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Autore: Fiore di Giada    23/08/2021    2 recensioni
[Seguito di "Un ponte tra due cuori"]
Con un grido, Genzo si alzò a sedere sul letto, il volto pallido e velato di sudore e gli occhi vitrei, fissi in un punto indefinito.
Si posò una mano sul petto, sollevato da ansiti sempre più rapidi e brevi. Di nuovo, il suo sonno era stato tormentato dal corpo straziato di Andreas Schumann, emerso dalla tenebra.
Aveva la stessa espressione vitrea, quando lo aveva visto disteso sulle strade di Amburgo.
Violenti brividi scossero il suo corpo e, d’istinto, il giovane portiere strinse i pugni. Aveva scelto di abbandonare il calcio per non danneggiare l’Amburgo e la nazionale nipponica e si era ritirato in Romania.
Nessuno doveva patire le conseguenze del linciaggio mediatico da lui subito.
A passo rapido, si avviò verso la finestra e guardò fuori.
Il paesaggio dei Carpazi, verde di foreste, era velato dalla luce argentea della luna, che risplendeva solitaria in un cielo purissimo, simile ad uno zaffiro.
L’astro notturno, con i suoi raggi, illuminava le case e le chiese del villaggio, addormentate nel silenzio.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Genzo Wakabayashi/Benji
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Una densa oscurità circonda il mio sguardo.
Sgomento, giro la testa da una parte e dall’altra. Dove sono finito?
Non capisco. Perché non vedo nulla?
Tremo. Un vento gelido sferza le mie spalle.
Ad un tratto, un fascio di luce obliqua, come un riflettore, dilania l’aria.
Sbarro gli occhi. Appeso ad una croce di ferro, seminudo, scorgo il corpo di Andreas.
Sul suo corpo scorgo i segni del violento impatto.
Sangue sgorga dalle sue membra dilaniate.
Con un regolare, macabro gocciolio cade.
Questo rumore fastidioso si amplifica nella mia mente.
Ad un tratto, la sua testa, lenta, si solleva e i suoi occhi azzurri, sbarrati in una mashera di dolore, fissano i miei.
E mi accusano di averlo ucciso.
Urlano la mia colpa!
Apro la bocca, ma solo un rantolo esce dalle mie labbra.
Non posso difendermi dalle sue accuse silenziose.
Io ho ucciso quel giovane.
Il suo nome rosseggia sulle mie mani.
Arretro. No, non voglio vedere il suo sguardo.
E cado in un burrone irto di spine.


Con un grido, Genzo si alzò a sedere sul letto, il volto pallido e velato di sudore e gli occhi vitrei, fissi in un punto indefinito.
Si posò una mano sul petto, sollevato da ansiti sempre più rapidi e brevi. Di nuovo, il suo sonno era stato tormentato dal corpo straziato di Andreas Schumann, emerso dalla tenebra.
Aveva la stessa espressione vitrea, quando lo aveva visto disteso sulle strade di Amburgo.
Violenti brividi scossero il suo corpo e, d’istinto, il giovane portiere strinse i pugni. Aveva scelto di abbandonare il calcio per non danneggiare l’Amburgo e la nazionale nipponica e si era ritirato in Romania.
Nessuno doveva patire le conseguenze del linciaggio mediatico da lui subito.
A passo rapido, si avviò verso la finestra e guardò fuori.
Il paesaggio dei Carpazi, verde di foreste, era velato dalla luce argentea della luna, che risplendeva solitaria in un cielo purissimo, simile ad uno zaffiro.
L’astro notturno, con i suoi raggi, illuminava le case e le chiese del villaggio, addormentate nel silenzio.
Genzo sospirò. Era una terra splendida, quasi senza tempo, ma non riusciva a trovare pace e a godere dello spettacolo magnifico della natura.
Quell’armonia sublime sembrava quasi beffarsi delle sue sofferenze e del suo tormento.
I ricordi della tragedia accaduta in Germania lo seguivano, come un segugio infernale.
Si strinse con più forza la testa tra le mani, tremando, lo sguardo fisso sul paesaggio.


