da Salvo, mentre il signor Amato continuava a fissarla con l’aria di chi avrebbe preferito saperla in fondo ai Navigli, magari.
“Non ti preoccupare, zì, devo solo dirvi una cosa” rimase in piedi accanto a Irene, stringendole talmente forte la mano da stritolargliela. 
“Io, volevo dirvi che… me ne vado a Roma, va” sganciò subito la bomba. In genere era Irene quella che andava dritta al punto, senza indugiare troppo. Rocco cercava sempre il modo giusto per dire qualcosa, senza offendere o ferire nessuno, specialmente se si trattava di notizie difficili da rivelare. Standole accanto, stava iniziando ad acquisire un po’ del suo polso fermo. E Irene stava imparando a rapportarsi agli altri con maggiore tatto. Si miglioravano a vicenda.
“Ma come a Roma?” chiese Tina con sorpresa, mentre il volto di Agnese sembrò sbiancare di colpo. 
“E che devi andare a fare a Roma tu?” si unì Salvatore con un sorriso, credendo li stesse prendendo in giro. 
“Ehh, per la bicicletta. Un preparatore atletico mi ha fatto un’offerta di lavoro, va” spiegò lui. “All’inizio ci avevo detto di no, però poi Irene mi ha convinto ad accettare e perciò… vado a Roma” concluse facendo spallucce, come se si trattasse di un’informazione di poco conto. Irene accennò un sorriso, perché era evidente come Rocco cercasse costantemente di esaltare la sua immagine agli occhi dei suoi familiari, tessendo continuamente le sue lodi. In quel caso il merito era effettivamente suo, ma lui avrebbe potuto evitare di menzionarlo e invece aveva preferito sottolinearlo e lei gliene fu grata.
“Ma quindi vi sposate?” chiese Agnese preoccupata. Suo nipote non poteva passare da un fidanzamento all’altro nel giro di una settimana. A tutto c’era un limite. E poi non poteva sopportare l’idea che quella ragazza diventasse già definitiva. Nella sua testa i due si sarebbero frequentati per un po’, finché quella non si fosse stancata o Rocco non si fosse accorto che non erano fatti per stare insieme. Ma se si fossero sposati…
“No, no” si affrettò a rispondere Rocco. “Ci vado io da solo e Irene resta qua e poi vengo a trovarla una volta al mese, non lo so. Non sacciu ancora come funziona, zì. Domani lo rivedo a quello e ce lo chiedo.”
Davanti a quell’informazione Agnese tirò un sospiro di sollievo. Tutto sarebbe andato secondo i suoi piani: la distanza avrebbe persino facilitato quella inevitabile separazione.  C’era ancora speranza per suo nipote, pensò con un sorriso.
Tuttavia, non poté fare a meno di sentirsi strana nei confronti di quella ragazza. Quella era stata l’ennesima dimostrazione di quanto ci tenesse a Rocco. Lo aveva convinto ad accettare una proposta di lavoro che lo portava a chilometri di distanza da lei, nonostante stessero insieme da così poco tempo. Agnese ancora non se ne rendeva conto, ma iniziava già a guardarla con occhi differenti. 
“Vieni, siediti che ho fatto la parmigiana con le mulinciane che ti piace tanto” lo spinse per le spalle, invitandolo a sedersi.
“Allora io vi lascio” disse Irene congedandosi. 
“Ma dove vai tu. Vieni, siediti qui vicino a me” la voce di Tina la fermò, indicandole la sedia libera che la cantante stava accostando al tavolo. 
Irene osservò confusa quel gruppo che un tempo le era stato fortemente ostile, ma che con calma iniziava ad abituarsi alla sua presenza. Il signor Amato continuava a fissarla in silenzio e la signora Agnese si mostrava vagamente più tollerante nei suoi confronti, ma sapere di avere l’appoggio di Tina e Salvo certamente rendeva le cose più facili. 
“Certo, resta pure tu” le concesse Agnese con uno sguardo più morbido. 
Dopo il lasciapassare della signora Agnese, Irene assecondò la richiesta di Tina e si andò a sedere accanto a lei. Rocco dall’altro lato del tavolo, di fronte, la guardava con un sorriso talmente pieno da scaldarle il cuore. Era tutto quello che lui aveva sempre desiderato. Aveva di nuovo la sua famiglia, aveva un futuro radioso davanti a sé, e soprattutto aveva accanto la persona più incredibile che avesse mai conosciuto. Aveva fatto tanta strada da quando era arrivato a Milano. Quel giorno quel treno lo aveva erroneamente portato fino a Torino e lui non si era accorto della differenza. Ma adesso non avrebbe più sbagliato: sapeva esattamente qual era la direzione giusta da seguire. E soprattutto sapeva accanto a chi avrebbe voluto percorrerla. La sua famiglia avrebbe fatto bene ad abituarsi, perché Irene non sarebbe andata da nessuna parte. 


Ringraziamenti:

Grazie a chiunque abbia avuto la voglia e la forza di seguire questa storia nel corso di questa calda e infernale estate. Grazie anche a chi ha letto solo qualche capitolo e si è interessato alla mia storia. Grazie a chi ha sentito di voler esprimere un giudizio o un commento, mi avete fatto sentire molto apprezzata e mi avete dato la spinta per andare avanti e concludere.
Ma i ringraziamenti più importanti sono rivolti alle mie girls (Ambra, Virginia ed Elena) che mi hanno supportata e sopportata durante le mie mille riletture e indecisioni, che mi hanno spinta a pubblicare anche quando non ero convinta di ciò che avevo scritto, che mi hanno dato consigli, suggerimenti, e soprattutto confidence. Questa storia non esisterebbe senza di voi, ed è quindi dedicata a voi tre. Anche se non è andata come volevamo, da questa vicenda ne è venuto fuori qualcosa di positivo e siete voi. Sono contenta di avervi conosciute. Anche se come Irene non so esprimere il mio affetto a parole, I Iove you, a modo mio! ❤️
  
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