Due mani, caute, gentili, si posarono sulle sue spalle.
Genzo, sentendo quel tocco leggero, sussultò, poi si rilassò.
Si girò e il suo sguardo incontrò gli occhi di Ken, lucidi di preoccupazione.
– Vuoi parlarne? – azzardò il karateka, cauto. Ne era sicuro, aveva avuto un incubo collegato a quel tragico incidente in Germania.
In quei giorni, niente riusciva a destabilizzarlo come il ricordo di quell’evento luttuoso e delle sue implicazioni.
Quell’urlo, così lacerante, lo aveva svegliato e gli aveva rivelato la realtà della sua pena.
Ne era convinto, il suo sonno era tormentato da quei ricordi.
Durante il giorno, in parte, Genzo riusciva a controllare la sua amarezza, grazie ad una formidabile forza di volontà, ma, con l’arrivo della notte, la sua resistenza si disgregava, come un castello di sabbia lambito da un’onda marina.
L’ex titolare dell’Amburgo esitò. Il suo rivale aveva compreso la ragione della sua pena e, con cautela, gli chiedeva se volesse parlarne.
Chiuse gli occhi e si appoggiò un poco contro il petto dell’altro. Quel tocco, così silenzioso e gentile, quietava un poco il suo cuore, percosso dal martello del rimorso.
Eppure, non riusciva a parlare della tragedia.
Le parole si impigliavano nelle sue labbra e gli pareva di avere la bocca ingombra di sale.
Sospirò. Non si sentiva ancora degno del conforto che gli avrebbe dato una simile confidenza.
Impietoso crudele, il suo cuore gli ricordava l’atrocità della sua colpa.
Nella sua mente, rivedeva i volti dei familiari di Andreas, bianchi di sofferenza, su cui spiccavano occhi rossi di lacrime e ardenti d’odio.
Gli sembrava quasi offensivo tornare ad una vita normale, con le sue gioie e le sue pene.
Andreas non avrebbe più potuto spendere la sua esistenza per la comunità, come aveva sempre desiderato.
Con quale diritto il suo assassino poteva essere felice?

– No. Perdonami Ken, ma non riesco a parlarne. Non ancora. – sussurrò, il tono stanco.
Chiuse gli occhi e si irrigidì, cercando di frenare le lacrime. Si vergognava di avere ceduto a quel moto dell’anima, quando aveva veduto Ken.
Eppure, egli non lo aveva criticato e aveva accolto la sua pena, senza alcuna parola di biasimo.
E, non poteva negarlo, si era sentito bene tra le braccia del suo rivale.
Il marzialista non rispose e accentuò la presa delle sue mani sulle spalle dell'altro. Avrebbe desiderato una risposta differente, meno malinconica, ma non era stupito.
Genzo sentiva su di sé il peso del senso di colpa e tale emozione imbrigliava e soffocava la sua mente.
Gli impediva di perdonare se stesso e di ricominciare a vivere in pienezza le sue emozioni.
Questo era preoccupante, ma, oltre ad una vicinanza silenziosa, non poteva offrire altro.
Eppure, nonostante il suo stato di prostrazione, cercava di condurre un’esistenza dignitosa, per quanto isolata e lontana dalla sua indole.
Come un funambolo, camminava su una fune sottile, sospesa tra il cielo della razionalità e l’abisso della disperazione.
No, non poteva pretendere da lui un miglioramento repentino e duraturo.
– Non avere fretta. Non mi devi niente. Fai un passo alla volta e pensa a curare le tue ferite. Tutto il resto è secondario.– rispose Ken, calmo.
Genzo, sentendo quelle parole, si rilassò, poi si girò e sollevò le labbra in un sorriso. Non avrebbe mai immaginato una tale pazienza nel suo rivale e compagno di squadra.
La sua mente provata si sorprendeva di un simile riguardo verso di lui, dopo un tale, nefasto evento.
– Ti ringrazio, Ken. –


   
 
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